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Sentenza

Corte costituzionale: è infondata la questione di legittimità dell'art. 409 c.p.p. nella parte in cui non prescrive che il p.m. spedisca l'avviso di cui all'art. 415-bis anche quando l'imputazione è formulata per ordine del giudice che rigetta la richiesta di archiviazione.
Corte costituzionale: è infondata la questione di legittimità dell'art. 409 c.p.p. nella parte in cui non prescrive che il p.m. spedisca l'avviso di cui all'art. 415-bis anche quando l'imputazione è formulata per ordine del giudice che rigetta la richiesta di archiviazione.
Corte cost., 12 dicembre 2012, n. 286, Pres. Quaranta, Rel. Lattanzi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi
MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio
LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 409 del codice di procedura penale,
promosso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Taranto, nel
procedimento penale a carico di V.A., con ordinanza del 14 ottobre 2011, iscritta al n. 107
del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23,
prima serie speciale, dell'anno 2012.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che con ordinanza del 14 ottobre 2011 (r.o. n. 107 del 2012) il Giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale di Taranto ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 409 del codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevede che, anche nel caso di formulazione
dell'imputazione su ordine del giudice, in seguito al rigetto della richiesta di
archiviazione, il pubblico ministero debba previamente notificare all'indagato l'avviso di
conclusione delle indagini preliminari, di cui all'art. 415‐bis cod. proc. pen.;
che il giudice rimettente riferisce che, in seguito a un'ordinanza del Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Taranto, che aveva ordinato la formulazione dell'imputazione
ai sensi dell'art. 409, comma 5, cod. proc. pen., il pubblico ministero aveva chiesto, in data
23 giugno 2010, il rinvio a giudizio di una persona imputata del reato di omicidio colposo;
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che, riferisce ancora il giudice a quo, la richiesta non era stata preceduta dalla notificazione
dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, notificazione espressamente non
prevista dalla norma;
che il rimettente rileva una disparità di trattamento tra l'ipotesi prevista dall'art. 409,
comma 5, cod. proc. pen. e quella dell'esercizio dell'azione penale nelle forme ordinarie,
prevedendo gli artt. 416 e 552, comma 2, cod. proc. pen., a pena di nullità, l'obbligo del
pubblico ministero di notificare l'avviso di conclusione delle indagini e di procedere
all'interrogatorio dell'indagato che lo richieda;
che all'imputato rinviato a giudizio secondo la procedura prevista dall'art. 409, comma 5,
cod. proc. pen. sarebbero precluse le garanzie difensive riconosciute dall'art. 415‐bis cod.
proc. pen. «in termini di piena discovery degli atti, di esatta e cristallizzata contestazione di
un fatto determinato, di diritto a difendersi provando la propria innocenza già nella fase
delle indagini preliminari a mezzo di interrogatorio»;
che, ad avviso del giudice a quo, l'art. 111 Cost. avrebbe sostanzialmente imposto al
legislatore l'anticipazione alla fase procedimentale di una serie di garanzie difensive
tipiche della fase processuale, anticipazione realizzata attraverso l'introduzione dell'art.
415‐bis cod. proc. pen. ad opera della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle
disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti
al giudice di pace e di esercizio della professione forense), come emergerebbe dalla
contestualità temporale di quest'ultima con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2
(Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione);
che il legislatore avrebbe avvertito l'urgenza di anticipare già nella fase procedimentale le
garanzie difensive tipiche di quella processuale e di procedere a un riequilibrio tra accusa
e difesa nella fase delle indagini «grazie alla previsione di un maggiore spazio di
contraddittorio circa la completezza e la sostanzialità dell'accusa, nonché delle indagini
poste a sostegno della stessa»;
che l'incompatibilità dell'art. 409, comma 5, cod. proc. pen. con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.
sarebbe ulteriormente argomentabile per la disparità di trattamento tra il destinatario
dell'avviso previsto dall'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. e il destinatario dell'avviso ex
art. 415‐bis cod. proc. pen., anche alla luce del successivo art. 410 del codice di rito, che
attribuisce alla persona offesa dal reato la possibilità di proporre opposizione alla richiesta
di archiviazione, imponendole, a pena di inammissibilità, di indicare l'oggetto
dell'investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, laddove tale possibilità
propulsiva in chiave difensiva sarebbe di fatto preclusa all'indagato nel procedimento di
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cui all'art. 409 cod. proc. pen., «non prevedendo la norma sul punto nessuna possibilità di
proposizione di alcun adempimento investigativo»;
che, osserva ancora il rimettente, secondo un'interpretazione dottrinale dell'art. 409 cod.
