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Sentenza

Alla moglie 2.500 euro non affidataria dei figli. La cessione della casa è atto gratuito non opponibile ai creditori.
Alla moglie 2.500 euro non affidataria dei figli. La cessione della casa è atto gratuito non opponibile ai creditori.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 novembre 2012- 10 aprile 2013, n. 8678
Presidente Plenteda – Relatore Cristiano

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 25.11.05, ha accolto l'impugnazione proposta dal Fallimento della Costruzioni Ravarino s.a.s. di Ravarino Domenico e dal Fallimento personale di R.D. contro la sentenza del Tribunale di Vercelli che aveva respinto la domanda ex art. 64 l. fall., avanzata dall'appellante nei confronti di D..A. , moglie separata del socio illimitatamente responsabile della s.a.s., ed ha dichiarato inefficace nei confronti della massa dei creditori l'atto con il quale, in sede di separazione consensuale, omologata pochi mesi prima del fallimento, R. aveva attribuito alla moglie l'unico immobile di sua proprietà.
La Corte territoriale, rilevato che, in base agli accordi assunti, R. avrebbe versato ad A. , non affidataria di figli minori, un assegno mensile di L. 2.500.000, ha escluso che il trasferimento dei beni trovasse giustificazione in un interesse economico del fallito qualificabile, sia pure in senso lato, come corrispettivo o potesse configurarsi quale adempimento di un obbligo giuridico nascente dalla separazione ed ha pertanto ritenuta provata la gratuità dell'atto.
D..A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi, cui il Fallimento ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, D..A. , denunciando violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. nonché vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale, dopo aver rilevato che nell'atto di citazione il Fallimento aveva richiesto la declaratoria di simulazione dell'intero atto di separazione omologato ed avere, pertanto, correttamente ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la domanda di accertamento della simulazione del solo atto di trasferimento proposta dal Fallimento con il primo motivo d'appello, ha inspiegabilmente omesso di estendere il medesimo ragionamento alla domanda di inefficacia di cui all'art. 64 l. fall., che, nel giudizio di primo grado, era anch'essa rivolta all'atto di separazione nella sua interezza.
Il motivo è infondato.
Dagli atti del giudizio, che questa Corte ha il potere di esaminare attesa la denuncia di un error in procedendo, emerge infatti che, sia in primo che in secondo grado, il Fallimento ha chiesto di dichiarare l'inefficacia, ai sensi dell'art. 64 l. fall., non già dell'intero accordo di separazione consensuale ma "del verbale di assegnazione beni 13.12.99 con il quale R.D. ha ceduto ad A.D. ...le unità immobiliari...".
2) Col secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 64 l.fall., contesta che gli atti di attribuzione patrimoniale contenuti in un verbale di separazione consensuale possano soggiacere alla sanzione di inefficacia prevista dalla norma che assume violata. Rileva in proposito che fra le pattuizioni patrimoniali contenute nel verbale di separazione, attraverso le quali i coniugi perseguono un risultato economico unitario e complesso, sussiste un collegamento negoziale che le rende indissolubili, con la conseguenza che, nel loro ambito, non è possibile operare distinzioni, ritenendo a titolo oneroso o, comunque, giustificata dai doveri contemplati dagli artt. 143, 144 e 147 c.c., la sola corresponsione di un assegno mensile di mantenimento e non anche il trasferimento in proprietà di beni determinati. Aggiunge che, sul punto, la decisione della Corte di merito è totalmente priva di motivazione.
3) Con il terzo motivo, denunciando ancora violazione degli artt. 64 l. fall., e 112 e 345 c.p.c. nonché vizio di motivazione, A. lamenta in primo luogo che la Corte torinese abbia qualificato come eccezione di simulazione relativa, sollevata solo in sede d'appello e pertanto dichiarata inammissibile, la difesa con la quale, nel contestare la gratuità dell'atto di attribuzione dell'immobile, ella aveva sostenuto che il trasferimento trovava giustificazione nelle spese da lei in passato affrontate per la ristrutturazione del bene, avvenuta grazie al reimpiego delle somme ricavate dalla vendita di una tabaccheria di sua esclusiva proprietà.
Sotto altro profilo, la ricorrente rileva che la predetta argomentazione era stata già ampiamente illustrata nel giudizio di primo grado, con la conseguenza che, pur dando per ammesso che essa si sostanziasse in una vera e propria eccezione, il giudice d'appello avrebbe errato nel ritenerla nuova.
