Parametri minimi di altezza per l’assunzione nel servizio di trasporto pubblico.
Corte di Cassazione Sez. Lavoro - Sent. del 12.01.2012, n. 234
Svolgimento del processo
1. U.B., classificatasi in posizione utile nella graduatoria del concorso per l'assunzione con contratto di formazione e lavoro, quale “addetto di stazione”, essendo stata esclusa dall'assunzione per deficit di statura, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, a seguito di fase cautelare che l'aveva vista vittoriosa, M. spa, al fine di ottenere la conferma, in via definitiva, della propria assunzione e la condanna della controparte al pagamento delle retribuzioni, a decorrere dal 20 settembre 2009.
1.1. Il Tribunale respingeva la domanda sul presupposto che il requisito dell'altezza minima, di m. 1, 55, per la qualifica di addetto di stazione, era stabilito dal D.M. n. 88 del 1999, atto regolamentare emanato dal Ministero dei trasporti e della navigazione, cui la legge riservava il compito di stabilire i parametri minimi in relazione alle singole mansioni da disimpegnare, nel superiore e generale interesse dei viaggiatori e degli agenti alla sicurezza del servizio di trasporto pubblico.
2. La Corte d'Appello di Roma, a seguito dell'impugnazione della U., confermava la suddetta sentenza.
3. La U., quindi, proponeva ricorso per cassazione.
4. Questa Corte accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di Appello di L'Aquila, la quale, nell'applicare i principi di diritto enunciati, avrebbe dovuto valutare se la candidata avesse diritto all'assunzione nonostante l'altezza fisica inferiore al minimo previsto dagli atti amministrativi richiamati nel bando.
4.1 Il Giudice di legittimità affermava che «la fonte normativa, dalla quale discende la previsione del limite di altezza quale requisito fisico per l'assunzione come addetto di stazione, sia costituita da un decreto ministerile, la cui legittimità può essere incidentalmente apprezzata dal giudice ordinario ai fini deIl' eventuale disapplicazione. Orbene, stanti i principi affermati dalla Corte costituzionale, appare difficile negare che siffatta violazione sussista».
Statuiva, altresì, che, quanto alla “ragionevolezza” del limite di altezza fisica, andava ulteriormente rilevato che la sentenza impugnata risolveva la questione in modo apodittico ed insufficientemente motivato, limitandosi ad affermare che la previsione di una altezza minima di m. 1,55 risponde a criteri di “sicurezza ed incolumità del personale in servizio e dell'utenza”, senza peraltro accertare quali siano le mansioni cui l'attrice poteva essere addetta e se veramente esse non possano essere adeguatamente svolte da una persona alta m. 1,53. Ed infatti, qualora la mansione fosse esclusivamente o prevalentemente sedentaria, «non sarebbe dato vedere in che modo l'altezza incida su un lavoro da svolgersi stando (poniamo) seduti dietro uno sportello o una scrivania; e se la mansione richieda talora un impegno fisico in posizione eretta, occorrerebbe comunque spiegare perché una altezza minima sia richiesta».
5. La U. riassumeva il giudizio dinanzi alla Corte d'Appello di L'Aquila che, con la sentenza n. 1884/08 del 21 gennaio 2009, accoglieva l'appello per quanto di ragione e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il diritto della U. all'assunzione con contratto di formazione e lavoro e, di conseguenza, condannava la resistente al pagamento di tutte le retribuzioni, che la stessa avrebbe maturato nella qualifica, dalla data dell'assunzione alla scadenza, oltre rivalutazione e interessi.
6. Per la cassazione della suddetta sentenza pronunciata in sede di rinvio ricorre M. Metropolitana di (…) spa (già M. spa, subentrata a sua volta a C., prospettando due motivi di ricorso.
7. Resiste con controricorso la U.
8. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge in riferimento all' art. 384, comma 2, C.p.c., all'accordo nazionale 13 maggio 1987, al CCNL del 27 novembre 2000, e all'art. 2697 c.c.
Espone la ricorrente che, nel censurare la decisione impugnata, la Suprema Corte ha ritenuto applicabile il principio affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 163 del 1993, secondo il quale la previsione di un ‘altezza minima identica per gli uomini e per le donne quale requisito fisico per l'accesso ad un pubblico concorso violerebbe comunque il principio di uguaglianza.
