Contratto preliminare e contratto definitivo. Nei contratti a forma scritta ad substantiam non può esserci la formazione del consenso al di fuori dell'atto.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 16 aprile 2013, n.9184 - Pres. Piccialli – est. Nuzzo
Motivi della decisione
Con il primo ricorso, avverso la sentenza non definitiva 1994/05, i ricorrenti deducono:
1) violazione,falsa applicazione ed inosservanza dei canoni legali di ermeneutica di cui agli art. 1362 ss. c.c., nonché dei principi dottrinari e giurisprudenziali in materia di clausole generiche; carenza, illogicità ovvero incoerenza della motivazione,laddove la clausola relativa alla $ destinazione dello scoperto contenuta nei due rogiti era stata ritenuta 'di stile'.
Al riguardo la Corte di appello: a) non si era attenuta al criterio ermeneutico principale del dato letterale ed aveva omesso di motivare perché tale criterio fosse stato ritenuto insufficiente; b) erroneamente aveva ritenuto del tutto generica e di stile la clausola in questione, la cui genericità non consentiva, di per sé, di ravvisarne la natura di 'clausola di stile' anche perché non era consentita, essendo essa contenuta in atto pubblico, una sua interpretazione sulla base di elementi estranei all'atto medesimo; c) la partecipazione ai rogiti di soggetti in parte diversi rispetto ai promissari acquirenti il coniuge della R. e della S. ), avrebbe dovuto far concludere per la volontarietà della pattuizione in questione; d)l'interpretazione della clausola inserita nei due preliminari, data dalla stessa M. nel corso del giudizio di merito (nel senso che gli attori avevano acquisito solo l'uso esclusivo di parte dello scoperto di pertinenza del fabbricato, rimanendo detto scoperto ed il box ivi insistente, in proprietà di parte venditrice) ed il fatto che nel capitolo di prova sub f) la M. intendeva provare che al notaio rogante era stato sottoposto il preliminare di vendita, costituivano circostanze contrastanti con la presunzione circa la natura delle clausole contenute nel contratto definitivo, ritenute 'di stile' sol perché difformi da quelle riportate nei preliminari e da considerarsi, invece, 'palesemente e volutamente difformi e divergenti';
2) falsa applicazione ovvero violazione di legge;erroneo ricorso ai criteri interpretativi di cui all'art. 1362 e segg. c.c; falsa, carente motivazione in ordine all'integrazione del contratto 'secondo la ritenuta comune volontà delle parti';
il giudice di appello aveva integrato la comune volontà delle parti, emergente dal contratto definitivo di vendita, facendo riferimento alla clausola dei preliminari di vendita che prevedeva il trasferimento della proprietà di una porzione dell'area in capo ai futuri acquirenti, così attribuendo un significato alla clausola del definitivo contrastante sia con il dettato letterale che con il senso attribuito dalla stessa M. (di 'mantenere in capo a sé l'intera proprietà dello scoperto, con attribuzione a parte acquirente unicamente dell'uso esclusivo su una porzione della stessa'); immotivatamente la Corte territoriale aveva, poi, affermato che sebbene i due preliminari di vendita fossero stati stipulati senza l'intervento della R. e della S. , parti dei contratti definitivi, non poteva escludersi che 'al momento di stipulare l'atto di acquisto esse dovessero essere ugualmente a conoscenza delle promesse di vendita in quanto coniugi dei due promissori acquirenti';
3) falsa ovvero erronea applicazione di legge sui criteri ermeneutici di cui all'art. 1362 c.c., in quanto applicati non per interpretare il testo contrattuale, bensì per modificarlo mediante la sostituzione di clausole ad esso estranee; falsa applicazione al caso di specie del principio di cui alla sentenza n. 7206 del 9.7.1999;carente ovvero insufficiente motivazione in ordine alla possibilità di ricorrere al contratto preliminare di compravendita al fine di integrare atti pubblici successivi, posto che la sopravvivenza della disciplina del preliminare può configurarsi solo per volontà espressa delle parti che nella specie, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, i contratti definitivi disciplinavano completamente le obbligazioni delle parti senza alcuna omissione; il precedente giurisprudenziale(Cass. n. 7206/1999) citato al riguardo dai giudici di appello esulava, quindi, dal caso in esame; 4)erronea, carente motivazione sul comportamento delle parti successivo al rogito del 1985; la Corte di merito aveva ritenuto che il lungo silenzio (fino all'ottobre 1991) serbato dagli acquirenti in ordine ai pretesi diritti sulla parte di scoperto in godimento esclusivo della M. , implicasse 'la presumibile consapevolezza' dell'assenza del diritti medesimi e l'implicita conferma che la volontà dei contraenti, con riferimento all'area esterna, fosse stata quella già manifestata nel preliminare (pag. 17 sent. imp.), omettendo di valutare che la M. aveva ammesso 'essere stata spostata la rete di divisione dello scoperto quale primo passo attuativo della volontà comune'.
