A 3 medici chirurghi, imputati di lesioni colpose gravissime, per avere effettuato un intervento cardiochirurgico di rivascolarizzazione miocardica con applicazione di bypass coronarici, viene contestata l'omissione di compiere una adeguata valutazione del rischio post-operatorio, che aveva portato all'amputazione della gamba destra a causa di una mancata rivascolarizzazione dell’arto.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 – 25 giugno 2013, n. 27781
Presidente Brusco – Relatore Marinelli
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 28 settembre 2010 il Tribunale di Firenze assolveva P.G. , D.L.F. e M.A. dal reato di cui all'art.590 cpv c.p. perché il fatto non sussiste.
Ai tre imputati, nelle rispettive qualità di operatori dell'intervento cardiochirurgico di rivascolarizzazione miocardica con applicazione di tre bay pass, uno dei quali realizzato mediante asportazione della vena safena dalla gamba destra, effettuato in data (omissis) sul paziente C.A. e il D.L. anche di sanitario che seguì costantemente il decorso post operatorio fino al (omissis) , era stato contestato di avere per colpa consistita nell'avere i cardiochirurghi omesso di compiere una adeguata valutazione del rischio post operatorio del soggetto in relazione alla grave arteriopatia obliterante agli arti inferiori da cui era affetto, con conseguente stato ischemico cronico, nonché alla affezione di diabete mellito - condizioni ostacolanti i processi riparativi cicatriziali e favorenti le complicanze infettive - e nel non avere comunque i sanitari prescritto ed eseguito un tempestivo intervento di rivascolarizzazione chirurgica dell'arto e una tempestiva coltura della ferita con antibiogramma, necessaria ad individuare specifica terapia antibiotica, che si imponevano attesa l'evoluzione negativa della ferita chirurgica conseguente al prelievo di safena, cagionato al paziente una lesione personale gravissima, consistita in un'ulcera necrotica ingravescente alla gamba destra complicata da sepsi che rendeva necessaria l'amputazione dell'arto.
Avverso la decisione del Tribunale di Firenze hanno proposto appello il Procuratore generale nei confronti dei soli dottori P. e D.L. e la parte civile C.A. nei confronti di tutti e tre i cardiochirurghi.
La Corte di Appello di Firenze in data 9.02.2012, con la sentenza oggetto del presente ricorso, in riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, dichiarava P.G. e D.L.F. colpevoli del reato loro ascritto e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante condannava ciascuno alla pena di mesi tre di reclusione ed al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio, con i doppi benefici; condannava gli imputati P.G. e D.L.F. , nonché M.A. in solido al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore della parte civile C.A. alla quale assegnava una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 50.000,00; condannava gli imputati, nonché M.A. in solido al rimborso delle spese di costituzione, rappresentanza e difesa della parte civile in entrambi i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo.
Avverso la predetta sentenza proponevano distinti ricorsi per Cassazione D.L.F. , G..P. e M.A., a mezzo dei loro difensori, chiedendone l'annullamento e la censuravano per i seguenti motivi:
1) nullità della gravata sentenza ai sensi dell'art. 606 c. 1 lett. e) c.p.p. per carenza,contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sia in merito alla prova circa la ritenuta sussistenza dei profili di colpa contestati ai prevenuti, sia in merito alla prova del nesso di causalità tra le condotte omissive ascritte e l'evento lesivo, vizi emergenti dal testo stesso del provvedimento impugnato, nonché da atti del processo specificatamente indicati e allegati al ricorso.
