No alla misura cautelare in carcere se il genitore e' l'unico affidatario di figli minori di eta' inferiore ad anni 6.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 26 aprile – 8 giugno 2012, n. 22338
(Presidente Marzano – Relatore Dovere)
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 13 febbraio 2012 il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia applicava nei confronti di B.C. la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di cui all'art. 73 d.p.r. 309/90. Il B. infatti il (OMISSIS) era stato intercettato dai Carabinieri mentre fungeva da staffetta a bordo di un ciclomotore all'autovettura condotta da K.T., all'interno della quale erano stati poi rinvenuti oltre 4 kg di cocaina.
Veniva adito dall'indagato il Tribunale del riesame, al quale si chiedeva la revoca della custodia cautelare in carcere ovvero la sua sostituzione con quella degli arresti domiciliari ai sensi dell'articolo 275, co. 4 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 1 della legge 21.4.2011, n. 62. Il Tribunale del riesame riteneva fondata l'istanza e pertanto disponeva la sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari.
Ad avviso del Tribunale doveva convenirsi con il Giudice per le indagini preliminari in ordine all'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza idonei a fondare l'adozione della misura cautelare. Il Collegio condivideva anche il giudizio in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) cod. proc. pen., in considerazione del rilevante quantitativo di droga trafficata e del coinvolgimento nella transazione di diverse persone provenienti da paesi stranieri. Tutti elementi che dimostravano, ad avviso del Tribunale, la tendenza dell'indagato ad intraprendere traffici di droga in termini sistematici e collaudati. Peraltro anche la personalità del B. deponeva per l'elevata pericolosità dello stesso, in quanto soggetto privo di fonti di reddito e già gravato da precedenti penali. Sulla scorta di tali considerazioni il Tribunale riteneva adeguata e proporzionata la misura cautelare della custodia in carcere.
Tuttavia riteneva di ostacolo all'applicazione di tale misura il disposto dell'articolo 275, co. 4 cod. proc. pen., nel testo introdotto dall'art. 1, co. 1 legge n. 62/2011, il quale preclude la sottoposizione alla massima restrizione del genitore che risulti affidatario in via esclusiva di un figlio di età inferiore ai sei anni, come appunto è il B. , padre di una bambina nata il 3 novembre 2008, salvo che esistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Il Tribunale escludeva innanzitutto che ricorressero nel caso di specie esigenze siffatte, considerando che l'indagato risulta privo di precedenti specifici in materia di narcotraffico ed è alla sua prima esperienza detentiva; di talché non risulta integrato il grado di pericolosità non comune dal quale può evincersi la sostanziale certezza e non già la mera probabilità di reiterazione del delitto.
Tanto ritenuto, il Tribunale interpretava l'art. 1 della legge n. 62/2011 nel senso che la previsione di cui al comma 1 è già applicabile, in quanto non sottoposta alla previsione del comma 4 del medesimo articolo, a mente del quale "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario e comunque a decorrere dal 1 gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata". A tanto il Tribunale addiveniva evidenziando la finalità del legislatore di apprestare una più ampia tutela al minore, evitandone per quanto maggiormente possibile la frequentazione di un contesto carcerario, ed altresì in base ai lavori preparatori, dai quali evinceva che la disposizione transitoria prevista al comma 4 dell'articolo 1 è stata introdotta per ragioni di bilancio dello Stato; ragioni che l'interpretazione patrocinata dal Tribunale rende comunque salve perché essa non implica alcun aggravio della spesa pubblica ed anzi, sempre ad avviso del Collegio, limita i costi a carico dell'erario. Sulla base di queste valutazioni il Tribunale sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere inflitta al B. con quella degli arresti domiciliari.
2. Avverso il descritto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il Tribunale di Brescia, lamentando l'inosservanza ed erronea applicazione della legge e segnatamente degli articoli 1 legge n. 62/2011 e 275, co. 4 cod. proc. pen., in quanto il Tribunale avrebbe optato per criteri interpretativi che non devono trovare campo nel caso di specie, essendo chiara la lettera della legge e in particolare del comma 4 dell'articolo 1 cit., il quale menziona senza alcuna incertezza l'intero articolo come referente dello slittamento temporale dell'applicazione.
Ad avviso del ricorrente tale norma rimanderebbe l'entrata in vigore di tutte le disposizioni di cui all'articolo 1, salva l'utilizzabilità dei posti esistenti negli istituti a custodia attenuata. E non sarebbe questo il caso del B., che è stato posto agli arresti domiciliari. Proprio perché chiara la lettera della norma, non si potrebbe fare riferimento a una diversa volontà del legislatore, peraltro solo presunta dal Tribunale, perché tale canone ermeneutico trova eventualmente spazio solo ove si pongono difficoltà interpretative. Peraltro, anche in ordine all'interpretazione teleologia fatta dal Tribunale il ricorrente dubita che essa trovi effettivo avallo nei lavori preparatori. Inoltre, l'interpretazione fondata su ragioni di carattere sistematico, teleologia) e di tecnica redazionale, alla quale ha fatto ricorso il Collegio, violerebbe il principio di stretta interpretazione che deve applicarsi nel caso di specie, sia perché l'art. 1 ha natura di legge penale, sia perché esso riveste carattere di norma eccezionale, in quanto fa eccezione alla regola generale secondo la quale la misura cautelare da applicarsi deve essere quella proporzionata alla natura delle esigenze cautelari ritenute.
