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Sentenza

Viene sospeso dal servizio per la pendenza di procedimento penale a suo carico per corruzione. Emessa sentenza di prescrizione ha diritto alla retribuzione per il periodo in cui venne sospeso, anche se la sentenza non lo assolve con formula piena
Viene sospeso dal servizio per la pendenza di procedimento penale a suo carico per corruzione. Emessa sentenza di prescrizione ha diritto alla retribuzione per il periodo in cui venne sospeso, anche se la sentenza non lo assolve con formula piena
Corte di Cassazione Sez. Lavoro - Sent. del 14.03.2012, n. 4061

Presidente Rosselli - Relatore Mancino

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 31 agosto 2009, la Corte d'Appello di Roma respingeva il gravame svolto dall'Agenzia delle Entrate Direzione Regionale del Lazio contro la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da M. L. per il riconoscimento del diritto al mantenimento del trattamento retributivo con decorrenza dal 6 novembre 1987 fino al 18 ottobre 1992, già riconosciutogli con decreto del Direttore Regionale delle Entrate per il Lazio in data 11 giugno 1996.
2. M. a seguito dell'instaurazione di procedimento penale a suo carico per i reati di cui agli artt. 81, 319 e 324 c.p., veniva sospeso dal servizio, in via cautelare dal 27 ottobre 1987 al 18 novembre
1992. In primo grado, egli veniva condannato alla pena di anni due di reclusione, con decisione del 16 settembre 1993, riformata, con sentenza del 4 febbraio 1995, dalla Corte d'appello di Roma, la quale proscioglieva il prevenuto per prescrizione, “non risultando evidente dagli atti la sussistenza di elementi assolutori”. L'11 giugno 1996 M. veniva condannato in sede disciplinare alla sospensione dal servizio e dallo stipendio per dieci giorni. Egli veniva altresì, riammesso in servizio con restituzione di tutti gli assegni non percepiti, esclusi quelli relativi ai predetti dieci giorni di sospensione disciplinare. Successivamente, sulla base di una delibera della Corte di conti n. 60 del 25 giugno 1999, il Direttore regionale delle entrate per il Lazio revocava, con decreto del 31 maggio 2001, il provvedimento del 1996 nella parte relativa alla restituzione degli assegni, la quale era possibile, alla tregua dell'art. 27, comma 7 del c.c.cn.l. 16 maggio 1995 per il comparto ministeri, solo quando l'impiegato fosse stato prosciolto con formula piena dall'imputazione penale.
4. M. conveniva in giudizio l'Agenzia delle entrate onde sentirla condannare alla suddetta restituzione, e la domanda veniva accolta con decisione confermata dalla Corte d'appello che, ritenuta l'appartenenza alla giurisdizione ordinaria della controversia, concernente un provvedimento del 2001 (art. 69 d.lgs. 165/2001), affermava il diritto dell'impiegato alla restituzione degli assegni non corrisposti durante il periodo di sospensione cautelare e per il tempo eccedente la sospensione disciplinare, quale che fosse stata la causa del proscioglimento dell'imputazione penale.
4. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, l'Agenzia delle Entrate Direzione Regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L'intimato ha resistito con contro ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
5. Il Presidente aggiunto della Corte ha disposto che la questione di giurisdizione, sollevata dalla ricorrente, venga risolta da questa Sezione Lavoro.