Osservava la difesa dei ricorrenti che tre erano sostanzialmente i profili di colpa loro contestati.
a) l'avere omesso di compiere una preventiva adeguata valutazione del rischio post operatorio del paziente;
b) il non avere prescritto ed eseguito una tempestiva coltura della ferita con antibiogramma, necessaria ad individuare la specifica terapia antibiotica;
c) l'avere omesso di prescrivere ed effettuare un tempestivo intervento di rivascolarizzazione chirurgica dell'arto a seguito della evoluzione negativa della ferita chirurgica. Per quanto attiene al primo profilo di colpa, consistito in particolare nella omessa esecuzione di un esame eco-doppler artero-venoso agli arti inferiori per valutarne la circolazione periferica, rilevavano le difese che il giudice di primo grado aveva evidenziato che l'effettuazione di questo tipo di esame in un momento precedente all'intervento chirurgico di bypass coronarico non risultava prevista da nessun protocollo ufficiale e che comunque, come era stato evidenziato dal consulente del pubblico ministero, quand'anche questo esame fosse stato effettuato e fosse stato rilevato il precario stato circolatorio degli arti inferiori, l'intervento principale e cioè quello cardochirurgico di applicazione dei bypass avrebbe dovuto essere effettuato mediante l'asportazione della vena safena.
Sul punto rilevava il ricorrente D.L.F. che comunque, come già ritenuto nella sentenza di primo grado, tale eventuale obbligo di effettuare sul paziente prima dell'operazione l'esame di cui sopra non poteva certo gravare su di lui, che era stato chiamato a partecipare unicamente in qualità di "aiuto cardiochirurgo" e aveva conosciuto il paziente soltanto in sala operatoria.
La difesa del ricorrente G..P. rilevava che comunque un ecodoppler fu eseguito dal Dott. G. in data (OMISSIS) e il risultato era classificato "ok", come testimoniato altresì dal consulente di parte civile Dott. B. . Pertanto, osservava la difesa, non solo tale esame preoperatorio non era indicato nei protocolli, ma anche se fosse stato effettuato prima dell'intervento cardochirurgico, non avrebbe impedito il prelievo della vena safena perché il circolo venoso sarebbe risultato idoneo.
Per quanto poi attiene al secondo profilo di colpa relativo all'omessa esecuzione di una tempestiva coltura della ferita con antibiogramma necessaria a individuare specifica terapia antibiotica, la difesa di D.L. faceva osservare che il Tribunale nella sentenza di primo grado aveva osservato che, come era emerso all'esito dell'istruttoria dibattimentale, il D.L. aveva effettuato la coltura della ferita, facendo rilevare tempestivamente l'agente patogeno che aveva determinato il processo infettivo, modificando conseguentemente la terapia antibiotica. Evidenziavano i difensori che nei primi giorni di (OMISSIS) il D.L. , visitato per la prima volta il paziente dopo l'intervento al cuore, presa visione della ferita e allarmato per il ritardo nella cicatrizzazione, aveva fatto effettuare l'esame batterico, come risultava dal referto attestante l'esame colturale effettuato in data (OMISSIS) . Osservava sul punto ancora la difesa del D.L. che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, il ricorrente, all'esito dell'esame, si era subito attivato per modificare la terapia antibiotica, dandone immediata comunicazione al paziente.
Anche la difesa di G..P. argomentava su tale ritenuto profilo di colpa ed evidenziava che il Dott. D.L. aveva provveduto a far effettuare l'esame di cui sopra nella prima visita di controllo, decorsi 30 giorni dalle dimissioni dopo l'intervento al cuore. Peraltro dalle risultanze dibattimentali era emerso che il paziente, dopo le dimissioni, non era stato mandato a casa, ma era stato indirizzato all'Ospedale di (OMISSIS) per controlli. In tale ospedale era stato ricoverato e visitato da tre medici, che lo avevano dimesso due giorni dopo perché asintomatico. Alla metà del mese di giugno il paziente era stato poi ancora visitato dal Dott. F. presso l'ospedale (OMISSIS) .
La difesa del ricorrente M.A. evidenziava inoltre che,per quanto riguardava quest'ultimo, nessun profilo di colpa poteva ravvisarsi nel post-operatorio, atteso che quest'ultimo non aveva mai avuto a che fare dopo l'intervento con il paziente C. , mentre il ricorrente P. soltanto nel settembre aveva avuto notizia delle complicazioni di cui sopra.
