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Sentenza

Anche se il coniuge ha vissuto un passato poco assennato non ha rilevanza. Ciò che conta sono le difficoltà economiche della donna e la condizione di affermato commercialista del marito.
Anche se il coniuge ha vissuto un passato poco assennato non ha rilevanza. Ciò che conta sono le difficoltà economiche della donna e la condizione di affermato commercialista del marito.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 marzo - 3 luglio 2013, n. 16597
Presidente Carnevale – Relatore Mercolino

Svolgimento del processo

1. - Il Tribunale di Ascoli Piceno, dopo aver pronunciato con sentenza non definitiva del 10 dicembre 2002 la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da G.R.S. con A.G., con senten­za definitiva del 17 febbraio 2007 affidò al padre il figlio minore Gianmarco, di­sciplinando l'esercizio del diritto di visita spettante alla madre, pose a carico dello S. l'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio minore e dell'altro figlio G., ormai maggiorenne, ed escluse l'obbligo di corrispondere un as­segno in favore della G.
2. - Sull'impugnazione di quest'ultima, la Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 10 settembre 2007, ha riformato la sentenza definitiva. ponendo a ca­rico dello S. l'obbligo di corrispondere alla G. un assegno men­sile di Euro 500,00, da rivalutarsi annualmente secondo l'indice Istat.
Premesso che la liquidazione dell'assegno divorzile. avente carattere esclusi­vamente assistenziale, dev'essere effettuata in base ad una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge, la Corte ha rilevato che mentre lo S. era un noto ed affermato commercialista, la G., quarantaseienne e titolare di un diplorna di scuola media superiore, era priva di una stabile occupa­zione; pur osservando che la difficoltà di trovare un lavoro redditizio era dovuta alla vita movimentata della donna, già ristretta in carcere per reati di natura patrimoniale, ha ritenuto che il bisogno, prevalente sulla colpa, giustificasse il ricono­scimento del diritto all'assegno.
3. - Avverso la predetta sentenza lo S. propone ricorso per cassa­zione, articolato in cinque motivi. La G. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo d'impugnazione. il ricorrente denuncia la violazio­ne c/o la falsa applicazione dell'art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, osservando che la Corte d'Appello, dopo aver stigmatizzato la condotta te­nuta dalla G., le ha ugualmente accordato l'assegno, conferendo preva­lente rilievo allo stato di bisogno della donna. In tal modo, essa ha attribuito all'as­segno natura alimentare, in contrasto con quella assistenziale prevista dalla legge, trascurando che, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, occorre valutare se l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente sia imputabile a quest'ultimo.
2. - Con il secondo motivo, il ricorrente ribadisce la violazione c/o la falsa applicazione dell'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970. sostenendo che ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno, la sentenza impugnata ha preso in considerazione elementi, quali l'età dei coniugi, il loro grado di scolarizzazione, la stabilità dell'occupazione ed i redditi, ai quali la legge conferisce rilevanza esclu­sivamente ai fini della liquidazione.
3. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l'omessa. insufficiente o con­traddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, osservan­do che. nel desumere la difficoltà della G. a trovare una occupazione redditizia dalla sua vita movimentata la Corte d'Appello è incorsa in contraddizione, oltre ad aver omesso di specificare l'iter logico che l'ha condotta a tale con­clusione; essa ha ritenuto sussistente un divario economico tra le parti, senza pre­viamente indagare in ordine al tenore di vita Goduto dai coniugi in costanza di ma­trimonio; desumendo l'indisponibilità di mezzi adeguati da parte della G. da elementi in sé neutri, quali l'età ed il grado d'istruzione, ed omettendo di verifi­care la stabilità e la redditività dell'attività svolta da esso ricorrente. La Corte terri­toriale ha infine trascurato che l'appellante. la quale aveva ammesso di svolgere un'attività lavorativa, non aveva fornito una ricostruzione neppure sommaria delle proprie sostanze, avendo omesso di produrre le proprie dichiarazioni dei redditi e non avendo dedotto alcun mezzo di prova al riguardo.
4. - Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l'omessa, insufficiente o con­traddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, rilevando che la Corte d'Appello si è astenuta dall'esporre l'iter logico seguito nella liquida­zione dell'assegno; a tal fine, essa si è limitata a far riferimento all'età della richie­dente, al suo grado d'istruzione ed all'instabilità della sua occupazione. ponendo la sua condizione a confronto con quella di esso ricorrente. senza procedere all'anali­si dei rispettivi redditi e senza tener conto dell'esclusiva responsabilità della G. nel fallimento dell'unione, nonché dell'esonero della stessa dall'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli.
5. Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell'ars. 2697 cod. civ.. in relazione all'art. 5, sesto corr,ma, della legge n. 898 del 1970, sostenendo che, nel riconoscere alla G. l'as­segno divorzile, la Corte d'Appello non ha tenuto conto della mancata prova da parte della richiedente del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matri­monio e dell'indisponibilità da parte della stessa di mezzi adeguati, o comunque dell'impossibilità oggettiva di procurarseli.
6. - Il ricorso non merita accoglimento, pur dovendosi procedere, ai dell'art. 284, ultimo comma, cod. proc. civ., alla correzione della motivazione del­la sentenza impugnata, nella parte in cui ha subordinato il riconoscimento dell'as­segno all'accertamento dello stato di bisogno dell'intimata e ad un giudizio di pre­valenza dello stesso rispetto alla colpa dell'interessata.
