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Sentenza

Appuntato dei Carabinieri costringe una ragazza 15enne, dopo averla fatta salire sulla propria vettura con l'inganno dato dall'asserito espletamento di indagine in tema di sostanze stupefacenti, a subire atti sessuali (di libidine) della durata di circa 15 minuti, impedendole di avvisare i propri genitori.
Appuntato dei Carabinieri costringe una ragazza 15enne, dopo averla fatta salire sulla propria vettura con l'inganno dato dall'asserito espletamento di indagine in tema di sostanze stupefacenti, a subire atti sessuali (di libidine) della durata di circa 15 minuti, impedendole di avvisare i propri genitori.
T.A.R.  sez. I  Perugia , Umbria Data:    06/06/2013 ( ud. 08/05/2013 , dep.06/06/2013 ) Numero:    331
                             REPUBBLICA ITALIANA                         
                         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
             Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria          
                               (Sezione Prima)                           
    ha pronunciato la presente                                           
                                  SENTENZA                               
    sul ricorso numero di registro generale 366 del 2010, proposto da:   
    Ra. Pe., rappresentato e difeso dall'avv.to Giuseppe  La  Spina,  con
    domicilio eletto presso Giuseppe La Spina, in Perugia, via  Baglioni,
    36;                                                                  
                                   contro                                
    Comando  Generale  dell'Arma  dei  Carabinieri,  Legione  Carabinieri
    Umbria, Ministero della Difesa,  rappresentati  e  difesi  per  legge
    dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di  Perugia,  domiciliataria
    in Perugia, via degli Offici, 14;                                    
    Comando Regione Carabinieri Umbria;                                  
    sul ricorso numero di registro generale 75 del 2012, proposto da:    
    Ra. Pe., rappresentato e difeso dall'avv.to Giuseppe  La  Spina,  con
    domicilio eletto presso Giuseppe La Spina, in Perugia, via  Baglioni,
    36;                                                                  
                                   contro                                
    Ministero della Difesa, Comando Regione Carabinieri  Umbria,  Comando
    Legione Carabinieri Umbria S.M. Ufficio Personale  -  Commissione  di
    Disciplina,  rappresentati  e  difesi  per   legge    dall'Avvocatura
    Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria in  Perugia,  via
    degli Offici, 14; Ministero della Difesa Direzione  Generale  per  il
    Personale Militare;                                                  
                             per l'annullamento                          
                              previa sospensiva                          
    quanto al ricorso n. 366 del 2010:                                   
    - del provvedimento prot. n. 216507/D-1-30 datato  12/7/20l0  con  il
    quale il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Ge. C.A.  Le.
    Ga., pronunciandosi a seguito della sentenza  del  T.A.R.  Umbria  n.
    390/2010, depositata il 28/6/2010, ha così provveduto: "Determino  la
    sospensione precauzionale dal servizio disposta con la determinazione
    in premessa nei confronti dell 'App. Scelto Pe. Ra.  è  confermata  a
    titolo discrezionale ai sensi dell'art. 9, comma 1,  della  legge  18
    ottobre 1961 n. 1168";                                               
    - di ogni altro atto presupposto e/o connesso  e/o  conseguente,  ivi
    compresa  la  determinazione  n.  216567/D-1-16  del  13/7/2009   già
    impugnata con il ricorso n. 376/2009 e con i motivi aggiunti in  data
    6/10/2009; la nota n. 21650/D-1-27 del 7/6/2010 e gli asseriti pareri
    espressi dai superiori gerarchici solo genericamente  menzionati  nel
    provvedimento impugnato e in ordine ai quali si fa  espressa  riserva
    di motivi aggiunti una volta prodotti in giudizio;                   
    quanto al ricorso n. 75 del 2012:                                    
    - della determinazione del Ministero della Difesa, dir. gen.  per  il
    personale militare, a firma  del  dirigente  dott.  Co.  Be.,  datata
    5/1/2012, notificata il 19/1/2012, con la quale è stata disposta  nei
    riguardi dell'app. scelto Pe. Ra. in  servizio  permanente,  ai  soli
    fini giuridici, la sanzione della perdita del grado per rimozione per
    motivi disciplinari, ai sensi degli artt. 861 e 867 del  D.  lgs.  n.
    66/2010  e  la  cessazione  del  Pe.  dal  servizio  permanente   con
    iscrizione d'ufficio nel ruolo dei militari di  truppa  dell'esercito
    italiano senza alcun grado ai sensi degli artt. 923, comma  1,  lett.
    i), e 861 del D. lgs. n. 66/2010;                                    
    - di ogni altro atto presupposto e/o connesso  e/o  conseguente,  ivi
    compresi tutti gli atti  e  provvedimenti  inerenti  al  procedimento
    disciplinare di cui è menzione  nel  provvedimento  impugnato  ove  i
    richiamano le risultanze della commissione di disciplina di cui  alla
    seduta del 26/10/2011, non conosciuti  ed  oggetto  di  richiesta  di
    accesso ad oggi inevasa e in ordine  ai  quali  si  formula  espressa
    riserva di motivi aggiunti;                                          
    quanto ai motivi aggiunti depositati in data 2 marzo 2012:           
    - del provvedimento del Ministero della  Difesa,  direzione  generale
    per il personale militare,  III  Rep./7  div.,  3  sez.  carabinieri,
    datato 3.1.2012;                                                     
    - del provvedimento prot. n. 436/97-2004-d, datato 28.6.2011 di avvio
    dell'inchiesta formale;                                              
    - dell'ordine di deferimento alla commissione  di  disciplina  datato
    19.9.2011;                                                           
    -  della  relazione  finale  dell'inchiesta  formale  della   Legione
    Carabinieri Umbria, compagnia  di  Todi,  datata  6.9.2011  prot.  n.
    188/8;                                                               
    - del verbale della commissione di disciplina del 26.10.2011;        
    - di ogni altro atto presupposto e/o  connesso  e/o  conseguente  ivi
    menzionato e non partecipato.                                        
    Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;            
    Visti gli atti di  costituzione  in  giudizio  del  Comando  Generale
    dell'Arma dei Carabinieri, della Legione  Carabinieri  Umbria  e  del
    Ministero della Difesa;                                              
    Viste le memorie difensive;                                          
    Visti tutti gli atti della causa;                                    
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  8  maggio  2013  il  dott.
    Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato  nel
    verbale;                                                             
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.              


