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Sentenza

Contrabbando di animali protetti: il reato è prescritto, ma la confisca rimane.
Contrabbando di animali protetti: il reato è prescritto, ma la confisca rimane.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 febbraio - 6 giugno 2013, n. 24815
Presidente Teresi – Relatore Marini

Ritenuto in fatto

1. A seguito di indagine avviata nell'anno 1994 la polizia giudiziaria e, quindi, il Pubblico ministero ipotizzavano l'esistenza di un traffico di animali appartenenti a specie protette, la cui importazione e detenzione risultavano in violazione delle regole internazionali (in particolare Convenzione di Washington del 3 marzo 1973; direttive 3626/1982-CE e 3418/1983-CE; certificazioni "Cites"), della legge n.150 del 1992 e della disciplina in tema di contrabbando e di tributi. Veniva, altresì, ipotizzata l'esistenza di una associazione per delinquere finalizzata a commettere un numero consistente delle condotte illecite descritte.
L'indagine si concludeva con l'archiviazione in data 19/12/2002 dell'ipotesi ex art. 4 della legge n.150 del 1992, ipotesi contravvenzionale ormai estinta per intervenuta prescrizione, e con richiesta di giudizio per i reati previsti dagli artt. 416 cod. pen., 81, 110, 479, 482 e 483 cod. pen., 282, 292, 293, 295, lett. c) e d), del d.P.R. n43 del 1973, nonché artt.67, 69 e 70 del d.P.R. n.633 del 1972.
2. Con sentenza del 7/7/2004 il Giudice dell'udienza preliminare, concesse a tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche, ha dichiarato tutti i reati estinti per prescrizione e disposto la confisca degli animali in sequestro, vivi o morti, ai sensi degli artt. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 e dell'art. 4 della legge n.150 del 1992.
3. Avverso tale decisione i sigg. D.A. , S. , R. , B. , L. , M.S.G. e M.G. e M. , quali eredi di S.G. , hanno proposto appello censurando la decisione in tema di confisca. Le impugnazioni sono state dichiarate inammissibili dalla Corte di appello di Salerno con ordinanza che la Corte di Cassazione ha annullato con la sentenza n.5513 del 2009.
4. Celebrato il giudizio, la Corte di appello con la sentenza del 29/3/2011 ha:
- Dichiarato inammissibile l'appello proposto da M.S.G. , M.G. , M.M. ;
- Confermato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare nei confronti di D.A.A. , S.C. , B.P. e L.S. .
La corte territoriale ha rilevato come a partire dalla Convenzione di Washington (approvata nel marzo 1973, entrata in vigore in data 1 luglio 1975 e resa esecutiva in Italia con la legge n.874 del 1975)) sia stata assicurata una speciale protezione agli animali appartenenti a numerose specie rare o a rischio di estinzione. Specifica disciplina a tutela delle specie rare e in via di estinzione è stata introdotta a livello comunitario con le direttive 3626/1982-CE e 3418/1983-CE. Il traffico di animali appartenenti a tali specie ha trovato specifica regolamentazione e regime sanzionatorio con la legge 7 febbraio 1992, n.150, cui ha fatto seguito il d.l. 12 gennaio 1992, n.2, convertito in legge 13 marzo 1993, n.59.
La corte territoriale è, quindi, passata ad esaminare le censure mosse dai singoli appellanti alla sentenza del Giudice dell'udienza preliminare.
Ha rilevato, in primo luogo, che l'appello proposto da M.S.G. doveva dichiararsi inammissibile in quanto presentato nonostante lo stesso fosse deceduto prima della pronuncia della sentenza appellata; ha, rilevato, altresì, che l'appello proposto dagli eredi del medesimo doveva dichiarasi inammissibile in quanto persone che non erano parte del processo e che avrebbero dovuto far valere le loro pretese in sede esecutiva.
Quanto all'appello B. , ha considerato tardiva la censura di ordine processuale perché non è stata sollevata in corso di udienza preliminare.
