Se il termine per il deposito della sentenza penale cade in una giornata festiva il termine per proporre ricorso decorre dal giorno successivo a quello festivo: Corte di Cassazione Sez. Unite Penali - Sent. del 10.01.2012, n. 155
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 27 settembre 2007 il Tribunale di Roma dichiarava R.A. e M.O. responsabili del reato continuato di truffa aggravata e tentata truffa aggravata loro ascritto al capo A), commesso sino al (...) , e il R. anche del reato di tentata estorsione a lui ascritto al capo B), commesso il (...) , e, riconosciute al solo M. le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ritenuta la continuazione fra i fatti di cui ai capi A) e B), condannava: R. alla pena di quattro anni di reclusione e di 1.500,00 Euro di multa, con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni; M. alla pena, condizionalmente sospesa, di due anni di reclusione e di 1.000,00 Euro di multa. Condannava inoltre i due imputati al pagamento in solido delle spese processuali e al risarcimento dei danni, da liquidare in separato giudizio, nei confronti delle parti civili San Paolo IMI s.p.a., Banco di Napoli s.p.a. e Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., assegnando provvisionali di 50.000,00 Euro in favore di ciascuna.
Secondo la contestazione al capo A), il R. , quale legale di quindici dipendenti delle Ferrovie dello Stato, in favore dei quali il pretore di Napoli aveva emesso sentenza di condanna al pagamento di 18 milioni di lire oltre spese legali, e il M. , quale Giudice dell'esecuzione e in violazione dei doveri propri della pubblica funzione esercitata, avevano posto in essere una serie di artifizi e raggiri (consistiti nell'avere dato luogo a una fittizia proliferazione dei crediti dei dipendenti delle Ferrovie e del legale, dapprima mediante la loro cessione al R. e da questo a trentacinque associazioni di fatto fittiziamente create, quindi mediante la promozione di trentacinque distinte procedure esecutive nei confronti di terzi debitori, l'intervento di ciascuna delle trentacinque associazioni nelle procedure intentate dalle altre, la mancata verifica, ad opera del giudice M. , della legittimazione delle cessionarie e la mancata riunione delle procedure) cui erano conseguiti l'emanazione di trentacinque ordinanze di assegnazione, in ognuna delle quali erano liquidate in favore di ciascuna delle trentacinque associazioni e, a titolo di spese del procedimento, in favore dell'avv. R. , somme calcolate sul valore complessivo di tutti i crediti azionati, in via diretta o per intervento, per un totale di circa 7 miliardi di lire, nonché la notifica di 3.675 precetti ai tre terzi pignorati (1.225 per ciascuno): con tali artifizi e raggiri avendo indotto “in errore i terzi pignorati (Banco di Napoli, San paolo IMI e Poste Italiane) circa l'effettiva entità e spettanza dei crediti” e conseguito un ingiusto profitto con corrispondente danno del debitore e dei terzi. Avevano quindi posto in essere ulteriori atti idonei diretti in modo non equivoco a conseguire un ulteriore ingiusto profitto, pari alla residua somma oggetto dei precetti.
Al solo R. era inoltre addebitato, al capo B), un tentativo di estorsione nei confronti del vicedirettore della filiale del Banco di Napoli di Avellino, posto in essere con la minaccia di attivare altre 34.000 procedure esecutive.
1.1. Con sentenza pronunciata in data 12 febbraio 2009 la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti perché estinti per prescrizione; confermava la sentenza di primo grado limitatamente alle statuizioni civili e condannava, per l'effetto, gli appellanti in solido a rifondere alle parti civili presenti nel giudizio d'appello, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e San Paolo IMI s.p.a., le spese di assistenza relative al grado.
1.2. Il deposito della motivazione veniva riservato nel termine di 60 giorni (cadente il 13 aprile 2009, che coincideva con il lunedì di Pasqua); la motivazione era depositata entro tale termine (il 9 aprile 2009).
1.3. A giustificazione della decisione, la Corte di appello rilevava che a norma della legge n. 251 del 2005 (la sentenza di primo grado era successiva all'entrata in vigore di detta legge), tutti i reati contestati erano prescritti, dovendosi ritenere il termine massimo di sette anni e sei mesi per i fatti di cui al capo A) commessi sino al (...) , e il termine massimo di otto anni e quattro mesi per la tentata estorsione di cui al capo B) commessa il (...) , e considerare la sospensione complessiva di tali termini per sette mesi e ventinove giorni.
Affermava che andava per tale ragione valutato se esistevano prove “evidenti e incontrovertibili” dell'innocenza o dell'estraneità degli imputati rispetto ai fatti loro attribuiti, e osservava al riguardo che le numerose prove dichiarative e la copiosa documentazione acquisite militavano nel senso del difetto di prove evidenti dell'innocenza o dell'estraneità degli imputati, per tutti i reati.
Confermava quindi le statuizioni civili, affermando che le condotte tenute dagli imputati, pur prive oramai di rilevanza penale, costituivano fatti illeciti, produttivi in via diretta e immediata di danni per i soggetti costituiti parti civili.
2. R.A. ha proposto ricorso con atto a duplice firma, personale e del difensore, avvocato C. S., depositato in data 29 maggio 2009 (ovverosia il 46 giorno a far data dal 13 aprile).
Chiede l'annullamento di entrambe le sentenze di merito e di sedici ordinanze, predibattimentali e dibattimentali, del giudice di primo grado, così individuate: ordinanze in data 04/07/2003 concernenti la ritualità della notifica del decreto di citazione a giudizio e dichiarazione di contumacia (1), il rigetto dell'eccezione di nullità sollevata in proposito, ex art. 171, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. con memoria 26-30/06/2003 (2), il rigetto della eccezione sollevata con memoria 05/03/2003 di nullità della richiesta di rinvio a giudizio (3); ordinanze in data 04/12/2003, di rigetto delle eccezioni avanzate in udienza di nullità: della richiesta di rinvio a giudizio (4), della notifica del decreto di citazione a giudizio (5); della richiesta di rinvio a giudizio e dell'avviso dell'udienza preliminare (6); ordinanza in pari data 04/12/2003, di rinvio all'udienza del 12/12/2003 (7); ordinanza in data 12/12/2003, di rigetto dell'eccezione avanzata con memoria 10/12/2003, di nullità ex art. 184, comma 3, cod. proc. pen., in relazione al rinvio a tale udienza (8); ordinanza in data 15/05/2007, di rinvio ex art. 108 cod. proc. pen. all'udienza del 25/05/2007 (9); ordinanza in data 25/5/2007, di rinvio ex art. 108 cod. proc. pen. all'udienza del 01/06/2007 (10); ordinanza in data 01/06/2007, di rinvio ex art. 108 cod. proc. pen. all'udienza del 04/06/2007 (11); ordinanza in data 01/06/2007, di esclusione della documentazione allegata alle memorie 25/05/2007 e 01/06/2007 (12); ordinanza in data 04/06/2007, di rinvio ex art. 108 cod. proc. pen. all'udienza del 05/06/2007 (13); ordinanza in data 04/06/2007, di esclusione delle denunce allegate alla memoria in pari data (14); ordinanza in data 27/09/2007, di rigetto della richiesta di termine a difesa ex art. 108 cod. proc. pen. (15); ordinanza in data 27/09/2007, di esclusione della denunzia allegata alla memoria in pari data (16). E invoca ogni conseguente statuizione, compreso l'annullamento senza rinvio delle disposizioni in favore delle parti civili.
