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Sentenza

Titolare di azienda chiede un prestito e viene respinto percè risulta iscritto nella banca dati della CRIF. Ma è un errore di persona.
Titolare di azienda chiede un prestito e viene respinto percè risulta iscritto nella banca dati della CRIF. Ma è un errore di persona.
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 25.09.2012, n. 16279

Presidente Amatucci - Relatore Frasca

Svolgimento del processo

p.1. F.G. , nella qualità di titolare della dita V. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 152, comma 13, del d.lgs. n. 196 del 2003 nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2011, contro la CRIF s.p.a. e la P. s.p.a., nonché nei confronti del Garante per la Protezione dei dati Personali, avverso il decreto del 27 ottobre 2009, con cui il Tribunale di Bologna, investito del ricorso da esso ricorrente proposto contro dette società ai sensi dello stesso citato art. 152, per ottenere la cancellazione della sua iscrizione presso una banca dati tenuta dalla CRIF della sussistenza di una sua situazione di insolvenza, in relazione ad un finanziamento che risultava erogato a suo favore dalla P., nonché della relativa domanda di risarcimento dei danni conseguenti, ha ordinato detta cancellazione, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni ed ha compensato le spese.
L'azione ai sensi dell'art. 152, comma 13, era stata proposta dal G. , allorquando, a seguito del rifiuto da parte di un istituto di credito di concedergli un finanziamento, a motivo di precedenti insolvenze risultanti al sistema della Banca dati gestita dalla C.R.I.F., dopo avere sporto denuncia contro ignoti il 16 novembre 2006, esso ricorrente aveva inutilmente chiesto alla CRIF, con lettera raccomandata del 22 novembre successivo l'immediata cancellazione del suo nominativo dalla black list dei debitori insolventi e le relative delucidazioni e si era sentito rispondere, pur con l'assicurazione che - in attesa di chiarimenti dalla P. - non sarebbe stato consentito l'accesso all'informativa ai terzi partecipanti alla Banca Dati, che l'inserimento era derivato dal mancato pagamento di quattro rate insolute di un prestito che risultava richiesto dalla V.. e da tale P.A. alla s.p.a. P., finanziaria con sede in Bologna, senza, però, che successivamente, nonostante il decorso di tre anni ed ulteriori diffide inviate anche alla P. si fosse dato corso al suo reclamo. Nel ricorso introduttivo dell'azione si lamentavano danni sofferti per il rifiuto del finanziamento richiesto e le sue conseguenze in relazione alla sua attività, nonché per ulteriori conseguenze derivate dall'accaduto su quest'ultima.
p.2. Nel corso del giudizio il Tribunale, previo rilievo che dalla documentazione prodotta dal ricorrente risultava “discrasia tra i dati anagrafici dell'odierno ricorrente e quelli relativi al finanziamento chiesto alla P.”, sospendeva in via cautelare la segnalazione - di cui rilevava la permanenza - della posizione del ricorrente nella lista dei “cattivi pagatori” in relazione al presunto credito della P.
Con il provvedimento impugnato, quindi, il Tribunale di Milano, dopo avere rilevato che il documento di identità esibito alla P. da chi aveva richiesto il finanziamento presso i locali della A. P. s.r.l. di (…) era risultato falso, come emergeva dalla dichiarazione del Direttore del servizio Demografico del Comune di Casoria del 18 febbraio 2008, nella quale si attestava che la Carta d'identità utilizzata ed intestata a F.G. non era mai stata rilasciata, ordinava la cancellazione del G. dalla lista degli insolventi preso la CRIF, ma ha rigettato la domanda risarcitoria, previa considerazione: a) che “comunque, la condotta delle convenute CRIF e P. deve ritenersi corretta, dovendo la P. ottemperare all'obbligo di segnalazione dell'insolvenza del cliente secondo quanto previsto dal testo unico in materia bancaria e dalle relative disposizioni di attuazione, e la CRIF limitarsi a ricevere e rendere visibili soltanto i dati oggettivi relativi al rapporto di finanziamento in contestazione, nella stessa forma e contenuto in cui gli stessi sono stati inviati dall'ente segnalante e senza alcun intervento o attività di elaborazione, valutazione o integrazione di tali dati”; b) “che, inoltre, dalla documentazione versata in atti, non risulta che la P. abbia affatto uso dei dati del cliente per finalità diverse da quelle previste dal contratto di finanziamento, né che siano stati eseguiti interventi tali da palesare i dati ad osservatori esterni”; c) che, pertanto, non poteva ravvisarsi nesso causale fra i danni patiti dal ricorrente e l'operato delle due società e che, “peraltro, non è stata fornita adeguata prova del concreto danno subito dalla ricorrente”.
p.3. Al ricorso ha resistito con controricorso la s.p.a. CRIF, mentre non hanno svolto attività difensiva la P. ed il Garante.