Ha quindi respinto le censure degli imputati in ordine alla ricostruzione dei fatti e all'esistenza di elementi che escluderebbero le pretese di estraneità ai fatti ed escluderebbero la rilevanza penale dei medesimi. In particolare ha ritenuto sussistere elementi di prova della formazione di certificazioni e documentazione ideologicamente falsa finalizzata ad agevolare e commettere i reati ed elementi di prova dell'esistenza di una struttura associativa che quei reati supportava e coordinava.
Ha, infine, ritenuto di confermare le disposizioni in tema di confisca, valutando corretto sia il richiamo all'art. 301, comma 1, del d.P.R. n.43 del 1973 sia il richiamo alla legge n.150 del 1992 e alla necessaria applicazione del secondo comma dell'art.240 cod. pen.; si tratta di disposizioni che debbono essere applicate anche in ipotesi di estinzione del reato di contrabbando per intervenuta prescrizione e in ipotesi che per il reato ex art.4 della legge n.150 del 1992 non si pervenga a sentenza di condanna ma sia accertata l'assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative.
5. Con atto di ricorso proposto tramite il Difensore, avv. De Caro, il sig. B. lamenta:
a. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.b) cod.proc.pen. e violazione degli artt.178 e 180 cod. proc. pen. in relazione agli artt.415-bis e 419 cod. proc. pen. per essere stati omessi gli avvisi e le notifiche al difensore, avv. De Caro;
b. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. per omessa applicazione dell'art.129, comma 2, cod. proc. pen. difettando ogni elemento a supporto dell'esistenza di una struttura associativa e della partecipazione del ricorrente all'eventuale associazione; difettando prova delle condotte di contrabbando;
c. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. in quanto: difetta ogni prova dei fatti di contrabbando; la confisca non può essere estesa agli animali nati da quelli sequestrati.
6. Con atto di ricorso proposto tramite il Difensore, avv. Pastore, i sigg. L. e M. , in sintesi lamentano:
a. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.c) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. in relazione all'art.579, comma 3, cod. proc. pen. posto che i sigg. M. possono opporsi alla decisione in tema di confisca solo partecipando alla fase di merito;
b. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.c) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. in ordine alla mancata dichiarazione di inutilizzabilità ex art.407, comma 3, cod. proc. pen. degli atti di indagine compiuti successivamente al 25/3/1995; posto che L. e M. , S.G. furono iscritti a mod.21 solo in data 30/9/1994 e che la richiesta di proroga inoltrata dal Pubblico ministero al giudice in data 21/3/1995 non ottenne risposta da parte del Giudice delle indagini preliminari;
c. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.c) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. in ordine alla mancata dichiarazione di inutilizzabilità ex art.407, comma 3, cod. proc. pen. e 240-bis disp.att. cod. proc. pen. degli atti di indagine compiuti successivamente al 29/9/1995 per avere il Pubblico ministero inoltrato successiva istanza di proroga in data 10/11/1995; il Pubblico ministrero infatti, ha ritenuto di applicare ai termini di indagine il periodo di sospensione feriale, sospensione che non opera, ex art.240 cod. proc. pen., per i reati di criminalità organizzata;
d. Vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. e omesso proscioglimento degli imputati ex art.129 cod. proc. pen. in quanto, una volta esclusa l'utilizzabilità degli atti di indagine, difettano le prove che supportino l'ipotesi di accusa;
e. Vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. con riferimento al reato associativo contestato al capo a);
f. Vizio motivazionale ai sensi dell'art.606, lett.e) cod.proc.pen. con riferimento alle violazioni ex d.P.R. n.43/1973 e n.633/1972, difettando la prova della falsità documentale e della commissione dei fatti sotto la vigenza della legge n.150 del 1992 (tutti gli animali inclusi nelle imputazioni erano già elencati nella denuncia ex art.5, comma 1, della legge n.150 del 1992 presentata il 6/6/1992);
g. Errata applicazione di legge ai sensi dell'art.606, lett.b) cod.proc.pen. per essere carenti i presupposti ex art.579, comma 3, cod. proc. pen. i quanto per il reato ex art.4 della legge n.150 del 1992 è stata disposta archiviazione e per i reati di contrabbando non vi è prova a carico del sig. M. .

