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Sentenza

Scommesse clandestine.
Scommesse clandestine.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 16 maggio 2012, n.18767

Svolgimento del processo

 

1. Con decreto del 17 maggio 2011 il Gip del tribunale di Palermo dispose il sequestro preventivo di un locale sito in Palenno gestito da F. A. P. ed utilizzato come Centro scommesse, in relazione al reato di cui all'art. 4, comma 4 bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, di esercizio abusivo della attività organizzativa per la raccolta di scommesse sportive per conto di un allibratore straniero.

2. Il tribunale del riesame dì Palermo, con l'ordinanza in epigrafe, confermò il sequestro, essendo risultato che nel locale in questione era svolta attività di collaborazione con l'allibratore straniero CBM mediante la fornitura di strumenti e servizi atti a consentire la raccolta delle scommesse, senza la prescritta autorizzazione.

3. L'indagato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo violazione delI'art. 321 cod. proc. pen. Osserva che la Corte di giustizia europea ha affermato che la normativa italiana sui bandi di gara per le attività di scommesse contiene delle restrizioni alla libertà di stabilimento e che il divieto sanzionato penalmente dall'art. 4, comma 4, legge 13 dicembre 1989, n. 401, di partecipare a scommesse organizzate in altri stati membri costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi.

 

Motivi della decisione

 

4. Va preliminarmente osservato che il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che l'indagato svolgeva, all'interno del locale posto sotto sequestro, senza la prescritta autorizzazione di pubblica sicurezza, attività di collaborazione con l'allibratore straniero CBM mediante la fornitura di strumenti e servizi atti a consentire la raccolta delle scommesse.

Sussiste quindi il fumus del reato contestato, atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «Integra il reato di esercizio abusivo di attività organizzata per l'accettazione e la raccolta di scommesse sportive (art, quarto. commi quarto-bis e quarto-ter 1. 13 dicembre 1989, n. 401) la raccolta in proprio di scommesse da effettuare con diverse società, sia italiane che straniere, svolta in difetto dell'autorizzazione richiesta dall'an. 88 del T.u.l.p.s. da parte del gestore di un “internet point”, trattandosi di attività in violazione del divieto assoluto di intermediazione previsto dall'art. 7, comma primo, del d.m. Finanze 2 giugno 1998, n. 174» (Sez. 111,8.6.2011, n. 29523, Cervellera, In. 250970); «Il reato di cui all'art. 4, comma quarto bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401 (svolgimento di attività organizzata per l'accettazione e la raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi deil'art. 88 R. D. 18 giugno 1931 n. 773, una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l'esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (Sez. Un., 26.4.2004, n. 23271, Corsi, in. 227726); «tali provvedimenti amministrativi sono richiesti non in via alternativa, in quanto la licenza per l'esercizio delle scommesse è necessaria in aggiunta ad altri provvedimenti autorizzatori o concessori già ottenuti dal gestore» (Sez. 111, 19.5.2006, n. 22051, Zurro, in. 234643); «Integra il reato di esercizio abusivo di attività organizzata per l'accettazione e la raccolta di scommesse sportive per conto di un “bookmaker” straniero anche la condotta del soggetto il quale, pur non gestendo direttamente l'attività, collabori tuttavia ad essa, fornendo servizi di vario genere (‘ad esempio, rappresentando in Italia il “bookmaker” straniero, o anche solo fornendo indicazioni sulle quote, sui moduli necessari per trasmettere le scommesse all'estero, sulle modalità per aprire conti correnti all'estero,)» (Sez. IV, 8.4.20 10, n. 20375, Indennitate, rn. 247542).

5. Nella specie il ricorrente non contesta l'effettivo svolgimento della detta attività di collaborazione con l'allibratore straniero, ma sostiene che la norma incriminatrice non sarebbe applicabile perché contrastante con i principi stabiliti dagli artt. 43 e 49 del Trattato CE, concernenti la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi all'interno della Comunità Europea, così come interpretati dalla Corte di Giustizia Europea con sentenza in data 6.3.2007 nelle cause riunite C-338/04, C-3S9/04 e C-360/04, Placanica.

