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Sentenza

Procedimento penale archiviato. Il querelante puo' essere ritenuto responsabile solo se vengono addebiti calunniosamente e dolosamente dei fatti non veri.
Procedimento penale archiviato. Il querelante puo' essere ritenuto responsabile solo se vengono addebiti calunniosamente e dolosamente dei fatti non veri.
Querela archiviata - Il denunciante può essere ritenuto responsabile solo se sussistono gli estremi dell'addebito calunnioso che presuppongono il dolo

Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 12.01.2012, n. 26

Svolgimento del processo

V.F. , odierno ricorrente, ha premesso in fatto che nel 1989, essendo debitore di circa L. 50 milioni nei confronti della s.n.c. S. M. & C, è stato sottoposto ad esecuzione immobiliare e mobiliare dalla suddetta società e da altri creditori (fra cui certo P., poi condannato penalmente per usura ai suoi danni); che nel 1991, a seguito di un incontro presso lo studio del suo difensore, avv. R..C. , a cui ha partecipato anche il difensore dei suoi creditori, avv. P..L.V. , le parti hanno chiuso la vertenza con un accordo transattivo, in forza del quale egli si è impegnato a pagare a saldo e stralcio L. 25 milioni alla soc. M. , e L. 10 milioni al P. Sebbene avesse eseguito i pagamenti, come da quietanze rilasciategli dalla soc. M. , l'avv. L.V. non gli ha restituito le cambiali e gli assegni sulla base dei quali erano state promosse le procedure esecutive ed ha proseguito nell'esecuzione immobiliare.
Nell'ottobre 1993, a seguito del fallimento della soc. M. , il curatore ha chiesto un nuovo pignoramento mobiliare a suo carico, sulla base dei suddetti titoli, trasmessigli dall'avv. L.V. , e la procedura si è conclusa solo nel 1995, a seguito del pagamento da parte sua dell'ulteriore somma di L. 19.076.079.
Egli ha presentato un esposto ad un Comitato locale antiracket, lamentandosi della mancata restituzione dei titoli da parte dell'avv. L.V. , ed il Comitato ha inoltrato un esposto all'autorità giudiziaria, addebitando all'avvocato il reato di appropriazione indebita aggravata. La procura di Termini Imerese ha proceduto di ufficio, ipotizzando il reato di cui agli art. 646 e 61 n. 11 cod. pen. Il procedimento è stato archiviato dopo cinque mesi. Il L.V. ha proposto nei confronti del F. dapprima denuncia per calunnia - anch'essa archiviata per mancanza nel denunciante dell'elemento soggettivo del dolo - e successivamente azione civile di risarcimento dei danni, per l'importo di L. 1.000.000.000.
Il F. ha resistito, opponendo varie difese, fra cui la carenza dei presupposti del reato ed in particolare del dolo, essendo egli convinto della colpevolezza dell'incolpato.
2.- Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello - confermando sul punto la sentenza del Tribunale di Termini Imerese - ha ritenuto mancante la prova che fra il F. e la soc. M. fosse intercorsa un'effettiva transazione, con la completa estinzione dei debiti del F. ; che pertanto legittimamente il difensore aveva rifiutato la restituzione dei titoli ed illegittimamente il F. aveva sollecitato l'apertura del procedimento penale.
La Corte di appello ha tuttavia ridotto a L. 20.000.000 la somma di L. 40.000.000, liquidata in primo grado in risarcimento dei danni morali, in considerazione del fatto che il procedimento penale non aveva avuto alcuno sviluppo dibattimentale; che il L. V. non aveva mai assunto la qualità di imputato e che la vicenda non aveva avuto alcuna notorietà.
Il F. propone undici motivi di ricorso per cassazione. Resiste il L.V. con controricorso illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1.- Il primo motivo, con cui ricorrente richiama “tutto quanto dedotto con il primo e secondo grado del giudizio, con l'atto di appello, gli scritti difensivi e le memorie prodotte, che si intendono richiamati integralmente”, è inammissibile.
I motivi di ricorso debbono riguardare capi ben individuati della sentenza impugnata e debbono contenere l'indicazione specifica delle censure che ad ognuno di essi si addebitano: censure che debbono rientrare fra i motivi per il quali la legge ammette il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., e che debbono sintetizzare tutti gli aspetti in relazione ai quali la decisione impugnata si ritiene illegittima od erronea.