Motivi della decisione

6. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 62, 63 d.lgs. 165/2001, 54, comma 17, d.lgs. 80/1998, per difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. Essa sostiene l'attinenza del presente processo ad una vicenda anteriore al 30
giugno 1998 e, pertanto, la sua appartenenza alla giurisdizione amministrativa.
7. Il morivo non è fondato.
8. L'art. 69, settimo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001, che trasferisce al giudice ordinario le controversie in materie di pubblico impiego privatizzato, fissa il discrimine temporale, per il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria, alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al momento storico dell'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia. Ne consegue che, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all'epoca della sua emanazione (ex multis, Cass., SU, 9509/2011; 14895/2010; 27305/2008).
9. Come detto in narrativa, il provvedimento che ha dato origine alla presente controversia è del 31 maggio 2001, per cui esattamente la sentenza qui impugnata ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario.
10. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 27, co.7 c.c.n.l. Comparto ministeri 16 maggio 1995 e degli artt. 91, 96, 97 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Essa osserva che la lettera dell'art. 27 cit. permette la restituzione degli assegni non percepiti dal pubblico impiegato durante il periodo di sospensione cautelare disposta in pendenza di procedimento penale soltanto quando questo sia stato definito con sentenza di assoluzione con formula piena. Perciò non spetta la restituzione all'impiegato prosciolto per prescrizione, come nel caso di specie.
11. Il motivo non è fondato.
12. La materia di cui qui sì tratta fu disciplinata dal d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) ed è attualmente regolata dal citato contratto collettivo.
13. A norma del capoverso dell'art. 96 del d.P.R. n. 3 cit., se la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio viene inflitta all'impiegato per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta o se viene inflitta una sanzione minore o se il procedimento disciplinare si concluda con il proscioglimento dell'impiegato, l'Amministrazione deve corrispondere tutti gli assegni non percepiti, per il tempo eccedente la durata della punizione.
14. Tale disposizione non prevedeva, dunque, l'ipotesi della sospensione cautelare disposta in pendenza del procedimento penale ma la giurisprudenza riteneva che essa fosse nondimeno applicabile, riconoscendo il diritto dell'impiegato sospeso alla restitutio in integrum economica dopo la definizione del procedimento penale, anche con sentenza di condanna (v., Cass. 19169/2006 riferita ad un c.c.n.l. del 1996 ma per una sospensione disposta nel 1994; ( Cons. Stato, Ad. plen. 2 maggio 2002, n. 4).
15. Nel caso di specie, l'Amministrazione invoca il sopravvenuto art. 27 c.c.n.l. del 1995 cit., il quale prevede espressamente la sospensione cautelare in caso di procedimento penale, ma riduce la previsione di restitutio in integrum ai soli casi di assoluzione con formula piena e così lascia priva di disciplina l'ipotesi di condanna o di proscioglimento dell'imputato con altre formule, come quella di non doversi procedere per prescrizione del reato.
16. Quest'ultima formula non consente di per sé alcuna conseguenza automatica, di integrale perdita degli assegni o, al contrario, di integrale spettanza. In altre parole la ricorrente pone a questa Corte la questione del diritto alla retribuzione per il dipendente che non abbia eseguito la sua prestazione per essere stato cautelativamente sospeso a causa di procedimento penale.
17. La questione deve essere risolta partendo dalle norme del codice civile in materia di effetti patrimoniali sfavorevoli, conseguenti alla mancata esecuzione della prestazione lavorativa e che si distribuiscono nel modo seguente:
a) qualora la mancanza della prestazione sia imputabile al lavoratore, questi perde il diritto alla retribuzione (art. 1460 c.c.) e deve risarcire l'eventuale danno sopportato dal datore di lavoro (art. 1218 c.c.);
b) qualora la mancanza della prestazione sia imputabile al datore di lavoro, creditore in mora, questi dovrà risarcire il danno sopportato dal lavoratore (art. 1207 c.c.) eventualmente nella misura delle retribuzioni da lui perdute;
c) fatti impeditivi della prestazione, non imputabili a nessuna delle due parti del rapporto di lavoro (forza maggiore, factum principis), vengono talvolta considerati ed espressamente disciplinati dal legislatore che discrezionalmente, distribuisce il rischio (artt. 2110,2111 c.c.);