1.1 Ricorda inoltre, che la Corte d'Appello dell' Aquila, dopo aver riportato le declaratorie contrattuali in vigore all'epoca del concorso, nonché quelle di cui al successivo CCNL del 2000, relative al profilo professionale dell'operatore di stazione (già addetto di stazione), puntualizzava che “sotto il profilo fattuale le mansioni, rientranti nella qualifica in discorso, si concretizzano, quindi, nella attività amministrativa connessa al servizio, nella manovra degli impianti di sicurezza, nel controllo dei varchi di accesso, nella verifica dei titoli di viaggio, nella segnalazione guasti, nel servizio informazione clientela, nel servizio ricezione reclami della clientela”.
Il Giudice di secondo grado affermava, inoltre, che la resistente insisteva nel fatto che le mansioni dell'addetto (oggi operatore) di stazione non sono impiegatizie, ma non spiegava tale affermazione, contrastante con quanto emerge dalla declaratoria contrattuale; né indicava la ragione per la quale lo svolgimento delle predette mansioni sarebbe ostacolata da un'altezza quale è quella dell'U., di m. 1 ,53; così come non spiegava perché, anche per le manovre di sicurezza e di segnalamento fosse necessaria un'altezza minima di m. 1, 55.
1.2. Tanto richiamato, la ricorrente deduce che l'erroneità della sentenza impugnata è del tutto evidente. Infatti, dalla semplice lettura delle declaratorie contrattuali ci si rende immediatamente conto che non si tratta di attività “impiegatizia” nel senso tradizionalmente riconosciuto del termine, in quanto le cd. attività amministrative appaiono meramente strumentali a quelle connesse all'esercizio ferroviario tipiche del profilo professionale in esame. Non sembra facilmente riconducibile ad un'attività impiegatizia la manovra di impianti di sicurezza e di segnalamento, il possesso di prescritte abilitazioni, l'obbligo di attenersi a precise istruzioni regolamentari, il presenziamento connesso alle attività complementari all'esercizio, ecc. Peraltro, già nell'accordo nazionale 13 maggio 1987, l'addetto di stazione era qualifica tipica del settore ferroviario (come si evince dalla F apposta a fianco del profilo professionale) ed il successivo CCNL 2000 (pure richiamato dal giudice) inquadra l'operatore di stazione nell'Area Operativa dell'Esercizio e non nell' Area Operativa Amministrazione e Servizi. Ora le norme in materia di criteri e modalità per l'accertamento dell'idoneità psico-fìsica per l'assunzione del personale addetto alle ferrovie in concessione ed in gestione commissariale governativa, metropolitane, tranvie ed impianti assimilabili sono state emanate con il precitato decreto del Ministero dei trasporti 23 febbraio 1999 n. 88, (cui ha fatto seguito il D.M. 15.1.2001 n. 19) a cui sono annesse tabelle che, tenendo conto delle caratteristiche degli impianti ferroviari o metro ferroviari e della tipologia delle mansioni connesse all'esercizio di ciascuna qualifica stabilisce i requisiti minimi necessari per l'assunzione in relazione ai vari profili professionali.
In particolare, per l'assunzione nella qualifica di addetto di stazione e gestione, il citato decreto prevede un'altezza minima di m. 1,55, tenendo ovviamente conto delle mansioni connesse all'esercizio di detta qualifica, specificate nell' avviso pubblico di selezione e delle caratteristiche costruttive e di funzionamento delle strumentazioni tecniche da utilizzare per lo svolgimento di tali mansioni: manovra di impianti di sicurezza e di segnalamento, segnalazione di guasti e di mancato firnzionamento delle apparecchiature.