Non è ammissibile il mero rinvio ad altri atti del processo.
2.- Con il secondo e il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli art. 112, 113, 114, 115, 133, 342 ed altri del codice di procedura civile, nonché omessa pronuncia, motivazione insufficiente e contraddittoria e travisamento dei fatti, nella parte in cui la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l'istanza di produzione di documenti, da lui proposta con l'atto di appello. Con il quinto motivo propone le medesime doglianze sul rilievo che la Corte di appello ha utilizzato ai fini della decisione documenti tardivamente prodotti in primo grado dall'avversario.
2.1.- I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, sono anch'essi inammissibili. In primo luogo il ricorrente non specifica di avere prodotto in questa sede i documenti di cui lamenta la mancata ammissione, né indica come essi siano reperibili fra gli atti e i documenti di causa; quali dei documenti medesimi fossero stati già ammessi in primo grado; quali avrebbero dovuto essere comunque ammessi in appello e per quali ragioni; per quali motivi l'esame dei documenti non ammessi avrebbe dovuto condurre la Corte di appello ad una diversa decisione, e sotto quali profili sarebbe configurabile un vizio di motivazione della sentenza impugnata, anziché la mera, discrezionale valutazione circa la rilevanza probatoria delle acquisizioni istruttorie, valutazione che spetta al giudice di merito e che non è censurabile in sede di legittimità ove risulti congruamente e logicamente motivata, come deve dirsi del caso di specie. Il richiamo alle ragioni di rilevanza “indicate nella memoria 11.12.2004″ è insufficiente, sia perché non specifica come e dove sia reperibile la suddetta memoria; sia perché le ragioni della fondatezza dei motivi di ricorso debbono essere esposte, come si è detto, in diretta connessione con l'illustrazione dei motivi; non tramite il generico riferimento ad atti del processo di merito non meglio individuati nel loro contenuto.
La premessa in fatto del ricorso - che in quasi cento pagine trascrive testualmente il testo di vari atti del processo - è irrilevante e non può essere presa in esame, essendo inammissibile il c.d. assemblaggio, cioè la trascrizione testuale del contenuto dei precedenti atti difensivi, senza una sintesi del relativo contenuto. Tal modo di procedere ostacola l'individuazione della materia del contendere e la comprensione dell'oggetto della pretesa e dei motivi di censura, in immediato coordinamento con il tenore della sentenza impugnata (cfr. Cass. civ. Sez. un. n. 16628 del 2009; Cass. civ. Sez. 3, ord. nn. 20393 e 20395 del 22 settembre 2009 e ord. 30 giugno 2010 n. 15631).
3.- Il quarto motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione di varie norme di legge, fra cui quella dell'art. 27 Cost., illogicità manifesta e altri vizi di motivazione, poiché la Corte di appello non avrebbe fatto uso della presunzione di innocenza, è manifestamente infondato, oltre che inammissibile perché apoditticamente formulato.
Il ricorrente non espone le ragioni per cui la sentenza impugnata avrebbe violato la legge, affermando che il principio della presunzione di innocenza non ha nulla a che fare con le questioni qui dibattute.
5.- Con la prima parte del sesto motivo (indicato nel ricorso come I.V.) il ricorrente denuncia violazione di varie norme del codice di procedura civile, ed in particolare degli art. 112, 183, 184, 184 bis e 294 cod. proc. civ., nonché vizi di motivazione e travisamento dei fatti, poiché il giudice di appello ha emesso condanna a suo carico prendendo in esame comportamenti diversi da quelli posti a base dell'atto di citazione.
Assume che l'atto introduttivo del giudizio riguardava solo il carattere calunnioso della denuncia per appropriazione indebita, proposta tramite il Comitato antiracket, di cui al procedimento penale n. 1420/1997, mentre la Corte di merito ha preso in esame l'ulteriore denuncia alla Procura della Repubblica (anch'essa archiviata), di cui alla memoria depositata dal L.V. ai sensi dell'art. 183 ult. comma cod. proc. civ..
5.1.- La censura è inammissibile, poiché il ricorrente non esplicita e non dimostra che gli ulteriori addebiti di cui alla citata memoria costituivano inammissibili domande nuove, fondate su fatti nuovi, e non invece mere specificazioni e integrazioni delle domande proposte con l'atto di citazione, come ha motivato la Corte di appello. Le censure non valgono pertanto a confutare quanto ha deciso la sentenza impugnata.