In conclusione i difensori di tutti e tre i ricorrenti ritenevano che, sulla base delle conclusioni a cui erano giunti i vari esperti che si erano interessati della vicenda, il processo degenerativo della ferita era da ricondurre alle condizioni patologiche del paziente affetto da arteriopatia obliterante e da diabete, condizioni che ostacolano il processo di cicatrizzazione e favoriscono l'instaurarsi di infezioni batteriche, fattori alternativi alle contestate condotte dell'imputato, che avevano influenzato il successo degli sforzi terapeutici.
Passando poi al terzo profilo di colpa e cioè alla omissione di intervento di rivascolarizzazione chirurgica dell'arto, i difensori dei ricorrenti rilevavano che all'esito dell'istruttoria dibattimentale erano emerse testimonianze univoche che escludevano la sua fattibilità per i rischi che comportava, in considerazione delle condizioni del paziente. Ritenevano pertanto che la Corte territoriale aveva ritenuto tale elemento di colpa, senza darne adeguata motivazione ed incorrendo in contraddizioni con quanto era emerso dall'istruttoria dibattimentale.
2) Art.606 lett. b) c.p.p. - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 590 c.p. in combinato disposto con gli articoli 40 e 43 c.p.. Osservavano le difese, in particolare quella del ricorrente P. , che il C. , all'atto delle dimissioni da (omissis) , ove era stato effettuato l'intervento al cuore, era stato preso in carico dai medici dell'ospedale di (omissis) , uscendo quindi dal rapporto di garanzia con i medici odierni imputati ed entrando in un nuovo rapporto di garanzia con i medici che lo visitarono all'ospedale di (OMISSIS) . La Corte di appello aveva completamente omesso di esaminare tale aspetto incorrendo in vizio di motivazione.
Rilevavano inoltre le difese che il paziente, anche prima dell'intervento, nel marzo 2005, era stato ricoverato all'ospedale di (omissis) e in tale nosocomio erano stati effettuati gli accertamenti pre-operatori.
In conclusione sostenevano i difensori che nessun nesso di causalità poteva rinvenirsi tra i pretesi comportamenti omissivi addebitati agli odierni ricorrenti e l'evento, né alcun profilo di colpa poteva essere loro attribuito in quanto, come sopra indicato, fattori alternativi avevano portato al verificarsi dell'evento lesivo.
Considerato in diritto
Osserva la Corte che i difensori dei ricorrenti hanno osservato, per quanto attiene al primo profilo di colpa, consistito nella omessa esecuzione di un preventivo (rispetto all'intervento cardochirurgico) esame eco-doppler artero - venoso agli arti inferiori per valutarne la circolazione periferica, che il giudice di primo grado aveva evidenziato che l'effettuazione di questo tipo di esame in un momento precedente all'intervento chirurgico di bypass coronarico non risultava prevista da nessun protocollo ufficiale e che comunque, come era stato evidenziato dal consulente del pubblico ministero Dott. Leoncini, quand'anche questo esame fosse stato effettuato e fosse stato rilevato il precario stato circolatorio degli arti inferiori, l'intervento principale e cioè quello cardochirurgico di applicazione dei bypass avrebbe dovuto comunque essere effettuato mediante l'asportazione della vena safena (cfr pagine 8 e 9 della sentenza di primo grado).