Va preliminarmente ricordato, in via generale, che la non applicazione di una norma nazionale da parte del giudice è possibile soltanto allorché si sia in presenza di un diretto contrasto tra una puntuale norma interna con un altrettanto puntuale precetto comunitario, che dovrebbe essere applicato al posto della norma interna incompatibile con esso. Situazione questa che può verificarsi, ad esempio, quando un principio generale posto dal Trattato CE sia stato specificato e concretizzato da una decisione della Corte di giustizia, assumendo così la norma comunitaria carattere immediatamente precettivo, e dandosi pertanto luogo non ad un rapporto di conformità-non conformità ma di applicabilità-non applicabilità, in quanto l'applicazione di una norma esclude l'applicabilità dell'altra. Quando invece si sia in presenza di una situazione di non conformità della norma interna con principi generali dell'ordinamento comunitario, il giudice nazionale ha il dovere di operare una interpretazione conforme, ma se questa non è possibile il giudice non potrebbe far altro che eventualmente sollevare una questione pregiudiziale di interpretazione dinanzi alla Corte di giustizia o una questione di legittimità costituzionale per la indiretta violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. Non si tratterebbe, infatti, di «non applicare» la norma italiana per applicare al suo posto la puntuale norma comunitaria incompatibile, bensì in sostanza di, per cosi dire, «disapplicare» o «eliminare» la norma interna per la non conformità con un principio generale dell'ordinamento comunitario, compito questo che però spetta esclusivamente alla Corte costituzionale, la cui sfera di attribuzioni verrebbe in pratica ad essere aggirata se si ammettesse una sorta di controllo «diffuso») di «compatibilità comunitaria».

6. Nella specie occorre quindi verificare se vi sia questa situazione di puntuale incompatibilità tra la norma incrirninatrice in esame e le puntuali e concrete norme comunitarie come specificate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea.

In particolare, va ricordato che la citata sentenza Placanica ha specificato i principi generali posti dagli artt. 43 e 49 deI Trattato CE, in tema di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, affermando che: «gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che escluda e per di più continui ad escludere dal settore dei giochi dzzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati», e che «gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che imponga una sanzione penale a soggetti imputati per aver esercitato un'attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell'autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale, allorché questi soggetti non abbiano potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro».

Ne deriva che la specifica norma comunitaria individuata dalla Corte di giustizia con la citata sentenza risulta incompatibile con la norma incriminatrice nazionale — con conseguente obbligo del giudice di «non applicazione» - soltanto allorché il soggetto svolga senza autorizzazione di pubblica sicurezza attività organizzata di intermediazione per l'accettazione e la raccolta di scommesse sportive in favore di un allibratore straniero che non abbia potuto ottenere in Italia le concessioni o le autorizzazioni richieste dalla normativa nazionale a causa del rifiuto dello Stato italiano dì concederle loro, in violazione del diritto comunitario.

Al di fuori di questo specifico caso non sembra ravvisabile — almeno in relazione alla fattispecie di cui al presente giudizio - un contrasto, o anche solo una situazione di non conformità, tra le norme interne di cui all'art. 88 t.u.l.p.s. ed all'art. 4, comma 4 bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, ed i principi generali tema di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi di cui agli artt. 43 e 49 del Trattato CE, tale da far ritenere le prime puntualmente incompatibili con le nonne comunitarie o da far dubitare della loro legittimità costituzionale.