Considerato in diritto

1. La Corte ritiene opportuno prendere le mosse dalle censure di ordine processuale che sono state proposte.
1.A - Quanto alla eccezione della difesa B. circa la nullità del giudizio per omessa notificazione al difensore, avv. De Caro, dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, la Corte non può che concordare con la soluzione adottata dalla Corte di appello, che, richiamata la sentenza delle Sez.Un., n.22242 del 27/1/2011, Scibé, ha escluso che l'omessa proposizione della questione in sede di udienza preliminare da parte dell'altro difensore di fiducia, presente, consenta di prospettare la questione per la prima volta in sede di giudizio; la presenza di difesa tecnica esclude che sia integrato il vizio che integrerebbe una ipotesi di nullità assoluta e non sanabile e il mancato avviso a uno solo dei difensori costituisce ipotesi di nullità a regime intermedio sanata se non dedotta entro il termine dell'udienza preliminare.
1.B - Sulla inutilizzabilità degli atti di indagini a seguito del mancato rispetto dei termini fissati dall'art.407 cod. proc. pen., deve rilevarsi che manca l'evidenza dell'assenza di autorizzazione del Giudice delle indagini preliminari. Dalle decisioni e dagli atti, nonché dall'attestazione allegata al'impugnazione deve, infatti, concludersi che in data 18/3/1996 il Giudice delle indagini preliminari ha autorizzato la proroga delle indagini al 13/5/1996, termine successivo di sei mesi al mese di novembre 1995, con la conseguenza che non si comprende come possa dirsi certa l'assenza di valida proroga per il periodo semestrale anteriore a quello preso in esame dal giudice con la sua autorizzazione. Manca, poi, ogni indicazione in ricorso di quali sarebbero gli atti d'indagine nulli, non potendosi, tra l'altro, includere tra gli atti d'indagine rilevanti in relazione alla disciplina dell'art.407 cod. proc. pen. la relazione che la polizia giudiziaria consegna al pubblico ministero sulla base degli atti tipici che sono stati compiuti in epoca anteriore: per pacifica giurisprudenza, in quanto esplicativa e riassuntiva, è esclusa dal regime di inutilizzabilità.
2. Così accertato che i due profili di impugnazione sono manifestamente infondati e, in parte affetti, da genericità e devono pertanto essere dichiarati inammissibili, occorre procedere all'esame delle singole posizioni, con alcune brevi premesse:
2.A - L'impugnazione proposta nell'interesse dei sigg. M. deve essere dichiarata inammissibile. Il sig. M.S.G. risulta deceduto anteriormente alla pronuncia della prima sentenza, così che la Corte di appello ha correttamente dichiarato inammissibile l'atto di appello presentato in suo favore (pag.9), e i suoi eredi non risultano avere assunto la qualità di parti nel giudizio di primo grado, così che altrettanto correttamente i giudici di secondo grado hanno dichiarato inammissibile l'impugnazione dagli stessi proposta con riguardo al tema della confisca che, nella qualità di terzi, potranno eventualmente far valere in sede esecutiva. La decisione della Corte di appello appare ineccepibile e il giudizio di inammissibilità travolge anche le impugnazioni proposte mediante ricorso avanti questa Corte.
2.B - La dichiarata prescrizione di tutti i reati si fonda su una attenta valutazione anche nel merito delle condotte oggetto dei capi di imputazione, così che va escluso che la Corte di appello sia incorsa nel vizio di difetto di motivazione e abbia omesso di prendere in esame gli elementi che, secondo le impugnazioni, imporrebbero una conclusione di evidenza dell'innocenza dei ricorrenti.