proc. pen., non sarebbe obbligatoria l'audizione della persona sottoposta alle indagini che
abbia chiesto di essere interrogata e quindi, sarebbe notevolissima e di immediata
percezione la differenza tra le garanzie difensive riconosciute dall'art. 415‐bis cod. proc.
pen. e quelle riconosciute dall'art. 409 cod. proc. pen.: in quest'ultima ipotesi «il mancato
interrogatorio dell'indagato che lo abbia richiesto rimane privo di conseguenze e sfornito
di sanzione processuale», mentre per il combinato disposto degli artt. 415‐bis e 416 cod.
proc. pen. «il mancato interrogatorio dell'indagato che ne abbia fatto richiesta a seguito di
notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, inficia di nullità la successiva
richiesta di rinvio a giudizio e gli atti ad essa conseguenti»;
che all'indagato che richieda invano di essere interrogato verrebbe precluso quel
minimum in termini difensivi rappresentato dall'esposizione delle proprie argomentazioni
difensive;
che il potenziale quanto insindacabile disinteresse da parte del pubblico ministero e del
giudice per le indagini preliminari nei confronti delle richieste difensive o della richiesta di
interrogatorio proposte dall'indagato sarebbe testimoniato dall'assenza di sanzione
processuale, sicché «nell'ambito dell'udienza fissata ex art. 409 co. 2 c.p.p., all'indagato, al
di là di una parziale discovery degli atti (non si tralasci che il p.m. può selezionare gli atti di
indagine da depositare per l'udienza), altro non rimane se non una pressoché sterile
interlocuzione in merito alla fondatezza e sostenibilità di una nebulosa ipotesi
accusatoria»;
che, in tale fase, come emergerebbe dalla lettura sistematica degli artt. 409 e 410 cod. proc.
pen., verrebbero assicurate più garanzie difensive alla persona offesa che all'indagato;
che, sempre in tale fase, l'apporto investigativo dell'indagato sarebbe pressoché nullo, in
quanto a norma dell'art. 409, comma 4, cod. proc. pen. il compimento di ulteriori indagini
è meramente eventuale, dovendo il pubblico ministero procedervi solo se il giudice per le
indagini preliminari, «con giudizio praticamente insindacabile ed insuscettibile di
riesame», le ritiene necessarie;
che la disuguaglianza tra l'indagato destinatario dell'avviso previsto dall'art. 409, comma
2, cod. proc. pen. e quello destinatario dell'avviso previsto dall'art. 415‐bis cod. proc. pen.
sarebbe confermata dal rilievo che mentre quest'ultimo riceve un avviso recante
un'imputazione «sostanzialmente cristallizzata e delineata», il che si risolve in una
garanzia in termini di salvaguardia del diritto di difesa, il primo deve difendersi da una
«contestazione fluida, imprecisa, insufficientemente determinata e suscettibile di
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variazioni anche in senso a lui sfavorevole», posto che nell'avviso di fissazione
dell'udienza prevista dall'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. mancherebbe qualsiasi
riferimento all'imputazione;
che la mancata indicazione di un capo di imputazione certo e definito si risolverebbe in un
grave vulnus al diritto dell'indagato di conoscere l'accusa dalla quale difendersi ove si
consideri che il giudice per le indagini preliminari potrebbe imporre al pubblico ministero
un'imputazione diversa da quella per la quale l'accusa aveva formulato la richiesta di
archiviazione;
che, osserva ancora il rimettente, all'esito della camera di consiglio, il pubblico ministero,
nonostante l'imputazione coatta disposta dal giudice per le indagini preliminari, potrebbe
formulare una contestazione diversa da quella originariamente ipotizzata, con il rischio
per l'imputato di «essersi difeso per una contestazione e di subire il giudizio per un'altra»;
che siffatto «ventaglio di eventualità accusatorie» sarebbe gravemente lesivo del diritto di
difesa dell'indagato, che, a fronte della possibilità di ricevere contestazioni diverse e “a
sorpresa”, sarebbe condizionato (se non menomato) nella scelta della linea difensiva;
che il profilo di illegittimità della norma di cui all'art. 409 cod. proc. pen. sarebbe
riscontrabile anche nel suo contrasto con l'art. 6, comma 3, lettera a), della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a
Roma il 4 novembre 1950 (ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848), che,
utilizzando il termine “accusato” senza alcuna distinzione tra persona sottoposta ad
indagini e imputato, sarebbe estensibile anche alla fase delle indagini preliminari;
che tale lettura, confermata dall'art. 61 cod. proc. pen., sarebbe esplicitata anche dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 1° marzo 2006, n.