    Fatto
    FATTO e DIRITTO

    1. Espone l'odierno ricorrente, appuntato scelto dell'Arma dei Carabinieri in servizio dal 1983, che con sentenza in data 29 ottobre 2008 del Tribunale di Spoleto, veniva condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione per aver commesso il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609 - bis c.p., con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

    La Corte d'Appello di Perugia, con sentenza n. 1053 dell'11 dicembre 2009, in parziale riforma del giudizio di primo grado, ha diminuito la pena ad anni due di reclusione concedendo il beneficio della sospensione condizionale e con revoca della sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici.

    La predetta sentenza ha accertato, infatti, che egli, nella serata del 28 novembre 2004 in località Trevi, ha costretto una ragazza quindicenne, dopo averla fatta salire sulla propria vettura con l'inganno dato dall'asserito espletamento di indagine in tema di sostanze stupefacenti, a subire atti sessuali (di libidine) della durata di circa 15 minuti, impedendole di avvisare i propri genitori.

    Con sentenza n. 15584 del 2011 della Cassazione, la suddetta decisione è stata confermata ed è divenuta definitiva.

    In seguito al rinvio a giudizio, con determinazione n. 216567/D -1- 16 del 3 luglio 2009 il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha disposto la sospensione precauzionale dal servizio, poi confermata con successiva determinazione n. 216507/D - 1 - 30 del 12 luglio 2010 in ottemperanza alla sentenza n. 390/2010 di questo Tribunale, la quale, in accoglimento del ricorso proposto dall'odierno istante, ha ordinato all'Amministrazione di provvedere sull'istanza tesa ad ottenere la revoca del provvedimento di sospensione precauzionale all'esito del parziale accoglimento dell'appello promosso dal Pe..

    A seguito della definizione del giudizio penale, è stato avviato nei confronti del Pe. il procedimento disciplinare, che si è concluso con la pronuncia della sanzione della perdita del grado.

    L'odierno ricorrente, quanto al ricorso 366/2010, impugna gli atti in epigrafe specificati con cui è stata disposta nei propri confronti la sospensione precauzionale dal servizio nelle more della definizione del processo penale, deducendo le seguenti doglianze, così riassumibili:

    I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 10, 34 e 35 della legge 1168/1961, degli artt. 3, 4 e 5 del D.M. n. 603/93, degli artt. 3 e 10 della legge 241/90, violazione degli artt. 27, 29 e 36 Cost., carenza di potere in capo al vice Comandante, eccesso di potere per carenza di istruttoria, di motivazione e dei presupposti, ingiustizia manifesta, travisamento e illogicità: il provvedimento impugnato sarebbe viziato da incompetenza, essendo necessaria la determinazione del Comandante Generale dell'Arma, non essendo all'uopo sufficiente nemmeno la delega perché non prevista dalla legge; risulterebbe violato il termine finale di 210 giorni decorrente dalla comunicazione dell'avvio del procedimento; la motivazione a supporto della sospensione disciplinare sarebbe puramente di stile, senza confutazione delle memorie difensive prodotte dall'interessato e senza tener conto del tempo trascorso dalla contestazione dei fatti risalenti al 2004, si da rendere palese l'indebito automatismo dell'applicata sospensione disciplinare rispetto al procedimento penale ancora in corso.