La trattazione del ricorso veniva fissata per l'udienza del 15 marzo 2012, nella quale aveva luogo un rinvio a nuovo ruolo per impedimento del relatore.
In vista dell'udienza odierna la CRIF ha depositato memoria.

Motivi della decisione

p.1. Preliminarmente va rilevato che il ricorso è ammissibile, ancorché proposto contro un provvedimento che il Tribunale ha qualificato “decreto” (inspiegabilmente dichiarandolo esecutivo ai sensi dell'art. 747 c.p.c.). Il provvedimento, infatti, è stato adottato all'esito dello svolgimento processuale con evidenti caratteri che palesano l'oggettivo intento del Tribunale di definire il giudizio del quale era stato investito. Lo confermano sia le statuizioni adottate sulle domande del ricorrente (le quali non avrebbero potuto adottarsi che con la formale pronuncia di una sentenza, non essendo previsto alcun altra forma del potere del giudice adito di adottarle), sia - ma ad abundantiam - la stessa circostanza che v'è stata statuizione sulle spese giudiziali.
Si vuol dire, cioè che, poiché le forme del procedimento introdotto dal G. , fissate dall'art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, esigevano, come emerge dal comma 13 della norma, la definizione con sentenza, il provvedere del Tribunale non può non essersi estrinsecato che con un provvedimento che, al di là della forma, ha la sostanza di quello previsto dalla legge, cioè la sentenza.
Al provvedimento impugnato va, dunque, riconosciuta, in applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, la natura di sentenza resa ai sensi del comma 12 dello stesso art. 152, ora abrogato dal d.lgs. n. 150 del 2011, ma rimasto ultrattivo per i procedimenti pendenti alla sua data di entrata in vigore, ai sensi del comma 2 dell'art. 36 dello stesso d.lgs.
Il provvedimento, una volta qualificato sentenza in senso sostanziale ai sensi del detto comma 12 era, pertanto, impugnabile in cassazione ai sensi del successivo comma 13, pure abrogato dal citato d.lgs., ma anch'esso rimasto ultrattivo.
p.2. Con un primo motivo si denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, illogicità manifesta, anche in riferimento all'art. 360 c.p.c. n. 5″.
p.2.1. Tale motivo è, in realtà, strutturato (ancorché con scarsa considerazione dell'esigenza di chiarezza espositiva che dovrebbe ispirare la logica della redazione di un ricorso per cassazione, stante il modello emergente dall'art. 366 c.p.c.) in due parti, la prima articolantesi con tre distinte censure, evidenzianti tre pretesi differenti vizi di motivazione, tutti relativi all'operato della P. nel procedere alla segnalazione ed a quello della CRIF nel darvi corso con l'inserimento nella banca data da essa gestita.
La seconda parte, invece, evidenzia un vizio di motivazione che non pertiene a tali profili, bensì all'atteggiamento di persistenza della segnalazione successivamente alla formulazione della doglianza alla CRIF da parte del ricorrente.
p.2.1.1. L'esposizione delle due parti del motivo ed il loro conseguente esame verrà condotto separatamente per evidenti ragioni di chiarezza motivazionale. Inoltre, si dovranno distinguere le posizioni delle due società coinvolte, attesa la differente qualità in cui sono rimaste coinvolte nella vicenda di cui è processo.
2.2. La prima censura della prima parte del motivo pertiene alla contraddittorietà della motivazione. Essa muove dalla premessa che il Tribunale ha riconosciuto che il documento di identità esibito all'atto della erogazione del finanziamento dalla P. s.p.a. non era riferibile ad esso ricorrente e che da tanto ha tratto la conseguenza che il sedicente beneficiario F.G. non era con lui identificabile, tanto da ordinare la cancellazione della lista degli insolventi gestita dalla CRIF. Si deduce che, stante tale premessa, sarebbe contraddittoria, illogica e priva di motivazione l'affermazione fatta dal provvedimento impugnato, al fine di escludere l'accoglimento della domanda di risarcimento danni, nel senso che “dovendo la P. ottemperare all'obbligo di segnalazione dell'insolvenza del cliente secondo quanto previsto dal testo unico in materia bancaria e dalle relative disposizioni di attuazione, e la CRIF limitarsi a ricevere e rendere visibili soltanto i dati oggettivi relativi al rapporto di finanziamento in contestazione, nella stessa forma e contenuto in cui gli stessi sono stati inviati dall'ente segnalante e senza alcun intervento o attività di elaborazione, valutazione o integrazione di tali dati”, tanto comportava che dovesse negarsi il nesso causale fra l'operato delle due società e i danni lamentati dal ricorrente.