La Corte di giustizia europea ha invero affermato nella sentenza 24.3.1994, Schindier, C-275/92, che una normativa nazionale che vieti agli organizzatori di lotterie di altri Stati membri di promuovere le loro lotterie e di venderne i biglietti (sia direttamente sia per il tramite di agenti locali) nel territorio dello Stato membro che ha emanato detta normativa costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all'art. 59 (ora 49) del Trattato CE; tuttavia questa normativa, qualora non comporti alcuna discriminazione in base alla nazionalità, può risultare giustificata per il fatto che persegua scopi legati alla tutela dei consumatori e alla protezione dell'ordine sociale, la quale si preoccupa sia delle modalità di organizzazione delle lotterie sia della destinazione dei proventi a scopi socialmente rilevanti (di cultura, sport, beneficenza e simili); nella sentenza Lara del 21.9.1999, C-l24/97, che una normativa nazionale che impedisca a operatori di altri Stati membri di mettere in circolazione apparecchi automatici per giochi d'azzardo costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all'art. 49 del Trattato, ma può essere giustificata, se non implica alcuna discriminazione in base alla nazionalità, per motivi connessi alla tutela dei consumatori e alla protezione dell'ordine sociale; nella sentenza del 21.10.1999, Zenatti, C-67198, che una normativa nazionale restrittiva, che riservi a taluni enti il diritto di esercitare scommesse sugli avvenimenti sportivi, può essere giustificata, qualora non comporti alcuna discriminazione in base alla nazionalità, da esigenze imperative di interesse generale, quali la tutela del giocatore, la lotta alle frodi e alle infiltrazioni criminali, sempre che le restrizioni imposte dalla normativa non siano sproporzionate rispetto a tali esigenze; con la sentenza Gambelli del 6.11.2003, C-243/01, che una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommesse, relative, in particolare, a e- venti sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE, ma spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi; possono giustificare restrizioni ai principi comunitari esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (c.d. ludopatia), ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico.

7. Sulla base ed in applicazione dei suddetti principi affermati dalla Corte di giustizia, questa Corte ha più volte sostenuto che le suddette disposizioni di cui all'art. 88 t.u.l.p.s. ed all'art. 4, comma 4 bis, legge 13 dicembre 1989, n. 401, non sono in contrasto con i principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione europea, atteso che la normativa nazionale persegue razionalmente finalità di controllo per motivi di ordine pubblico idonee a giustificare le restrizioni nazionali ai citati principi comunitari (ex plurimis, Sez. Un., 26.4.2004, n. 23271, Corsi, m. 227726; e da ultimo Sez. III, 12.1.2012, n. 7695, Scena, non massimata). La appena citata sentenza delle Sezioni Unite ha rilevato che il controllo per finalità di ordine e sicurezza pubblici è presente non solo in sede di concessione per l'esercizio delle scommesse (in relazione, ad esempio, alla idoneità dei locali), ma soprattutto in sede di rilascio della indispensabile autorizzazione o licenza di polizia richiesta dall'art. 88 t.u.1.p.s., in quanto questa non può essere rilasciata a chi ha determinati precedenti penali; può essere negata a chi ha riportato condanne per particolari delitti; non può essere data a chi sia stato condannato per reati contro la moralità pubblica o il buon costume o per giochi d'azzardo, per delitti commessi in stato di ubriachezza, per contravvenzioni concernenti la prevenzione dell'alcoolismo, o per abuso di sostanze stupefacenti; non può essere concessa a chi è incapace di obbligarsi; inoltre, proprio la soggezione alla licenza di polizia consente agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza di accedere in qualunque momento nei locali destinati all'esercizio delle scommesse e dei concorsi pronostici e di assicurarsi degli adempimenti prescritti dalla legge, dai regolamenti o dall'autorità. La disposizione di cui all'art. 88 t.u.1.p.s., pertanto, si inserisce in un sistema integrato di controllo preventivo e di vigilanza continua, idoneo a soddisfare quella imperativa esigenza di ordine pubblico che tende a contrastare le possibili degenerazioni criminali del settore, quali frodi, riciclaggio del denaro sporco, usura e simili.

Nella specie all'indagato è stato contestato di avere esercitato attività organizzata di intermediazione per conto dell'allibratore estero CBM senza essere munito della licenza di polizia di cui all'art. 88 t.u.l.p.s. Ora, il ricorrente non ha nemmeno dedotto che l'allibratore straniero per il quale operava non abbia potuto ottenere in Italia le necessarie concessioni o autorizzazioni o che egli non abbia potuto ottenere la licenza di polizia a causa di un rifiuto dello Stato italiano di concederle in violazione del diritto comunitario. Non sussiste pertanto nessuna situazione di incompatibilità (e del resto nemmeno una situazione di non conformità) tra la norna incriminatrice applicata e le norme ed i principi comunitari per come interpretati e specificati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea.