2.C - In particolare, l'ampia motivazione di entrambe le sentenze di merito consente di affermare che sono presenti in atti molteplici elementi di fatto che conducono a ritenere provate sia le alterazioni della documentazione sia l'esistenza di condotte di importazione illecita di animali: condotte che, secondo i giudici di merito, chiariscono i rapporti esistenti fra i diversi protagonisti della vicenda processuale. Allo stesso modo la Corte di appello offre una chiara motivazione sulla circostanza che non tutti gli animali che si assumono posseduti irregolarmente dal sig. M. erano stati indicati nell'elenco formato al momento di entrata in vigore della legge e una altrettanto chiara motivazione sugli elementi che conducono a considerare l'imputato autore abituale degli illeciti commessi. Al pari di M. , altre persone secondo la Corte di appello (pag.12) operavano in modo abituale e imprenditoriale e risulta provato che anche i sigg. B. e L. intrattenevano stabili rapporti con persone inserite a livello imprenditoriale nel mondo del commercio illecito di animali.
3. Quanto esposto in precedenza rende evidente che la Corte di appello ha fatto buon uso dell'art. 129 cod. proc. pen. e concluso per la prescrizione dei reati non presentandosi un quadro probatorio che imponesse una soluzione più favorevole agli imputati.
4. Venendo al tema della confisca, la Corte rileva come la previsione contenuta nell'art. 4 della legge 7 febbraio 1992, n.150 sia già stata considerata dalla giurisprudenza come confisca avente "natura speciale" che deve essere applicata "indipendentemente da una sentenza di condanna" (Sez.3, n. 18805 del 27/4/2006, Barbero). Si legge nella motivazione, che questo Collegio condivide:
"La tesi della non obbligatorietà della confisca di cui alla L. n. 150 del 1992, art. 4, ancorché sostenuta dalla decisione di questa Corte citata dal ricorrente (la n. 2154 del 1997 Zattini) e da altra dello stesso periodo (la n. 4252 del 1997) entrambe però contrastate da una più recente decisione (la n. 49454 del 2003, Schino Kee Kan nella quale sì è ritenuto, sia pure in maniera generica, applicabile l'articolo 240 c.p., per la mancanza di autorizzazione), non va condivisa perché quella contenuta nella L. n. 150 del 1992, art. 4 costituisce una misura di sicurezza speciale che deroga alla disciplina generale di cui all'articolo 240 c.p., come correttamente sostenuto dalla Corte distrettuale, e configura un'ipotesi di confisca obbligatoria. A siffatta conclusione si perviene sia in base ad un'interpretazione letterale della norma, sia soprattutto in base alla sua ratio ed alle sue origini. In proposito occorre anzitutto premettere che, contrariamente all'assunto del ricorrente, nella fattispecie si è accertato che l'importazione e la detenzione si sono verificate dopo il 1 gennaio del 1980. Invero la Corte d'appello ha sì dichiarato estinto il reato per prescrizione, ma dopo avere respinto l'impugnazione dell'imputato diretta ad ottenere l'assoluzione e dopo avere appunto accertato che gli animali erano stati importati e detenuti in violazione dei divieti prescritti dalla L. n. 150 del 1992, artt. 1 e 2. La sentenza della Corte territoriale non è stata impugnata per la mancata pronuncia assolutoria, ma solo con riferimento all'applicazione della confisca. Quindi l'accertamento della Corte territoriale in ordine all'illiceità dell'importazione e della detenzione si può ritenere definitivo.
