Assistente della Polizia viene sorpreso dal Commissario “comodamente sdraiato e addormentato”. Destituzione. Provvedimento sproporzionato per il Tar ed il Consiglio di Stato.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 3 - 21 maggio 2013, n. 2752
Presidente Cirillo – Estensore Capuzzi
Fatto
Il ricorrente, assistente della Polizia di Stato, in data 17.9.1996, durante l'espletamento del servizio di vigilanza con turno veniva sorpreso “comodamente sdraiato e addormentato”.
In data 25.9.1996 il Questore di Roma attivava la inchiesta disciplinare nei suoi confronti; con delibera del Consiglio provinciale di disciplina del 2.12.1996 veniva proposta la destituzione dal servizio; con il provvedimento (n. 333-D/21647) veniva destituito dal servizio a decorrere dal 10.2.1997.
Con ricorso al Tar del Lazio, sede di Roma, l'interessato deduceva i seguenti motivi di diritto:
-violazione del principio generale della prevalenza della funzione giurisdizionale penale;
-violazione dell'art. 12 del DPR 25 ottobre 1981 recante norme sulle sanzioni disciplinari per il personale dell'amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti;
-violazione di legge; mancanza e insufficienza di motivazione.
In data 21.10.2005 il Montesano depositava copia della sentenza n. 2870/04 del Tribunale Ordinario di Roma che lo assolveva dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Con ordinanza istruttoria n. 13750/2005 il Tar chiedeva chiarimenti all'amministrazione dai quali risultava che :
-per i fatti del 17.9.1996 il giudice penale aveva assolto il ricorrente “perché il fatto non sussiste”;
-in data 24.3.1983 il Montesano aveva riportato la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 1/30, in data 4.10.1985 la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 5/30 (derubricata dal Capo della Polizia in richiamo scritto), in data 8.9.1992 la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei.
Il Tar riteneva il ricorso fondato in relazione al secondo motivo dedotto con il quale il ricorrente si doleva che nell'irrogare la sanzione l'amministrazione aveva violato i principi di gradualità, proporzionalità e gravità.
Nell'atto di appello il Ministero assume che è principio giurisprudenziale in materia disciplinare quello secondo cui la scelta della punibilità del comportamento rientra nella valutazione discrezionale della amministrazione e non può essere sindacata se non per evidenti ragioni di contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti così come il sindacato del giudice amministrativo sulla misura della sanzione disciplinare inflitta dalla amministrazione, per non sconfinare in un inammissibile sindacato di merito, deve essere limitato ai soli casi in cui vi sia abnorme sproporzione tra i fatti contestati e accertati e la misura medesima.
La sentenza non avrebbe motivato in ordine alla ritenuta, grave, abnorme sproporzione esistente tra i fatti contestati e la sanzione inflitta.
Aggiunge il Ministero appellante rilevando che il giudizio della amministrazione in presenza di una pluralità di provvedimenti sanzionatori non consta, schematicamente e aritmeticamente della loro sommatoria, ma si risolve viceversa in una valutazione complessiva nella quale le singole infrazioni acquistano un peso significativo e maggiore proprio in ragione della loro pluralità,
Si è costituito in appello il signor Montesano sostenendo la inammissibilità dell'appello per avere criticato la sentenza con considerazioni generiche e incongrue obliterando che il potere disciplinare è sindacabile dal giudice amministrativo in caso di uso contraddittorio, illogico e travisato dei fatti, circostanze, queste, ricorrenti nel caso di specie in cui anche il giudice penale aveva assolto il Montesano dichiarando che il fatto non sussiste.
Nel merito, l'appellato rileva che la commissione di disciplina avrebbe omesso un accurato e ponderato accertamento istruttorio e aveva obliterato la valenza di un certificato medico rilasciato dal Policlinico Umberto I° di Roma che certificava una patologia oculare a carico del sig. Montesano disattendendo anche la situazione logistica in cui si sarebbe consumata la infrazione (un Corpo di guardia particolarmente frequentato e con un costante via vai di utenti), omettendo infine la audizione delle persone presenti al fatto contestato.
Inoltre, a parte alcuni episodi sporadici e isolati, come quello del 1992, che faceva riferimento, tuttavia, ad un fatto penalmente non giudicato perché estinto, il ricorrente riportava, in servizio, valutazioni positive coerentemente con il suo operato pluriennale, caratterizzato da diligenza e devozione al proprio servizio e alla divisa che indossava.
Con ordinanza cautelare n.5840/2006 questo Consiglio di Stato respingeva la richiesta di sospensione della sentenza presentata dal Ministero appellante.
All'udienza di trattazione del 3 maggio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Diritto
1. La destituzione è stata irrogata all'appellato ai sensi dell'art. 7 del DPR n. 737 del 1981 n. 2, relativo a atti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, n.3 per grave abuso di autorità o di fiducia, n.6, reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari.
Come rilevato dal Tar risultava in atti che le tre sanzioni disciplinari in precedenza irrogate erano piuttosto risalenti nel tempo (1983, 1985 e 1992) e che due di esse erano di significativa tenuità (pena pecuniaria nella misura di 1/30 e richiamo scritto) mentre quanto alla terza e più grave (sospensione dal servizio di mesi sei irrogata con provvedimento del 1992) dagli atti di causa risultava che il relativo procedimento penale si era estinto per intervenuta amnistia.