56581/00, Sejdovic contro Italia);
che la diversità, sotto il profilo difensivo, della posizione dell'indagato che si trovi nella
situazione disciplinata dall'art. 409 cod. proc. pen. rispetto a quella dell'indagato
destinatario dell'avviso ex art. 415‐bis cod. proc. pen. sarebbe comprovata
dall'orientamento dottrinale secondo cui, nell'ipotesi in cui proceda ad una modifica della
contestazione, il pubblico ministero avrebbe l'obbligo di notificare un nuovo avviso di
conclusione delle indagini;
che, ad avviso del giudice a quo, anche nella fase delle indagini preliminari la
contestazione dalla quale difendersi deve essere, così come previsto dall'art. 415‐bis cod.
proc. pen., «chiara, precisa e cristallizzata», sicché, «non diversamente dall'indagato che
riceve l'avviso previsto ex art. 415‐bis c.p.p., anche all'indagato destinatario di
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imputazione coatta vanno riconosciute le medesime garanzie difensive, con la notifica del
medesimo avviso»;
che, ritenere, come ha fatto la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 441 del 2004, che il
contraddittorio sulla eventuale incompletezza delle indagini si esplichi necessariamente
nell'udienza in camera di consiglio, fissata dal giudice qualora non accolga la richiesta di
archiviazione del pubblico ministero, significherebbe «assimilare situazioni processuali
che simili non sono e che, anzi, ed a tanto è finalizzata la proponenda questione di
legittimità costituzionale, andrebbero finalmente assimilate, in ossequio ai princìpi
costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost.»;
che il divario tra le garanzie difensive assicurate all'indagato dagli artt. 409 e 415‐bis cod.
proc. pen. sarebbe immediatamente percepibile: nel primo caso «non vi è una
contestazione determinata e cristallizzata ma una fluida ipotesi accusatoria, la discovery
sugli atti di indagine potrebbe essere incompleta (non essendo gravato il p.m. da alcun
obbligo in tal senso) ed infine non vi è alcun obbligo di procedere all'interrogatorio
dell'indagato che ne faccia richiesta»; nella seconda ipotesi, invece, «la contestazione è già
delineata e cristallizzata, la discovery degli atti processuali trova massima estrinsecazione
avendo il p.m. un preciso obbligo in merito alla piena ostensione di tutti gli atti di
indagine (a pena di inutilizzabilità degli atti inizialmente criptati e successivamente
scoperti), sussiste l'obbligo di procedere all'interrogatorio dell'indagato che lo richieda,
pena la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti ad essa successivi»;
che la situazione di squilibrio tra le due situazioni sarebbe molto evidente e meritevole di
essere riequilibrata alla luce dei principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonché in
ossequio all'art. 6 della CEDU;
che la necessità sarebbe «maggiormente accresciuta dalla esigenza di sottrarre il momento
procedimentale di cui all'art. 409 c.p.p. da quella specie di zona grigia dove, in spregio ai
princìpi informatori del nostro codice di rito, non solo il dominio sulle indagini
preliminari passa dal p.m. al g.i.p. (…) ma, soprattutto, passa di mano il dominio
sull'esercizio dell'azione penale, poiché, in chiara violazione del principio ne procedat
iudex ex officio, il g.i.p. esercita di fatto l'azione penale per interposizione del p.m.»;
che, alla luce delle argomentazioni indicate, il rimettente solleva «questione di legittimità
costituzionale dell'art. 409 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui
non prevede che anche a seguito di imputazione ex art. 409 quinto comma c.p.p. sia
obbligatoria la previa notifica all'indagato dell'avviso di conclusione delle indagini
preliminari»;
che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale rileva
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innanzi tutto la mancanza di una valutazione da parte del giudice rimettente sulla
rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione sollevata;
che l'Avvocatura dello Stato osserva poi che la questione sarebbe comunque
manifestamente inammissibile, in quanto già oggetto di diverse pronunce della Corte
costituzionale (ordinanze n. 441 del 2004, n. 491 e n. 460 del 2002), che ne ha ritenuto la
manifesta infondatezza;
che, inoltre, la decisione del giudice interviene all'esito dell'udienza camerale, ossia dopo
che l'indagato e il suo difensore hanno avuto la possibilità di prendere visione di tutti gli