Articola trentanove profili di censura, enunciandoli come altrettanti "motivi", che, sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., denunziano:
2.1. violazione degli artt. 111 e 24 Cost; 6 C.E.D.U.; 121, comma 2, 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e) e 598 cod. proc. pen.; vizi della motivazione, per omesso esame ed omessa ricognizione dei motivi di appello (cinquantatre) e delle memorie presentate in appello (sette);
2.2. vizi di motivazione in relazione alla illustrazione della vicenda, non essendosi considerata la ricostruzione difensiva, suffragata dalla documentazione allegata, che smentiva sia le prospettazioni delle parti civili sia quanto affermato nelle sentenze di merito;
2.3. vizi di motivazione con riguardo all'individuazione dell'ammontare dei crediti, non essendosi considerato che esistevano due classi, distinte e separate, di crediti vantati nei confronti delle Ferrovie dello Stato (trentacinque, il cui ammontare complessivo, nell'anno 1997, era pari a lire 345.000.000) e nei confronti dei terzi (ulteriori trentacinque, il cui ammontare complessivo finale era pari, nel settembre dell'anno 1999, a lire 4.434.000.000);
2.4. vizi di motivazione con riferimento al numero dei crediti azionati nei confronti delle Ferrovie, in numero pari a trentacinque (15 dei lavoratori e 20 dell'avv. R. ), nella sentenza del Tribunale (a pagine 15-17) erroneamente facendosi riferimento ad un solo credito ("predetto credito iniziale");
2.5. vizi di motivazione con riferimento alla asserita fittizia costituzione delle trentacinque associazioni, legittimamente avvenuta invece in forza della legge n. 266 del 1991, nell'ambito di una risalente ed ancor più ampia attività solidaristica ed associativa (costituzione di sessanta associazioni), prima della pronuncia delle sentenze nei confronti delle Ferrovie dello Stato e sei anni prima che le stesse associazioni divenissero (nell'anno 1997) cessionarie dei crediti dei dipendenti delle Ferrovie e dell'avvocato R. ; senza perciò che vi fosse alcuna relazione tra la costituzione delle associazioni e i trentacinque crediti nei confronti delle Ferrovie loro ceduti;
2.6. vizi di motivazione in relazione all'affermata assenza di attività delle trentacinque associazioni, essendovi invece prova certa della loro attività precedente rispetto alla cessione dei crediti di cui si discute;
2.7. violazione di legge, in relazione all'art. 36 cod. civ. e alla legge n. 266 del 1991, e vizi di motivazione, poiché, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, le associazioni erano conformi a legge;
2.8. vizi di motivazione con riferimento alla omessa considerazione del fatto che l'avv. R. si era servito già delle associazioni in occasione del fallimento "De A." (dichiarato con sentenza del Tribunale di Napoli n. 366 del 1996), in data 12 febbraio 1997, prima dei fatti;
2.9. vizi di motivazione con riferimento alla ipotizzata "fittizia proliferazione di crediti" a mezzo di un istituto, quello della cessione dei crediti, perfettamente legale;
2.10. violazione dell'art. 474 cod. proc. civ. e vizi di motivazione in relazione al medesimo aspetto, essendo ininfluente la cessione dei crediti per il debitore e l'azione esecutiva essendo azione titolata;
2.11. violazione dell'art. 24 Cost. e degli artt. 499 e seguenti cod. proc. pen., e vizi di motivazione, atteso che gli interventi spiegati nei trentacinque procedimenti esecutivi costituivano esercizio di un diritto, motivato dalle ragioni operative già indicate al secondo motivo;
2.11-bis (numerato in ricorso quale 11^ motivo) violazione degli artt. 99 e seguenti, 112, 274, 543 e seguenti, cod. proc. civ., e vizio di motivazione, in relazione alla mancata riunione delle varie procedure esecutive, la riunione e la separazione dei procedimenti costituendo provvedimenti ordinatori discrezionali e insindacabili, che non incidono sulle domande, diminuendole o aumentandole, e la riunione non incidendo sull'autonomia delle cause riunite;
2.12. vizi di motivazione, con riferimento alla influenza della omessa riunione dei procedimenti, sull'assunto che ove i trentacinque procedimenti esecutivi fossero stati riuniti, identico sarebbe stato l'esito;
2.13. vizi di motivazione con riferimento alla mancata verifica della legittimazione dei creditori instanti, risultando pacifiche in atti le cessioni alle trentacinque associazioni, che quali creditori cessionari avevano certamente legittimazione attiva all'azione esecutiva;
2.14. vizi di motivazione in relazione alle osservazioni sulle spese processuali, la liquidazione delle stesse costituendo materia estranea all'assegnazione, ai precetti ed agli assegni emessi dai terzi, ed oggetto di assegnazione essendo stato solo l'importo pignorato, non l'importo delle spese liquidate;
2.15. vizi di motivazione in relazione alla proliferazione dei costi delle opposizioni dei terzi, poiché gli atti della procedura erano tutti in carta libera (come risultava dagli atti dell'opposizione proposta dall'Istituto San Paolo);
2.16. violazioni di legge (dell'art. 640 cod. pen., nonché degli artt. 65 e 546 cod. proc. civ.) e vizi di motivazione con riferimento alla sussistenza degli artifizi o raggiri, non essendovi stata, per le ragioni esposte, alcuna "proliferazione" di crediti;
2.17. violazione dell'art. 640 cod. pen. e vizio di motivazione con riguardo alla induzione in errore dell'Istituto San Paolo, insussistente attesa la notifica nei suoi confronti, in data 24 novembre 1997, su istanza delle trentacinque associazioni, di trentacinque atti di pignoramento presso terzi, ove le pretese erano analiticamente esplicate, e attesa l'evoluzione della procedura, da cui risultava che detta banca aveva piena cognizione e puntuale comunicazione di ogni aspetto della vicenda;
2.18. violazione dell'art. 640 cod. pen. e vizio di motivazione, per le medesime ragioni, con riguardo alla induzione in errore del Banco di Napoli;
2.19. violazione di legge e vizio di motivazione, con riguardo, per ragioni analoghe, alla induzione in errore sia del Banco di Napoli sia dell'Istituto San Paolo;
2.20. violazione di legge e vizio di motivazione, altresì, con riguardo alla esistenza di atti di disposizione determinati da induzione in errore con artifici e raggiri del Banco di Napoli e dell'Istituto San Paolo;
2.21. violazione di legge (in riferimento anche agli artt. 65 e seguenti e 546 cod. proc. civ.) e vizio di motivazione per la impossibilità di configurare l'atto di disposizione richiesto per la integrazione del delitto di truffa giacché tale atto, secondo la ricostruzione accusatoria, consisterebbe nella dazione degli assegni di pagamento da parte degli istituti di credito pignorati, aventi quali custodi la veste di ausiliari del giudice, in esecuzione dell'ordine del giudice stesso, in tesi autore del reato;
2.22. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'ingiusto profitto, stante la coincidenza tra gli importi dei pignoramenti avvenuti nelle procedure esecutive (345 milioni di lire) e gli importi delle assegnazioni a carico di ciascuno dei tre terzi; costituendo ius receptum, per quanto concerneva il pagamento delle così dette spese successive, che il creditore può intimarne nel precetto il pagamento;
2.23. violazione di legge e vizio di motivazione per l'omessa considerazione dell'insegnamento offerto dalla pronuncia n. 1471 del 1996 delle Sezioni unite civili (il creditore può, con l'atto di precetto, intimare il pagamento delle spese e dei diritti ad esso inerenti);
2.24. violazione degli artt. 56 e 629 cod. pen. e vizi di motivazione con riferimento alla tentata estorsione per insussistenza di violenza e minaccia, nessun teste avendo mai dichiarato di avere udito l'avv. R. minacciare l'attivazione di 34.000 procedure esecutive, né risultava in atti alcuno scritto che recava tale minaccia;
2.25. violazione degli artt. 56 e 629 cod. pen. e vizi di motivazione, essendo evidente l'impossibilità pratica e giuridica che fossero esperite altre 32.775 procedure esecutive (34.000 meno 1.225), in assenza di altrettante copie esecutive delle ordinanze e dei precetti; risultando inoltre dagli atti che era stato azionato uno solo dei 1.225 titoli e precetti, in termini di pignoramento mobiliare presso il debitore;