"Ciò premesso, si rileva che la norma nel testo vigente all'epoca del fatto così recitava: "In caso di violazione dei divieti di cui alla L. n. 150 del 1992, artt. 1 e 2 è disposta....." Appare quindi chiaro che la confisca era subordinata, non ad una pronuncia di condanna, ma al semplice accertamento di uno dei divieti di cui alla citata L. n. 150 del 1992, artt. 1 e 2, tra i quali erano compresi quelli dell'importazione e detenzione senza la prescritta certificazione, a prescindere dall'eventuale imputabilità o colpevolezza del detentore, trasportatore o importatore. Nella fattispecie si è accertata, come già detto, la violazione degli anzidetti divieti. Nel secondo comma la norma precisava: "a seguito della confisca di esemplari vivi....." Orbene, se si fosse trattato di una confisca facoltativa il legislatore non si sarebbe espresso nei termini innanzi indicati, ma avrebbe detto" in caso di confisca...." L'espressione usata lascia invece chiaramente intendere l'obbligatorietà della confisca. La riprova è costituita dal fatto che dopo la pronuncia delle prime decisioni in merito alla natura della confisca in questione, il legislatore con il D.L. n. 275 del 2001, al comma 1, della norma in questione, per fugare ogni dubbio sull'obbligatorietà della confisca, ha aggiunto l'avverbio "sempre". Tale modificazione non ha natura innovativa ma confermativa e tale natura interpretativa si desume dal fatto che la legge in questione, come risulta dalla sua intestazione, era stata adottata in esecuzione di un regolamento comunitario e di una convenzione internazionale nella quale la confisca era prevista come obbligatoria. Si allude alla Convenzione sul commercio internazionale di specie della fauna e della flora selvatiche detta CITES, firmata da molti Stati, compresa l'Italia, a Washington il 3 marzo del 1973 ed entrata in vigore sul piano internazionale il 1 luglio del 1975. Tale Convenzione è stata resa esecutiva in Italia con la legge del 19 dicembre del 1975 n 874, con cui si è data piena ed intera esecuzione alla citata convenzione a decorrere dalla sua data di entrata in vigore in Italia (dal 31 dicembre 1979 cioè 90 giorni dopo la data della ratifica della CITES da parte dell'Italia, avvenuta il 2 ottobre del 1979, come previsto dall'art. 22, par 2, della Convenzione stessa).
"La CITES è un trattato che persegue l'obiettivo di tutelare le specie minacciate in modo indiretto, e cioè attraverso misure che limitano o vietano il loro commercio internazionale. Essa fa obbligo alle parti d'infliggere sanzioni penali ai responsabili di violazione delle sue norme e di confiscare gli esemplari vivi o morti oggetto di commercio illecito o di restituirli allo Stato di provenienza. La Convenzione in questione sul punto si esprime nei seguenti termini: "The Parties shall take appropriate measures to enforce the provisions of the present Convention and to prohibit trade in specimens in violation thereof, These shall include measures: a) to penalize trade in, or possession of, such specimens, or both;
And:
b) to provide far the confiscation or return to the State of export of such specimens" (art. 8, paragrafo 1).
"I due obblighi anzidetti - determinazione della sanzione penale nei confronti dei responsabili e confisca - sono tra loro indipendenti. Quindi l'impossibilità, per qualsiasi ragione, di adempiere uno dei due non esclude l'applicabilità dell'altro. Dal tenore letterale della norma emerge che l'adozione della confisca o restituzione allo Stato di provenienza è obbligatoria, non essendo lasciata allo Stato parte alcuna valutazione discrezionale circa l'opportunità di adottare la misura stessa mentre rimane discrezionale la sola determinazione della pena per i trasgressori. La L. n. 874 del 1975 che ha dato esecuzione alla Convenzione conteneva la consueta formula in base alla quale era fatto obbligo a chiunque spetti di farla osservare.
