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Sentenza

Preside di una scuola. Accusato di abuso di ufficio e concussione,
Preside di una scuola. Accusato di abuso di ufficio e concussione,
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 07.09.2012, n. 34280 Presidente Milo - Relatore Rotundo. Osserva 1.-. Con la sentenza indicata in 
epigrafe in data 14-7-11 la Corte di Appello di Venezia, in accoglimento
 dell'impugnazione avanzata dal Procuratore della Repubblica di Bassano 
del Grappa e in riforma dell'assoluzione pronunciata in primo grado, ha 
condannato P.A. , con le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante
 contestata sub B), alla pena (condizionalmente sospesa) di anni uno e 
mesi due di reclusione, con interdizione temporanea dai pubblici uffici e
 con il beneficio della non menzione, per i reati di cui agli artt. 323 e
 56-317 c.p., a lui ascritti ai capi A) e B) della rubrica.
In particolare, il P. era accusato di abuso di ufficio per avere, quale 
dirigente scolastico dell'Istituto (…), omesso di astenersi (in presenza
 di un interesse personale, determinato dalla pendenza di una causa di 
lavoro per mobbing e di un procedimento penale per violazione dell'art. 
660 c.p., avviati dalla dipendente M.R.M. ), contestando alla predetta 
collaboratrice scolastica, in data 7-10-05, l'infrazione disciplinare 
del temporaneo allontanamento dal servizio attuato il 5-10-05 e 
contestando altresì ad altra dipendente, C.I. , la medesima infrazione 
disciplinare per avere il successivo 10-10-05 accompagnato la M. nei 
suoi uffici per la formale contestazione disciplinare, lasciando il 
proprio posto di lavoro.
Inoltre il P. era accusato di tentata concussione per avere indotto C.I.
 a sottoscrivere una dichiarazione, secondo la quale la collega M. si 
era allontanata dal posto di lavoro il 5-10-05 simulando motivi di 
salute in realtà inesistenti, assicurandole che, a sottoscrizione 
avvenuta, il procedimento disciplinare avviato a suo carico sarebbe 
stato stracciato.
Ad avviso della Corte di Appello di Venezia, anche successivamente alla 
privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non 
sarebbe mutata la natura pubblicistica della funzione svolta e dei 
poteri esercitati dal dirigente scolastico e con essa la qualifica di 
pubblico ufficiale rilevante ai sensi dell'art. 357 c.p. Segnatamente il
 dirigente scolastico contribuirebbe con i propri atti autoritativi e 
certificativi alla formazione della volontà della Pubblica 
Amministrazione di appartenenza e, nell'ambito dei poteri autoritativi 
attribuitigli, rientrerebbe certamente quello disciplinare.
2.-. Avverso la suindicata sentenza del 14-7-11 ha proposto ricorso per 
cassazione il difensore di P.A. , chiedendone l'annullamento.
Il ricorrente deduce, in primo luogo, mancanza, illogicità e manifesta 
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per non 
avere la Corte di merito confutato specificamente le conclusioni alle 
quali era pervenuto il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di 
Bassano, che, nell'esaminare la medesima vicenda sotto il profilo delle 
sanzioni disciplinari applicate dal P. , aveva concluso per la 
insussistenza della qualità di pubblico ufficiale in capo al dirigente 
scolastico, per la insussistenza di un suo obbligo di astensione e per 
la impossibilità di ravvisare nei comportamenti da lui posti in essere 
condotte concussive.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, della Legge 241 del 1990 e
 degli arti 323 e 317 c.p., ribadendosi che la intervenuta 
privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e la sua 
contrattualizzazione avrebbero determinato la sottoposizione di tale 
rapporto alle regole ed ai principi del diritto privato, ivi compreso il
 potere disciplinare, sicché i provvedimenti adottati dal P. sarebbero 
stati atti di autonomia privata, espressione della potestà organizzativa
 e gestionale di rapporti di lavoro già costituiti, e sarebbero 
disciplinati unicamente dal diritto privato.
Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce, in relazione al reato di cui all'art. 323 c.p., la violazione dell'art. 6 DPR 28-11-2000 e
 dell'art. 97 Cost. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe 
errato nel ritenere nel caso di specie sussistente l'obbligo di 
astensione in capo all'imputato e ciò per due diversi motivi: da un 
lato, infatti, il preside si sarebbe mosso come privato datore di 
lavoro, sicché nessuna terzietà era esigibile e nessuna funzione 
pubblicistica era da lui svolta; dall'altro, secondo la giurisprudenza 
amministrativa sul punto, l'obbligo di astensione sussisterebbe solo 
quando l'inimicizia sia determinata da motivi di interesse personale, 
estranei all'esercizio della funzione e non anche per ragioni attinenti 
al servizio, sicché non potrebbe costituire elemento sintomatico di una 
situazione di grave inimicizia nei confronti dell'incolpato la 
proposizione (come nel caso in esame) di denunce da parte del dipendente
 sottoposto a procedimento disciplinare.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione, sempre 
in riferimento al reato di cui all'art. 323 c.p., non essendosi da parte
 della Corte di merito prese in considerazione le conclusioni del 
Giudice del lavoro presso il Tribunale di Bassano, che, contrariamente a
 quanto affermato nella sentenza impugnata, avrebbe affermato la 
legittimità delle sanzioni disciplinari irrogate e la inesistenza di 
qualunque obbligo di astensione in capo al P.
Con l'ultimo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in 
riferimento al reato di tentata concussione di cui al capo B), 
sostenendosi che la Corte di merito avrebbe male interpretato le 
dichiarazioni rese dai testimoni C. ed O. durante le indagini 
preliminari.
3.-. In riferimento al reato di abuso di ufficio contestato sub A) il ricorso è fondato.
Nulla quaestio in riferimento alla qualifica di pubblico ufficiale 
attribuibile al dirigente scolastico nell'ambito dei suoi poteri 
disciplinari anche successivamente all'introduzione della 
privatizzazione del rapporto di pubblico impiego. Tale qualifica è, 
infatti, già stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità 
(sez. 6, sentenza n. 10390 del 24-1-08, rv 238927, Magaldi; sez. 6, 
sentenza 37172 dell'11.-6-08, rv 240932, Gatto) e le conclusioni alle 
quali si è pervenuti nelle sentenze suindicate sono pienamente condivise
 dal Collegio.
Tuttavia, nel ritenere sussistente nel caso di specie l'obbligo di 
astensione in capo al P. , la Corte di Appello ha ignorato gli approdi 
della giurisprudenza amministrativa sul punto, là dove si è chiarito 
che, nell'esercizio dei poteri di disciplina, l'obbligo di astensione in
 capo al pubblico ufficiale sussiste solo quando l'inimicizia sia 
determinata da motivi di interesse personale, estranei all'esercizio 
della funzione e non anche per ragioni attinenti al servizio, sicché non
 può costituire elemento sintomatico di una situazione di grave 
inimicizia nei confronti dell'incolpato la proposizione (come nel caso 
in esame) di denunce da parte del dipendente sottoposto a procedimento 
disciplinare. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è 
assolutamente carente, non essendosi chiarito se, oltre alle denunce 
sporte da parte della dipendente sottoposta a procedimento disciplinare 
(attinenti a ragioni di servizio) sussistessero altri motivi di 
inimicizia personale tra detta dipendente ed il preside. A parte il 
fatto che la sentenza del Giudice del Lavoro di Bassano avrebbe respinto
 la domanda giudiziale tesa ad accertare il presunto mobbing da parte 
del P. ai danni della M. e avrebbe confermato la validità delle sanzioni
 irrogate dal preside, con ciò chiaramente introducendo un elemento di 
insanabile contraddizione con le conclusioni in ordine alla natura 
meramente ritorsiva dei provvedimenti adottati dal P. , affermata dalla 
Corte di Appello di Venezia, sicché restano sostanzialmente immotivate 
le conclusioni della medesima Corte in ordine alla sussistenza nel caso 
in esame del requisito della ingiustizia del danno arrecato.
A diverse conclusioni deve, invece, pervenirsi in riferimento alla 
tentata concussione contestata al capo B). Le censure del ricorrente 
attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà
 esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in 
sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e 
non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello 
hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla 
decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle 
risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo 
della congruità e della correttezza logica.
4.-. Per le considerazioni sopra svolte si impongono l'annullamento 
della sentenza impugnata limitatamente all'abuso di ufficio con rinvio 
per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di Appello 
di Venezia ed il rigetto nel resto del ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata 
limitatamente all'abuso di ufficio e rinvia per nuovo giudizio capo ad 
altra sezione della Corte di Appello di Venezia. Rigetta nel resto il 
ricorso.
Depositata in Cancelleria il 07.09.2012
Avv. Antonino Sugamele

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