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Sentenza

Carica sul camion una palma che urta un elettrodotto: muore folgorato.
Carica sul camion una palma che urta un elettrodotto: muore folgorato.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 gennaio – 24 giugno 2013, n. 27591
Presidente Romis – Relatore Foti

Ritenuto in fatto

-1- Con sentenza del 22 gennaio 2010, il Tribunale di Vibo Valentia ha dichiarato S.B. colpevole del delitto di omicidio colposo in pregiudizio di F.R. , oltre che dei reati di cui
agli artt. 95 del d.p.r. n. 380/2001 e 77 del d.p.r. n. 164/1956; lo stesso giudice ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il reato di cui all'art. 44 del dpr n. 380/2001, essendo lo stesso estinto per prescrizione.
All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione tra i reati, alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di un anno di reclusione nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle costituite parti civili, alle quali è stata assegnata una provvisionale complessiva di 700.000,00 Euro.
Era accaduto che la vittima, agente di PS, accompagnato da alcuni colleghi, si era recato, con due camion dell'amministrazione, presso il vivaio dell'imputato per prelevare delle piante, specificamente delle palme, da utilizzare per l'addobbo delle sale ove si sarebbe svolta la festa annuale della Polizia. Caricate le piante, i due automezzi si stavano allontanando allorché le fronde di una di esse erano andate ad urtare i cavi dell'elettrodotto FS della linea (OMISSIS) , interna alla proprietà dell'azienda. L'urto aveva provocato una fiammata che aveva subito indotto gli occupanti dell'autocarro a scendere immediatamente; altrettanto si stava apprestando a fare il F. , che si trovava alla guida del veicolo; nello scendere, tuttavia, egli aveva toccato l'automezzo attraversato dalla scarica elettrica ed era rimasto folgorato.
Accertato pacificamente che il decesso del F. era stato provocato dal contatto delle piante con la linea elettrica aerea e dalla scarica elettrica che ne era conseguita, il tribunale ha ritenuto che la responsabilità dell'accaduto dovesse essere attribuita all'imputato.
Dall'istruttoria dibattimentale, ha sostenuto il primo giudice, era emerso che il S. aveva modificato l'originario stato dei luoghi, avendo, tra l'altro, realizzato, sul tracciato di un sentiero agricolo interrato, una strada asfaltata, sulla quale transitavano anche mezzi pesanti, senza tener conto che, a causa dei lavori, la distanza, in altezza, dal conduttore elettrico era pari solo a 6,05 metri, secondo quanto accertato dai consulenti escussi in dibattimento. Distanza che non rispettava quanto previsto dall'art. 2.1.6 del DM n. 449/88, che dispone che i conduttori devono trovarsi ad una distanza non inferiore a metri 7+0,015 dal piano di autostrade, strade statali e provinciali e loro tratti interni agli abitati.
Al mancato rispetto di detta norma è stata quindi ricondotta la responsabilità dell'imputato per il mortale incidente di cui era rimasto vittima il F. .
Il giudicante ha quindi respinto la tesi difensiva secondo la quale, non potendosi qualificare autostrada, né strada statale o provinciale, la strada ove si è verificato l'incidente, la norma applicabile alla fattispecie in esame sarebbe, non quella indicata in sentenza, bensì l'art. 2.1.5 del richiamato DM, che prevede una distanza, pienamente rispettata dall'imputato, non inferiore a sei metri
- 2 - Su appello proposto dal S. , la Corte d'Appello di Catanzaro, con sentenza del 4 aprile 2012, ha confermato, quanto al delitto di omicidio, la responsabilità dell'imputato, ha dichiarato estinti per prescrizione i restanti reati ed ha rideterminato in mesi sei di reclusione la pena inflitta dal primo giudice.
Il giudice del gravame ha, anzitutto, ribadito che la norma applicabile alla fattispecie è quella indicata dal tribunale, cioè l'art. 2.1.6 del DM n. 449/88 e che, in conseguenza, non avendo l'imputato rispettato, nelle opere di trasformazione dallo stesso eseguite - tra le quali doveva annoverarsi la realizzazione, sulla stradella agricola preesistente, di una strada asfaltata - la prevista distanza di metri 7+0,015 dall'elettrodotto, doveva necessariamente allo stesso attribuirsi la responsabilità dell'incidente in questione.
- 3 - Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato che, con motivi separatamente articolati dai suoi difensori, avv. Luigi Gullo e avv. Giuseppe Fonte, deduce, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove la corte territoriale ne ha confermato la responsabilità.
Ribadisce il ricorrente che la norma di riferimento, applicabile alla fattispecie in esame, sarebbe stata erroneamente individuata dalla stessa corte nell'art. 2.1.6 del DM n. 449/88, che prevede una distanza dalla linea aerea di 7+0.015 metri, invece che nell'art. 2.1.5, che impone una distanza di 6 metri, nel caso di specie rispettati. L'interpretazione delle due norme, da parte dei giudici del merito, sarebbe del tutto errata, posto che dalla stessa formulazione letterale dell'art. 2.1.06, appare del tutto evidente che la stessa riguarda le autostrade e le strade statali e provinciali (e i loro tratti interni agli abitati), tra le quali certamente non rientra quella sulla quale si è verificato l'incidente, che è solo una strada comunale.
L'affermazione di responsabilità dell'imputato sarebbe, quindi, il frutto di un'errata interpretazione delle predette norme.
Una condotta anomala, viceversa, si sostiene, infine, dal ricorrente, dovrebbe attribuirsi proprio alla persona offesa, che ha caricato le piante sul camion in maniera irregolare, cioè senza rispettare i limiti di altezza previsti dall'art. 61 del codice della strada. Condotta che si sarebbe posta in rapporto di causalità esclusiva rispetto all'evento determinatosi.