"Di conseguenza, ancora prima della L. n. 150 del 1992, la citata Convenzione era applicabile in Italia, con l'ulteriore conseguenza che in caso di trasgressione poteva essere disposta la confisca degli esemplari anche se nei confronti del trasgressore, in Italia, per il principio di cui all'art. 25 Cost., non poteva essere irrogata alcuna sanzione penale, posto che il nostro Paese solo dopo oltre 13 anni, dando esecuzione ad uno degli impegni assunti con la citata Convenzione, ha determinato la sanzione penale. La confisca poteva invece essere disposta a prescindere dalla condanna del responsabile giacché essa era prevista nella L. n. 875 del 1975 che dava esecuzione alla Convenzione e, d'altra parte, per la normativa statale la confisca, nei casi previsti dalla legge, può essere disposta anche a prescindere dalla condanna del trasgressore (art. 205, prima parte, richiamato dall'articolo 236). Quindi, per gli impegni assunti dal nostro Paese in sede internazionale, all'avverbio "sempre" inserito nel testo della norma non può essere attribuito un significato diverso da quello diretto a chiarire che si trattava ab origine di confisca obbligatoria.
"Il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (la n. 5 del 1993 Effettuato dal difensore nel corso della discussione davanti a questo collegio per escludere la natura interpretativa dell'avverbio "sempre" inserito nel testo del D.Lgs. n. 275 del 2001, art. 4, non è pertinente in quanto l'interpretazione delle Sezioni unite si riferiva ad una fattispecie diversa (art. 722 c.p.) e ad un oggetto diverso ossia al denaro che costituisce un bene fungibile per eccellenza. Con l'anzidetta decisione le Sezioni unite hanno chiarito che l'avverbio "sempre" contenuto nell'articolo 722 c.p., significava che il denaro deve sempre essere confiscato a condizione che sia pronunciata condanna per gioco d'azzardo. Anzi in quella stessa decisione le Sezioni unite hanno ribadito il principio che l'estinzione del reato non è astrattamente incompatibile con la confisca e che per stabilire se essa debba o no avere luogo si deve fare riferimento o al disposto di cui all'articolo 240 c.p., o alle varie disposizioni speciali che prevedono casi di confisca. In base alle considerazioni sopra svolte si può affermare il principio in forza del quale la confisca prevista dalla L. n. 150 del 1992, l'articolo 4, e successive modificazioni ha natura speciale e si applica a prescindere dalla condanna del responsabile a condizione che venga comunque accertata la violazione di qualcuno dei divieti imposti dalla citata legge, artt. 1 e 2. L'avverbio "sempre" inserito nel testo della norma con il D.Lgs. 18 maggio del 2001, n. 275, art. 4, ha natura interpretativa, giacché la confisca degli animali -vivi o morti - appartenenti alle specie protette era già prevista come obbligatoria dalla Convezione sul commercio internazionale di specie della fauna e della flora selvatiche (cosiddetta CITES) firmata, anche dall'Italia, a Washington il 3 marzo del 1973 e resa esecutiva nel nostro Paese con la L 19 dicembre 1975, n. 874. Ad abundantiam va rilevato che nella fattispecie la confisca sarebbe stata legittima anche a norma dell'articolo 240 c.p.. Invero, secondo l'opinione dominante in dottrina, la confisca deve essere obbligatoriamente disposta non solo quando trattasi di cose la cui fabbricazione, detenzione ecc. sia vietata in modo assoluto, ma anche per quelle cose vietate in modo relativo nel senso che l'uso, la detenzione, il porto costituisce reato solo a determinate condizioni, la cui mancanza integra l'illecito penale, a condizione che si accerti in concreto, la mancanza dell'autorizzazione o della condizione che legittima l'impiego della cosa. In termini sostanzialmente analoghi si è pronunciata questa Sorte a Sezioni unite con la decisione del 26 aprile 1983 n. 3802 Mannelli. Con tale decisione si è invero statuito che la norma di cui all'art. 240 c.p., comma 2, n. 2, è da intendere nel senso che, ai fini della confisca delle cose, occorre aver riguardo al fatto illecito, così com'è stato accertato dagli organi di polizia giudiziaria e dal magistrato e, quindi, alle condizioni e alle caratteristiche del prodotto all'epoca di tali accertamenti, senza potersi tener conto di una diversa utilizzazione delle cose prevista in via