    Con motivi aggiunti, estende l'impugnativa al provvedimento prot. n. 216507/D - 1 - 30 datato 12 luglio 2010 con il quale il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Ge. C.A. Le. Ga., pronunciandosi in ottemperanza alla sentenza dell'adito T.A.R. n. 390/2010, ha confermato la sospensione precauzionale dal servizio già disposta con la determinazione n. 216567/D-1-16 del 13/7/2009 (già impugnata con il ricorso n. 376/2009), deducendo i seguenti nuovi motivi così riassumibili:

    II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 10 e 34 commi 6 e 7 della legge 1168/1961, dell'art. 9 L. 19/90, degli artt. 1, 3, 4, 5 e 6 del D.M. n. 603/93, degli artt. 2, 2 -bis, 3 , 7 e 10- bis della legge 241/90, eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza dei presupposti, carenza di istruttoria, manifesta ingiustizia: solo in questa sede l'Amministrazione avrebbe fatto riferimento all'ipotesi di cui all'art. 34 n. 6 della legge 1168/1961 la quale non sarebbe mai prima stata contestata, oltre che irragionevole e irritualmente prospettata; alla luce del ridimensionamento della gravità della condotta operata in sede di appello, sarebbe venuto meno il presupposto di cui all'art. 34 c. 7 della legge 1168/1961 su cui si fondava la disposta sospensione precauzionale.

    Si sono costituiti il Ministero della Difesa ed il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, chiedendo il rigetto del gravame, evidenziando in particolare, in sintesi:

    - la sopravvenuta improcedibilità per difetto di interesse dell'impugnativa riguardante il primo provvedimento di sospensione cautelare adottato nel 2009 da ritenersi integralmente sostituito con quello del 12 luglio 2010, qui impugnato con motivi aggiunti.;

    - l'Amministrazione della Difesa non avrebbe, come argomentato dal ricorrente, "automaticamente e acriticamente" confermato la sospensione precauzionale dal servizio, ma avrebbe effettuato una nuova ed autonoma valutazione dei fatti alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte d'Appello, adeguatamente valorizzandone la gravità;

    - il carattere preventivo, temporaneo ed ampiamente discrezionale del provvedimento cautelare impugnato finalizzato per il tipo di condanna riportata, seppur non definitiva, ad evitare un discredito tale da arrecare una seria turbativa al regolare svolgimento dei compiti istituzionali dell'Arma dei Carabinieri;

    - la Corte d'appello, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, non avrebbe operato alcun razionale ridimensionamento della gravità della condotta del ricorrente, ma solo un diverso inquadramento tra le ipotesi dell'ultimo comma dell'art. 609 bis c.p. con ciò comprovando solo la minor gravità tra le fattispecie di cui al citato art. 609 bis ma non certo la tenue gravità del fatto in assoluto.

    Quanto al secondo ricorso (RG 75/2012) l'odierno ricorrente impugna gli atti in epigrafe specificati concernenti la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi degli artt. 861 e 867 del D. lgs. n. 66/2010 e la cessazione dal servizio permanente, deducendo censure così sintetizzabili:

    I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 861, 866, 867 e 923 del D.lgs. 66/2010, degli artt. 575 e da 712 a 751 del D.p.r. 90/2010, violazione dell'art. 18 del D.M. 22.6.2011, violazione degli artt. 1387, 1388, 1389 del D.lgs. 66/2010, violazione degli artt. 3, 4, 25 c. 2, 35 e 36 Cost. violazione degli artt. 34 e 35 della legge 1168/1961, dell'art. 1 e ss. del D.M. n. 603/93, violazione degli artt. 3 e 7 della legge 241/90, eccesso di potere per carenza di istruttoria e dei presupposti e per ingiustizia manifesta: la sanzione impugnata avrebbe dovuto essere emessa dal Comandante Generale anziché dal Dirigente della Direzione Generale per il personale militare del Ministero della Difesa, come illegittimamente avvenuto; in via subordinata, la commissione di disciplina avrebbe dovuto comunque trasmettere l'esito del procedimento al Ministero della Difesa; la sanzione della perdita del grado sarebbe stata comminata al di fuori degli specifici presupposti tipizzati dagli articoli 34 e 35 della legge 1168/1961, non essendo la condanna riportata idonea a fondare la gravità della sanzione - come sarebbe stato rilevato anche dall'adito T.A.R. con la sentenza 390/2010 - in quanto priva della sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e con il beneficio della sospensione condizionale; la motivazione a supporto della sanzione disciplinare sarebbe puramente "di stile", essendo comunque doveroso per l'Amministrazione compiere una valutazione autonoma dei fatti addebitati, stante l'autonomia tra procedimento penale e disciplinare, consacrata dalla stessa Corte Costituzionale; la sanzione applicata sarebbe del tutto sproporzionata, non tenendo conto della personalità e del profilo del ricorrente e della mancanza di precedenti addebiti.

