4 mesi di reclsuione per avere occupato arbitrariamente terreni demaniali mediante la realizzazione di una recinzione e facendovi pascolare all'interno una mandria di vacche.-
Cassazione penale sez. fer. 05/09/2013 ( ud. 05/09/2013 , dep.08/10/2013 )
Numero: 41658
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Presidente -
Dott. DUBOLINO Pietro - Consigliere -
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -
Dott. ANDREAZZA Gastone - rel. Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.V., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data
24/04/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24/04/2012 La Corte d'Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Lucera, sezione distaccata di Apricena, di condanna di D.V. alla pena di mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p. in relazione all'arbitraria occupazione di parte dei terreni demaniali ubicati in località (OMISSIS) mediante la realizzazione di una recinzione e facendovi pascolare all'interno una mandria di vacche (capo a) e di cui all'art. 81 c.p. e art. 636 c.p., comma 3, in relazione all'abbandono di una mandria di vacche nel terreno medesimo danneggiando in tal modo il grano coltivato in detto fondo (capo b).
2. Ha presentato ricorso l'imputato tramite il proprio difensore.
Con un unico sostanziale motivo lamenta la mancanza e contraddittorietà della motivazione quanto alla sussistenza della prova della responsabilità, fondata sulla sola appartenenza all'imputato delle mucche che si trovavano all'interno del recinto e sulla funzionalità di quest'ultimo rispetto a precise utilità dell'imputato; in particolare, la motivazione sarebbe contraddittoria con quanto contenuto nella stessa sentenza laddove, nell'assolvere la coimputata Iosa, la stessa Corte avrebbe attestato come insufficiente il fatto che ella fosse proprietaria ed intestatala della mandria presso la Asl. Contesta inoltre il fatto che le mucche fossero di proprietà dell'imputato non essendo stato effettuato alcun accertamento sul punto da parte dei verbalizzanti L. e P., nè essendo emerso alcun elemento distintivo che potesse attribuirne l'appartenenza all'imputato.
Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
3. Va anzitutto ricordato che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
resta dunque esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 dell' 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893).
In applicazione del principio appena ricordato, sono dunque inammissibili, nella specie, tutte le doglianze che, nel raffrontare i pretesi esiti probatori del processo di merito con le conclusioni operate dai giudici, sono, a ben vedere, volte a lamentare la mancata dimostrazione in particolare della riconducibilità della mandria alla persona dell'imputato; ciò tanto più a fronte degli argomentati e logici rilievi svolti sul punto dalla sentenza impugnata che, per giungere alla conclusione della suddetta titolarità della mandria, hanno valorizzato, da un lato, le dichiarazioni del teste G., che, quale incaricato dallo stesso D. di dare da mangiare al bestiame, aveva confermato il pascolo libero degli animali anche all'interno della recinzione proprio dal D. realizzata, e, dall'altro, la testimonianza di L. e P. quali autori, presso la Asl, dell'accertamento circa l'appartenenza all'imputato del bestiame. Nè può cogliersi alcuna contraddittorietà tra la pronunciata condanna di D. e la assoluzione della coimputata I., essendo stata quest'ultima determinata dalla decisiva considerazione della intestazione solo formale della mandria alla donna e della accertata gestione di fatto, appunto, del bestiame al solo D..
Sicchè, in definitiva, l'estraneità al perimetro di cognizione proprio del giudizio di legittimità, per una parte, e la manifesta infondatezza, per l'altra, delle doglianze sollevate, comportano l'inammissibilità del ricorso.
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, conseguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 c.p.p..
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2013
03-11-2013 21:17
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