Considerato in diritto

Le censure proposte sono infondate.
Corretta sembra, anzitutto, alla Corte l'interpretazione, da parte dei giudici del merito, delle norme di riferimento sopra richiamate, di guisa che deve ribadirsi che la norma applicabile al caso in esame è quella indicata dal tribunale, cioè l'art. 2.1.6 del DM n. 449/88, e che, in conseguenza, non avendo l'imputato rispettato, nelle opere di trasformazione dallo stesso eseguite, la prevista distanza di metri 7+0,015 tra il nuovo piano stradale e l'elettrodotto, deve necessariamente allo stesi attribuirsi la responsabilità dell'incidente in questione.
In realtà, è stato pacificamente accertato che l'imputato aveva, qualche anno prima dell'incidente, realizzato, all'interno dell'azienda, opere che, a prescindere dall'abusività delle stesse, avevano di fatto comportato la modifica della destinazione d'uso dell'originaria strada agricola, posto che il precedente tracciato era stato radicalmente modificato, tanto da consentire il transito, non più solo pedonale e animale o dei normali mezzi agricoli, ma anche di veicoli pesanti, capaci di trasportare carichi rilevanti, anche elevati in altezza.
La radicale trasformazione della strada e l'apertura della stessa al transito, peraltro frequente date le dimensioni dell'azienda vivaistica, di automezzi pesanti, cioè la radicale modifica della tipologia di traffico di detta strada dopo i lavori di modifica eseguiti dall'imputato - che hanno, tra l'altro, comportato un innalzamento del tracciato, asfaltato - hanno fatto perdere alla stessa strada l'originario carattere agricolo per farle assumere una ben diversa dimensione che l'ha sostanzialmente assimilata ai tracciati stradali indicati dall'art. 2.1.6 del DM n. 449/88. Giustamente, quindi, ne è stata ritenuta la riconducibilità nell'ambito della previsione normativa indicata ed è stata esclusa l'applicabilità dell'art. 2.1.5 dello stesso DM, che riguarda le altezze degli elettrodotti dal terreno e da acque non navigabili, cioè situazioni per nulla assimilabili a quella creatasi a seguito dei lavori eseguiti dall'imputato.
D'altra parte, ha opportunamente rilevato lo stesso giudice del merito, il S. era perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi ed era ben consapevole dell'irregolare situazione venutasi a creare a seguito dei lavori eseguiti (a tale proposito, è stato anche osservato nella sentenza impugnata che l'Ente Ferrovie aveva, fin dal 2004, inutilmente invitato il S. a regolarizzare lo stato dei luoghi dallo stesso modificato), della presenza dell'elettrodotto, del passaggio, sotto lo stesso, della strada in questione, della mutata distanza, in altezza, tra il nuovo tracciato stradale e la linea elettrica sovrastante, del transito di mezzi pesanti, talvolta con carichi rilevanti, anche elevati in altezza. All'imputato, quindi, spettava, in considerazione della posizione di garanzia ricoperta quale proprietario dell'azienda, oltre che delle responsabilità connesse con l'esecuzione di lavori neanche autorizzati, almeno di dare precise direttive al personale alle sue dipendenze, di avvertire della presenza della linea elettrica quanti si recavano all'interno dell'azienda, specie se con automezzi pesanti e per il trasporto di piante di notevole altezza, di dare disposizioni affinché i carichi da lui stesso forniti fossero compatibili con la presenza dell'elettrodotto e con l'effettiva distanza dello stesso dalla strada, proprio al fine di evitare rischi per quanti vi si trovassero a transitare.
In tale contesto di palese mancato rispetto di norme, specie di quelle concernenti la sicurezza e la prevenzione degli infortuni, appare francamente improponibile il riferimento del ricorrente a presunte irregolarità commesse dalla povera vittima, colpevole di non avere preso precauzioni per rischi che le erano del tutto sconosciuti e con riferimento a condotte che, ove anche riconducibili alla presunta mancata osservanza della norma del codice della strada indicata dal ricorrente, sarebbero del tutto irrilevanti ai fini della decisione per l'evidente mancanza di qualsiasi rapporto tra la presunta violazione e l'evento determinatosi.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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