    Con motivi aggiunti, il ricorrente ha esteso l'impugnativa agli atti in epigrafe specificati, deducendo censure in via derivata rispetto al ricorso introduttivo, oltre alle seguenti censure autonome così riassumibili:

    II. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1377, 1387, 1389, 1392 del D.lgs. 66/2010, eccesso di potere per carenza e/o illogica motivazione: la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre il termine perentorio previsto dall'art. 1392 del D.lgs. 66/2010, con conseguente illegittimità in via derivata della sanzione disciplinare;

    Si sono costituiti il Ministero della Difesa ed il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, chiedendo il rigetto del gravame, evidenziando in necessaria sintesi:

    - la competenza del Dirigente della Direzione Generale per il personale militare del Ministero della Difesa sarebbe chiaramente fissata dall'art. 867 c. 1 del D.lgs. 66/2010, applicabile alla fattispecie;

    - l'inammissibilità di tutte le censure ex adverso dedotte che lamentano l'insufficienza dell'istruttoria o della motivazione per non aver tenuto conto delle difese esplicate dal ricorrente sia in sede penale che disciplinare, le quali postulano direttamente o indirettamente la contestazione della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale, quindi in contrasto con le risultanze del giudicato penale, ai sensi dell'art. 653 c. 1 bis c.p.p.;

    - l'incompatibilità del fatto accertato in sede penale con i doveri di lealtà e correttezza assunti con il giuramento prestato e che debbono caratterizzare ogni appartenente all'Arma dei Carabinieri;

    - l'insindacabilità della sanzione applicata sotto il profilo della proporzionalità, a pena di un inammissibile sconfinamento nella sfera del merito dell'azione amministrativa, specie all'interno dell'ordinamento militare;

    - la Corte d'appello nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, non avrebbe operato alcun razionale ridimensionamento della gravità della condotta del ricorrente, ma solo un diverso inquadramento tra le ipotesi dell'ultimo comma dell'art. 609 bis c.p. con ciò comprovando solo la minor gravità rispetto tra le fattispecie di cui al citato art. 609 bis, ma non certo la tenue gravità del fatto in assoluto;

    - il pieno rispetto della tempistica imposta per la conclusione del procedimento disciplinare, tenuto conto della conoscenza integrale della sentenza della Cassazione solo l'11 maggio 2011 e dell'essere la determinazione finale del 5 gennaio 2012 intervenuta dopo 239 giorni e quindi entro il termine decadenziale di 270 giorni, non rilevando a tal fine la successiva data della notifica, comunque anch'essa intervenuta entro il suddetto termine.

    Con ordinanza n. 183/2010 è stata accolta l'istanza cautelare di cui al ricorso RG 366/2010, e con ordinanza n. 36/2012 è stata accolta anche l'istanza cautelare di cui al ricorso RG 75/2012, apprezzato il periculum in mora; il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5737/2010 in accoglimento dell'appello dell'Amministrazione, ha riformato l'ordinanza 183/2010, "dovendosi ricondurre le valutazioni discrezionali sottese alla sospensione precauzionale dal servizio alla necessità di rimuovere il pregiudizio derivante dalla permanenza del militare nel generale interesse dell'Amministrazione e degli amministrati".

    Su istanza di esecuzione dell'ordinanza n. 36/2012, l'Amministrazione ha spontaneamente provveduto a ripristinare provvisoriamente il Pe. nella medesima posizione giuridica ed economica preesistente al provvedimento di destituzione dal servizio.

    Con istanza ai sensi dell'art. 1389 del D.lgs. 66/2010, l'odierno istante ha chiesto al Ministro della Difesa di discostarsi per ragioni umanitarie dal giudizio reso dalla Commissione di disciplina, senza allo stato ottenere alcuna risposta; in ragione della pendenza di tale istanza, chiede un rinvio della decisione nel merito.

    Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 8 maggio 2013, nella quale la causa è passata in decisione.

    2. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe ex art. 70 cod. proc. amm. per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, quanto a petitum e causa petendi.

    2.1. Ritiene il Collegio, in limine litis, che non vi siano ragioni per accogliere l'istanza di rinvio avanzata dalla difesa del ricorrente, non sussistendo alcuna pregiudizialità tra il rimedio straordinario per ragioni umanitarie richiesto (ex art. 1389 del D.lgs. 66/2010) espressione di "indulgentia principis" e la controversia per cui è causa, tenendo presente l'esigenza primaria di garantire la ragionevole durata del processo (artt. 111 Cost. e 2 c. 2 cod. proc. amm.).

    3. Il ricorso RG 75/2012 è infondato e va respinto, mentre il ricorso RG 366/2010 è improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, mentre è infondato l'atto di motivi aggiunti.

    3.1. Con i ricorsi in epigrafe l'appuntato dei Carabinieri Pe. Ra. impugna, rispettivamente, gli atti di sospensione precauzionale dal servizio, disposti in seguito al rinvio a giudizio e alla sentenza della Corte d'Appello (RG 75/2012) e la sanzione della perdita del grado (RG 366/2010) all'esito del procedimento disciplinare avviato dopo il giudicato penale di condanna, formatosi a seguito della sentenza della Cassazione penale n. 15584/2011.

    4. Quanto al ricorso RG 75/2012 il Collegio osserva quanto segue.

    Anzitutto, il giudicato ha accertato che il Pe., nella serata del 28 novembre 2004 in località Trevi, ha costretto una ragazza quindicenne, dopo averla fatta salire sulla propria vettura con l'inganno dato dall'asserito espletamento di indagine in tema di sostanze stupefacenti, a subire atti sessuali (atti di libidine) della durata di circa 15 minuti, impedendole di avvisare i propri genitori; nel giudizio di appello, avuto riguardo alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione, la fattispecie è stata ricondotta all'ipotesi attenuata di cui all'ultimo comma dell'art. 609 - bis c.p. (violenza sessuale) con riduzione della pena a 2 anni di reclusione, riconosciute anche le attenuanti generiche, con conseguente revoca della disposta interdizione temporanea dai pubblici uffici disposta in primo grado e concessione del beneficio della sospensione condizionale.

