Reintegra nel possesso. Termine di un anno perentorio.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE - SENTENZA 6 giugno 2012, n.9123 - Pres. Felicetti – est. Bursese
Motivi della decisione
Con l'unico motivo i ricorrenti denunziano la violazione dell'art. 132 co. 1 n. 4 c.p.c. 'per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia riguardante l'esame e la valutazione delle prove testimoniali'. La censura si riferisce alla ritenuta incapacità di testimoniare dei testi in quanto appartenenti alla comunità di persone astrattamente titolari del diritto di uso civico vantato dai ricorrenti, nonché alla negativa valutazione delle dichiarazione dei due testi escussi (V. e Sa. ), ai fini della prova delle tempestività della proposizione del ricorso ex art. 1168 c.c..
La doglianza è infondata, non essendo configurabile la prospettata violazione di legge. Invero occorre innanzitutto precisare che la corte territoriale ha ritenuto alcuni testi non tanto incapaci di testimoniare perché facenti parte della comunità degli utenti della strada, quanto inattendibili e comunque ne ha ritenuto vaga e non determinante la loro deposizione. In secondo luogo la sentenza ha fatto retta applicazione dell'art. 1168 c.c. e del principio secondo cui l'esperibilità dell'azione di spoglio è soggetta al termine di un anno (decorrente dalla data del sofferto spoglio o, se questo è clandestine, dalla scoperta dello spoglio), che, essendo perentorio, deve essere osservato a pena di decadenza. Ne consegue che la tempestività costituisce un presupposto dello spoglio necessario all'esercizio dell'azione che, se posto in discussione dal convenuto con l'eccezione di decadenza, dev'essere provato dall'attore (nella fattispecie peraltro lo spoglio non poteva essere ritenuto clandestino: a tal fine è necessario non tanto che il possessore abbia ignorato il fatto, ma soprattutto che egli si sia trovato nella impossibilità di averne cognizione: Cass. n. 1131 del 04/02/1998).
Non è neppure ravvisabile il denunziato vizio motivazionale, attraverso il quale in realtà si tenta inammisibilmente di far passare in sede di legittimità una lettura delle risultanze processuali diversa da quella effettuata dal giudice di merito. Al riguardo la motivazione della decisione impugnata appare congrua ed immune da vizi logici e giuridici e può ben essere condivisa.
Conclusivamente dev'essere rigettato il ricorso de quo; le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in complessive Euro 2.700,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
13-06-2012 00:00
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