2.26. violazione degli artt. 2043 cod. civ. e degli artt. 388, comma 5, 640, 56, 629 cod. pen., e vizi di motivazione, giacché le banche pignorate si erano rese inadempienti nei confronti delle associazioni creditrici ed assegnatane nonostante l'obbligo di effettuare immediatamente il disposto pagamento, così rendendosi responsabili di illecito aquiliano e di mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice, lucrando sulla valuta e favorendo le Ferrovie, vanificando le trentacinque pronunce giurisdizionali;
2.27. violazione degli artt. 56 e 629 cod. pen. e vizi di motivazione, con riferimento alla sussistenza dell'ingiusto profitto, per ragioni analoghe a quelle esposte in merito all'insussistenza dell'ingiusto profitto riguardo al delitto di truffa (motivi 2.22 e 2.23);
2.28. vizi di motivazione e contraddittorietà della sentenza del Tribunale, che aveva peccato di parzialità, travisamenti ed omissioni nella esposizione delle deposizioni rese dai testi Me. , B. , V. , Ma. , F. , m. e V.P. ;
2.29. vizi della motivazione della sentenza impugnata che aveva: omesso di considerare le cinque condanne al pagamento delle spese in favore dell'avv. R. , difensore distrattario; individuato l'importo iniziale delle condanne in 18 milioni di lire, anziché in 70 milioni di lire; omesso di considerare i crediti originari dell'avv. R. ; affermato contrariamente al vero che nelle ordinanze di assegnazione erano state liquidate spese in favore dell'avv. R. ; erroneamente dubitato della legittimazione attiva delle associazioni creditrici, pacificamente sussistente e oggetto di verifica nelle ordinanze di assegnazione del giudice M. e affermato che le associazioni non avevano prodotto l'atto costitutivo; fatto erroneo riferimento alle Ferrovie come uno dei terzi esecutati e alla liquidazione delle spese nelle ordinanze di assegnazione, il cui oggetto era semplicemente l'importo pignorato, oltre che le spese di precetto; arbitrariamente affermato la consapevolezza dell'imputato di operare contra ius;
2.30. vizi di motivazione della sentenza laddove aveva affermato che l'imputato era consapevole dell'ingiustizia della sua pretesa, essendo al contrario il ricorrente animato dalla consapevolezza di operare secundum ius;
2.31. violazione dell'art. 237 cod. proc. pen., per l'omessa acquisizione delle denunce e degli altri documenti provenienti dal R. , oggetto delle ordinanze in data 1 giugno, 4 giugno e 27 settembre 2007, elencate ai nn. 12, 14 e 16 all'inizio del ricorso;
2.32. violazione degli artt. 640 e 56, 629 cod. pen. e vizi di motivazione per l'evidente insussistenza dei fatti-reato ascritti ai capi A) e B) dell'imputazione, sulla base di quanto prima complessivamente rappresentato, ed in considerazione della correttezza della condotta tenuta dal ricorrente;
2.33. violazione dell'art. 129 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in riferimento alla declaratoria di improcedibilità per prescrizione, perché l'evidente insussistenza dei fatti-reato ascritti all'imputato avrebbe dovuto portare al proscioglimento nel merito ai sensi del comma 2 della disposizione evocata;
2.34. violazione della legge processuale e nullità dell'intero procedimento, ex art. 179 cod. proc. pen., per nullità della citazione per l'udienza del 4 luglio 2003, non avendo l'imputato avuto conoscenza della stessa, perché ricoverato in ospedale; erroneità delle ordinanze di rigetto delle relative eccezioni e di dichiarazione di contumacia del 4 luglio 2003 e del 4 dicembre 2003, indicate all'inizio ai punti 1, 2 e 5;
2.35. violazione dell'art. 108 cod. proc. pen. e della normativa di sistema nell'ordinamento interno (artt. 24 e 111 Cost.) e internazionale (art. 6, p. 1 e 3, della Convenzione E.D.U.), e nullità dell'intero procedimento, in ragione dell'incongruità dei termini a difesa concessi dal Tribunale alle udienze del 15 maggio 2007, del 25 giugno 2007, del 1 giugno 2007 e del 4 giugno 2007, nonché del diniego del termine a difesa nell'udienza del 27 settembre 2007; nullità, quelle evidenziate, tutte ritualmente eccepite sia prima sia dopo il compimento dei relativi atti; nonché disparità di trattamento, le richieste di differimento del Pubblico ministero per studio degli atti processuali essendo state tutte accolte;
2.36. violazione degli artt. 178, lett. c), 180 e 416, comma 1, cod. proc. pen. e nullità dell'intero sviluppo processuale, erroneità delle ordinanze impugnate indicate all'inizio ai punti 3 e 4 (del 04/07/2003 e 04/12/2003), giacché la richiesta di rinvio a giudizio del R. non era stata preceduta dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio;
2.37. violazione degli artt. 178, comma 1, lett. c), 179, 180 e 419 cod. proc. pen., nullità dell'intero procedimento, erroneità dell'ordinanza impugnata indicata all'inizio, al punto 6 (del 04/12/2003), atteso che all'eccezione di omissione o nullità della notifica della richiesta di rinvio a giudizio e dell'avviso di udienza preliminare che riguardava in particolare anche l'attività dell'agente postale, il Tribunale aveva risposto elusivamente affermando che la notifica risultava ritualmente effettuata dall'ufficiale giudiziario e non aveva quindi affrontato la questione della notifica della richiesta di rinvio a giudizio e dell'avviso di udienza preliminare, successivamente alla rinnovazione dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen..
2.38. violazione dell'art. 578 cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riferimento alla conferma dei capi e delle disposizioni concernenti gli interessi civili, non essendovi stati esame, né ricognizione, a tal fine, dei motivi d'appello.
3. M.O. ha proposto ricorso, anch'esso a firma personale e del difensore, avvocato I. B., chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
3.1. Con il primo motivo denunzia vizi della motivazione e violazione dell'art. 129 cod. proc. pen., perché la Corte di appello, come già il Tribunale: (a) aveva erroneamente rimarcato la mancata verifica della legittimazione dei creditori procedenti e intervenienti; b) aveva erroneamente segnalato la mancata doverosa riunione dei procedimenti; c) aveva altrettanto erroneamente affermato che il giudice dell'esecuzione doveva dar corso ad una procedura unitaria.
Si erano supposti poteri d'ufficio estranei ai margini di operatività, vincolati, del giudice dell'esecuzione; le verifiche, in difetto di opposizione da parte del debitore esecutato, non erano dovute; il M. aveva svolto gli accertamenti d'ufficio cui era tenuto (concernenti le condizioni di ammissibilità dell'azione esecutiva, i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito).
La riunione era discrezionale e non era mai stata "eccepita" o sollecitata dal debitore esecutato; quand'anche fosse stata disposta, il giudice dell'esecuzione non avrebbe dovuto liquidare un unico onorario, in ragione della vigenza dell'art. 5, comma 4, della tariffa forense, approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, che prevede aumenti a scalare rispetto al numero dei procedimenti, del fatto che la liquidazione unica mai avrebbe potuto concernere comunque l'attività anteriore alla riunione, del principio che nel processo esecutivo l'onere delle spese processuali non segue la soccombenza, ma la soggezione del debitore all'esecuzione.
Si era dimenticato che, emesse le ordinanze di assegnazione, le stesse non sono più revocabili d'ufficio, ma solo, eventualmente, suscettibili d'opposizione; si era dunque trascurato che l'attività del M. era per ogni verso vincolata e che era alle parti che spettava eventualmente proporre opposizione.
In assenza di qualsivoglia indizio idoneo a dimostrare un legame tra le condotte degli imputati, doveva escludersi ogni ipotesi di concorso nel reato di truffa; il ricorrente era estraneo alle operazioni di cessione dei crediti, notifica dei precetti ed esecuzione dei pignoramenti e, dunque, alla contestata attività di proliferazione dei crediti in precedenza avviata dal R. , ed era stato designato quale giudice dell'esecuzione dal Pretore dirigente secondo rigorosi criteri tabellari; a lui non potevano addebitarsi le successive iniziative del coimputato, che circa un anno e mezzo dopo il deposito delle ordinanze le aveva azionate come se si trattasse di titoli esecutivi, in palese violazione dell'art. 95 cod. proc. civ..
I Giudici di secondo grado non potevano ignorare che le statuizioni inerenti alla determinazione delle spese non costituivano "titolo esecutivo", per cui non potevano giustificarsi le successive intimazioni dei precetti, con cui s'era azionato un credito inesistente ammontante complessivamente a circa sette miliardi.