    Èquindi coperta dal giudicato la commissione da parte del Pe. del reato di violenza sessuale ai danni di una minorenne, seppur nell'ipotesi attenuata di cui all'ultimo comma dell'art. 609 c.p.

    Con sentenza n. 15584 del 2011 della Cassazione, la suddetta decisione d'appello è stata confermata ed è divenuta definitiva il 16 febbraio 2011.

    4.1. Come noto l'art. 653 comma 1 c.p.p., nel testo emendato dall'art. 1, L. n. 97 del 2001, afferma che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto sussiste e che costituisce illecito penale ovvero che l'imputato lo ha commesso (ex multis T.A.R. Lazio - Roma sez I 2 marzo 2012, n. 2168).

    Ne consegue, anzitutto, l'inammissibilità delle doglianze dedotte dall'odierno istante tese a contestare l'insufficienza dell'istruttoria o della motivazione per non aver tenuto conto delle difese esplicate dal ricorrente sia in sede penale che disciplinare, le quali postulano direttamente o indirettamente la contestazione della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale, così come incontestabilmente accertato dal giudicato, ai sensi del citato art. 653 c. 1 bis c.p.p.

    Deve poi preliminarmente evidenziarsi come l'evidente gravità del fatto accertato dal giudicato penale, ascritto al reato di violenza sessuale, appaia assolutamente incompatibile con l'appartenenza all'Arma dei Carabinieri, non solo per la sua rilevanza penale, ma anche per le modalità con cui è stato commesso che sono state tali da violare il prestigio dell'Istituzione; ad ogni modo, le valutazioni circa la gravità e la rilevanza, ai fini disciplinari, dell'evento verificatosi sono espressione dell'ampia discrezionalità di cui è titolare la P.A. per la migliore tutela dell'interesse pubblico alla legalità, all'imparzialità e al buon andamento degli uffici pubblici, secondo i principi sanciti dall'art. 97 Cost.; l'esercizio concreto di tale discrezionalità, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, sfugge al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, salvo che non sia affetto ictu oculi dal vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell'illogicità, della contraddittorietà, dell'ingiustizia manifesta, dell'arbitrarietà ovvero dell'irragionevolezza (ex multis T.A.R. Lazio - Roma sez. I 9 marzo 2009, n. 2377; Consiglio di Stato sez. IV 26 febbraio 2009, n. 1138).

    È innegabile, sul punto, come la parziale riforma della sentenza di primo grado in sede di giudizio di appello, pur ritenendosi sussistente la speciale circostanza attenuante di cui all'ultimo comma dell'art. 609 bis c.p., abbia confermato comunque la gravità oggettiva del fatto e la sua commissione mediante abuso delle funzioni di appartenente all'Arma (vedi pag. 9 sentenza Corte d'Appello di Perugia) non risultando comunque in corso alcuna indagine in tema di repressione dei reati sugli stupefacenti; sul punto, del tutto irrilevante, a tacer d'altro, è la circostanza circa l'aver tenuto la condotta incriminata senza uniforme, dovendosi ogni carabiniere considerarsi sempre in servizio a norma dell'art. 57 c.p.p.

    4.2. Mette conto altresì evidenziare come con la sentenza 390/2010, l'adito T.A.R. non abbia espresso alcun giudizio in merito alla fondatezza della pretesa azionata dal Pe., né sulla minor gravità, in termini assoluti, della condotta ascrittagli, limitandosi a ritenere la sussistenza dell'obbligo giuridico di provvedere dell'Amministrazione sull'istanza di riesame del provvedimento di sospensione, nell'ambito di un giudizio contra silentium di cui all'art. 117 cod. proc. amm. i cui effetti conformativi vanno limitati all'obbligo di far cessare l'illecito stato di inerzia del doveroso esercizio dell'attività autoritativa.

    4.3. Ciò premesso, è infondata la censura di violazione degli artt. 34 e 35 della legge 1168/1961.

    La censura, infatti, muove dall'errato presupposto secondo cui la rimozione disciplinare per perdita del grado prevista dall'art. 34 comma 1 n. 6 della L. 1168 del 1961 (vigente ratione temporis) in caso di "violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità dell'Arma o alle esigenze di sicurezza dello Stato", potrebbe essere disposta soltanto nelle ipotesi di condanna per i reati previsti dal n. 7 lettera b) del medesimo articolo.

    La lettura della norma non autorizza una simile conclusione, posto che le ipotesi di rimozione previste dal comma 1 n. 6 sono all'evidenza del tutto autonome e distinte rispetto a quelle di cui al n. 7 del medesimo articolo.