6.- La rimanente parte del sesto motivo, unitamente al nono e al decimo motivo (indicati nel ricorso come settimo,ottavo e nono), vanno congiuntamente esaminati perché connessi, in quanto tutti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistere gli estremi oggettivi e soggettivi del delitto di calunnia. Il ricorrente denuncia violazione degli art. 368 cod. pen., 25 e 27 Cost., nonché molteplici vizi di motivazione, sul rilievo che la Corte di appello:
a) ha trascurato di considerare che non egli personalmente, ma il Comitato antiracket, ha presentato all'autorità giudiziaria la denuncia contro il L. V., sicché manca il presupposto oggettivo del reato, essendosi egli limitato a rispondere all'interrogatorio a cui è stato sottoposto nel corso delle indagini di polizia giudiziaria attivate dal Comitato;
b) non ha effettuato alcuna indagine sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo, che connota il delitto di calunnia e che va ravvisato nella consapevolezza di rivolgere un'accusa falsa. Egli era invece convinto della veridicità delle sue dichiarazioni e per questa ragione il procedimento penale a suo carico ò stato archiviato. Richiama i principi per cui il denunciante non può essere condannato per calunnia per il solo fatto che il denunciato sia stato assolto dal reato addebitatogli, ma solo se siasi costituito parte civile nel processo penale ed abbia sostenuto l'accusa, incorrendo in responsabilità aggravata (Cass. civ. n. 15646/2003);
c) ha posto erroneamente a suo carico l'onere della prova della mancanza del dolo, mentre avrebbe dovuto la controparte dimostrare il presupposto soggettivo dell'illecito;
d) ha disatteso il principio giurisprudenziale per cui la denuncia di un reato costituisce esercizio di un diritto ed in quanto tale non è fonte di responsabilità; qualora poi il reato sia perseguibile di ufficio, viene meno il nesso causale fra la denuncia e l'apertura del procedimento penale, quindi la responsabilità del denunciante deve essere comunque esclusa.
7.- I motivi sono fondati nei termini che seguono.
7.1.- Va premesso che la sentenza impugnata ha motivato la sua decisione sul presupposto che l'illecito posto a base della domanda risarcitoria proposta dal L.V. è la calunnia, così come prospettato con l'atto di citazione in primo grado.
Né l'attore in giudizio, né la Corte di appello, risultano avere fondato rispettivamente la domanda ed il giudizio di condanna al risarcimento dei danni su di un illecito civile di natura diversa e meno grave, in ipotesi perseguibile anche a titolo di colpa.
Il giudice di appello avrebbe pertanto dovuto verificare il ricorrere di tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi, di quel particolare reato.
Per di più, la denuncia all'autorità giudiziaria non è stata inoltrata dal F. , bensì da soggetti terzi (Comitato antiracket, quanto alla prima denuncia; esposto del Giudice dell'esecuzione, quanto alla seconda), entrambi dotati di piena capacità di valutazione dei fatti e di autonomo potere di decisione.
Il comportamento del F. avrebbe potuto essere considerato illecito, pertanto, solo previo accertamento del carattere calunnioso delle dichiarazioni da lui rese dapprima al Comitato antiracket; poi al PM, nel corso dell'interrogatorio reso a quest'ultimo; poi negli atti presentati al giudice dell'esecuzione che hanno sollecitato il successivo esposto alla procura della repubblica. Ed invero, il mero fatto di avere sollecitato l'iniziativa del pubblico ministero denunziandogli gravi irregolarità rivelatesi poi insussistenti non costituisce, di per sé, fonte di responsabilità per danni, ove non ricorrano gli estremi dell'addebito calunnioso, estremi che presuppongono il dolo, non essendo sufficiente la colpa (Cass. civ. Sez. 1, 18 dicembre 1964 n. 2899).
Più volte si è specificato che il denunciante non incorre in responsabilità civile se non quando, agendo con dolo, si renda colpevole di calunnia (Cass. civ. 7 aprile 1978 n. 12237), dovendosi ritenere irrilevante la mera colpa, determinata da leggerezza, irriflessione, avventatezza, confusione o comunque da errore, così come la denuncia soltanto imprudente (Cass. civ. 8 marzo 1972 n. 4375), essendo richiesto per l'imputabilità del reato di calunnia il dolo: dolo che deve essere necessariamente dimostrato (Cass. civ. Sez. 3, 31 gennaio 1967 n. 163).