atti depositati dal pubblico ministero unitamente alla richiesta di archiviazione e di
interloquire, sicché gli ulteriori sviluppi del procedimento non sarebbero avulsi da un
corredo garantistico;
che l'ordine del giudice rappresenterebbe, infatti, un posterius che presuppone esaurito il
momento difensivo o, comunque, cessate le condizioni legali del suo concretizzarsi: «la
riapertura dello scenario procedimentale, per avvertire l'imputato circa attività già
esperibili in opportuno contesto, allungherebbe inutilmente i tempi della giurisdizione
penale», che deve assolvere alla sua funzione entro la «ragionevole durata» di cui al
secondo comma dell'art. 111 Cost.;
che, richiamata una pronuncia della Corte di cassazione (Cass. pen., sez. V, 17 ottobre
2002, n. 38693), l'Avvocatura dello Stato osserva che, una volta ordinata la formulazione
dell'imputazione, l'emissione e la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini
perdono il loro significato essenziale, quello cioè di mettere l'indagato in condizioni di
proporre integrazioni investigative idonee a dissuadere il pubblico ministero dal proposito
manifestato di esercitare l'azione penale.
Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Taranto ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della
Costituzione, dell'articolo 409 del codice di procedura penale nella parte in cui non
prevede che, anche nel caso di formulazione dell'imputazione su ordine del giudice, in
seguito al rigetto della richiesta di archiviazione, il pubblico ministero debba notificare alla
persona sottoposta alle indagini l'avviso previsto dall'art. 415‐bis cod. proc. pen.;
che, ai fini dell'ammissibilità della questione, deve ritenersi sufficiente la descrizione della
fattispecie svolta nell'ordinanza di rimessione, anche se non offre indicazioni sull'iter
procedimentale che ha condotto all'esercizio dell'azione penale e, in particolare, sullo
svolgimento dell'udienza camerale prevista dall'art. 409 cod. proc. pen. e sulla
partecipazione della persona sottoposta alle indagini;
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che, infatti, ai fini della verifica dell'applicabilità della norma censurata e della
conseguente rilevanza della questione è sufficiente considerare che, come riferisce il
giudice rimettente, in seguito all'ordinanza con la quale era stata ordinata la formulazione
dell'imputazione ai sensi dell'art. 409, comma 5, cod. proc. pen., il pubblico ministero
aveva chiesto il rinvio a giudizio dell'imputato e che tale richiesta non era stata preceduta
dalla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari;
che nell'ordinanza di rimessione il giudice ha richiamato anche l'art. 6 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
che, come questa Corte ha rilevato, «l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo non costituisce disposizione da potere invocare come parametro al fine di
affermare l'incostituzionalità delle norme denunciate, dal momento che la stessa
costituisce solo norma interposta al fine di accertare la violazione dell'art. 117, primo
comma, Cost., non invocato dal giudice a quo» (ordinanza n. 163 del 2010);
che, nel caso in esame, il riferimento all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali risulta comunque finalizzato, come si
desume anche dal dispositivo, non già a prospettare un'autonoma censura di illegittimità
costituzionale, ma solo a rafforzare quella formulata con riguardo all'art. 111 Cost.;
che questa Corte, con l'ordinanza n. 460 del 2002, ha dichiarato manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 409, comma 5,
415‐bis e 552, comma 2, cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt. 24, 101 e 112
Cost., nella parte in cui prevede che, nei reati a citazione diretta – in esito a richiesta di
archiviazione, avanzata dal pubblico ministero oltre la scadenza dei termini di indagine e
non accolta dal giudice per le indagini preliminari – il pubblico ministero, in seguito alla
disposizione del giudice di formulare l'imputazione, debba provvedere a tale
adempimento e alla successiva emissione del decreto che dispone il giudizio senza il
previo invio, all'indagato, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui
all'art. 415‐bis cod. proc. pen., per l'avvenuta scadenza del termine delle stesse;
che l'ordinanza n. 460 del 2002 muove dal rilievo che «la funzione dell'avviso di cui al
richiamato articolo 415‐bis appare essere chiaramente quella di assicurare una fase di