    È vero che con la sentenza n. 363 del 1996 la Corte Costituzionale ha sancito che in caso di commissione dei reati di cui al n. 7 del comma 1 dell'art. 34 della L. 1168 del 1961 la destituzione non possa essere automatica ma richieda il previo svolgimento di un procedimento disciplinare, ma ciò non vale a confondere la menzionata fattispecie di rimozione con quella prevista dal n. 6 del comma 1 del citato articolo.

    Nel caso di violazione del giuramento, di comportamento comunque contrario alle finalità dell'Arma o alle esigenze di sicurezza dello Stato è lasciata all'Amministrazione l'individuazione delle condotte che determinano una incompatibilità con lo status di Carabiniere, mentre nel caso di commissione dei reati di cui al n. 7 del comma 1 dell'art. 34 è la legge stessa a descrivere ipotesi tipiche che comportano di regola la rimozione, lasciando alla valutazione della p.a. solo una verifica in ordine alla sussistenza, nel caso concreto, di particolari circostanze non codificate che possano consentire la prosecuzione del servizio.

    Nel caso di specie, pur non rientrando la condanna penale riportata come riformata in appello tra quelle tipizzate dall'art. 34 n. 7, essa rientra di pieno diritto nel precedente punto n. 6, essendo la condotta posta in essere obbiettivamente in contrasto con i doveri istituzionali in capo all'Arma.

    La giurisprudenza ritiene incompatibile con il giuramento di fedeltà prestato all'atto dell'arruolamento e con i principi di onestà e rettitudine che devono caratterizzare la condotta di un militare dell'Arma dei carabinieri, anche fatti connotati da minor gravità quali l'uso occasionale di sostanze stupefacenti (Consiglio di Stato sez. IV 18 aprile 2012, n. 2273; T.A.R. Lazio - Roma sez II 6 agosto 2012, n. 7251; id. 9 marzo 2009, n. 2377) o il tentato furto (T.A.R. Lombardia Milano sez. IV 2 aprile 2012, n. 965); ritiene altresì legittima la determinazione di irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, anche all'esito di condanna patteggiata per la fattispecie del tentativo di violenza sessuale (Consiglio di Stato sez. IV, 31 maggio 2003, n. 3036 in riferimento ad appartenente alla Guardia di Finanza).

    La censura è pertanto priva di pregio e va respinta.

    4.4. Infondata è anche la doglianza con la quale si invoca l'applicazione anche alle sanzioni espulsive previste dall'ordinamento militare, del principio di proporzionalità.

    Non ignora il Collegio l'esistenza di orientamento, seguito anche dal giudice d'appello, secondo cui il principio di proporzionalità sarebbe predicabile anche in tema di destituzione e di sanzioni espulsive comminate dall'ordinamento militare.

    Ciò comporterebbe che l'Amministrazione prima di applicare la sanzione destitutoria, debba operare un'attenta distinzione delle ipotesi di illecito in funzione della tendenziale graduazione della sanzione, rendendo palesi i motivi per cui al fatto commesso si riconnetta un disvalore così elevato da giustificare la misura più severa e maggiormente incidente sulla vita del militare (in questo senso Consiglio di Stato sez. IV, 7 gennaio 2011, n. 25, id. sez IV, 18 febbraio 2010, n. 939; id. 21 agosto 2009, n. 5001, id. 16 ottobre 2009, n. 6353,).

    Altro orientamento ritiene, invece, che il principio di proporzionalità non possa applicarsi alla sanzione della perdita del grado giacché questa è unica ed indivisibile, non essendo stata stabilita con la caratteristica di regolarne un minimo ed un massimo, entro i quali l'Amministrazione deve esercitare il potere sanzionatorio (T.A.R. Lombardia Milano sez. IV 2 aprile 2012, n. 965).

    L'operazione logica richiesta dal punto n. 6 del comma 1 dell'art. 34 della L. 1168/1961 non si basa, quindi, su di un giudizio, tipicamente empirico, di disvalore, bensì sul collegamento del fatto con gli obblighi assunti dal militare con il giuramento, ovvero con le finalità del Corpo: operazione che richiede un giudizio di attinenza e di congruenza e non di gravità del comportamento.

    L'inquadramento dell'illecito commesso dal militare nelle generali fattispecie della violazione del giuramento o della contrarietà alle finalità del Corpo è, tuttavia, connotato da un ampio margine di discrezionalità che non può essere sindacata dal giudice amministrativo sulla base di autonomi giudizi di graduazione del disvalore della condotta (in tal senso, fra le tante, Consiglio di Stato, IV 21 aprile 2009, n. 2415).

    Il Collegio ritiene di aderire al suesposto secondo indirizzo ermeneutico, in quanto maggiormente aderente al dato normativo.

    Invero la violazione del giuramento, al pari della contrarietà del comportamento alle finalità del Corpo, non sono individuate dalla norma in esame come tipologie di condotta più o meno gravi in relazione ad altre diversamente sanzionate. La norma ha, invece, inteso attribuire all'Amministrazione il potere di interrompere il rapporto di servizio tutte le volte che essa ravvisi un contrasto fra la condotta tenuta dal militare con i doveri inerenti il giuramento da esso prestato o con le finalità del Corpo cui esso appartiene. E ciò sia a tutela dell'efficace svolgimento dei compiti di repressione dei reati e di mantenimento dell'ordine pubblico, sia a tutela del prestigio di cui le forze dell'ordine devono godere presso l'opinione pubblica.