Con il secondo ricorso relativo all'impugnazione della sentenza definitiva n. 34/08, i ricorrenti ripropongono le medesime censure di cui al primo ricorso, formulando, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: 'se, in ipotesi di stipulazione di contratto definitivo successivo a contratto preliminare sia possibile, anche in assen-za di espressa volontà in tal senso, sia possibile utilizzare il contenuto del contratto preliminare, al fine di integrare gli obblighi e/o pattuizioni di cui al contratto definitivo di compravendita, con nuovi obblighi in quest'ultimo omessi, assenti ovvero non riprodotti, eventualmente anche mediante ricorso ai criteri interpretativi sussidiari di cui all'art. 1362 c.c.: se sia possibile interpretare detto contratto definitivo ricorrendo ai principi interpretativi sussidiari di cui all'art. 1362 c.c., anche qualora il criterio principale (significato letterale) sia sufficiente all'individuazione della comune intenzione delle parti'.
Va, preliminarmente disposta, ex art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Il ricorso avverso la sentenza non definitiva è fondato. I motivi, per la loro evidente connessione logica, comportando analoghe considerazioni motivazionali,possono essere trattati congiuntamente.
La fondatezza delle censure si fonda, essenzialmente,sulla distinzione tra contratto preliminare di vendita e contratto definitivo, nel senso che quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni voluti dalle parti e non mera ripetizione del primo, considerato che il contratto preliminare determina solo l'obbligo reciproco delle parti alla stipulazione del definitivo, la cui disciplina può anche divergere da quella del preliminare salvo che i contraenti ne abbiano espressamente previsto la sopravvivenza.
Consegue che, in sede di interpretazione del contratto definitivo, il giudice di merito non è tenuto a valutare il comportamento delle parti, ex art. 1362 co. 2 c.c., né a prendere in considerazione il tenore del contratto preliminare al fine di identificare il contenuto delle determinazioni definitive delle parti (Cass. n. 5635/2002; n. 9197/99; n. 7206/99; n 6402/1994). Costituisce, infatti, principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, nel silenzio del contratto definitivo, la presunzione di conformità del contratto stesso alla volontà delle parti, in parte differente da quella espressa nel preliminare, può essere vinta solo dalla prova,risultante da atto scritto,ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili, di un accordo posto in essere dalle medesime parti, contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono. In tal caso è possibile accertare la volontà negoziale delle parti valutando anche il contenuto del preliminare (Cass. n. 9063/2012; n. 233/2007; n. 15585/2007; 7206/99).
Orbene, nella specie, tale accordo non è stato dedotto o provato dalla M. né il preliminare conteneva clausole aventi una loro autonomia rispetto a quelle del definitivo ed in questo non riportate. In tale situazione era precluso al giudice di appello modificare la volontà espressa dalle parti nel contratto definitivo mediante il richiamo al 'comportamento complessivo' delle parti e ad una pattuizione riportata nel preliminare, concernente l'individuazione del bene alienato ed, in particolare, delle quote di 'scoperto condominiale' spettanti alle parti. Al riguardo la Corte territoriale ha ritenuto 'generica e di stile' la clausola del contratto definitivo con cui veniva trasferita 'la comproprietà delle porzioni in condominio dello stabile ed in particolare il suolo coperto e scoperto...', senza adeguata motivazione sul punto, sulla base, soprattutto,del 'comportamento delle parti', non tenendo conto del chiaro tenore letterale di detta clausola e del carattere tecnico-giuridico dell'espressione adoperata (trasferimento in comproprietà), in violazione, quindi, dei criteri ermeneutici di cui dell'art. 1362 c.c., secondo cui occorre attribuire rilievo fondamentale al senso letterale delle espressioni riportate in contratto senza ricorrere ai criteri sussidiari, quali il comportamento delle parti.
Va aggiunto che detto comportamento, ove trattasi di interpretare contratti soggetti alla forma scritta ad sub-stantiam, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell'atto scritto medesimo in quanto ne deriverebbe la creazione di una volontà diversa da quella da esso risultante (Cass. n. 5635/02; n. 7416/2000; n. 6214/99).La Corte di merito non ha, inoltre, tenuto conto della sia pure parziale diversità delle parti del contratto definitivo rispetto al preliminare sicché l'interpretazione della volontà contrattuale dell'atto pubblico di vendita poteva riferirsi solo alle medesime parti intervenute in tale atto, spettando, comunque, al notaio rogante tradurre, alla propria presenza, in termini giuridico-formali, la loro volontà, nella immediatezza della relativa manifestazione, rendendone edotti i dichiaranti prima della sottoscrizione dell'atto notarile, al fine di consentire loro di verificare la fedele riproduzione documentale della volontà contrattuale manifestata. Alla stregua delle ragioni esposte va accolto il ricorso avverso la sentenza non definitiva; rimane assorbito l'altro ricorso avverso la sentenza definitiva in quanto subordinato all'esito del primo e riproducente le medesime esaminate. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell'art. 384 c.p.c. la causa può essere decisa nel merito nel senso del rigetto dell'appello proposto da M.E. avverso la sentenza non definitiva n. 2037/1999 e quella definitiva n. 3739/2002, pronunciate dal Tribunale di Venezia, rispettivamente in data 26.8.1999 e 16.12.2002, con conseguente conferma delle sentenze stesse.
Ricorrono giusti motivi, considerata la complessità delle questioni trattate e la loro divergente soluzione nei due gradi del giudizio di merito,per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e del giudizio di appello.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso avverso la sentenza non definitiva;dichiara assorbito l'altro ricorso e, decidendo nel merito, rigetta l'appello e conferma le sentenze di primo grado;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e del giudizio di appello.
18-04-2013 22:35
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