“contraddittorio” tra indagato e pubblico ministero, in ordine alla completezza delle
indagini», e che, pertanto, l'espletamento di quella fase e la garanzia di uno specifico ius ad
loquendum dell'indagato in tanto si giustificano, in quanto il pubblico ministero intenda
coltivare una prospettiva di esercizio dell'azione penale;
che, quando ricorre «una ipotesi di esercizio dell'azione penale conseguente all'ordine di
formulare l'imputazione a seguito di richiesta di archiviazione non accolta, il
contraddittorio sulla eventuale incompletezza delle indagini trova necessariamente sede
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nella udienza in camera di consiglio, che il giudice è tenuto a fissare ove la domanda di
“inazione” del pubblico ministero non possa trovare accoglimento», sicché, tra l'altro,
«nessuna lesione al diritto di difesa può prospettarsi in tale situazione, in quanto tale
diritto è, nella specie, congruamente assicurato nella sede camerale che precede l'ordine di
formulare l'imputazione»;
che l'orientamento di questa Corte è stato poi confermato con l'ordinanza n. 491 del 2002
e, nuovamente, con l'ordinanza n. 441 del 2004, la quale ha ribadito che ove l'esercizio
dell'azione penale consegua all'ordine del giudice di formulare l'imputazione, previsto
dall'art. 409, comma 5, cod. proc. pen., «il contraddittorio sulla eventuale incompletezza
delle indagini si esplica necessariamente nell'udienza in camera di consiglio che, ai sensi
del comma 2 dello stesso articolo, il giudice è tenuto a fissare ove non accolga la richiesta
di archiviazione del pubblico ministero; (…) tale circostanza esclude dunque la
configurabilità della violazione degli artt. 3 e 24 Cost., ventilata dal rimettente»;
che il rimettente critica quest'ultima pronuncia, sottolineando che mentre nell'ipotesi di
cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. «non vi è una contestazione determinata e
cristallizzata ma una fluida ipotesi accusatoria, la discovery sugli atti di indagine potrebbe
essere incompleta (non essendo gravato il p.m. da alcun obbligo in tal senso) ed infine non
vi è alcun obbligo di procedere all'interrogatorio dell'indagato che ne faccia richiesta»; nel
caso di rinvio a giudizio nelle forme ordinarie «la contestazione è già delineata e
cristallizzata, la discovery degli atti processuali trova massima estrinsecazione avendo il
p.m. un preciso obbligo in merito alla piena ostensione di tutti gli atti di indagine (a pena
di inutilizzabilità degli atti inizialmente criptati e successivamente scoperti), sussiste
l'obbligo di procedere all'interrogatorio dell'indagato che lo richieda, pena la nullità della
richiesta di rinvio a giudizio e degli atti ad essa successivi»;
che l'assunto del rimettente circa l'incompletezza, nella fattispecie in esame, della discovery
degli atti processuali è fondato su un'erronea ricostruzione del quadro normativo, in
quanto ai sensi dell'art. 408, comma 1, cod. proc. pen., con la richiesta di archiviazione il
pubblico ministero trasmette il fascicolo contenente la notizia di reato, la «documentazione
relativa alle indagini espletate» e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le
indagini preliminari, mentre, a norma dell'art. 415‐bis, comma 2, cod. proc. pen., l'avviso
di conclusione delle indagini preliminari contiene, tra l'altro, l'avvertimento che presso la
segreteria del pubblico ministero è depositata la «documentazione relativa alle indagini
espletate»;
che deve pertanto escludersi che la presentazione della richiesta di archiviazione, sulla
quale può innestarsi la vicenda procedimentale destinata a sfociare nell'“imputazione
coatta”, sia accompagnata da una discovery di minore portata rispetto a quella che
caratterizza la notificazione dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari;
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che anche l'assunto secondo cui nell'ipotesi prevista dalla disciplina censurata non vi
sarebbe alcun obbligo di procedere all'interrogatorio dell'indagato che ne faccia richiesta
non è fondato, in quanto la disciplina generale del procedimento in camera di consiglio,
richiamata dall'art. 409, comma 2, cod. proc. pen., assicura all'indagato, prima
dell'“imputazione coatta”, uno ius ad loquendum idoneo ad escludere la violazione dei
parametri costituzionali invocati dal rimettente;
che, infatti, proprio con specifico riferimento all'udienza camerale ex art. 409 cod. proc.