3.2. Con il secondo motivo denunzia violazione dell'art. 578 cod. proc. pen. e difetto di motivazione in relazione alla conferma delle statuizioni civili; la Corte di merito aveva omesso di esaminare, agli effetti civili, le numerose censure rivolte alla sentenza di primo grado con i motivi d'appello (già per altro riproposti in sostanza con il primo motivo).
3.3. Con il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 129, comma 1 e 578 cod. proc. pen., avendo il Giudice d'appello omesso di verificare che il decorso della prescrizione, per quel che ineriva la posizione del M. , era già maturato nelle more del processo di primo grado: l'attività giurisdizionale del ricorrente si era definitivamente conclusa alla data del 10 giugno 1998 con il deposito delle ordinanze di cui al capo d'imputazione; lo stesso aveva anche concluso il proprio mandato di vice Pretore alla data del 31 dicembre 1997. La commissione del reato andava al più anticipata al momento della emissione delle ordinanze e la prescrizione era maturata alla fine del mese di luglio dell'anno 2007, in data anteriore alla pronuncia resa in primo grado; il Giudice d'appello non poteva decidere perciò sulle istanze della parte civile.
4. In data 24 luglio 2010, il ricorrente R.A. depositava, ex art. 585 comma 4, cod. proc. pen., atto contenente sei "motivi" nuovi, deducendo:
4.1, l'insussistenza del fatto-reato di truffa e violazioni di legge: (1^ "motivo") per inosservanza degli artt. 25, comma secondo, Cost, 14 preleggi e 1 cod. pen., ovverosia dei principi di legalità e tassatività della fattispecie, e del divieto di analogia in materia penale; (2^ "motivo") per inosservanza dell'art. 117, comma primo, Cost. e dell'art. 7 C.E.D.U., come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo; (3^ "motivo") per inosservanza dell'art. 117, comma primo, Cost. e dell'art. 6 C.E.D.U., come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo;
4.2. la violazione degli art. 129, 530 e 578 cod. proc. pen.: (4^ "motivo") per l'evidente insussistenza dei fatti-reato ascritti; (5^ "motivo") per il mancato rispetto dei principi di diritto enunciati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009; (6^ "motivo") per la necessità, per l'effetto, di dichiarare a norma dell'art. 578 cod. proc. pen. l'insussistenza dei fatti-reato in rubrica ascritti.
5. Con note di udienza del 7 settembre 2010, le parti civili San Paolo IMI s.p.a. e Banco di Napoli s.p.a. hanno chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso proposto dal R. , perché tardivamente depositato in data 29 maggio 2009, ossia un giorno dopo la scadenza del termine di 45 giorni, previsto dall'art. 585, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..
6. Il ricorrente R.A. depositava il 20 settembre 2010, undici memorie difensive che ribadivano e illustravano ulteriormente le censure con specifico riferimento: (1^ memoria) alla violazione dei principi di legalità e del giusto processo; (2^ memoria) alle censure del coimputato, osservando che, diversamente da quanto esposto nel ricorso proposto dal M. , le associazioni creditrici non potevano agire nuovamente contro le originarie debitrici Ferrovie dello Stato, senza aver prima - e vanamente - agito nei confronti dei terzi; (3^ memoria) alla nullità radicale del processo per omessa citazione a giudizio; (4^ memoria) alla nullità radicale del processo per violazione dell'art. 108 cod. proc. pen.; (5^ memoria) alla necessità di dichiarare le nullità verificatesi in primo grado e di tutti gli atti conseguenti; (6^ memoria) alla violazione degli artt. 578 e 125 cod. proc. pen.; (7^ memoria) alla necessità di annullamento senza rinvio; (8^ memoria) all'assenza di induzione in errore e di atto di disposizione dei terzi pignorati, ausiliari del giudice; (9^ memoria) all'inesistenza di ingiusto profitto; (10^ memoria) alla insussistenza della tentata estorsione; (11^ memoria) alla violazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen..
7. Il 24 settembre 2010, il R. depositava altra memoria, in replica alle note di udienza delle parti civili, con la quale illustrava l'infondatezza della censura di tardiva proposizione del ricorso, in particolare sottolineando che, seguendo la tesi opposta, alla parte sarebbero rimasti per impugnare solo quarantaquattro giorni, con un esito contrastante rispetto ai principi affermati dagli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, Cost., nonché dall'art. 6 C.E.D.U..
8. In data 10 novembre 2010, il R. depositava atto a sua firma con il quale riepilogava ed elencava correttamente il numero dei motivi di ricorso già articolati (39 originari e 6 nuovi), segnalando che erano stati erroneamente indicati come undicesimo (11^) sia l'undicesimo sia il dodicesimo motivo; illustrava ulteriori controdeduzioni all'eccezione della parte civile, ribadendo il contenuto della memoria del 24 settembre 2010 (la proroga ex art. 172, comma 3, non aveva ad oggetto il dies a quo per l'impugnazione, ma il dies ad quem per il deposito della sentenza).
9. All'esito dell'udienza celebrata in data 24 settembre 2010, la Seconda Sezione penale di questa Corte pronunciava ordinanza con la quale, rilevato che in ordine alla questione della tardività del ricorso del R. si profilava un contrasto tra la giurisprudenza indicata come prevalente (Sez. 3, n. 133 del 19/11/2008, dep. 2009, Santoro, Rv. 242261; Sez. 2, n. 23694 del 15/05/2008, Schillaci, Rv. 240622) e quella assunta come minoritaria (Sez. 6 n. 42785 del 25/10/2001, Blandino, Rv. 220425) ma condivisa, rimetteva i ricorsi alle Sezioni Unite, ritenendo necessario il loro intervento.
10. Con decreto emesso in data 15 ottobre 2010 il Presidente Aggiunto assegnava il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione del ricorso l'udienza del 25 novembre 2010.
Il 25 novembre 2010 il ricorso veniva rinviato a causa di un difetto di notifica, alla udienza del 25 maggio 2011.
11. Il 23 maggio il ricorrente R. depositava, in vista dell'udienza del 25 maggio, dieci atti di memoria, con i quali, riprendendo argomenti già trattati, illustrava: (1^ memoria) la questione di diritto rimessa alle Sezioni unite; (2^ memoria) la violazione dell'art. 388, comma quinto, cod. pen., ad opera dei terzi esecutati; (3^ memoria) le conseguenze delle decisioni di merito in termini di frustrazione, in concreto, del giudicato portato dalle sentenze dei giudici civili che avevano conosciuto dei crediti posti in esecuzione; (4^ memoria) l'utilizzazione impropria dello strumento penale a tutela di ragioni civili che potevano semmai essere fatte valere con opposizioni; (5^ memoria) la violazione del principio di legalità prodotto dalla condanna per reati non configurabili; (6^ memoria) la violazione dei principi affermati in tema di truffa da Sez. U, n. 7537 del 10/02/2011; (7^ memoria) la violazione del comma 2 dell'art. 129 cod. proc. pen.; (8^ memoria) la "criminalizzazione" del principio enunciato dalle Sezioni Unite civili nella sentenza n. 1471 del 1996 (al creditore istante è consentito intimare con il precetto il pagamento delle spese ad esso inerenti); (9^ memoria) la violazione del favor innocentiae e dei principi enunciati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2010 e Sez. 3, n. 6261 del 12/01/2010 in tema di rapporti tra gli artt. 129 e 578 cod. proc. pen.; (10^ memoria) la violazione degli artt. 6 e 7 C.E.D.U., in ordine in particolare al dovere dei giudici di esaminare effettivamente gli argomenti e le deduzioni delle parti, di rispettare i giudicati nonché ai principi di legalità, di effettività della tutela a mezzo della esecuzione delle decisioni e di legalità.
12. All'udienza del 25 maggio 2011, costituite le parti, il Procuratore Generale, in via preliminare, ai fini e per gli effetti di quanto affermato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo con la sentenza 11 dicembre 2007, Drassich, informava le parti che intendeva sollevare il problema della diversa qualificazione giuridica dei fatti ascritti ai due ricorrenti al capo A) della rubrica.