Si sostiene che l'affermazione non consentirebbe, in realtà, di percepire quale sia stato il percorso logico che ha portato in tal modo (sic) il Tribunale ad escludere “profili di colpa” nel loro operato. Essi si evincerebbero “ad un'attenta disanima e valutazione degli elementi di causa”. Si prosegue, poi, assumendo in via preliminare che nella specie verrebbero in rilievo gli obblighi di verifica esistenti non solo in capo all'ente segnalatore della informazione rilevante ai fini del settore creditizio, ma anche in capo al gestore della relativa banca dati, nei termini in cui risultano dal “Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti“, approvato dal Garante per la Protezione dei Dati Personali con deliberazione n. 8 del 16 novembre 2004 e pubblicato nella G.U. n. 300 del 23 dicembre 2004, con cui la materia aveva trovato disciplina e che, si rileva, era stata invocata dalla difesa della CRIF nel giudizio di merito.
In particolare, verrebbe in rilievo l'art. 4 del detto Codice, in tema di rapporti fra “partecipante” e “gestore” della banca dati, là dove, al comma 2, prevede l'obbligo dell'ente partecipante, che nella specie era la P., di accertare e verificare la veridicità dei dati trasmessi al gestore, mentre a carico del gestore, cioè della CRIF, sarebbe stato rilevante, ai sensi del successivo comma 3, “un obbligo di verifica anche se più di tipo logico formale”, onde, se i dati fossero risultati “incompleti od incongrui”, essa avrebbe dovuto ritrasmetterli alla P. al fine della necessaria integrazione e correzione e solo all'esito dell'integrazione o correzione avrebbe dovuto renderli disponibili in banca dati. Inoltre, si invoca il successivo comma 4, là dove prevede l'obbligo del partecipante di riscontrare le richieste di verifica del gestore.
Si sostiene che gli obblighi imposti al gestore ed al partecipante da dette norme del Codice sarebbero stati ignorati dalla motivazione della sentenza impugnata e tanto integrerebbe il profilo di contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
p.2.2.1. La censura in questione è inammissibile, attesa la sua assoluta genericità.
Infatti, all'assunzione dei riferimenti al Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti (costituente l'allegato A.5. al Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. n. 196 del 2003 ed approvato con Provvedimento del Garante n. 8 del 16 novembre 2004, Gazzetta Ufficiale 23 dicembre 2004, n. 300, come modificato dall'errata corrige pubblicata in Gazzetta Ufficiale 9 marzo 2005, n. 56) non segue alcuna precisa e specifica spiegazione su come e perché i diversi obblighi di cautela imposti alla CRIF ed alla P. in relazione alle rispettive posizioni di gestore della banca dati e di ente partecipante nella fattispecie avrebbero dovuto evidenziare la dedotta contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata. In sostanza, non si fornisce alcuna concreta spiegazione di come e perché l'esclusione della responsabilità nei termini indicati dalla motivazione confliggerebbe con le prescrizioni invocate. La contraddittorietà viene solo postulata, ma non dimostrata.
Ora, è giurisprudenza consolidata di questa Corte che “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156, secondo comma, cod. proc. civ.). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell'impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all'art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all'argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorché la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l'atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo” (Cass. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi).
La censura è, pertanto, inammissibile in riferimento ad entrambe le società.
p.2.3. Il motivo, con una seconda censura passa, quindi (pagina 19 del ricorso) ad argomentare la dedotta omissione od insufficienza di motivazione, sostenendo che la problematica emergente dalle norme del Codice era stata posta dal ricorrente con le note autorizzate del 29 gennaio 2008, là dove era stata dedotto che, avendo la P. allegato che la richiesta di finanziamento del sedicente G.F. e della signora P.A. era stata fatta presso il rivenditore convenzionato A. P. D. s.r.l. e che, dunque, chi aveva raccolto la richiesta di finanziamento ed identificato i soggetti richiedenti ed inoltrato la richiesta stessa, con la documentazione a corredo, era stato il detto rivenditore, si palesava che la P. si era fidata in proposito del rivenditore nell'accogliere la richiesta di finanziamento e, quindi, aveva omesso ogni attività di controllo. Della problematica sollevata con le note autorizzate il Tribunale non si era fatto alcun carico.
p.2.3.1. Va rilevato che la censura prospetta argomenti riferibili soltanto alla posizione della P. e non anche alla CRIF.