In sede penale si è deciso che neppure il dolo eventuale è rilevante, considerato che la formula normativa - che ravvisa il delitto in chi incolpa “taluno che egli sa innocente” - risulta particolarmente pregnante e indicativa della consapevolezza certa dell'innocenza dell'incolpato (Cass. pen. Sez. VI, 10 luglio 2000 n. 9853; Cass. pen. n. 17992 del 2007; Cass. pen. n. 34881 del 2007, fra le altre).
Va soggiunto che anche la diretta presentazione della denuncia avente ad oggetto un reato perseguibile di ufficio non determina di per sé la responsabilità penale o civile del denunciante, poiché la perseguibilita di ufficio interrompe il nesso causale fra la denuncia medesima e l'apertura del procedimento penale, che segue ad iniziativa autonoma dell'ufficio; salvo che nella denuncia ricorrano gli estremi della calunnia : cioè della consapevole attribuzione all'accusato di fatti e comportamenti illeciti che il denunciate sa con certezza non essere veri (Cass. civ. Sez. 3, 20 ottobre 2003 n. 15646; 25 maggio 2004 n. 10033; 26 gennaio 2010 n. 1542).
Anche sotto questo aspetto la Corte di appello avrebbe dovuto concretamente accertare la sussistenza del dolo da parte del F. , al fine di ravvisare gli estremi del comportamento calunnioso.
La sentenza impugnata, per contro, ha fondato il giudizio di responsabilità su accertamenti ed argomentazioni che potrebbero tutt'al più configurare avventatezza, imprudenza o insipienza del ricorrente, nell'avere ritenuto il L.V. penalmente responsabile di appropriazione indebita; ma non certo la convinzione della sua innocenza. La motivazione di condanna si fonda sul fatto che non è stata fornita la prova che fosse intercorsa fra le parti una valida e definitiva transazione e che ogni debito del F. fosse stato pagato; che pertanto il L.V. aveva legittimamente rifiutato la restituzione dei titoli, potendosi configurare ulteriori posizioni debitorie a carico dell'appellante; che quest'ultimo avrebbe dovuto ritenere corretto l'operato del legale - sebbene il suo debitore M. gli avesse dichiarato che ogni debito era stato saldato e che egli stesso aveva sollecitato l'avv. L.V. a restituirgli i titoli - a causa della complessità dei rapporti di dare ed avere; e avrebbe dovuto rendersi conto dell'inaffidabilità delle dichiarazioni del M. (”affetto da patologia tale da impedirgli un sereno ricordo dell'accaduto”).
Trattasi di argomentazioni sufficienti a dimostrare, tutt'al più, una colpa del ricorrente; non certo la sua concreta e lucida consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato, come richiesto per la sussistenza del delitto di calunnia, posto a base della domanda giudiziale. Parimenti erronea è l'affermazione della Corte di appello secondo cui il F. avrebbe dovuto dimostrare l'insussistenza del dolo.
Al contrario, era onere del danneggiato dimostrare tutti i presupposti dell'illecito di calunnia, addebitato al convenuto, cioè non solo la materialità delle accuse, ma anche la consapevolezza della loro falsità ed infondatezza. La sentenza impugnata deve essere per questa parte cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, perché decida la controversia applicando i principi di diritto sopra enunciati (in corsivo) e con congrua e logica motivazione.
8.- Il settimo e l'ottavo motivo (sesto e settimo del ricorso) - che denunciano violazione degli art. 24 Cost. e 598 cod. pen. e difetto del nesso di causalità - risultano assorbiti.
9.- L'undicesimo motivo (decimo nel ricorso), che lamenta omesso esame della domanda riconvenzionale, è generico e non autosufficiente, perché formulato con il mero richiamo al decimo motivo di appello, ed è intrinsecamente contraddittorio, perché lamenta contemporaneamente omessa pronuncia e illogicità della motivazione sul medesimo punto.
10.- Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie per quanto di ragione il sesto il nono e il decimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il settimo e l'ottavo motivo e rigetta tutti gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

Depositata in Cancelleria il 12.01.2012
Avv. Antonino Sugamele

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