Anticipava a tale proposito che ad avviso della Procura Generale la sentenza impugnata difettava nella individuazione degli elementi costitutivi del delitto di truffa, in specie l'induzione in errore e l'atto dispositivo - elemento costitutivo implicito - non ravvisabile nelle ordinanze di assegnazione.
Apparivano per contro gli estremi del delitto di abuso di ufficio (ex artt. 110 e 323, secondo comma, cod. pen.), attesi i riferimenti espliciti, nella contestazione, alla violazione di norme di legge, in specie al disposto dell'art. 273, comma primo, cod. proc. civ., ancorché non formalmente richiamato, e all'ingiusto vantaggio patrimoniale per il R. e per le trentacinque associazioni creditrici, costituito - come da capo d'imputazione - per il primo nell'assurda e abnorme proliferazione delle spese processuali, vantate, liquidate e in parte riscosse; per le seconde nell'emissione, in favore di ogni società, di trentacinque ordinanze di assegnazione, ciascuna per l'intero importo del credito vantato; con contestuale e corrispondente danno ingiusto per la società esecutata e per i terzi pignorati.
Le parti chiedevano termine.
Il Collegio, ritenuto che alle difese doveva essere assicurato tempo congruo per formulare eventuali controdeduzioni in merito alla prospettiva di una diversa qualificazione dei fatti, rinviava, impregiudicata ogni decisione sul merito, all'udienza del 29 settembre 2011.
13. Il 14 settembre l'avvocato D. T. ha depositato note d'udienza per le parti civili San Paolo IMI e Banco di Napoli, con le quali:
- insiste nella eccezione di tardività del ricorso, nuovamente illustrandone le ragioni, in specie sotto il profilo della natura del termine per il deposito delle sentenze, per il quale il dies ad quem non sarebbe suscettibile quindi di proroga ope legis al giorno successivo non festivo, se quello di scadenza è festivo (richiamando la giurisprudenza in tema di non soggezione dei termini di cui all'art. 544 cod. proc. pen. alla sospensione in periodo feriale);
- insiste per la correttezza della qualificazione dei fatti contestati al capo A) alla stregua di truffa, osservando che il Procuratore Generale avrebbe del tutto impropriamente evocato rilievi riferibili alla fattispecie della cosiddetta truffa processuale, in cui è il giudice ad essere la vittima diretta dell'inganno; nel caso in esame il giudice non era destinatario dell'inganno ma coautore dello stesso; l'intervento del giudice in tale veste comportava la configurabilità del delitto di truffa, gli artifici e raggiri rappresentati dalla maliziosa suddivisione del credito originario e dalla maliziosa mancata riunione, condotte che avevano indotto in errore i terzi sulla entità e spettanza effettive dei crediti;
- osserva che la violazione di specifiche norme di legge ad opera del M. comportava semmai il concorso tra l'abuso di ufficio, che non esauriva l'intera condotta illecita, in specie quella prodromica del R. al quale il M. era rimasto estraneo, e la truffa contestata.
14. Il 23 settembre perveniva memoria a firma dell'avvocato Benigni, nell'interesse dell'imputato M. , trasmessa a mezzo fax.
Nella memoria, in replica alle osservazioni del Procuratore Generale: si contesta la doverosità della riunione, osservandosi che la norma applicabile non era l'art. 273 cod. proc. civ., ma, semmai, l'art. 274 cod. proc. civ.; si rileva che, a considerare il fatto alla stregua di abuso, esso doveva ritenersi esaurito con le ordinanze di assegnazione, quindi il 10 giugno 1998; si rimarca la conseguenza della prescrizione già maturata alla data della sentenza di primo grado. In relazione al primo aspetto si ribadisce poi la prospettazione difensiva secondo cui le ordinanze di esecuzione non erano titoli esecutivi e il R. in base ad esse non poteva procedere a intimazione con 3.673 atti di precetto, intimando il pagamento di circa sette miliardi di lire.
15. Il 27 settembre il R. ha depositato altre quattordici memorie con le quali: (1^ memoria) afferma che in caso di riqualificazione dei fatti contestati al capo A) alla stregua di abuso, per il quale è prevista l'attribuzione al Tribunale in composizione collegiale, si sarebbero dovute annullare senza rinvio entrambe le sentenze di merito; (2^ memoria) richiama le deduzioni in tema di tempestività del ricorso, nullità per omessa citazione in primo grado e per violazione dell'art. 108 cod. proc. pen.; (3^ memoria) assume che l'ipotetico abuso, commesso il 10/06/1998, era prescritto prima della sentenza del Tribunale; (4^ memoria) denunzia la falsità di quanto descritto nel capo A), a proposito della qualifica di difensore antistatario del R. ; (5^ memoria) denunzia (richiamando precedenti osservazioni) falsità ed erroneità nelle deduzioni in tema di regole processuali civili del M. , affermando che evidentemente il coimputato non conosce il codice di rito civile; (6^) afferma che non poteva in alcun modo ritenersi che l'imputazione contenesse un implicito riferimento all'art. 273 cod. proc. civ., semmai all'art. 274 cod. proc. civ.; (7^ memoria) rinnova le censure relative all'affermata omessa verifica della legittimazione dei creditori cessionari; (8^ memoria) rinnova le censure in ordine alla falsità delle affermazioni relative alle liquidazioni di spese a suo favore e alla irrilevanza delle riunioni o separazioni sulle spese; (9^ memoria) rimarca che il M. aveva sciolto le riserve oltre i termini di legge, con danno dei pignoranti e vantaggio delle Ferrovie; aveva limitato l'importo assegnato a quello pignorato anziché a quello oggetto del riconoscimento di debito, con ingiusto vantaggio per le Ferrovie e svantaggio per le associazioni; (10^ memoria) afferma che se violazioni di legge vi erano state, essere erano perciò tutte a favore del debitore Ferrovie e che non era ravvisabile alcun profitto o vantaggio contra ius delle creditrici; (11^ memoria) contesta l'elemento soggettivo dell'abuso, ovvero l'esistenza di dolo intenzionale di vantaggio patrimoniale o danno ingiusto; (12^ memoria) torna sugli argomenti della 9^ e 10^ memoria, assumendo che l'abuso a vantaggio delle associazioni era smentito dai fatti; (13^ memoria) sostiene che in ogni caso il R. sarebbe rimasto estraneo ad ogni abuso, non risultando tra i due imputati rapporti personali o altri dati da cui indurre un accordo, né prove di intesa, neppure essendo il R. destinatario dell'atto, che anzi aveva comunicato alle Ferrovie; (14^ memoria) afferma che emergeva per tabulas l'insussistenza dei reati, sia di truffa sia di abuso e la negazione dell'evidenza sfociava nell'arbitrarietà.
Considerato in diritto
1. La questione rimessa alle Sezioni Unite.
Il quesito rimesso alle Sezioni Unite deve essere precisato nel seguente: “se la regola secondo cui il termine stabilito a giorni, che scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno non festivo, riguardi anche il termine di deposito della sentenza, con conseguenti effetti sull'inizio di decorrenza del termine per impugnare”.
1.1. Per chiarezza, è bene riassumere i termini del problema.
La Seconda Sezione ha rimesso i ricorsi alle Sezioni Unite ravvisando profili di contrasto in ordine alla soluzione da dare alla questione preliminare della tempestività del ricorso del R. , sollevata con memoria della parte civile San Paolo s.p.a.
La sentenza impugnata è stata pronunciata dalla Corte di appello di Roma in data 12 febbraio 2009, alla presenza di entrambi gli imputati. Al momento della lettura del dispositivo il deposito della motivazione veniva riservato nel termine di 60 giorni, cadente il 13 aprile 2009, che coincideva con il lunedì di Pasqua. La motivazione è stata depositata il 9 aprile 2009, dunque entro il termine. Il ricorso del R. è stato depositato in data 29 maggio 2009, ovverosia il quarantaseiesimo giorno a far data dal giorno festivo del 13 aprile 2009.