Essa è fondata.
Effettivamente, avuto riguardo alla disciplina del già citato Codice deontologico e particolarmente alla previsione di cui all'art. 4 comma, comma 2 di esso - secondo cui “il partecipante adotta idonee procedure di verifica per garantire la lecita utilizzabilità nel sistema, la correttezza e l'esattezza dei dati comunicati al gestore” - la deduzione svolta nelle note autorizzate avrebbe dovuto essere considerata dal Tribunale al fine di apprezzare se, in relazione alla circostanza della ricezione dei dati del richiedente il prestito da parte di un terzo, l'A. P. D. s.r.l., la P. avesse tenuto un comportamento di acquisizione dei dati poi inviati alla CRIF conforme all'obbligo impostogli da detta previsione.
L'omessa considerazione concerne un profilo che, per restare aderenti alla motivazione della sentenza impugnata che ha evocato il difetto di prova del nesso di causalità fra la condotta della P. in occasione della vicenda, si connota come idoneo ad evidenziare la possibilità di esistenza di detto nesso e, se del caso, al lume delle relative valutazioni di fatto inerenti la cognizione del giudice di merito, la possibilità di configurazione di una colpa. Ne discende che sul punto la motivazione del provvedimento opposto appare gravemente carente ed anzi omessa, si che risulta fondato sotto tale profilo il lamentato vizio di motivazione.
Il Collegio osserva, per mera completezza, che la valutazione di accoglimento della censura quanto alla P. non cesserebbe d'essere giustificata se il comportamento della stessa nell'acquisizione dei dati poi trasmessi alla CRIF fosse stato tenuto anteriormente all'entrata in vigore del detto Codice deontologico (avvenuta il 1 gennaio 2005). L'osservazione è giustificata dal fatto che né nel ricorso né nel controricorso (in esso si allude al fatto che il ricorrente aveva indicato nel 31 ottobre 2006 la data dell'invio della prima segnalazione e, quindi, si assume genericamente - e del tutto inspiegabilmente, dato che la CRIF doveva esserne a conoscenza - che l'invio sarebbe avvenuto in epoca anteriore: si vedano rispettivamente le pagine 20 e 21 del controricorso), né negli atti pervenuti a questa Corte si rinviene alcuna precisazione circa il momento in cui venne effettuato dalla P. l'invio alla CRIF della notizia relativa alla morosità: invero, se tale invio si fosse collocato prima del 1 gennaio 2005, le norme del citato Codice deontologico non sarebbero applicabili, ma questo non escluderebbe che quanto da esse previsto potesse già ritenersi esigibile sul piano della diligenza ordinaria, comunque esigibile nella gestione del dato (se del caso considerando il trattamento non necessitante il consenso, alla stregua delle motivazioni svolte nella Deliberazione del Garante n. 9 del 16 novembre 2004, che ricondussero all'art. 24, lett. g), del d.lgs. n. 196 del 2003 il trattamento dei sistemi di informazione creditizia).
Si rileva ancora che se, per assurdo, la censura fosse riferibile anche alla posizione della CRIF, risulterebbe quanto ad essa nuovamente carente di specificità e come tale inammissibile, atteso che non si evidenzia il profilo sotto il quale la motivazione sarebbe stata insufficiente od omessa, il che avrebbe richiesto l'individuazione del fatto, riferibile all'attività di ricezione del dato da parte della CRIF, che sarebbe stato idoneo, salvo verifica in concreto, a dar dimostrazione del nesso causale e della colpa. Tale fatto avrebbe dovuto individuarsi come dedotto nel giudizio di merito in modo da poter essere astrattamente riconducibile alla previsione del comma 3 del detto art. 4 del Codice deontologico, secondo cui “all'atto del ricevimento dei dati, il gestore verifica la loro congruità attraverso controlli di carattere formale e logico e, se i dati risultano incompleti od incongrui, li ritrasmette al partecipante che li ha comunicati, ai fini delle necessarie integrazioni e correzioni. All'esito dei controlli e delle eventuali integrazioni e correzioni, i dati sono registrati nel sistema di informazioni creditizie e resi disponibili a tutti i partecipanti”.
p.2.4. Nella parte finale dell'illustrazione della prima parte del motivo si enuncia, poi, che il Tribunale non avrebbe tenuto “conto che nella fattispecie che quivi occupa il Sig. G.F. , quello vero, non è stato mai cliente della P. sicché l'intera architettura della sentenza basata sugli obblighi derivanti dal testo unico bancario per le insolvenze dei clienti viene a mancare non essendo applicabile a chi cliente non è”.
