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Sentenza

Chi viola il dovere di dare precedenza non può invocare il principio dell'affidamento. E' omicidio colposo.
Chi viola il dovere di dare precedenza non può invocare il principio dell'affidamento. E' omicidio colposo.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 marzo - 30 maggio 2013, n. 23343
Presidente Brusco – Relatore D'Isa

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 12.01.2006 il Tribunale di Caltanissetta assolveva G.O. dalla imputazione di all'art. 589, commi 1 e 2 cod. pen. con violazione delle norme sulla disciplina stradale.
All'imputato era stato contestato che, per colpa, consistita in imprudenza e nella inosservanza dell'art. 145, comma VI del C.d.S., omettendo di dare precedenza, nell'immettersi su strada principale a bordo del proprio furgone Fiorino, aveva cagionato la morte di V.V. , che, proveniente dalla sinistra della strada principale, alla guida di una motocicletta Yamaha, collideva con il predetto furgone che in quel momento ostruiva la carreggiata, venendo scalzato dalla moto e riportando ferite mortali. Nel capo d'imputazione si evidenziava la condotta altrettanto colposa della vittima avendo contribuito al verificarsi dell'evento per non aver tenuto, in detto tratto di strada a visibilità limitata, in violazione dell'art. 141 comma 3^ del C.d.S.,una velocità adeguata.
Il Tribunale motivava la sentenza assolutoria osservando che alcun profilo di colpa era ravvisabile nella condotta di guida dell'imputato, giacché costui si era immesso sulla strada principale, denominata via di (OMISSIS) , alla ridottissima andatura di 10 Km/h ponendo in essere tale manovra nella corretta percezione che dalla via principale non provenisse alcun veicolo, anche perché aveva percepito il sopraggiungere della motocicletta di grossa cilindrata solo dopo aver occupato la sede stradale di soli tre metri, dopo di che la motocicletta era entrata nel suo campo visivo. Per converso rimaneva accertato che il V. non era un guidatore esperto, che procedeva a velocità non adeguata alle caratteristiche della strada caratterizzata da andamento destrorso e con scarsa visibilità. In tal senso è stata ritenuta la deposizione del teste C. che, a bordo di altro motociclo, procedeva affiancato al V. ed alla destra dello stesso ed aveva evitato il furgone accostando a destra.
Le costituite parti civili ricorrevano per cassazione avverso tale sentenza; la Suprema Corte convettiva il ricorso in appello.
La Corte del merito di Caltanissetta, con la sentenza in epigrafe indicata, facendo proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, riteneva infondati i motivi di appello e confermava l'impugnata sentenza.
Ricorrono in Cassazione le parti civili S.M.C. e V.A. .
La prima ricorrente, con due separati atti a firma di diversi difensori, denuncia con un primo motivo (ricorso a firma dell'avv. Eugenia M. Muzzillo) che la ricostruzione del sinistro stradale, ritenuta dai giudici del merito, è stata eseguita dal CTU ma essa non risulta aderente alla realtà dei fatti che emerge analizzando il campo del sinistro nonché le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, ed è frutto di un'interpretazione soggettiva degli elementi raccolti dalla Polizia Municipale intervenuta sul luogo. Il CTU pone particolare attenzione, onde determinare la velocità mantenuta dalla motocicletta, la presenza di tracce di frenata della lunghezza di mt. 11, ma né i Vigili Urbani né i CTP intervenuti sui luoghi hanno mai riscontrato segni di frenata lasciate dalle ruote della moto.