Le norme del precitato regolamento, che rientra nella categoria dei regolamenti indipendenti, emanati in virtù di delega di legge (legge n. 835 del 6 dicembre 1978) dal Ministero dei trasporti - l'organo che, pur nell'attuale fase di ampio decentramento delle funzioni statali alle regioni e agli enti locali ha competenza esclusiva in materia di sicurezza e regolarità del servizio ferroviario, sono poste a garanzia di diritti dei cittadini costituzionalmente garantiti: il diritto alla mobilità (art. 16 Cost.) e il diritto alla sicurezza e alla salute (art. 32 Cost.),
In relazione al suddetto motivo d'impugnazione, sono stati articolati seguenti quesiti:
- se nel caso di specie il giudice d'appello ha violato il disposto di cui all'art. 384, comma 2. c.p.c. per non aver “accertato” se la candidata aveva diritto all'assunzione nonostante l'altezza fisica inferiore al minimo di cui agli atti amministrativi richiamati nel bando;
- se risulti violato l'art. 2697 c.c., avendo la Corte d'Appello dell' Aquila ritenuto che la prova in ordine alla compatibilità delle mansioni da svolgere con l'altezza della candidata (inferiore a quella prevista nel regolamento ministeriale) spetti esclusivamente alla società e non alla originaria ricorrente che intende far valere il diritto all'assunzione;
- se risulti o meno violata la normativa contrattuale (Accordo nazionale 13 maggio 1987, CCNL 27 novembre 2000), per aver il giudice appello considerato “impiegatizia” la qualifica dell' addetto di stazione e gestione chiaramente ricondotta dalla normativa in questione al settore ferroviario e all'Area Operativa Esercizio”.
2. Con il secondo motivo del ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248. E, nonché dell'art. 10 del Reg. AlI. A al R. D. n. 148 del 1931.
2.1. Deduce la ricorrente che nell'impugnata sentenza è affermato: “peraltro la resistente non può sostenere la propria mancanza di responsabilità per il fatto di essersi attenuta a quanto disposto dal D.M., giacché le era dato il potere, da norme di rango superiore (legge n. 125 del 1991 e legge n. 903 del 1977) allo stesso D.M. citato, di verificare la necessità del requisito in parola, per lo svolgimento delle mansioni rientranti nella qualifica messa a concorso “.
Tale affermazione sarebbe assolutamente priva di fondamento giuridico, in quanto la società non aveva il potere di derogare alle disposizioni di cui al regolamento adottato con D.M. n. 88 del 1999; anzi aveva ed ha l'obbligo di osservarlo, non potendo ovviamente disapplicarlo, potere che spetta soltanto all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248, All. E, disposizione che la Corte d'Appello ha palesemente violato, attribuendo a M. un potere insussistente solo per sostenere illegittimamente la sua responsabilità.
Non solo, ma come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, il giudice di appello non sembra rendersi conto che in materia di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri vige una normativa speciale contenuta nel R D. n. 148 del 1931 e nel Regolamento ad esso allegato (A 1 A). In particolare risulta violata anche la disposizione di cui all'art. 10 n. 4 del citato regolamento che in materia di requisiti di assunzione opera un espresso rinvio alle norme vigenti presso l'azienda, vale a dire il più volte citato Decreto Ministeriale n. 88 del 1999 che a sua volta richiama l'art. 9 del D.P.R n. 753 del 1980.
Doveva, conseguentemente, escludersi il diritto della U. al risarcimento dei danni, da parametrarsi alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito, se fosse stata assunta, oltre rivalutazione e interessi come per legge”.
Pertanto andava ribadita l'infondatezza della richiesta di condanna del C. (oggi M. spa) a pagare le retribuzioni anche sotto il profilo risarcitorio, considerato che l'azienda non può essere ritenuta responsabile della mancata assunzione della ricorrente, poiché la stessa non poteva e non può derogare alle disposizioni di cui al regolamento adottato con il D.M. 88/99, né al giudizio medico affidato per legge ai sanitari delle Ferrovie dello Stato.
In relazione al suddetto motivo di impugnazione è stato prospettato il seguente quesito: se nel caso di specie costituisca violazione dell'art. 5 della legge 20.3.1865 n. 2248 AlI. E, aver ritenuto responsabile M. per essersi attenuta alle norme di cui al D.M. n.88 del 1999 e quindi per non aver disapplicato detto regolamento che prevede requisiti di assunzione del personale autoferrotranviario. Conseguentemente, se spetti alla M. s.p.a. verificare la necessità dei requisiti di assunzione, in particolare quello dell'altezza, in relazione alle mansioni rientranti nella qualifica messa a concorso, anche in deroga al D.M. citato e al giudizio medico affidato ad organo esterno (Ferrovie dello Stato), tenuto ad applicare le tabelle allegate al D.M. n. 88 del 1999, o se ciò, invece, costituisca violazione dell' art. 10 n. 4 Reg. All. A) al R.D. n. 148 del 1931, che in materia di verifica dei requisiti di assunzione richiama espressamente le norme vigenti presso l'azienda.
