Praticante crea documento inesistente a mezzo di una fotocopia e chiede al cliente gli onorari. Assolto dal reato di truffa è condannato per il falso materiale.
Cassazione, sez. V, 4 ottobre 2012, n. 38990
(Pres. Ferrua – Rel. Fumo)
Ritenuto in fatto
1. P.G. , praticante avvocato, è imputato dei reati (due episodi) di cui agli articoli 476, 482 c.p. per avere formato falsi biglietti di cancelleria, in realtà mai emessi, con i quali dava notizia ai suoi clienti dell'esistenza di provvedimenti giudiziaria è imputato poi del reato di cui all'articolo 348 del medesimo codice, per aver esercitato abusivamente la professione legale, essendo egli, come si è detto, praticante avvocato, ma patrocinando cause civili il cui valore superava Euro 25.000, e del delitto di truffa, per essersi procurato, con artifizi e raggiri, consistenti nelle condotte sopraindicate, l'ingiusto profitto del pagamento di onorari da parte i suoi clienti.
2. La corte d'appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, lo ha assolto dalla delitto di truffa perché il fatto non sussiste. Ha confermato, nel resto, la sentenza di primo grado per quel che attiene agli altri reati, rideterminando la pena, e confermando anche la condanna dell'imputato al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile.
3. Ricorre per cassazione il difensore e deduce: a) violazione degli articoli 476 e 482 c.p., atteso che non è stato alterato alcun documento originario e manca quindi la immutatio veri, sussistendo solo la imitatio veri. La mera predisposizione e riproduzione fotostatica di una realtà inesistente non può integrare il reato contestato, né altre ipotesi di falso documentale. La fotocopia di un documento originale integra il reato di falso, solo quando detta riproduzione venga spesa come originale, ma non quando essa è utilizzata dichiaratamente come fotocopia. La corte d'appello catanese cita giurisprudenza della corte di cassazione, ma ciò fa in maniera non pertinente. La sentenza citata fa effettivamente riferimento a un'ipotesi di fotomontaggio, ma parte dal presupposto che si tratti di fotocopia di un documento originale alterato; vale a dire che l'agente, nel caso allora in esame, aveva manomesso il documento originario e quindi formato una copia fotostatica. Sussisteva, dunque, la falsificazione dell'atto originale, falsificazione poi riprodotta in fotocopia. Nel caso in esame, viceversa, nessun originale è stato alterato o manomesso, ma la fotocopia riproduce un atto in realtà inesistente. I biglietti di cancelleria non avevano alcuna apparenza di originale, né potevano essere utilizzati in alcun modo in ambito processuale.
3.1. Deduce poi la violazione dell'articolo 348 c.p., atteso che erroneamente la corte ha calcolato il valore della controversia tenendo presente la domanda dell'attore e non con riferimento a quella parte del rapporto concretamente in contestazione. La corte d'appello riteneva applicabile, al proposito, l'articolo 10 c.p.c., ma trascurava il fatto che il medesimo codice, all'articolo 12, prevede specificamente una diversa individuazione del valore della causa, con riferimento ai rapporti obbligatori, alle locazioni e alle divisioni. Ebbene, nel caso in esame, il P. ha fatto riferimento alla parte in contestazione. Trattandosi di una causa avente ad oggetto l'anatocismo, in un caso, e la risoluzione di un contratto di locazione in un altro, è applicabile l'art. 12 c.p.c.. A tutto voler concedere, se pure si aderisce alla tesi della corte d'appello, bisogna comunque tener conto del fatto che, essendosi il P. determinato in base al dettato dell'articolo 12 c.p.c., si dovrebbe affermare la insussistenza dell'elemento psicologico.
Il ricorrente deduce, infine, ancora carenza di motivazione e sua contraddittorietà con riferimento al calcolo degli interessi civili. Posto che l'imputato è stato assolto dalla delitto di truffa, non si vede quale danno risarcibile la parte civile possa vantare, atteso che la condotta concretamente posta a carico del P. non ha inciso nella sfera economica della predetta. Ciononostante, la corte, confermando nel resto la sentenza, ha confermato anche le statuizioni civili e ha condannato l'imputato, oltretutto, al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile in grado di appello.
Considerato in diritto
1. In tema di falsità materiale, integra il reato di cui all'art. 476 c.p. la formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente, del quale si intenda artificiosamente attestare l'esistenza e i connessi effetti probatori (ASN 200806572-RV 239453: il caso in esame riguardava la copia di atto di affidamento di incarico per lo svolgimento di attività progettuali retribuite da parte di un'Università).
Orbene, il biglietto di cancelleria ha la funzione di rendere note attività processuali svolte o da svolgere. Il falso biglietto, ovviamente, doveva valere come atto originale. Per altro, si legge in sentenza che il P. è intervenuto anche su atti originali (per "costruire" un finto biglietto di cancelleria, l'imputato doveva comunque servirsi di un modulo ufficiale preesistente).
2. Quanto al delitto ex art. 348 c.p., anche se si fa riferimento alla parte in contestazione, si supera "il limite consentito" all'imputato.
A fonte della formazione professionale del P. , la invocata buonafede costituisce, in mancanza di un qualche aggancio fattuale, una mera asserzione difensiva. Sul punto specifico dunque, il ricorso appare generico.
3. Per quel che attiene alle statuizioni civili, va ricordato come la giurisprudenza di questa corte abbia chiarito che il falso è reato plurioffensivo che può venire a incidere anche nella sfera patrimoniale del soggetto inverso il quale il falso documento è stato speso.
4. I reati non sono prescritti (il termine spira in data 1.7.2013).
5. Consegue rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese del grado.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
08-10-2012 17:45
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