Alcamese condannato per avere effettuato triturazione e gestione di rifiuti speciali (apparecchiature elettroniche fuori uso, aventi CER 200135) senza l'autorizzazione di legge.
Cassazione penale sez. III Data:7/03/2013 ( ud. 07/03/2013 , dep.07/05/2013 )
Numero: 19488
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - rel. Consigliere -
Dott. MARINI Luigi - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) D.V. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/10/2012 della Corte d'Appello di Palermo.
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. AMORESANO Silvio.
Sentite le conclusioni del PG Dr. Montagna Alfredo, che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 10.10.2012 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trapani, sez. dist.
di Alcamo del 15.2.2011, con la quale D.V. era stato condannato per i reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 per aver effettuato, in assenza di autorizzazione, mediante operazioni di triturazione, un'attività di gestione di rifiuti speciali (apparecchiature elettroniche fuori uso, aventi CER 200135) - capo a) e per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 per aver effettuato, in assenza di autorizzazione, un'attività di gestione di rifiuti speciali non pericolosi - oli vegetali - (capo b), assolveva il D. dal reato di cui al capo b) perchè il fatto non costituisce reato e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena per il residuo reato di cui al capo a) in mesi 4 di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda. La Corte territoriale, pur dando atto che l'imputato era in possesso di autorizzazione della Provincia di Trapani per il compimento di attività nel settore dei rifiuti (per cui si imponeva l'assoluzione dal reato di cui al capo b), riteneva che tale autorizzazione non prevedesse la triturazione di apparecchiature tecnologiche (condotta contestata al capo a). Nè peraltro, trattandosi di un imprenditore che operava nel settore, era sostenibile che avesse equivocato sulla portata dell'autorizzazione.
2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione.
La Corte territoriale, senza tener conto che entrambe le condotte erano ascrivibili alla medesima fattispecie incriminatrice (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256), ha assolto l'imputato soltanto dal reato di cui al capo b) per difetto dell'elemento psicologico. E, per confermare la sentenza di condanna in ordine al reato di cui al capo a), ha fatto riferimento a congetture, pervenendo a conclusioni opposte e contraddittorie in relazione all'esistenza dell'elemento psicologico. Anche a voler aderire alla tesi della Corte territoriale, troverebbe, comunque, applicazione il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, trattandosi di Inosservanza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. E' pacifico che, per escludere la responsabilità nelle contravvenzioni, è necessario che l'imputato provi di aver fatto quanto era possibile per osservare la legge e che quindi nessun rimprovero può essergli mosso neppure per negligenza o imprudenza.
La buona fede acquista giuridica rilevanza solo se si risolva, a causa di un elemento estraneo all'agente, in uno stato soggettivo che sia tale da escludere anche la colpa. Sicchè la buona fede può esentare da responsabilità penale soltanto se il soggetto abbia violato la legge per cause indipendenti dalla sua volontà: la violazione della norma deve apparire, cioè, determinata da errore inevitabile che si identifica con il caso fortuito o la forza maggiore.
Quanto all'errore di diritto scusabile, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 24.3.1998, è configurarle solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità. Secondo le sezioni unite di questa Corte "Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qual volta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto dovere di informazione, attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia.
Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto" (cfr.
Cass. pen. sez. un. 18.7.1994 n. 8154). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che "La esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall'errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi da mero errore di interpretazlone che diviene scusabile quando è determinato da un atto della p.a. o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante da cui l'agente tragga la convinzione della correttezza dell'interpretazlone normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 4951 del 17.12.1999; conf. Cass. pen. sez. 3 n. 28397 del 16.4.2004; sez. 3 n. 4991 del 4.11.2009; sez. 6 n. 6991 del 25.1.2011).
3. La Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha rilevato, innanzitutto, che l'autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Trapani, e di cui era in possesso il ricorrente, non comprendeva la triturazione di apparecchiature tecnologiche;
sotto il profilo soggettivo, ha poi evidenziato che non era in alcun modo configurabile la buona fede, non essendo sostenibile che un imprenditore, operante nel settore dei rifiuti, avesse mai potuto equivocare sul contenuto di detta autorizzazione. Non vi era quindi spazio per incertezze od equivoci determinati dal provvedimento amministrativo in questione.
4. Nè è ravvisabile alcuna contraddizione nella sentenza impugnata, che ha mandato assolto l'imputato soltanto dal reato di cui al capo b).
Pur essendo indicata la medesima fattispecie incriminatrlce (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1) le condotte contestate sono diverse. Nel capo b) si fa riferimento ad "una attività di gestione di rifiuti speciali non pericolosi (oli vegetali esausti aventi CER 210125), i quali, mediante utilizzo di un impianto di lavaggio/pulitura dei contenitori intrisi della predetta sostanza, venivano convogliati..", mentre nel capo a) ad "una attività di gestione di rifiuti speciali pericolosi (apparecchiature elettroniche fuori uso, aventi CER 200135).."mediante operazioni di triturazione".
E la Corte ha accertato (e sul punto non vi è neppure contestazione) che la condotta di cui al capo a) non era oggetto di autorizzazione.
Infine non è certo configurabile l'ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, non potendo parlarsi di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione, trattandosi, come si è visto, di svolgimento di attività non prevista ed estranea all'autorizzazione medesima.
5. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
E' appena il caso di aggiungere che l'inammissibilità del ricorso precluderebbe, comunque, la possibilità di dichiarare la prescrizione eventualmente maturata dopo l'emissione della sentenza impugnata.
Peraltro siffatta causa estintiva non è ancora intervenuta alla data odierna, dovendosi tener conto della sospensione dal 6.5.2010 al 21.10.2010.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2013
31-08-2013 21:44
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