    Non rileva, quindi, la maggiore o minore gravità insita in un determinato comportamento, quanto la sua oggettiva incompatibilità con la divisa portata da chi lo ha commesso.

    Ciò, peraltro, non significa che qualunque condotta possa essere ritenuta, ad insindacabile giudizio dell'Amministrazione, contraria al giuramento o alle finalità del Corpo.

    Il problema, peraltro, nemmeno si pone nei casi, come quello di specie, in cui il reato commesso (violenza sessuale ai danni di un minore seppur con l'attenuante specifica di cui all'art. 609 bis ultimo comma c.p.) rientra fra quelli la cui repressione costituisce una specifica missione della forza cui il militare appartiene: qui il contrasto con le finalità dell'Arma appare palese a prescindere da ogni soggettivo giudizio circa la gravità della infrazione commessa (così T.A.R. Lombardia Milano sez. IV 2 aprile 2012, n. 965)

    Nel caso di specie, tuttavia, vi sono pochi dubbi sul fatto che la condotta tenuta dal ricorrente appaia assolutamente incompatibile con l'appartenenza all'Arma dei Carabinieri non solo per la sua rilevanza penale, ma anche per le modalità con cui è stata commessa che sono state tali da violare la fiducia dei cittadini e dell'intera collettività nei confronti dell'onestà e rettitudine degli appartenenti all'Arma.

    4.5. Per tali ragioni sono tutte da respingere anche le doglianze con cui si contesta l'insufficienza della motivazione a supporto della irrogata sanzione espulsiva, per altro come detto inammissibili nella parte in cui pretende di sindacare la commissione del fatto e la sua rilevanza penale come accertata dal giudicato.

    4.6. Infine, priva di pregio è la censura di incompetenza.

    Ai sensi dell'art. 867 c. 1 del D.lgs. 66/2010, "Codice dell'ordinamento militare" pacificamente applicabile alla fattispecie "il provvedimento (della perdita del grado) è disposto con decreto ministeriale. Per gli appartenenti al ruolo appuntati e carabinieri la perdita del grado è disposta con determinazione ministeriale per i militari in servizio e con determinazione del Comandante generale per i militari in congedo".

    Ne consegue, con ogni evidenza, l'insussistenza del lamentato vizio di incompetenza del Dirigente della Direzione Generale per il personale militare del Ministero della Difesa

    4.7. Parimenti prive di pregio sono tutte le censure mosse con i motivi aggiunti inerenti la violazione dei termini decadenziali per l'esercizio del potere disciplinare.

    Come condivisibilmente evidenziato dalla difesa erariale e risultante dagli atti depositati in giudizio, l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza di condanna irrevocabile (depositata il 19 aprile 2011) in data 11 maggio 2011, ragion per cui la sanzione impugnata risulta ampiamente non solo emanata ma anche notificata entro il termine di 270 giorni di cui all'art. 1392 del D.lgs. 66/2010, benché per giurisprudenza costante, i termini di natura decadenziale previsti in seno al procedimento disciplinare vanno determinati al momento di adozione e non già a quello successivo della notifica (ex plurimis Consiglio di Stato sez IV 16 marzo 2010, n. 4163; T.A.R. Umbria 13 marzo 2013, n. 165).

    4.8. Manifestamente priva di pregio, infine, è la presunta violazione del termine di 20 giorni, di cui all'art. 1387 c. 5 del Codice dell'ordinamento militare, che deve intercorrere tra la data fissata per la riunione della Commissione di disciplina e l'invito a presentarsi rivolto per iscritto al giudicando, in quanto, risultando pienamente garantito il diritto alla difesa dell'interessato, la violazione - anche a voler ritenere il termine in questione quale perentorio e non ordinatorio - è priva di rilievo (Consiglio di Stato sez IV 7 aprile 2008, n. 1484; id. sez. IV 27 novembre 2010, n. 8288).

    5. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso introduttivo RG 75/12 e d i motivi aggiunti sono infondati e debbono essere respinti.

    6. Il secondo ricorso (RG 366/2010) è improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, mentre vanno respinti i motivi aggiunti.

    6.1. Preliminarmente, il provvedimento prot. n. 216507/D-1-30 datato 12 luglio 20l0 a firma del Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, risulta emanato in ottemperanza alla sentenza 390/2010 dell'adito T.A.R., all'esito della sopravvenuta decisione della Corte d'Appello di Perugia di parziale riforma della sentenza di primo grado, frutto dunque di rinnovata istruttoria e ponderazione degli interessi in gioco sulla base dei nuovi elementi fattuali e giuridici sopravvenuti. Come tale, esso assume dunque valore di conferma in senso proprio, sostituendosi con efficacia ex tunc al precedente provvedimento di sospensione adottato nel 2009, si da rendere il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (ex multis T.A.R. Campania Napoli sez. I, 15 ottobre 2012, n. 4129) come eccepito dalla difesa erariale.