18. Nel caso di specie la lacuna di previsione del contratto collettivo che, come si è detto, non dispone al di fuori del caso di proscioglimento con formula piena, deve essere colmata in sede di interpretazione - applicazione.
19. Ciò significa che, definito il procedimento penale, la questione va risolta dalla stessa Amministrazione che, in sede di procedimento disciplinare, deve valutare la condotta dell'imputato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi.
20. E', pertanto, errata la tesi qui sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale il difetto di prestazione lavorativa giustifica, in ogni caso, la mancata retribuzione in base ad una non meglio specificato “principio generale di corrispettività”.
21. Né, in questa sede, può ritenersi vincolante una delibera (0.60 del 1999 emessa, in materia, dalla Corte di conti ed invocata dalla ricorrente.
22. L'eventualità che il giudizio disciplinare reso dall'Amministrazione porti l'impiegato alla perdita definitiva degli assegni, per il periodo eccedente la durata della punizione, comporta che la misura cautelare si trasforma in parte qua in sanzione disciplinare pecuniaria. Ciò comporta la non retroattività della previsione del contratto collettivo, ossia la non applicabilità agli illeciti disciplinari anteriori alla sua entrata in vigore.
23. Tanto basta per il rigetto del ricorso.
24. E' però opportuno aggiungere che nel caso di specie la ricorrente non riporta neppure per estratto il contenuto del provvedimento disciplinare dell' 11 giugno 1996 ma dice ed il fatto è pacifico, essere stata inflitta all'incolpato la sanzione disciplinare della sospensione per soli dieci giorni.
25. La condotta illecita fu, pertanto, considerata dalla stessa Amministrazione di gravità assai tenue; né ha costituito tema di disputa, nell'attuale processo civile, il rispetto del principio di
proporzione (art.3, cpv., Cost.) tra sanzione e comportamento di cui al capo d'incolpazione.
26. E' rimasta così non motivata e perciò non giustificata sul piano della legittimità, la sproporzione tra lieve sanzione disciplinare e privazione della retribuzione per circa sei anni.
27. In termini civilistici, è rimasta priva di riscontro probatorio o soltanto indiziario, l'imputabilità della mancata prestazione lavorativa al dipendente nell'intero spazio di sei anni. Né la detta lacuna può essere colmata con le considerazioni della difesa erariale circa la giustificazione della lieve sanzione, svolte nella memoria presentata in prossimità dell'udienza ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
28. Il dispositivo della sentenza impugnata è, pertanto, conforme a diritto (art. 384, quarto comma, c.p.c.).
29. In conclusione si deve affermare che, a norma dell'art. 27,comma 7) c.c.n.l, del 1995 cit., quanto corrisposto a titolo di indennità al pubblico impiegato nel periodo di sospensione cautelare dal servizio dev'essere conguagliato con quanto dovuto se il lavoratore fosse rimasto in servizio, solo in caso di proscioglimento con formula piena e perciò non necessariamente in caso di proscioglimento per prescrizione.
Questa norma innova rispetto alla precedente (art. 96 d.P.R. 3/1957 che permetteva il conguaglio in tutti i casi di proscioglimento disciplinare e, trasformando la sospensione cautelare della retribuzione in provvedimento definitivo ossia sostanzialmente in pena disciplinare:
a) non può applicarsi agli illeciti disciplinari commessi prima della sua entrata in vigore; b) per gli illeciti successivi, e qualora venga inflitta la sanzione disciplinare della sospensione per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta, il mancato conguaglio può essere discrezionalmente disposto dall'Amministrazione, con motivazione riferita alla gravità dell'illecito nei suoi elementi oggetti e soggettivi.
30. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia contraddittorietà e insufficienza della motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia, quale l'applicabilità nella specie della restitutio in integrum, vale a dire del pagamento degli assegni non corrisposti durante la sospensione cautelare.
30. Il motivo non è ammissibile giacché quella prospettata è questione di diritto e non di fatto, con la conseguenza che l'asserita erroneità della sua soluzione può essere lamentata non sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all'art. 360, n.5 c.p.c. bensì come errore di cui all'art. 360, n. 3 c.p.c.
In definitiva il ricorso va rigettato. La novità della questione costituisce giusto motivo di compensazione delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Avv. Antonino Sugamele

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