Il ricorso sarebbe dunque tardivo se si dovesse calcolare il termine di quarantacinque giorni - assegnato per l'ipotesi in esame dal disposto coordinato dell'art. 585, comma 1, lett. c), e comma 2, lett. c), cod. proc. pen. - come decorrente dal giorno festivo coincidente con la scadenza del termine determinato dal giudice per il deposito della sentenza; sarebbe tempestivo se la data di decorrenza dovesse essere riferita al primo giorno non festivo successivo.
1.2. A tale proposito il Collegio rimettente rileva che secondo un orientamento giurisprudenziale (espresso da Sez. 3, n. 133 del 19/11/2008, dep. 2009, Santoro, Rv. 242261; Sez. 2, n. 23694 del 15/05/2008, Schillaci, Rv. 240622) in materia di termini stabiliti a giorni, la proroga prevista per i giorni festivi dall'art. 172, comma 3, cod. proc. pen., riguarda esclusivamente la scadenza dei termini stessi, e non anche l'inizio della loro decorrenza, la quale pertanto non potrebbe essere prorogata di diritto, anche quando debba essere in concreto riferita ad un giorno festivo. Da tale orientamento discenderebbe nel caso di specie che il termine per l'impugnazione dovrebbe farsi decorrere dal 13 aprile 2009, e il ricorso del R. sarebbe inammissibile.
La Sezione rimettente ritiene però che siffatta interpretazione contrasterebbe con il tenore letterale dell'art. 585, comma 2, cod. proc. pen., laddove stabilisce che i termini previsti dal comma 1 dello stesso articolo decorrono in ogni caso dalla scadenza del termine per il deposito della sentenza (Sez. 6 n. 42785 del 25/10/2001, Blandino, Rv. 220425), senza riferimento alcuno al computo dei dati temporali ex art. 172 cod. proc. pen., facendo in tal modo coincidere il dies a quo per proporre l'impugnazione con il dies ad quem relativo alla scadenza del termine per il deposito della sentenza, prorogabile di diritto al primo giorno non festivo successivo a quello festivo di scadenza. Avuto riguardo alla ratio dell'art. 585 cod. proc. pen., consistente nell'evitare di dare avviso alle parti del deposito della sentenza in tutti i casi in cui la stessa è depositata nei termini di legge o indicati dal giudice, i parametri di commisurazione di entrambi i predetti termini non potrebbero che essere identici, e sarebbe illogico ritenere decorrente dal giorno festivo il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, pur dovendosi individuare in quello successivo non festivo il termine di scadenza per il deposito della sentenza.
2. Effettivamente, Sez. 3, n. 133 del 19/11/2008, dep. 2009, Santoro, Rv. 242261, ha ritenuto l'inammissibilità dell'impugnazione proposta, nel caso al suo esame, il giorno successivo a quello di scadenza del termine, calcolando come data d'inizio il giorno festivo in cui secondo il calendario comune scadeva il termine per il deposito della sentenza, richiamando la consolidata giurisprudenza secondo cui la regola posta dall'art. 172, comma 3, cod. proc. pen., non s'estende al termine iniziale (o intermedio) festivo. Nello stesso senso s'è espressa Sez. 4, n. 2625 del 21/09/1999, Gherardi, Rv. 215000.
2.1. Tali sentenze non hanno tuttavia specificamente considerato l'aspetto che il dies a quo del termine per impugnare decorre, ex art. 585, comma 2, lett. e) cod. proc. pen., dal dies ad quem per il deposito della motivazione della sentenza; che questo, cadendo in giorno festivo, andava di diritto prorogato; che, non ricorrendo ipotesi di sospensione diversamente operanti per i due termini, la decorrenza dell'inizio dell'uno dalla fine dell'altro equivale secondo il calendario comune alla coincidenza del giorno d'inizio con il giorno di fine.
2.2. Nella sentenza Santoro si cita, come precedente conforme, Sez. 6, n. 82 del 22/11/2002, Khaidou, Rv. 225708, relativa alla decorrenza del termine di cui all'art. 309, comma 9, cod. proc. pen., e l'ordinanza di rimessione richiama altresì Sez. 2, n. 23694 del 15/05/2008, Schillaci, Rv. 240622, relativa alla decorrenza dei termini d'impugnazione a far data dal primo giorno successivo alla sospensione feriale (16 settembre), cadente in giorno festivo.
Si tratta però di precedenti non esattamente in termini.
2.3. Sez. 6, n. 82 del 2002, Khaidou, si riferisce ad ipotesi significativamente diversa giacché la decorrenza del termine di cui all'art. 309, comma 9, cod. proc. pen., è ancorata, da quella stessa disposizione, a una data determinata in base alla materiale trasmissione degli atti ad opera del Pubblico ministero.
2.3. Ipotesi radicalmente differente è quindi quella esaminata da Sez. 2, n. 23694 del 2008, Schillaci, e dalle molte decisioni simili relative alla decorrenza dei termini d'impugnazione a far data dalla cessazione del periodo feriale (16 settembre), in situazione in cui il termine per il deposito della sentenza scade entro detto periodo.
Quando ciò accade, difatti, all'assenza di soluzione di continuità tra termini (piano normativo) non corrisponde assenza di soluzione di continuità anche tra date del calendario comune (piano naturalistico). Il giorno di inizio del termine per impugnare non coincide più con il giorno in cui viene a cadere il termine fissato per legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, perché questo, a differenza dell'altro, non è soggetto alla sospensione prevista dall'art. 1 legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sez. U, n. 7478 del 19/06/1996, Giacomini, Rv. 205335). Con la conseguenza che, ove il termine per la redazione della sentenza venga a collocarsi in detto periodo, la regola della decorrenza giuridica non determina coincidenza naturale di date, perché, intervenendo l'ulteriore regola della sospensione feriale, il termine per proporre impugnazione inizia autonomamente a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.
3. Tornando alle decisioni invece pertinenti e all'ordinanza di rimessione, occorre rilevare che se si trattasse davvero di stabilire soltanto se, in materia di termini processuali stabiliti a giorni, la proroga di diritto, in caso di scadenza in giorno festivo, al giorno successivo riguardi anche l'inizio della decorrenza, il quesito non giustificherebbe incertezza alcuna.
3.1. L'art. 172, comma 3, cod. proc. pen. dispone che “il termine stabilito a giorni, il quale scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo”. La disposizione, tassativa nel dato letterale, nega implicitamente ogni rilievo all'ipotesi che i giorni festivi vengano a cadere all'inizio o durante il decorso del termine: salva, ovviamente, diversa previsione normativa che si ponga come lex specialis rispetto alla regola generale (come, ad esempio, quella di cui all'art. 477, comma 2, cod. proc. pen.). Né fra termine iniziale e termine finale è predicabile identità di situazioni o è spendibile analogia di rado. La disposizione assicura che allorché sono fissati dei termini per il compimento di uno specifico atto, o per lo svolgimento di una data attività, “l'interessato possa svolgere l'attività sottoposta a termine anche nell'ultimo giorno utile” (Corte cost., ord. n. 80 del 1967). Ma solo al perfezionamento dell'esistenza giuridica dell'atto, che normalmente si realizza con deposito, ricezione, verbalizzazione o ratifica del funzionario addetto all'ufficio, è indispensabile che il termine non cada in giorno in cui gli uffici sono chiusi; non all'eventuale attività di studio, preparazione, compilazione.
Sul punto appaiono d'altronde concordi dottrina e risalente e consolidata giurisprudenza (cfr., in relazione all'analoga disposizione recata dall'art. 180 del codice di rito del 1930, Sez. 4, n. 2523 del 17/10/1969, Pardini, Rv. 113386; Sez. 5, n. 873 del 03/03/1971, Micheluzzi, Rv. 117940; Sez. 2, n. 1385, 03/12/1984, dep. 1985, Annessi, Rv. 167824; Sez. 2, n. 274 del 25/01/1984, Di Staso, Rv. 163027, e in relazione al codice vigente, tra molte neppure massimate, Sez. 6, n. 28290 del 03/06/2003 Baldassarre, Rv. 226354).
La proroga di diritto del giorno di scadenza non riguarda dunque il giorno d'inizio, così come non riguarda i giorni intermedi.