Si tratta della terza censure della prima parte del motivo.
p.2.4.1. Anche questa censura è del tutto generica e, quindi, inammissibile, atteso che non spiega come e perché, in relazione alle posizioni delle due società, la circostanza che in sostanza il finanziamento fosse stato richiesto da un falso signor G. potesse e dovesse assumere rilevanza per giustificare l'accoglimento della domanda risarcitoria: invero tale giustificazione avrebbe sempre richiesto l'allegazione dello specifico comportamento di inosservanza dei doveri di verifica rispettivamente incombenti sulla P. e sulla CRIF, che si sarebbe risolto nella mancanza di percezione che la richiesta di prestito e, quindi, il dato, non ineriva il qui ricorrente. E ciò, per la P. , a di là di quanto prospettato con la seconda censura. Per tale ragione è del tutto superfluo l'argomentare che nel controricorso la CRIF svolge a proposito della possibile irrilevanza del consenso nel settore di cui trattasi.
p.2.5. Venendo alla seconda parte del primo motivo, il Collegio rileva che anche la censura con essa svolta è innanzitutto priva di specificità, in quanto nelle pagine dalla ventiduesima alla ventiseiesima, in cui viene illustrata non si fornisce alcuna precisa individuazione, rispetto a ciascuna delle società, di quale sia stato il comportamento, che, in relazione all'evolversi della vicenda dopo la prima doglianza rivolta dal ricorrente alla CRIF, sarebbe stato qualificabile in modo tale da evidenziare, pur in presenza di una mancanza di responsabilità nella fase di trasmissione e di inserimento del dato, la responsabilità delle stesse per essere “divenuto illegittimo e colposo” il “rifiuto di cancellazione della segnalazione pur in presenza di elementi di grave portata e danno a carico del G. “, come si scrive in limine dell'esposizione della censura.
In particolare, a tale deduzione si fa seguire una elencazione di circostanze che nessun chiarimento forniscono riguardo ai detti comportamenti, trattandosi di una sorta di riepilogo di produzioni documentali e della deduzione che in via cautelare era stata disposta la sospensione della segnalazione.
La censura, inoltre, sarebbe inammissibile anche perché non si fornisce alcuna precisazione di come e perché l'allegazione come fatto determinativo di danno dei non meglio individuati comportamenti di rifiuto di cancellazione fosse stata articolata nel giudizio di merito, si da divenire oggetto del dovere di decisione del Tribunale e, quindi, della denunciata insufficienza di motivazione.
Si aggiunga, poi, che nel controricorso la CRIF ha svolto una serie di specifiche repliche alla censura, per evidenziarne l'infondatezza, ma di esse in alcun modo parte ricorrente si è fatta carico.
p.2.6. Conclusivamente il primo motivo è integralmente inammissibile quanto alla CRIF. È inammissibile, salvo che per la seconda censura della prima parte nei sensi indicati, per la P. , riguardo alla quale va accolto quanto a detta censura.
§3. Con il secondo motivo si deduce “insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ed illogicità manifesta, in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5″.
Ci si duole della motivazione - correttamente impugnata, perché costituiva ragione di rigetto della domanda a prescindere da quella oggetto del primo motivo - con cui il Tribunale ha rigettato la domanda perché non era fornita adeguata prova del concreto danno dal ricorrente.
p.3.1. Va premesso che l'integrale inammissibilità del primo motivo quanto alla CRIF evidenzia a questo punto che l'esame del motivo riguardo ad essa risulta superfluo: atteso il consolidamento, per effetto della detta inammissibilità, della motivazione circa l'assenza del nesso causale fra comportamenti della stessa ed il danno lamentato dal ricorrente, l'eventuale accoglimento del secondo motivo non potrebbe in alcun modo giustificare la cassazione del provvedimento impugnato quanto alla domanda contro la CRIF. Nei riguardi di questa il motivo è, pertanto, assorbito.