    Ne consegue l'improcedibilità del ricorso introduttivo ai sensi dell'art. 35 c. 1 lett. c) cod. proc. amm.

    6.2. L'atto di motivi aggiunti è infondato.

    La sospensione cautelare di un carabiniere dal servizio, quale provvedimento ampiamente discrezionale finalizzato ad evitare la compromissione delle funzioni pubbliche svolte ed il discredito dell'Amministrazione (ex plurimis Consiglio di Stato sez VI 24 gennaio 2011, n. 471) può essere legittimamente disposta in conseguenza del rinvio a giudizio di questi con un'imputazione dalla quale, a conclusione del procedimento disciplinare che farà seguito alla conclusione del processo penale, potrà discendere la sanzione della perdita del grado (T.A.R. Campania - Napoli sez. VI 14 luglio 2008, n. 8759; T.A.R. Lazio - Roma sez. I, 8 luglio 2008, n. 6433) così come del resto ex post avvenuto.

    Trattasi di provvedimento temporaneo e preventivo, prescindente da qualsiasi accertamento della responsabilità dell'inquisito (ex multis T.A.R. Lazio - Roma sez. I 8 luglio 2008, n. 6433) ed assunto a seguito della sentenza d'appello, la quale, pur nell'ambito del riconoscimento della specifica attenuante di cui all'ultimo comma dell'art. 609 bis c.p., ha ribadito la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale di Spoleto e confermato la penale responsabilità del ricorrente per il reato di violenza sessuale ascrittogli.

    A fronte di una condotta di tal gravità, la sospensione cautelare dal servizio rappresenta la conseguenza logica e non certo irragionevole a tutela del prestigio dell'Amministrazione, essendo evidente il discredito derivante dal mantenimento in servizio di un carabiniere che ha ricevuto condanna ancorché non definitiva per il delitto di violenza sessuale in danno di un minore, tale da arrecare una seria turbativa al regolare svolgimento dei suoi delicati compiti istituzionali (così T.A.R. Lazio Roma sez I bis 25 gennaio 2010, n. 826)

    6.3. Alla luce delle suesposte considerazioni tutte le censure di violazione di legge e di eccesso di potere risultano prive di pregio.

    6.4. Quanto alla denunziata indebita integrazione della motivazione in relazione all'applicabilità dell'art. 34 punto 6, trattasi - a tacer d'altro - di circostanza comunque non confermata dalla documentazione depositata in giudizio, poiché l'Amministrazione nell'immediatezza del provvedimento gravato (vedi la nota n. 216567/C1- D-2 del 7 agosto 2009 del Comando Generale dell'Arma) ha ribadito la sussumibilità del fatto addebitato nella previsione di cui al punto 6. Sul punto, poi, nessuna distinzione è possibile trarre dal paradigma normativo di riferimento in merito alla pretesa distinzione tra sospensione "precauzionale" e sospensione "discrezionale", prevedendo l'art. 9 della legge 1168/1961 un potere come detto ampiamente discrezionale, di sospensione cautelare dal servizio qualora il militare sia sottoposto a procedimento penale per imputazione da cui possa derivare la perdita del grado.

    In ogni caso, trattasi di provvedimento di conferma in senso proprio, emanato all'esito di una rinnovata valutazione degli elementi sopravvenuti e degli interessi contrapposti, si da consentire all'Amministrazione ogni utile integrazione del supporto motivazionale già sviluppato in sede della prima sospensione cautelare dal servizio.

    6.5. Quanto, infine, alla lamentata violazione del contraddittorio istruttorio sull'istanza di riesame (artt. 5 e 6 del D.M. 603/93, 7 e 10 - bis L. 241/90) in disparte l'estrema genericità delle doglianze, non era necessaria la comunicazione di avvio del procedimento in relazione alla finalità strettamente cautelare ed urgente che caratterizza la sospensione dal servizio (Consiglio Stato sez. IV 19 maggio 2010, n. 3164) mentre è comprovata per tabulas l'avvenuta comunicazione del c.d. preavviso di rigetto di cui all'art. 10 - bis legge 241/90.

    7. Per i suesposti motivi il ricorso introduttivo (RG 366/2010) è improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, ai sensi dell'art. 35 c. 1 lett. c) cod. proc. amm.; l'atto di motivi aggiunti è infondato e deve essere respinto.

    Sussistono giusti motivi ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 26 cod. proc. amm. e 92 c.p.c. per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite, attesa la particolarità della materia trattata.
    PQM
    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sui ricorsi, integrati da motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, previa riunione, così decide:

    - dichiara il ricorso RG 366/2010 improcedibile e respinge i motivi aggiunti;

    - respinge il ricorso RG 75/2012 ed i motivi aggiunti;

    - spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

    Cesare Lamberti, Presidente

    Stefano Fantini, Consigliere

    Paolo Amovilli, Primo Referendario, Estensore

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 06 GIU. 2013.
Avv. Antonino Sugamele

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