L'affermazione della natura assistenziale dell'assegno trova infatti riscontro nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ricollega tale carattere alla disciplina dettata dall'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, la quale individua, quale presupposto per il riconoscimento di tale contribu­to, l'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente e l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.
Peraltro, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, tale inade­guatezza dev'essere intesa non già come stato di bisogno, ovverosia come man­canza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui il richiedente dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibil­mente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o che poteva legittima­mente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 12 febbraio 2013. n. 3398; 5 dicembre 2002. n. 17246; 17 marzo 2000, n. 3101; Cass., Sez. lav., 23 febbraio 2006, n. 4021).
L'esigenza che l'indisponibilità di mezzi economici adeguati sia ricollegabile a ragioni obiettive non giustifica poi il bilanciamento compiuto dalla Corte territo­riale tra lo stato di bisogno e la colpa della richiedente, non occorrendo, ai fini dell'attribuzione dell'assegno, un'indagine in ordine all'imputabilità delle circostanze che hanno condotto il coniuge istante al presente stato di ristrettezza eco­nomica, ma solo una valutazione in ordine alla sua attuale capacità di procurarsi ulteriori risorse, al fine di stabilire se l'inadeguatezza dei mezzi di cui dispone sia dovuta ad una sua colpevole inerzia.
Siccome, peraltro, lo stato di bisogno costituisce una condizione di ristrettez­za più grave di quella in cui consiste l'inadeguatezza dei mezzi disponibili (cfr. Cass.. Sez. I, 22 febbraio 2006, n. 3838; 16 luglio 2004. n. 13169; 29 gennaio 2003, n. 1342), e nel predetto bilanciamento è stato ritenuto prevalente rispetto al­la colpa dell'intimata, l'errata individuazione dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, non avendo il ricorrente interesse a dolersi, da un lato. dell'applicazione di un parametro di valutazione più rigoroso di quello prescritto dall'art. 5, sesto comma, cit., e non avendo la colpa spiegato, dall'altro, alcuna concreta incidenza sulla decisione.
6.1. -- Com'è noto, il diritto del coniuge all'assegno divorzile dev'essere ac­certato verificando la disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici a­deguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello godu­to in costanza di matrimonio, mentre la liquidazione dell'importo dovuto, una vol­ta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, dev'essere compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata dei matrimonio. le condizioni dei coniu­gi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascu­no alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, il reddito di entrambi (cfr. Cass.. Sez. I, 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006. n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040; 27 settembre 2002, n. 14004).
Tali criteri sono stati correttamente applicati dalla Corte d'Appello, la quale ha posto a confronto la precarietà della situazione occupazionale della G. con la posizione economica, indubbiamente più agiata, connessa all'attività libero-professionale esercitata dallo S., concludendo pertanto per la configurabi­lità di un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche dell'intimata, in conseguenza dello scioglimento del matrimonio, tale da giustificare l'imposi­zione a carico del ricorrente dell'obbligo di corrispondere un contributo volto a ri­stabilire l'equilibrio tra le parti.
La correttezza logico-giuridica di tale ragionamento non è in alcun modo pregiudicata dalla mancanza di uno specifico riferimento ai redditi dei coniugi ed al tenore di vita dagli stessi goduto in costanza di matrimonio, avendo la Corte d'Appello fatto espressa menzione dell'età delle parti, del loro grado di istruzione e della rispettiva occupazione, quali indici delle potenzialità economiche dei co­niugi, che assumono rilievo non solo ai fini della commisurazione dell'assegno. ma anche per l'individuazione del livello economico-sociale dei nucleo familiare, in riferimento al quale dev'essere valutato l'eventuale deterioramento della situa­zione economica del richiedente, ove, come nella specie, non risulti che nel giudi­zio di merito sìa stato dedotto il sopravvenire di mutamenti rispetto all'epoca della cessazione della convivenza (cfr. Cass., 12 luglio 2007, n. 15610; 4 settembre 2004, n. 17895; 7 maggio 2002, n. 6541). Quanto alla prova dell'impossibilità di
procurarsi mezzi economici adeguati, la sentenza impugnata, nonostante l'inap­propriato bilanciamento tra lo stato di bisogno e la colpa dell'intimata, ha dato e­spressarnente atto delle difficoltà incontrate da quest'ultima ai fini dell'inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto in dipendenza dei suoi precedenti penali, i qua­li, come si è detto, in questa sede vengono in considerazione non già come ele­mento di valutazione della condotta pregressa dell'istante, bensì nella loro oggettiva portata di circostanze ostative al pieno dispiegamento della sua capacità lavora­tiva.
Nessun rilievo, poi, ai fini della liquidazione dell'assegno, può assumere l'o­messa considerazione di circostanze ulteriori, quali la responsabilità dell'intimata nel fallimento dell'unione e l'esonero della stessa da obblighi di assistenza familia­re, dal momento che l'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, nell'assog­gettare la valutazione del giudice ad una pluralità di parametri. non richiede una puntuale considerazione di ciascuno degli elementi indicati, risultando sufficiente che la decisione appaia adeguatamente giustificata sulla base di un esame compa­rativo delle condizioni economiche delle parti (cfr. Cass.. Sez. I, 4 aprile 2011, n. 7601; 28 aprile 2006, n. 9876; 7 maggio 1998, n. 4617).
7. - Corretta pertanto negl'indicati sensi la motivazione della sentenza im­pugnata, il ricorso va rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell'intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

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