Se la circostanza aggravante viene dichiarata incostituzionale la pena deve essere ridotta ( art. 61 n. 11-bis c.p.)
Corte di Cassazione Sez. Prima Pen. - Sent. del 22.05.2012, n. 19361
Presidente Giordano - Relatore Caiazzo
Ritenuto in fatto
Con ordinanza in data 13.6.2011 il Tribunale di Modena, in veste di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza di revoca parziale della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia in data 9.2.2009 con la quale T.A.B. era stato condannato, previo giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p., alla pena di mesi sei di reclusione per il delitto di cui all'art. 337 c.p. (sentenza divenuta irrevocabile il 24.7.2009).
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 249 dell'8.7.2010, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'aggravante introdotta con l'art. 61 n. 11-bis c.p., era stata presentata dal difensore del predetto condannato ai giudice dell'esecuzione istanza di revoca parziale della menzionata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, chiedendo di eliminare la parte di pena applicata per effetto dell'aggravante de qua, essendo stata la stessa dichiarata incompatibile con i principi della Costituzione.
Il giudice dell'esecuzione riteneva che non fosse applicabile l'art. 2/2 c.p., che prevede la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali se il fatto giudicato cessa di costituire reato, ma dovesse applicarsi l'art. 2/4 c.p. che prevede l'applicazione delle disposizioni più favorevoli, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
La dichiarazione di incostituzionalità di una circostanza aggravante non incideva sulla illiceità penale del fatto, ma solo sul trattamento sanzionatorio, e quindi incontrava il limite invalicabile del giudicato, espressamente previsto dall'art. 2/4 c.p.
Non essendo la fattispecie riconducibile all'ipotesi di abolitio criminis prevista dall'art. 2/2 c.p., non era proponibile l'incidente di esecuzione ex art. 673 c.p.p. al fine di ottenere l'eliminazione della pena inflitta in relazione alla suddetta aggravante dichiarata incostituzionale.
Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi.
Il giudice dell'esecuzione aveva dato una interpretazione rigida del giudicato, non condivisa neppure dal legislatore che, con la legge 85/2006 che aveva inserito il comma 3 nell'art. 2 c.p., aveva previsto modificabili le statuizioni di una sentenza passata in giudicato, anche nel caso in cui non vi era stata una abolitio criminis.
L'art. 30/4 della legge 11.3.1953 n. 87 prevede che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, le norme non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, e quindi sarebbe contrario al principio di uguaglianza che un soggetto continui a scontare una parte di pena detentiva in esecuzione di una disposizione penale che non deve avere alcuna efficacia nel nostro ordinamento, essendo stata dichiarata contraria ai principi della nostra Costituzione.
Secondo il ricorrente, quindi, dovrebbe trovare applicazione nel caso di specie, in via analogica, l'art. 673 c.p.p., come del resto avevano già ritenuto alcuni giudici di merito.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
T.A.B. è stato definitivamente condannato dal Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza in data 9.2.2009, alla pena di mesi sei di reclusione per il delitto di resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), previa concessione delle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.) ritenute equivalenti all'aggravante di avere commesso il fatto mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale (art. 61 n. 11-bis c.p.).
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 249 del 2010 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della predetta aggravante - introdotta dal D.L. 23.5.2008 n. 92, convertito nella L. 24.7.2008 n. 125 - eliminandola dall'ordinamento e rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici in corso, con conseguenze invalidanti assimilabili all'annullamento e con incidenza, quindi, anche sulle situazioni pregresse.
Il ricorrente, dopo aver premesso che sarebbe contrario al principio di uguaglianza che un soggetto continui a scontare una parte di pena detentiva in esecuzione di una disposizione penale che è stata dichiarata contraria ai principi della Costituzione, ha chiesto di eliminare gli effetti penali dell'aggravamento di pena stabilito dal giudice in conseguenza della menzionata aggravante dichiarata costituzionalmente illegittima, applicando in via analogica l'art. 673 c.p.p., che prevede, nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, l'obbligo del giudice dell'esecuzione di revocare la sentenza di condanna e di adottare i provvedimenti conseguenti. Questa Corte in alcune recenti pronunce ha interpretato in via estensiva la previsione di cui all'art. 673 c.p.p., ritenendo che dovesse procedersi a revoca della sentenza di condanna anche nel caso di incompatibilità della norma incriminatrice con il recepimento nel nostro ordinamento di direttive del Parlamento Europeo (V. Sez. 1 sent. n. 20130 del 29.4.2011, Rv. 250041), ma ha costantemente ritenuto che la suddetta norma consente una revoca parziale della sentenza di condanna solo nel caso di eliminazione della condanna per uno o più fatti reato giudicati, in considerazione del tenore letterale della norma che si riferisce solo alla “norma incriminatrice”; non ha mai ritenuto, quindi, che potesse procedersi a scissione del singolo capo di accusa, eliminando un aggravante, dovendosi peraltro considerare che la norma di cui all'art. 673 c.p.p. è strettamente correlata all'art. 2 c.p., di cui attua i principi.
E il quarto comma dell'art. 2 c.p. detta il principio che se vi è diversità tra la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Si deve, però, accogliere la richiesta del ricorrente, applicando al caso di specie l'art. 30 della legge 11.3.1953 n. 87 che, nel dettare le norme attuative delle sentenze della Corte Costituzionale, non si riferisce alle sole norme incriminatrici, ma genericamente alle norme dichiarate incostituzionali.
In particolare, nel terzo e quarto comma del suddetto articolo 30 è stabilito che: “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.
Il dettato letterale della norma consente di impedire che sia data esecuzione anche solo alla parte di pena conseguente ad una norma penale dichiarata incostituzionale, e l'eliminazione di questa parte di pena risponde alle esigenze di giustizia, poiché non è accettabile che un soggetto debba scontare anche solo una porzione di pena in conseguenza di una norma che è contraria ai principi della Costituzione.
Nel caso di specie, la porzione di pena da eliminare in conseguenza della dichiarata illegittimità costituzionale della norma deve essere stabilita dal giudice dell'esecuzione, che, venuto meno il giudizio di comparazione tra attenuante e aggravante per la dichiarata illegittimità di quest'ultima, dovrà ridurre la pena inflitta, nella misura che riterrà di giustizia, per effetto delle già concesse attenuanti generiche.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata relativamente alla sentenza emessa il 9.2.2009 dal Tribunale di Reggio Emilia nei confronti di T.A.B. e, dichiarata la non eseguibilità di detta sentenza nella parte in cui ha applicato l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p., rinvia al Tribunale di Modena per la rideterminazione della pena da eseguire.
Depositata in Cancelleria il 22.05.2012
28-05-2012 00:00
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