pen. la giurisprudenza di legittimità ritiene che integri l'ipotesi di nullità di cui all'art. 127,
comma 3, cod. proc. pen. la mancata audizione della parte comparsa, che abbia chiesto di
essere sentita (Cass. pen., Sez. VI, 14 gennaio 2004, n. 29864);
che, considerati la partecipazione all'udienza con il difensore e il riconoscimento dello ius
ad loquendum, non è fondata l'ulteriore censura formulata dal rimettente con riferimento
alla «possibilità propulsiva in chiave difensiva», che dagli artt. 408 e 409 cod. proc. pen.
sarebbe riconosciuta alla persona offesa, attraverso l'opposizione alla richiesta di
archiviazione, mentre sarebbe preclusa all'indagato nell'ipotesi di cui all'art. 409, comma
2, cod. proc. pen.;
che, infatti, a parte il rilievo della diversità delle posizioni della persona offesa e
dell'indagato nell'ipotesi in esame, il contraddittorio assicurato a quest'ultimo
nell'udienza camerale esclude la sussistenza della disparità di trattamento lamentata dal
giudice a quo;
che il rimettente denuncia, infine, la mancanza di una contestazione «delineata e
cristallizzata», che sarebbe invece assicurata dalla notificazione dell'avviso della
conclusione delle indagini preliminari;
che anche sotto questo profilo le censure sono prive di fondamento, poiché la mancanza di
una contestazione del fatto di reato analoga a quella prevista dall'art. 415‐bis cod. proc.
pen. non può considerarsi lesiva dei parametri evocati dal rimettente e, segnatamente, del
diritto di difesa e del principio del contraddittorio, adeguatamente salvaguardati
dall'accesso completo agli atti di indagine e dallo ius ad loquendum, riconosciuti
all'indagato, l'uno e l'altro strumentali al contraddittorio garantito dinanzi al giudice nella
«sede camerale che precede l'ordine di formulare l'imputazione» (ordinanza n. 460 del
2002);
che, d'altra parte, l'assenza di una contestazione del fatto di reato, lamentata dal
rimettente, si ricollega alle caratteristiche del procedimento che prende avvio dalla
richiesta di archiviazione del pubblico ministero, sicché l'opzione legislativa in questione
rientra nell'ampia discrezionalità, che, con «il solo limite della irragionevolezza delle scelte
compiute» (ordinanza n. 290 del 2011), va riconosciuta al legislatore nella conformazione
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degli istituti processuali, tanto più che, come questa Corte ha affermato, «la previsione di
una ulteriore garanzia per l'indagato, attraverso l'art. 415‐bis cod. proc. pen., appare
modulata secondo scelte legislative che non incontrano alcun limite in soluzioni
costituzionalmente obbligate, quanto a necessità di estensione della garanzia medesima»
(ordinanza n. 287 del 2003);
che inoltre il meccanismo procedimentale basato sull'avviso previsto dall'art. 415‐bis cod.
proc. pen. è diverso da quello relativo all'imputazione coatta, perché l'avviso in questione
è diretto a consentire all'indagato l'esplicazione di un'ulteriore attività difensiva, che
potrebbe incidere sulle determinazioni del pubblico ministero, inducendolo a richiedere
l'archiviazione, mentre dopo l'ordine del giudice per le indagini preliminari di formulare
l'imputazione viene meno qualunque ulteriore spazio per l'attività difensiva;
che, infatti, «se il giudice delle indagini preliminari, all'esito della udienza camerale avente
ad oggetto la decisione sulla richiesta di archiviazione del pubblico ministero, ritiene che
la notizia di reato non sia infondata e che debba dunque farsi luogo all'esercizio
dell'azione penale, né il pubblico ministero né l'indagato sono in grado di contrastare tale
valutazione» (Cass. pen., sez. VI, 8 ottobre 2002, n. 5369/03);
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 cod. proc. pen.
sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. deve essere dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo
409 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della
Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Taranto, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5
dicembre 2012.
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
Avv. Antonino Sugamele

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