3.2. Per rispondere agli argomenti delle parte civile, che ha sollevato la questione e che ha insistito su tale aspetto con la memoria e nella discussione orale, può solamente aggiungersi che non riguarda in alcun modo l'ipotesi in esame neppure il problema, sul quale effettivamente si registra una qualche divergenza di orientamenti, della riferibilità della previsione dell'art. 273, comma 3, cod. proc. pen., anche ai termini dilatori.
Dilatorio è il termine entro il quale a un soggetto è impedito il compimento di determinate attività, essendo il tempo intermedio riservato al compimento di attività di altri, di regola a pena di decadenza. Il medesimo lasso temporale potrà dunque rappresentare per taluno un termine dilatorio e per tal altro un termine perentorio, ma non v'è dubbio che la natura del termine assegnato ad un soggetto non dipende né dal dato cronologico in sé né dall'attività che altri possa compiere o non compiere nel medesimo tempo, bensì dalla funzione della regola temporale per ciascuno posta. È decisamente da escludere, perciò, che il termine per impugnare o - in relazione a quanto si dirà - il termine per motivare la sentenza, che individua il tempo entro il quale tali attività possono e debbono essere compiute, siano riconducibili alla nozione di termine dilatorio.
4. Il profilo rilevante per il caso in esame non concerne però l'autonoma decorrenza dei termini stabiliti a giorni, ma piuttosto, come d'altra parte evidenzia la stessa ordinanza di rimessione, il modo d'operare della regola fissata dall'art. 271, comma 3, cod. proc. pen., quando a venire in considerazione siano i termini per impugnare che decorrono, ex art. 585 cod. proc. pen., da quelli assegnati, dalla legge o dal giudice, per il deposito della sentenza: ovverosia l'individuazione del dies a quo allorché questo coincide per legge e senza che intervengano sospensioni, con il dies ad quem di un altro termine stabilito a giorni.
Per intendere, si prenda il termine di cinque giorni previsto dall'art. 294, comma 1, cod. proc. pen. per il cd. interrogatorio di garanzia, che è ancorato ad un accadimento, la cattura del soggetto colpito da misura cautelare, che può verificarsi naturalmente in qualsiasi giorno dell'anno. Tale termine è un normale termine processuale a giorni al quale, in assenza di una diversa disposizione normativa, non possono che applicarsi, per individuarsi il momento di decorrenza, le regole generali dell'art. 172, commi 2 e 4, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 10863 del 05/03/2007, Venari, Rv. 235931). Sicché se l'arresto avviene in giorno prefestivo, dies a quo non computatur (art. 172, comma 4, cod. proc. pen.) e il termine comincia decorrere dal giorno festivo; se viene a cadere in giorno festivo inizia dal giorno successivo, non in virtù del comma 3 dell'art. 172, ma sempre in ragione del comma 4.
Situazione diversa è, invece, quella in cui l'inizio del termine non è autonomo e fisso, nel senso che non coincide con una data autonomamente fissata o con un accadimento, verificatosi in una certa data fenomenologicamente determinata, considerato nella sua materialità; ma va correlato alla scadenza di altro termine a giorni ed ha, per tale ragione, natura mobile e derivata da altro momento che va individuato in base a un criterio composito, fatto di calcolo materiale e regola giuridica, che è nel caso in esame il termine per il deposito della sentenza.
5. Deve verificarsi allora, anzitutto, se l'art. 172, comma 3, cod. proc. pen., si applichi alle sentenze. La soluzione non può essere che positiva.
Nessuna indicazione normativa consente di limitare la portata del disposto dell'art. 172, comma 3, cod. proc. pen. ai soli atti o attività delle parti o ai soli termini perentori. La regola della proroga del termine che cade in giorno festivo al primo giorno immediatamente successivo non festivo, risponde, per altro, a principio generale applicabile nei più diversi settori dell'ordinamento (basterà ricordare l'art. 155, comma quarto, cod. proc. civ.).
Neppure esiste alcuna ragione extratestuale che giustifichi la limitazione della sfera d'applicazione della norma in esame alla sola attività delle parti. Anche il giudice, come le parti, dipende, per il deposito dei suoi atti dagli uffici di cancelleria. Ove l'ultimo giorno in tesi utile coincida con un giorno festivo, la chiusura degli uffici comporterebbe, per il giudice nello stesso modo che per le parti, l'impossibilità materiale di fruire dell'ultimo giorno utile.
La giurisprudenza è sul punto consolidata: si vedano, tra molte, Sez. 6, n. 4571 del 01/12/1995 Borzoni, Rv. 204007; Sez. 2, n. 5699 del 21/10/1997 Primerano, Rv. 209027; Sez. 6, n. 1795 del 21/05/1998, Pecoraro, Rv. 211252; Sez. 4, n. 42736 del 17/10/2007, Nicotra, Rv. 238304, in tema di termine di dieci giorni per la decisione del tribunale del riesame; Sez. 2, n. 4546 del 24/10/1994, Gronchi, Rv. 200003, in tema di interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen.; nonché, con riferimento all'analoga disciplina del codice previgente: Sez. 6, n. 175 del 21/01/1989, Montefusco, Rv. 180478, in tema di convalida dell'arresto; Sez. 1, n. 876 del 27/03/1985, Loiacono, Rv. 169293; Sez. 1, n. 1206 del 20/12/1983, Rigamo, Rv. 162562, in tema di termini per la presentazione al giudizio direttissimo.
Si è discusso, e talora si discute ancora, in specie in materia civile e pur senza alcun fondamento, se la regola sia applicabile ai termini perentori. Non si è mai dubitato invece che concerna anche i termini ordinatori (cfr. da ultimo Sez. 1 civ., n. 5254 del 04/04/2003, Rv. 562171; Sez. 4 pen., n. 4658 del 17/12/1976, Romano, Rv. 135569), per i quali non è in linea generale né particolare prevista alcuna limitazione del regime della prorogabilità.
6. Anche per i termini per proporre impugnazione decorrenti “dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza” (art. 585, comma 2, lett. c), cod. proc. pen.), l'individuazione del momento d'inizio non può che dipendere, pertanto, dal criterio composito di cui si è detto, costituito dal computo materiale dei giorni assegnati per il deposito e dall'applicazione della regula iuris che dispone la proroga di quello cadente in giorno festivo al successivo non festivo.
Per conseguenza, se il giorno finale del primo termine è festivo, esso è prorogato al primo giorno immediatamente successivo non festivo e da tale giorno non festivo decorre il secondo termine: non perché il giorno festivo non sarebbe calcolabile quale giorno iniziale di decorrenza, ma semplicemente perché il giorno iniziale di decorrenza del secondo termine coincide con quello in cui cade il primo termine, sicché la proroga di diritto del primo comporta lo spostamento dell'inizio della decorrenza del secondo.
6.1. Sotto l'aspetto sistematico tale criterio è poi l'unico conforme allo scopo delle regole poste dall'art. 585 cod. proc. pen., di evitare, mediante il sistema di prefissazione di termini per il deposito, costi e tempi per le notificazioni; scopo che è ragionevolmente perseguito soltanto se si assicura equanimemente alle parti il diritto di proporre impugnazione con pienezza dei tempi previsti per l'esercizio di tale diritto. Così, da un lato, se il deposito è ritardato, anche di un solo giorno, occorre procedere a notifica; dall'altro, se la sentenza è ritualmente depositata nel giorno post-festivo successivo a quello astrattamente coincidente con lo scadere del termine, non può conseguirne per la parte la perdita di un giorno rispetto al termine che deve esserle riconosciuto.
Ad analoga soluzione pervengono d'altronde, in materia di computo dei termini dettata dall'art. 155 cod. proc. civ., le Sezioni civili di questa Corte, allorché rilevano che la previsione del quarto comma di tale norma si applica anche nel caso in cui il dies ad quem prorogato di diritto costituisca, a sua volta, dies a quo per il termine dato a chi intenda contraddire o ricorrere avverso l'atto per il cui deposito è previsto termine finale cadente in giorno festivo (Sez. 1 civ., n. 13201 del 05/06/2006, Rv. 590480).