In dibattimento il CTU ha precisato che la documentazione fotografica esaminata, a causa della scadente qualità dovuta alla bassa risoluzione, non può fornire certezze sul fatto che le tracce da lui individuate siano tracce gommose di frenata. Quindi, risulta del tutto arbitraria la scelta operata dal CTU di prendere in considerazione una traccia di frenata dubbia. L'unico dato chiaramente leggibile della documentazione fotografica è costituito dalle brevi tracce di scalfittura contrassegnate dagli agenti con il numero 1 e sono indicative di una traiettoria obliqua del motociclo; ne consegue che qualche istante prima di rovinare a terra il motociclo procedeva regolarmente sulla propria corsia di pertinenza ed in prossimità del margine destro della strada. Per altro, si rileva la illogicità della motivazione laddove la stessa Corte afferma che non è dato sapere se la vittima abbia azionato il sistema frenante e comunque, sia nell'ipotesi che avesse frenato Xche nel caso non avesse effettuato la detta manovra di emergenza, l'evento dannoso è in ogni caso riconducibile alla sua condotta colposa. La Corte anche se sembra non voler attribuire una fondamentale importanza al dato tecnico della presenza della frenata di 11 metri, individuata dal CTU, in realtà opera una contraddittoria acquiescenza alle conclusione del primo CTU, frutto di quella erronea ricostruzione del sinistro sulla base del medesimo dato tecnico della traccia di frenata. Altrettanto frutto di un'erronea interpretazione dei dati processuali è l'affermazione della Corte che la considerevole velocità tenuta dalla moto si evince dal suo scarrocciamento, dopo l'urto, per 26 metri, non considerando che il lungo scarrocciamento è stato determinato dalla carenatura della moto molto liscia e, quindi, la moto adagiatasi sul fianco è facilmente scivolata sull'asfalto per un lungo tratto. Altrettanto illogica è l'affermazione della Corte distrettuale secondo cui se il V. avesse proceduto non a fianco del C. ma dietro di lui sarebbe riuscito ad evitare il furgone. Si evidenzia che non si può rilevare su quali dati la Corte esprime un tale giudizio posto che nessun elemento di prova si rinviene a suffragio di tale affermazione che appare del tutto arbitraria.
Appare poi, per il ricorrente, del tutto illogica l'ulteriore considerazione che non è contestabile al G. la violazione dell'art. 145 C.d.S. in quanto non gli si poteva richiedere una condotta diversa da quella posta in essere. Si obietta che l'imputato proveniva da un luogo non soggetto a pubblico passaggio ed era tenuto a dare precedenza a tutti i veicoli circolanti sulla strada principale.
Con un secondo motivo si rileva che i giudici del merito hanno del tutto pretermesso la verifica relativa alla sussistenza di cause concorrenti alla produzione del sinistro.
Con l'atto a firma dell'avv. Antonio Impellizzeri si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione rilevandosi, innanzitutto, che mai il teste C. ha affermato che il V. era inesperto nella guida della moto. Anzi il C. ha affermato che l'incidente si era verificato per la manovra sconsiderata del G. che tagliava letteralmente la strada, ed ha altresì affermato che egli era riuscito ad evitare l'urto sol perché aveva trovato un varco tra il Fiorino, e aveva già occupato la carreggiata, ed il margine destro della stessa, infilandosi sul vialetto da dove proveniva il furgone, andando comunque a cozzare contro un muretto in cemento armato. Lo stesso teste ha affermato, quanto alla velocità, che sia lui che il V. procedevano a non più di 60 Km/h. Dunque si censura l'impugnata sentenza per non aver considerato un dato fondamentale; la violazione da parte dell'imputato del diritto di precedenza del motociclista. Il dato della velocità elevata del motociclista è frutto di un'erronea valutazione dei dati fattuali da parte del CTU ed il giudice non ha tenuto conto della valutazione operata dal CT di parte civile che ha determinato la velocità in 58 Km/h.
Il motivi posti a base del ricorso della V.A. ricalcano quelli esposti dalla prima ricorrente.