Pertanto per il primo giudice l'operato dell'amministrazione intimata non poteva considerarsi in sintonia con i principi della gradualità, proporzionalità e gravità della mancanza anche in relazione alla parte motiva della sentenza n.287/2004 del Tribunale Ordinario di Roma secondo il quale “all'esito di quanto emerso non può dirsi raggiunta la prova della penale responsabilità dell'odierno imputato che, forse colpito da un bruciore più intenso, come anche dimostrato dai certificati rilasciati lo stesso giorno dal Pronto Soccorso dell'Umberto I°, si è momentaneamente coperto gli occhi con le mani, assentandosi per alcuni secondi, ma che certo non può dirsi si sia addormentato da non sentire ciò che succedeva attorno a lui, consentendo di addivenire ad una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste”.
Nell'atto di appello il Ministero ricorda che è principio giurisprudenziale consolidato in materia disciplinare quello secondo cui la scelta della punibilità del comportamento rientra nella valutazione discrezionale della amministrazione e non può essere sindacata se non per evidenti ragioni di contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti, così come il sindacato del giudice amministrativo sulla misura della sanzione disciplinare inflitta dalla amministrazione, per non sconfinare in un inammissibile sindacato di merito, deve essere limitato ai soli casi in cui vi sia abnorme sproporzione tra i fatti contestati e accertati e la misura medesima.
La sentenza quindi avrebbe travalicato il limite esterno della giurisdizione amministrativa entrando nel merito della valutazione sulla scorta di un non plausibile ed inaccettabile argomentazione sulla non proporzionalità della sanzione irrogata.
2. La Sezione ritiene che le censure dell'amministrazione appellante non meritano accoglimento.
Infatti se è vero che il potere discrezionale della amministrazione è assai ampio nell'apprezzare le varie ipotesi disciplinari e se è anche vero che al giudice amministrativo non è consentito di ripercorrere la intera formazione del giudizio in materia di sanzioni disciplinari, è pure vero che il principio di proporzionalità e graduazione delle sanzioni in relazione agli addebiti, essendo emanazione del principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., non è affatto insindacabile sia pure nei limiti di un sindacato estrinseco sull'attività posta in essere dalla amministrazione.
Nella specie, l'accusa mossa al Montesano nel 1996 e ritenuta tale da giustificare la più grave delle sanzioni possibili quale la destituzione, è stata quella di essere stato trovato, dal dirigente del Commissariato, addormentato mentre era preposto al servizio di vigilanza del corpo di guardia di un commissariato.
Il procedimento disciplinare e il conseguente provvedimento di destituzione partono e si esauriscono in tale episodio richiamando, in una sorta di diretta derivazione e automatismo, la norma che si assume violata (art. 7 del DPR 737/1981 punti 2,3 e 6) senza prendere in esame e approfondire in maniera adeguata le circostanze del caso specifico e in specie:
-la valenza di un certificato medico rilasciato da struttura pubblica nella stessa serata in cui era avvenuto l'episodio, che certificava una patologia oculare a carico dell'appellato e che, secondo la successiva valutazione del giudice penale, poteva avere giustificato un momentaneo bruciore che costringeva il poliziotto a coprirsi gli occhi;
-la possibilità quindi che lo stesso Montesano, anche se momentaneamente con gli occhi chiusi e in un atteggiamento rilassato, non si fosse addormentato non essendosi reso quindi responsabile della violazione dei doveri di ufficio nei termini stringenti e definitivi che lascia intendere il provvedimento di destituzione;
-la presenza nel Commissariato, nella giornata e nelle ore in cui si erano svolti i fatti, di altri appartenenti alla Polizia di Stato che non risulta essere stati uditi nel corso del procedimento disciplinare essendosi proceduto alla sola audizione del Vice Ispettore Palombi;
-la relativa valenza dei precedenti di servizio del Montesano che nel corso di molti anni aveva riportato giudizi positivi (superiore alla media, distinto, ottimo), salvo avere riportato tre sanzioni disciplinari per lo più risalenti nel tempo alcune delle quali oggettivamente di lieve entità tanto da essere sanzionate con una pena pecuniaria di 1/30 e con richiamo scritto, mentre l'altra risulta estinta per amnistia.
In un tale contesto fattuale appare censurabile la valutazione dell'amministrazione per avere basato le proprie conclusioni senza una adeguata istruttoria e approfondimento sul comportamento del ricorrente, la cui condotta andava valutata con severità per la delicatezza dei compiti affidati in qualità di appartenente alla Polizia di Stato e per il rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere con l'amministrazione, ma che, in relazione alle implicazioni gravissime di tale valutazione, comportava la necessità di una equilibrata ponderazione di tutti gli elementi che potevano emergere dall'istruttoria anche a favore dello stesso dipendente, risultando, altrimenti, l'atto di destituzione, sproporzionato e abnorme.
3. L'appello in conclusione va rigettato, mentre le spese ed onorari, per la peculiarità della vicenda, possono essere compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
08-06-2013 19:12
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