3. I suddetti motivi devono essere trattai congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
3.1. Occorre precisare che questa Corte, con la sentenza n. 23562 del 2007, ha statuito, con riguardo al caso di specie, quanto segue: la previsione di una statura minima identica per uomini e donne comporta in ogni caso e di per sé violazione dei parametri costituzionali; la legittimità del decreto ministeriale da cui discende tale previsione può essere apprezzata dal giudice ordinario ai fini della disapplicazione; appare difficile negare che sussista tale violazione; la ragionevolezza del limite dell'altezza fisica va valutata accertando quali siano le mansioni cui l'attrice poteva essere addetta e se veramente esse non possano essere adeguatamente svolte da una persona alta m. 1,53.
3.2. Dunque, a seguito della cassazione della sentenza resa In grado di appello, il solo mandato devoluto al giudice di rinvio era quello di decidere nel merito, valutando la ragionevolezza del limite d'altezza con riferimento agli elementi indicati, ogni altra questione restando preclusa, posto che nel giudizio di rinvio, che è un procedimento “chiuso”, tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo e' inibito alle parti di ampliare il “thema decidendum” , formulando nuove domande e nuove eccezioni, ma operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione. Consegue a ciò che neppure le questioni esaminabili di ufficio, non rilevate dalla Corte Suprema, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacché il loro esame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., sentenze n. 5381 del 2011; n. 1939 del 2006).
3.2. La Corte d'Appello, con motivazione congrua e logica, ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte nella suddetta pronuncia n. 23562 del 2007, rispetto alla quale si palesa, per le ragioni anzidette, l'inconferenza dei quesiti di diritto. che, nella sostanza, nel riproporre il tema della legittimità in assoluto del limite di statura non ne colgono la ratio decidendi.
La Corte d'Appello, chiamata ad operare una verifica “in concreto” della congruità o meno del limite con riguardo alle mansioni da svolgere, ha affermato che «nella declaratoria contrattuale, in vigore all'epoca del concorso (CCNL 13 maggio 1987), l'addetto di stazione è il “lavoratore che svolge attività amministrative connesse al servizio viaggiatori e merci. In relazione alle norme e ai regolamenti per la circolazione di treni ed in base alle caratteristiche tecniche e aziendali, su precise istruzioni regolamentari, può manovrare gli impianti di sicurezza e di segnalamento”.
Il contratto successivo, del 20 novembre 2000, definisce l'operatore di stazione (già addetto di stazione e gestione) come il lavoratore che “in possesso delle prescritte abilitazioni, svolge attività amministrative connesse al servizio viaggiatori e merci, nonché attività di movimento limitate alla manovra degli impianti di sicurezza e di segnalamento. Assicura altresì il presenziamento connesso ad attività complementari all'esercizio e al controllo dell'utenza”.
Sotto il profilo fattuale, le mansioni, rientranti nella qualifica in discorso, si concretizzano, quindi, nella attività amministrativa connessa al servizio, nella manovra degli impianti di sicurezza, nel controllo dei varchi di accesso, nella verifica dei titoli di viaggio, nella segnalazione guasti, nel servizio informazione clientela, nel servizio ricezione reclami della clientela».
Assume dunque la Corte d'Appello che «può in definitiva sostenersi che dalla disamina dei compiti, in cui si concretizza la qualifica di addetto di stazione, non si ravvisano ragioni che giustifichino la necessità di un'altezza minima, sotto il profilo della sicurezza dell'utenza e degli agenti addetti al servizio di trasporto, ovvero della capacità ed efficienza nell'espletamento del servizio stesso, come, peraltro, conferma la difesa sul punto svolta dalla resistente, generica e, per alcuni versi, pleonastica, quale deve ritenersi l'affermazione che, per essere stabilito il requisito della statura dal decreto emanato dal Ministero dei Trasporti, per ciò stesso è stata vagliata la necessità del medesimo».
Il Giudice di secondo grado quindi, facendo corretta applicazione di quanto enunciato da questa Corte, con un percorso motivazionale congruo che tiene conto dei criteri indicati dal giudice di legittimità, ha ritenuto non legittimo, nella specie, il suddetto limite minimo di statura, con le conseguenti statuizioni in ordine al diritto all'assunzione e al risarcimento del danno.
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 40,00 per esborsi, euro duemilacinquecento per onorari, oltre spese generaI i, IV A e CP A.
Depositata in Cancelleria il 12.01.2012
17-01-2012 00:00
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