Ritenuto in diritto

I motivi esposti sono fondati sicché il ricorso va accolto ovviamente ai soli fini civili.
La sentenza impugnata è affetta da vizio motivazionale per la errata e non approfondita valutazione di elementi di fatto, chiaramente emersi dall'istruttoria dibattimentale, o ritenuti per certi ma che tali non sono.
Il dato della velocità mantenuta prima del sinistro dal motociclista è stato ritenuto determinante nel convincimento di non colpevolezza dell'imputato espresso dal Tribunale e confermato dalla Corte distrettuale.
In effetti, i giudici del merito, hanno sostanzialmente affermato che nessun altra condotta di guida si poteva esigere dal G. che, alla guida di un autocarro, si era immesso, da una via secondaria, su una strada principale, ad una velocità minima di 10 km/h, allorché sopraggiungeva, ad andatura non moderata ed in ogni caso non adeguata alle caratteristiche della strada, la motocicletta guidata dal V. . Costui, nel tentare una manovra di emergenza, tesa ad evitare il veicolo che si trovava già sulla carreggiata, perdeva il controllo del suo motoveicolo, veniva sbalzato dalla sella e con il capo andava ad urtare la ruota anteriore sinistra dell'autocarro Fiorino.
Orbene, prima ancora di considerare la evidenziata condotta colposa del guidatore della motocicletta, ritenuta dai giudici fattore causale determinante nella produzione dell'evento, tale da escludere il nesso eziologico tra il comportamento di guida del G. , come originariamente contestato, e lo stesso evento, ritiene il Collegio che la Corte distrettuale, alla luce delle norme del codice della strada e delle comuni norme di prudenza e diligenza, cui si debbono conformare gli utenti della strada, nella specie i guidatori di autoveicoli, abbia erroneamente ritenuto corretta e prudenziale la condotta di guida del G. . Il dato di fatto considerato in sentenza è che questi si era immesso su di una strada principale da una via secondaria, per altro non aperta al pubblico transito di veicoli, "gradualmente ad una velocità stimata in circa 10 Km/h ed, allorché sopraggiunse la Yamaha, era fermo sulla semicarreggiata percorsa dal V. proprio per ispezionare che dalla sua sinistra non provenissero altri veicoli".
Innanzitutto, è nozione anche di comune esperienza che chi si immette da una via secondaria, ancorché in assenza di segnale di STOP, su di una principale è tenuto a fermarsi sul ciglio e non procedere verso la sede stradale, ancorché a bassa velocità; tale obbligo è previsto specificamente dall'art. 145, comma n. 6 del C.d.S. (Negli sbocchi su strada da luoghi non soggetti a pubblico passaggio i conducenti hanno l'obbligo di arrestarsi e dare preceda a chi circola sulla strada).
Solo fermandosi e guardando prima a sinistra, avendo per altro un angolo di visuale a sinistra di 48 metri (come affermato dal CTU), il G. poteva rendersi conto dell'arrivo o meno di altri veicoli.
Dunque, da parte dei giudici non è stata tenuto in conto tale norma comportamentale di guida, e, con riferimento all'occupazione della semicarreggiata hanno fatto riferimento al c.d. diritto di precedenza acquisito o "precedenza di fatto".
Assodato, dunque, che il G. aveva l'obbligo di dare la precedenza al veicolo antagonista, si rammenta che le norme che disciplinano la precedenza sono ispirate ad una inderogabile esigenza di sicurezza della circolazione stradale, sicché, anche nel caso in cui sussistano situazioni ambientali che ostacolino l'avvistamento dei veicoli convergenti all'incrocio, il conducente di quello che versi in una tale situazione, vieppiù se gravato dall'obbligo di dare la precedenza, deve innanzitutto fermarsi, e procedere, poi, nel caso in cui non riesca ad avere la completa visibilità alla sua sinistra, con la massima dovuta cautela, anche avanzando a piccoli tratti o adottando altri espedienti idonei a scongiurare intralci e pericoli al conducente di altro veicolo avente il diritto di precedenza (Cass., Sez. IV, 28 febbraio 1989, n. 6556). È di tutta evidenza che il guidatore del furgone, alla distanza di 48 metri, doveva essere avveduto nel controllare il sopraggiungere dell'altro veicolo, che se di tanto, poi, non si sia reso conto imputet evidentemente sibi, a sua conclamata negligenza. Ed in tale contesto, non è dato certo evocare alcun apprezzamento di una deducibile precedenza di fatto: la precedenza cronologica (o di fatto) può, infatti, ritenersi legittima ed idonea ad escludere quella di diritto solo quando il conducente sfavorito sia in grado di effettuare l'attraversamento della sede stradale con assoluta sicurezza, senza porre in essere alcuna situazione di rischio e di pericolo per la circolazione stradale (Cass., Sez. IV, 16 ottobre 1990, n. 16405; id., 23 novembre 1993, n. 1528; id., 30 settembre 1988, n. 10589; id., 17 dicembre 1987, n. 5331).
Né infine, ad escludere il nesso causale con l'evento prodottosi - nella specie ritenuto dai giudici del merito - può valere la considerazione della affidabilità circa il comportamento del conducente antagonista, nel senso che questi possa essere in grado di parare le conseguenze dell'altrui illecita condotta: in tema di rapporto di causalità, invero, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte, confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo; in tal caso, difatti, l'omessa attivazione dell'altro o la mancata attuazione di idonei comportamenti di quest'ultimo non si configurano affatto come fatto eccezionale ed imprevedibile, sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento.
Quanto alla assunta condotta altamente colposa della persona offesa (che in questa sede non si intende assolutamente porre in discussione, ancorché tutte le valutazioni sulla effettiva velocità tenuta dal V. - per altro non determinata in sentenza - richiedono un'ulteriore verifica alla luce delle osservazioni, puntuali, della parte civile e non considerate dalla Corte del merito), ritiene il Collegio che l'apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante non possa ritenersi plausibile e coerente, in quanto, quella condotta, alla luce di quanto ora argomentato circa il comportamento del guidatore dell'autocarro che presenta profili di colpa, specifici e generici (come per altro contestati), non può essere ritenuta fattore essenziale nella produzione dell'evento, ma tutt'al più causa concorrente che non esclude, però, il nesso eziologico tra la condotta di guida del G. e la morte del V. .
La sentenza va pertanto annullata per una nuova valutazione con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
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Avv. Antonino Sugamele

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