8. Appare opportuno osservare che la conclusione cui si è giunti è stata confermata anche dalla sentenza della Corte di giustizia 16 febbraio 2012, cause riunite C-72/lO e C-77/10, Costa e Cifone, emessa durante la stesura della motivazione della presente sentenza, la quale ha innanzitutto ribadito che dalla citata sentenza Placanica risulta che lo Stato italiano «non può applicare sanzioni penali per l'esercizio di un'attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a persone legate a un operatore che era stato escluso dalle gare pertinenti in violazione del diritto dell'Unione» (punto 83). Nella specie appunto non risulta che l'indagato ricorrente sia legato ad un operatore che era stato escluso dalle gare pertinenti in violazione del diritto dell'Unione. La medesima sentenza Costa e Cifone ha quindi affermato il principio che «Gli articoli 43 CE e 49 CE, nonché i principi di parità di trattamento e di effettività, devono essere interpretati nei senso che essi ostano a che uno Stato membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell‘Unione, una categoria di operatori dall'attribuzione di concessioni per l'esercizio di un'attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli ditali operatori esistenti»; ed il principio che «Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate sanzioni per l'esercizio di un ‘attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell'Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest'ultima gara e la conseguente attribuzione di nuove concessioni non abbiano effettivamente rimediato all'illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara».

Anche alla luce di questa sopravvenuta decisione viene confermata l'infondatezza del ricorso, in quanto non risulta e non è stato nemmeno dedotto che l'allibratore austriaco CBM, per il quale l'indagato operava, sia stato escluso da una gara in violazione del diritto dell'Unione e non sia stato posto successivamente in condizione di poter effettivamente rimediare alla illegittirna esclusione.

La sentenza Costa e Cifone, infatti, ha affermato che nei confronti della società di diritto inglese Stanley International Betting Ltd e dei centri di trasmissione dati che operano in Italia su suo incarico non sono applicabili le sanzioni penali previste dall'art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 e dall'art. 88 t.u.l.p.s., dal momento che si tratta di società regolarmente quotata nei mercati regolamentari e dotata delle prescritte autorizzazioni nel paese di origine, che era stata illegittimamente esclusa dalla gara per l'assegnazione delle concessioni nel 1999 e non era stata messa in condizione di partecipare alla gara del 2006, con la conseguenza che la normativa italiana che esclude la Stanley dalla possibilità di svolgere in Italia la propria attività costituisce, nei confronti di detta società e di altre che si trovano nella identica situazione, violazione degli artt. 43 e 49 del Trattato. In altri termini, anche da quest'ultima sentenza della Corte di giustizia emerge che la violazione dei principi del Trattato e l'incompatibilità delle norme incrirninatrici si raffigura soltanto nei casi concreti di società operanti in ambito comunitario, munite di concessione o autorizzazione nel paese dì origine ed arbitrariamente escluse in Italia dalla gara per la assegnazione delle concessioni ovvero poste in una situazione tale di svantaggio da ritenersi che sia stato loro impedito dì partecipare alla gara in condizioni di parità con gli altri concorrenti.

Ne consegue che, qualora non si tratti di una società che si trovi in questa particolare situazione, la normativa nazionale che sottopone a concessione ed autorizzazione di polizia la raccolta di scommesse non è in contrasto con le norme del Trattato, essendo finalizzata alla tutela di interessi di ordine pubblico (limitazione e controllo del giuoco d'azzardo; impedimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata e ad operazioni di riciclaggio), con l'ulteriore conseguenza che i centri di trasmissione dati che operano per società che non si trovano nella detta situazione senza essere muniti delle necessarie concessioni ed autorizzazioni di polizia non sono esenti dalle sanzioni penali.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Per questi motivi

La Corte Suprema di Cassazione

 
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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