6.2. Concludendo, in relazione al quesito per il quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni Unite, devono essere affermati i seguenti principi di diritto:
“la regola per cui il termine stabilito a giorni, il quale scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo, posta nello specifico dall'art. 172, comma 3, cod. proc. pen., si applica anche agli atti e ai provvedimenti del giudice, e si riferisce perciò anche al termine per la redazione della sentenza”;
“nei casi in cui, come nell'art. 585, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., è previsto che il termine assegnato per il compimento di una attività processuale decorra dalla scadenza del termine assegnato per altra attività processuale, la proroga di diritto del giorno festivo in cui il precedente termine venga a cadere al primo giorno successivo non festivo, determina lo spostamento altresì della decorrenza del termine successivo con esso coincidente”;
“tale situazione non si verifica ove ricorrano cause di sospensione quale quella prevista per il periodo feriale che, diversamente operando per i due termini, comportino una discontinuità in base al calendario comune tra il giorno in cui il primo termine scade e il giorno da cui deve invece calcolarsi l'inizio del secondo”.
Ne discende la tempestività e quindi l'ammissibilità sotto tale profilo del ricorso proposto dall'imputato R.A. .
7. Le altre questioni da esaminare.
Una volta assegnati alle Sezioni Unite, sia il ricorso del R. sia quello del M. devono essere esaminati interamente, non essendo previsto per le Sezioni Unite penali che possano limitare la loro decisione alla questione controversa (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 Primavera, Rv. 216660).
Atteso il numero delle questioni prospettate e la grande congerie di atti difensivi, specie del R. , è necessaria una ricapitolazione per dare ordine all'esame.
R. ha enunciato nel ricorso trentanove "motivi" di censura, molti dei quali rappresentano tuttavia mere articolazioni di doglianze rivolte agli stessi capi e punti, ulteriormente sviluppati, senza aspetti di novità sostanziali, in innumerevoli "motivi nuovi" e memorie. Le doglianze sono riconducibili: (a) a violazioni della legge processuale che inficerebbero lo svolgimento del processo sin dall'origine; (b) a errata applicazione della legge sostanziale penale e processuale civile, in relazione alla configurabilità dei reati contestati (c) a violazione degli artt. 129 e 578 cod. proc. pen. in relazione alla declaratoria della prescrizione con conferma delle statuizioni civili senza esame dei motivi di appello; (d) a difetti di motivazione (a volta prospettati sotto l'aspetto di violazioni di legge) che renderebbero in ogni caso errata o carente la decisione impugnata.
M. ha articolato tre motivi, approfonditi nelle memorie, riferiti: (a) alla insussistenza della truffa e, in particolare, alla non configurabilità del suo concorso; (b) alla violazione degli artt. 129 e 578 cod. proc. pen. per le medesime ragioni indicate dal R. , ancorché facenti riferimento ad argomenti difensivi in parte differenti; (c) alla prescrizione già maturata, per la sua posizione, prima della sentenza di primo grado.
Il Procuratore Generale ha chiesto la qualificazione dei fatti contestati a titolo di truffa alla stregua di abuso d'ufficio, e le parti hanno replicato opponendosi.
Vanno perciò esaminate le questioni concernenti: le nullità del giudizio di primo grado; la richiesta di riqualificazione e la configurabilità della truffa; la prescrizione maturata antecedentemente alla sentenza di primo grado; la sussistenza della violazione degli artt. 129 e 578 cod. proc. pen. e le questioni di merito che eventualmente residuano (sotto l'aspetto della motivazione della sentenza impugnata).
8. Le nullità denunziate dal ricorso R. .
Il ricorso R. denuncia molteplici violazioni della legge processuale verificatesi in primo grado, che avrebbero prodotto nullità, in tesi assolute e comunque già tempestivamente dedotte, idonee a travolgere la sentenza del Tribunale. Denuncia altresì che la Corte di appello ha omesso di esaminare le analoghe censure a lei prospettate con l'atto d'appello.
Le questioni sono in astratto rilevanti, giacché i giudici del merito hanno deciso non solo in ordine al reato, per il quale è sopravvenuta la declaratoria di prescrizione in appello, ma anche in ordine al risarcimento dei danni cagionati dal reato.
In questa situazione, di condanna agli effetti civili confermata in appello, il principio che, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, Cremonesi, Rv. 220511) non opera, perché, come puntualizza Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403, la nullità può incidere sulla validità delle statuizioni civili.
Sez. U, Conti si occupava del caso in cui la prescrizione matura successivamente al giudizio d'appello che ha confermato la condanna sia penale sia civile dell'imputato. La situazione non muta però nel caso in cui la sentenza d'appello dichiara la prescrizione dei reati ma conferma le statuizioni civili. Se la nullità travolgesse il giudizio di secondo grado, ma non quello di primo grado, la Corte di Cassazione dovrebbe comunque annullare la sentenza impugnata con riferimento ai capi che riguardano l'azione civile e rinviare, ex art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente per valore in grado di appello. Se la nullità travolge il giudizio di primo grado, entrambe le sentenze di merito vanno annullate senza rinvio, con azzeramento dei capi relativi agli interessi civili, giacché il difetto di una valida sentenza di condanna anche generica dell'imputato, pronunciata a favore della parte civile in primo grado, impedisce l'applicabilità dell'art. 578 cod. proc. pen. nei giudizi d'impugnazione (così anche Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
Le censure appaiono però tutte manifestamente infondate, quando non tardive o per altro verso parimenti inammissibili.
9. Il difetto di motivazione sulle questioni di diritto.
In primo luogo non sono rilevanti le doglianze relative alla mancanza di motivazione della sentenza d'appello o ai difetti di motivazione delle ordinanze del giudice di primo grado, sulle eccezioni di nullità (1^ motivo, in genere; specificamente, altresì, 37^ motivo), non riferendosi alle questioni di diritto l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..
Non vi è dubbio, alla luce di quanto si è detto al punto che precede, che la Corte di merito aveva il dovere di esaminare le eccezioni con cui si prospettavano nullità d'ordine generale e assolute che potevano travolgere il giudizio di primo grado.
La soluzione da dare alle questioni di diritto, processuali o sostanziali che siano, non attiene però al contesto della giustificazione, ma al contesto della decisione, sicché quello che importa per la validità della sentenza è soltanto la correttezza di questa, e non rileva che la Corte di appello non abbia espressamente motivato in ordine all'infondatezza o inammissibilità delle eccezioni, se esse sono effettivamente infondate o inammissibili.
In relazione alle questioni di diritto che si riferiscono alle condizioni di procedibilità o alla ritualità del processo nel cui ambito è stata pronunziata la sentenza impugnata (cfr., per la diversa regola nel caso in cui la questione concerna la rituale formazione di un atto di altro procedimento, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245), il giudice di legittimità è inoltre giudice del fatto (processuale), e ha per tale motivo la possibilità di verificare d'ufficio quanto risulta dagli atti (tra molte decisioni, anche a Sezioni Unite, basti Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) purché le questioni e eccezioni sollevate siano sufficientemente specifiche da consentire di individuare l'atto o l'attività processuale cui si riferiscono.
Ovviamente, vi sono questioni di diritto anche processuali che presuppongono accertamenti o valutazioni di fatto, e solo in questo caso si deve distinguere tra sindacabilità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. della motivazione sui presupposti fattuali, se censurata, e correttezza delle regole di diritto ad essi applicate (tra molte, Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568).
10. Le eccezioni concernenti in particolare la richiesta di rinvio a giudizio.
Il ricorrente denunzia (36^ motivo, riferito alle ordinanze del 4 luglio e del 4 dicembre 2003) la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, sotto due profili: a) l'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. si riferiva solamente alla truffa; b) la richiesta di rinvio a giudizio non era stata preceduta dall'interrogatorio richiesto dall'imputato.
10.1. In relazione al primo aspetto (a), va rilevato che dagli atti emerge che: il 5 marzo 2003, in vista della prima udienza (del 6 marzo 2003, rinviata
13-01-2012 00:00
Richiedi una Consulenza