A. lamenta, infine, l'omessa valutazione da parte della Corte di merito delle dichiarazioni rese dai testi sentiti nel corso del giudizio di primo grado a conferma della predetta circostanza e dei documenti che dimostravano l'esiguo valore dell'immobile, gravato da un'ipoteca convenzionale a favore di un istituto bancario, che, unitariamente considerati, avrebbero dovuto convincere dell'onerosità dell'atto di trasferimento, compiuto da R. in adempimento di un vero e proprio dovere giuridico, riconducibile in parte all'obbligo di mantenimento ed in parte a rimborso o ad indennizzo, ai sensi degli arti 935 o 2041 c.c..
I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, vanno respinti previa parziale correzione, ai sensi dell'art. 384 ultimo comma c.p.c., della motivazione in diritto in base alla quale la Corte territoriale ha dichiarato l'inefficacia dell'atto impugnato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le attribuzioni di beni mobili o immobili disposte, nell'ambito degli accordi di separazione personale, da un coniuge in favore dell'altro rispondono, di norma, ad un intento di sistemazione dei rapporti economici della coppia che sfugge, da un lato, alle connotazioni di una vera e propria donazione (di per sé estranea ad un contesto caratterizzato dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), e dall'altro a quelle di un atto di vendita (non fosse altro che per l'assenza di un prezzo corrisposto), e svela, dunque, una sua tipicità, che può colorarsi dei tratti propri dell'onerosità o della gratuità a seconda che l'attribuzione trovi o meno giustificazione nel dovere di compensare e/o ripagare l'altro coniuge del compimento di una serie di atti a contenuto patrimoniale, anche solo riflesso, da questi posti in essere nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale (cfr. Cass. nn. 5476/2006, n. 5741/04). Spetta dunque al giudice del merito, investito della domanda di inefficacia dell'atto dispositivo svolta da un terzo creditore ai sensi dell'art. 2901 c.c. (o, come nella specie, dal fallimento del coniuge disponente, ai sensi dell'art. 64 l. fall. ), di accertare, in concreto, se l'attribuzione del cespite debba ritenersi compiuta a titolo oneroso od a titolo gratuito. E tale accertamento, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, sfugge al sindacato di legittimità. Ebbene, la Corte territoriale ha compiutamente illustrato le ragioni che l'hanno indotta a concludere per la gratuità dell'atto: ha infatti rilevato che il fallito già si era obbligato a corrispondere alla moglie, non affidataria di figli minori o privi incolpevolmente di reddito, un assegno di mantenimento di L. 2.500.000 mensili e che, poiché la misura di detto assegno era congrua (ovvero idonea ad assicurare tendenzialmente ad A. un tenore di vita equivalente a quello goduto in costanza di convivenza), l'attribuzione patrimoniale dedotta in causa, avente ad oggetto l'unico immobile di proprietà del R. , divenuto in seguito ad essa totalmente impossidente, non poteva ritenersi volta ad adempiere ad un obbligo giuridico nascente dalla separazione e risultava priva di qualsivoglia contropartita economica.
Vero è che il giudice del merito è giunto a detta conclusione ritenendo erroneamente che la tesi di A. - secondo cui l'atto aveva avuto la funzione di ripagarla delle spese di ristrutturazione dell'immobile, eseguite grazie ai proventi della vendita di una tabaccheria di sua esclusiva proprietà - non potesse essere esaminata, siccome risolventesi in un'inammissibile eccezione di simulazione relativa del verbale di separazione, per di più proposta solo in sede di appello.
In contrario, va rilevato che i fatti allegati dall'odierna ricorrente, contrastanti con quelli posti dal Fallimento a fondamento della domanda di inefficacia, non solo integravano mere difese, volte esclusivamente a paralizzare l'altrui pretesa, ma erano stati già compiutamente dedotti nel corso del giudizio di primo grado, tanto da aver formato oggetto della prova orale espletata. Tuttavia - in difetto di specificazione sia dell'effettivo valore dell'immobile trasferito in sede di separazione consensuale, sia dell'esatto ammontare delle somme impiegate per la sua ristrutturazione - va esclusa la decisività delle prove orali non esaminate dal giudice d'appello, posto che le generiche dichiarazioni rese dai testi escussi, neppure corroborate da evidenze documentali, risultano inidonee a fondare la certezza del carattere, sia pur in senso lato, "oneroso" dell'avvenuta attribuzione patrimoniale.
Va, infine, dichiarata inammissibile la censura con la quale A. si duole della mancata valutazione da parte del giudice del merito di "documenti" (non meglio indicati) dai quali si sarebbe dovuta trarre la prova che sull'immobile gravava un'ipoteca che ne riduceva notevolmente il valore, il cui contenuto non è stato riportato in ricorso e che non possono essere ricercati, in via esplorativa, all'interno del fascicolo di parte della ricorrente, che ha omesso di precisare in quale sede e con quale numerazione li abbia prodotti. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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