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Sentenza

Solleva una pesante pezza di stoffa e si procura uno strappo muscolare. Per la Cassazione non e' infortunio sul lavoro.
Solleva una pesante pezza di stoffa e si procura uno strappo muscolare. Per la Cassazione non e' infortunio sul lavoro.
Corte di Cassazione Sez. Lavoro - Sent. del 17.01.2012, n. 558

Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 16 novembre 2006, accoglieva il gravame svolto dall'INAIL contro la decisione con la quale il locale Tribunale aveva rigettato la domanda di B. M. per la condanna alla corresponsione dell'indennizzo per inabilità temporanea e della rendita per inabilità permanente, in relazione all'infortunio sul lavoro occorso allorché, in qualità di operaio alle dipendenze del L. , si procurava una distrazione muscolare alla spalla sinistra nello sforzo di tirare e sollevare una pesante pezza di stoffa.
2. La Corte territoriale ha escluso l'esistenza della causa violenta e del nesso eziologico tra evento e lesioni aderendo alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio del seguente tenore: “II sig. B. M. di anni 52, presenta oggi impotenza funzionale alla spalla, al gomito, al polso e alla mano sinistra, insorta progressivamente dopo episodio algico acuto interessante la spalla omolaterale, presentatosi nel corso di attività lavorativa abituale, in data 12.2.2003, non inquadrabile dal punto di vista diagnostico, in assenza di quadri morbosi strumentalmente obiettivabili, nonostante il complesso iter specialistico a cui il paziente è stato sottoposto. L'evento denunciato in data 12.2.2003 non è derivato da causa violenta, fortuita ed estrema, non configurandosi infortunio sul lavoro indennizzabile ai sensi di legge. Non si ritiene pertanto di dover valutare postumi permanenti né relativo periodo di inabilità temporanea”.
3. B.M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. L'INAIL si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza (ex art. 360, n.3 c.p.c.) per violazione dell'art. 437 c.p.c., per non aver la corte di merito ammesso la produzione del referto dell'esame ellettromiografico al quale l'istante si era sottoposto per contrastare le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio. L'esposizione del motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, con il quale si chiede alla Corte di dire se costituisca o meno violazione della citata disposizione del codice di rito la mancata acquisizione del predetto referto, il ricorrente deduce, inoltre un vizio di motivazione per non aver la corte di merito motivato, respingendo l'istanza di produzione, in ordine all'eventuale non indispensabilità del documento.
5. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
6. Nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è possibile l'ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche d'ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa (ex mu/tis, Cass. 6498/2011 cui si rinvia per l'ampia disamina del quadro normativo).
7. Al fine di consentire alla Corte di legittimità di saggiare la coerenza della decisione della corte territoriale con i rilievi interpretativi dianzi richiamati è necessario, peraltro, che la doglianza formulata al riguardo dalla parte ricorrente sia sorretta dalla deduzione e prova della decisività del documento invocato (nella specie, il referto medico asseritamente di segno opposto alle conclusioni rassegnate dal consulente officiato dal Giudice) e la rilevanza ai fini della decisione della Corte territoriale.
8. Col secondo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.p.r. 1124/65 e art. 13 d.l.gs. 38/2000 e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia escluso la causa violenta nella verificazione dell'evento in considerazione della circostanza che si trattasse di lavoro abitualmente effettuato. Assume il ricorrente non essere necessario il compimento, da parte del lavoratore, di uno sforzo straordinario ed esorbitante dall'espletamento delle abituali mansioni, rilevando semplicemente che l'evento avvenga in breve lasso di tempo e nel corso della lavorazione abituale. Censura, inoltre, l'esclusione del nesso di causalità tra evento ed attività lavorativa da parte della corte di merito, ritenendo sufficiente la sussistenza del nesso concausale tra evento e patologia, esistente nella specie.
9. Il motivo, che pur articolato in due diversi profili, enuncia essenzialmente censure alla motivazione della sentenza impugnata, non può trovare accoglimento alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende uniformarsi, secondo cui le censure alla consulenza tecnica d'ufficio disposta in sede di gravame configuranti, come nella specie, un mero dissenso diagnostico, non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
10. Invero, nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell'assicurato, le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio disposta dal giudice di secondo grado con riguardo alla valutazione di situazioni di incapacità al lavoro non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse delle diverse valutazioni espresse dal consulente d'ufficio di primo grado, poiché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal Giudice di appello, bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali.
11. In ogni caso, la decisione della corte territoriale che ha escluso la sussistenza di un infortunio sul lavoro indennizzabile non presentando il lavoratore quadri morbosi strumentalmente obiettivabili, basata sul riferimento ad una delle consulenze tecniche acquisite - sorretta da un'analitica disamina - non e adeguatamente censurata, in sede di legittimità, se le relative censure non contengono, come nella specie, la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali, atteso che, in mancanza di detti elementi, le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, quindi, sono inammissibili in sede di legittimità (ex multis, Cass. 15796/2004).
12. In definitiva, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, in ragione dell'epoca di presentazione della domanda, seguono la soccombenza, né sussistono le condizioni, previste dall'art. 152 disp. att. c.p.c., per l'esonero dal pagamento delle spese processuali, in relazione alla necessaria indicazione, fin dall'atto introduttivo del giudizio, dell'apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma (ex multis Cass. 13367/2011).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 30,00 per esborsi, oltre euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA,CPA e spese generali.
Depositata in Cancelleria il 17.01.2012
Avv. Antonino Sugamele

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