p.3.2. Il motivo va, pertanto, scrutinato solo nei riguardi della P. e rispetto alla domanda nei suoi riguardi proposta va accolto, atteso che la motivazione del provvedimento impugnato è praticamente insussistente, essendosi ridotto il Tribunale ad affermare soltanto che “peraltro, non è stata fornita adeguata prova del concreto danno subito dalla ricorrente”, affermazione questa che è del tutto priva di forza di convincimento perché non spiega su che cosa il Tribunale abbia basato la sua affermazione. È da avvertire che il ricorrente ha dimostrato la decisività della critica rivolta all'insufficienza motivazionale, che sfiora quasi l'inosservanza dell'art. 132, n. 4, c.p.c., perché ha evidenziato che erano state formulate, a seguito di concessione di termine all'uopo, una serie di istanze istruttorie, per interrogatorio formale e per testi, nonché effettuate produzioni documentali, pure elencate, e che riguardo alle une e alle altre il Tribunale, pur riservatosi di decidere, ha omesso qualsiasi pronuncia, provvedendo ad emettere il decreto impugnato. Le circostanze capitolate nei punti 6, 7, 8, 9, 10, 11 delle note autorizzate si prestavano ad evidenziare possibili profili di danno ed avrebbero richiesto conseguenti valutazioni in punto di ammissibilità e rilevanza della prova da parte del Tribunale. La stessa cosa dicasi per i documenti indicati in chiusura della nota.
Il provvedimento impugnato dev'essere, dunque, cassato sul punto, perché il giudice di rinvio si faccia carico - subordinatamente all'esame della prima ragione di rinvio, discendente dall'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo - di motivare sulle dette istanze istruttorie e sulla rilevanza dei documenti, in funzione della prova di un'eventuale danno.
§4. Con il terzo motivo si censura sempre l'insufficienza di motivazione del provvedimento impugnato, nuovamente quanto alla scarna “motivazione” relativa alla mancata prova del danno, e lo si fa lamentando che il Tribunale non avrebbe nemmeno riconosciuto alcun danno non patrimoniale, ancorché se ne fosse fatta richiesta nel ricorso introduttivo.
p.4.1. Il motivo è nuovamente scrutinabile - per le stesse ragioni indicate a proposito del motivo, precedente - soltanto per quanto riguarda la P. , mentre è assorbito per la CRIF.
Riguardo alla P. è fondato, in quanto effettivamente il danno non patrimoniale era stato richiesto (e poteva esserlo ai sensi del comma dell'art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003), mentre ad esso il Tribunale non fa alcun riferimento.
È da rilevare che le istanze istruttorie e i documenti prodotte con le note già citate avrebbero potuto evidenziare elementi da considerare al riguardo e, pertanto, il vizio motivazionale qui denunciato risulta lamentato anche in modo decisivo, perché il Tribunale avrebbe dovuto farsi cario delle une e delle altre e dire perché erano le prime erano eventualmente inammissibili e le une e gli altri irrilevanti. Ciò, tenendo conto dei principi in tema di prova del danno non patrimoniale emergenti dalle note quattro sentenze delle Sezioni Unite della fine del 2008 (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008).
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento anche di questo motivo riguardo al rapporto fra il ricorrente e la P. .
p.5. Conclusivamente il ricorso è rigettato Nei riguardi della CRIF.
È accolto per quanto di ragione nei riguardi della P. Il provvedimento impugnato è cassato in conseguenza con rinvio soltanto quanto al rapporto processuale fra il ricorrente e la P.
Il rinvio è disposto al Tribunale di Milano, che deciderà in persona di diverso magistrato addetto all'ufficio anche sulle spese del presente giudizio.
Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate nel rapporto fra il ricorrente e la CRIF, atteso che le questioni fatte valere con il primo motivo in relazione al citato Codice deontologico sono state prospettate per la prima volta davanti a questa Corte e considerato, altresì, che la proposizione del ricorso per cassazione risulta scusabile in presenza di una motivazione quasi insussistente come quella del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso nei riguardi della CRIF. Accoglie per quanto di ragione il ricorso nei confronti della P. e cassa la sentenza impugnata riguardo al rapporto processuale fra essa ed il ricorrente. Rinvia al Tribunale di Milano, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione, in persona di diverso magistrato addetto all'ufficio. Compensa le spese nel rapporto fra ricorrente e CRIF.

Depositata in Cancelleria il 25.09.2012
Avv. Antonino Sugamele

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