ipotetica, eventualmente attraverso particolari trattamenti o speciali autorizzazioni - (nella specie, sulla base dell'enunciato principio, si è giudicata legittima la confisca di vino non denaturato nonostante la pronuncia d'improcedibilità per estinzione del reato, ribadendosi l'irrilevanza della circostanza relativa alla utilizzazione del prodotto per altri usi, quali la certificazione o la distillazione). In termini analoghi, tra le altre, si è pronunciata Cass Sez. 5, 8 febbraio 1993 n 2015 Nicastri. Si è invero affermato: "Ai fini della confisca obbligatoria secondo il dettato dell'art. 240 c.p., cpv. n. 2, non è dato distinguere tra le cose intrinsecamente criminose e quelle che non sono tali. Né rilevano le possibili diverse utilizzazioni che dalle cose si possono trarre mediante particolari trattamenti o speciali autorizzazioni, dal momento che occorre avere riguardo al fatto illecito cosi come accertato dagli organi di polizia giudiziaria e dal magistrato e quindi alle condizioni e alle caratteristiche del prodotto all'epoca di tali accertamenti". (Fattispecie in tema di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi e frode in commercio, relativa a confezioni di shampoo recanti etichette contraffatte. La Suprema Corte ha disatteso le argomentazioni del ricorrente, che ne aveva richiesto la restituzione adducendo la facoltatività della confisca, sia perché le cose non erano intrinsecamente criminose, sia perché suscettibili di sostituzione o di regolarizzazione da parte della ditta produttrice).
11. Da ultimo, con riferimento all'applicabilità della confisca di cui all'articolo 240 c.p., cpv., agli esemplari di specie protette allorché manchi l'autorizzazione, cfr. cass. 494S4 del 2003 già citata.
"In definitiva in base all'art. 240 c.p., u.c., le cose relativamente criminose ossia quelle che possono essere detenute previa autorizzazione, una volta accertata l'obiettiva illiceità del fatto, vanno restituite solo se appartengono a persona estranea al reato e se al momento della decisione il soggetto al quale dovrebbero essere restituite sia in possesso di regolare autorizzazione. Per la restituzione devono concorrere entrambe le anzidette condizioni (Cass. 413 del 1997)".
Del resto, molto più sinteticamente Sez.3, n.49454 del 8/10/2003, Shing Kee Chan, aveva rilevato che la restituzione degli animali protetti sequestrati non era possibile in quanto la loro detenzione è giustificata solo in presenza di apposita autorizzazione e, in assenza di questa, la situazione di illiceità permane e non consente la restituzione al privato.
5. I principi ora ricordati si applicano anche agli animali nati in cattività dagli esemplari soggetti a sequestro, così come affermato da Sez.3, n.8423 del 21/1/2005, Tomasini, atteso che "si considera di specie selvatica sia l'animale di origine selvatica che quello proveniente da nascita in cattività, intesa quale riproduzione di esemplari di prima generazione nello stesso ambiente controllato".
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso del sig. B. deve essere dichiarato inammissibile, essendo palesemente infondate tutte le censure proposte. Il ricorso proposto dal sig. L. deve essere rigettato in quanto, inammissibili i motivi secondo, terzo e quarto, risultano infondati i motivi quinto e sesto che attengono alla insussistenza dei presupposti per l'assoluzione dalle contestazioni.
7. Visto l'art.616 cod. proc. pen., condanna tutti gli imputati singolarmente al pagamento delle spese processuali nonché B. , M.M. e G. ciascuno al pagamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle ammende, nonché, in applicazione del principio di soccombenza, tutti i predetti in solido al pagamento delle spese sostenute nel grado in favore della parte civile che si liquidano in complessivi 2.500,00 Euro oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di L.S. . Dichiara inammissibili i ricorsi di B.P. , M.M. e G. . Condanna tutti gli imputati singolarmente al pagamento delle spese processuali nonché B. , M.M. e G. ciascuno al pagamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle ammende, nonché tutti al pagamento delle spese sostenute nel grado in favore della parte civile liquidate in 2.500,00 Euro oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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