I giudici della Corte territoriale invece nella sentenza impugnata hanno testualmente affermato che "l'esame, rientrante nelle competenze specialistiche dei garanti, propedeutico all'intervento cardochirurgico avrebbe sicuramente rilevato la grave arteriopatia obliterante agli arti inferiori del C. ed (almeno), se non "scelte alternative" maggiori cautele nell'immediato per scongiurare, prevenire, conoscere, affrontare i sicuri rischi per la guarigione della ferita chirurgica nella fase postoperatoria". Si legge ancora nella sentenza impugnata che al rilievo del pubblico ministero appellante secondo cui il "protocollo" per l'intervento di safenectomia prevede l'effettuazione preventiva dell'esame ecodoppler nulla aveva obiettato la difesa, mentre uno degli argomenti sempre sostenuto dalle difese è proprio quello che nessun "protocollo" prevedeva l'effettuazione di un preventivo esame eco-doppler.
Tanto premesso si osserva che i giudici della Corte territoriale non hanno spiegato da che cosa hanno desunto, in contrasto con quanto affermato nella sentenza di primo grado, che le linee guida o protocolli prevedevano l'effettuazione di un preventivo esame eco-doppler.
Su tale punto la sentenza impugnata dovrà essere annullata con rinvio affinché appunto i giudici di appello indichino gli elementi da cui hanno desunto l'obbligatorietà di tale esame prima di effettuare l'intervento cardiochirurgico. In caso affermativo e se l'intervento cardochirurgico poteva essere realizzato soltanto mediante l'asportazione della vena safena dalla gamba destra, non essendo praticabili alternative diverse, dovranno i giudici di appello rivalutare il post-factum al fine di accertare se violazioni delle regole cautelari abbiano determinato l'evento.
Sebbene infatti sia indubitabile che vi siano stati ritardi nell'effettuazione di una tempestiva coltura della ferita con antibiogramma e mancanze colpevoli nella omessa effettuazione di un intervento di rivascolarizzazione chirurgica dell'arto, ciò nonostante i giudici della Corte territoriale dovranno stabilire se sussista il nesso di causalità tra tali condotte omissive e l'evento.
Si osserva, a tal proposito, che il rapporto di causalità costituisce un criterio di imputazione oggettiva di un evento alla condotta di un soggetto; solo se l'evento può essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l'agente potrà essere tenuto a risponderne, sempre che concorrano i criteri di imputabilità soggettiva.
Peraltro, nella ipotesi di causalità omissiva,il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto; per cui la causalità omissiva si configura come una costruzione giuridica (art. 40, 2 comma c.p., che, non a caso, usa la locuzione "equivale": non impedire equivale a cagionare), che consente di ricostruire l'imputabilità oggettiva come violazione di un obbligo di agire, di impedire il verificarsi dell'evento (in violazione del cosiddetto obbligo di garanzia); omissione che provoca l'evento di pericolo o di danno (reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione); contrapposti ai reati omissivi propri nei quali il reato si perfeziona con la mera omissione della condotta dovuta.
Nei reati omissivi impropri, quindi, la causalità, proprio per essere giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce una causalità costruita su ipotesi e non già su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva su di un giudizio contro fattuale ("contro i fatti": se l'intervento omesso fosse stato adottato, si sarebbe evitato il prodursi dell'evento?) alla quale si fa ricorso per ricostruire una sequenza che, però, a differenza della causalità commissiva, non potrà mai avere una verifica fenomenica.
Con la sentenza Franzese del 10 luglio 2002 n. 30328 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno posto un punto fermo su questa complessa problematica.
Secondo la sentenza di cui sopra "nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva".
Pertanto, in tema di causalità nei reati omissivi impropri, può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e "processualmente certa" la conclusione che la condotta omissiva dell'imputato è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".
Ciò premessesi osserva che i giudici della Corte territoriale dovranno compiere il giudizio contro fattuale, che non risulta effettuato nella sentenza impugnata, seguendo le indicazioni della sopra indicata giurisprudenza di legittimità sul punto, al fine di accertare se sussista o meno il nesso di causalità tra le condotte omissive attribuite ai ricorrenti e l'evento.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo esame rimettendo alla medesima Corte il regolamento delle spese tra le parti.
30-06-2013 19:45
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