Sotto diverso profilo, il ricorrente lamenta anche l'erronea valutazione in punto di esclusione delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Infatti i dati fattuali posti a base del proprio giudizio dal Tribunale del riesame non sarebbero corretti, in quanto l'indagato è già stato coinvolto a partire dai 1998 in varie vicende legate al narcotraffico ed è stato attinto da plurime chiamate in correità da parte di soggetti intranei ad ingenti traffici di droga; egli è stato colpito nell'anno 2000 da ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'articolo 74 dpr 309/90, in relazione a traffici di droga gestiti in forma associata; egli non è affatto alla sua prima esperienza detentiva perché risulta esser già stato detenuto in carcere dal 28 ottobre 2000 al 7 dicembre 2000. Pertanto qualora non si ritenesse il prospettato differimento della vigenza dell'art. 1, co. 1 legge n. 62/2011, dovrebbe essere affermata la sussistenza di eccezionali esigenze cautelari che impongono la custodia cautelare in carcere del B.
3. In data 5 aprile 2012 il difensore dell'indagato ha depositato una memoria difensiva nella quale sostiene le ragioni espresse dal Tribunale del riesame, la cui interpretazione ad avviso dell'esponente è l'unica possibile costituzionalmente orientata. Per il difensore sarebbe insensata la scelta di sospendere l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, co. 1 legge n. 62/2011 una volta che con l'approvazione della stessa sia stato riconosciuto che soltanto in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza possono essere sacrificate le istanze di tutela della prole che non abbia superato i sei anni di età, con la sottoposizione del genitore al regime carcerario. Una diversa interpretazione sarebbe peraltro in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione sia perché irragionevole sia perché stabilirebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra minori di età compresa fra i tre ed i sei anni e minori che hanno età inferiore ai tre anni. Ad avviso del difensore la necessità di attendere la realizzazione degli istituti a custodia attenuata giustificherebbe esclusivamente la ritardata applicazione della nuova misura cautelare introdotta dall'articolo 1, comma 3 della legge; la sola che abbisogna delle strutture da realizzarsi per la sua concreta operatività. Per contro nessun ostacolo, neppure di copertura finanziaria, si frapporrebbe alla possibilità di dare immediata applicazione alla norma di cui all'articolo 1, comma 1. Il difensore fa altresì riferimento al contrasto tra una interpretazione diversa da quella fatta propria dal Tribunale ed i principi di cui agli articoli 2, 10 e 31 Cost. nonché di cui all'articolo 3 della Convenzione sui diritti dell'infanzia, chiedendo - ove quella non fosse ritenuta fondata - di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1,comma 4 l. n. 62/2011.
Considerato in diritto
4.1. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento.
Giova premettere che la legge 21.4.2011, n. 62, recante "Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori", ha inteso introdurre un regime di detenzione per le donne incinte e le madri di minori di anni sei che vuole essere in minor grado pregiudizievole per la prole. A tal fine il legislatore è intervenuto sull'art. 275, co. 4 cod. proc. pen., ampliando il novero dei minori beneficiari della tutela, attraverso l'elevazione del limite di età che comporta il divieto di custodia cautelare in carcere per il genitore, salvo che ricorrano esigenze di eccezionale rilevanza (art. 1, co. 1). Contestualmente, si è previsto che quando tali eccezionali esigenze siano ravvisate, la carcerazione può avvenire - quindi se compatibile con le predette esigenze - in istituti a custodia attenuata. Si tratta di istituti che fanno la loro apparizione per la prima volta in virtù del comma 3 del medesimo art. 1, il quale introduce un art. 285-bis nel codice di rito, relativo alla "Custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri" ed il cui tenore è opportuno riportare: "Nelle ipotesi di cui all'articolo 275, comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni,ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano”. L'art. 1, co. 2 ha poi modificato il testo dell'art. 284, co. 1 cod. proc. pen, in fine al quale sono state aggiunte le parole “ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta”. In questa sede non rilevano gli ulteriori articoli dei quali consta la legge n. 62/2011.
Pertanto, il giudice che ritenga di dover adottate la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di genitore con prole infraseienne non affidabile ad altri non potrà farlo, a meno che le esigenze cautelari non si presentino come di eccezionale rilevanza. Ove non ricorra tale requisito il giudice dovrà adottare la misura degli arresti domiciliari. Qualora all'inverso ritenga sussistenti le esigenze di eccezionale rilevanza, egli sarà chiamato ancora ad una ulteriore vantazione, avente ad oggetto la compatibilità di quelle peculiari esigenze con la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata. Solo se anche quest'ulteriore apprezzamento avrà esito negativo, dovrà essere disposta indefettibilmente la custodia in carcere.
4.2. Così ricostruito l'impianto normativo definito con l'art. 1, co. 1, 2 e 3 l. 62/2011, occorre prendere in considerazione il comma quarto del medesimo articolo 1. Esso recita: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario e comunque a decorrere dal 1 gennaio 2014, fatta salva la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata".
Sin dai primi commenti è stata rilevata la non felice formulazione della norma che al contempo sembra posporre l'applicazione di tutte le disposizioni di cui all'art. 1 (anche del medesimo comma 4), dall'altro sembra alludere ad una immediata fruizione dei posti già disponibili presso gli istituti a custodia attenuata.
4.3. Sono emerse, al riguardo, due interpretazioni. Una prima, esplicitata in una nota dell'Ufficio del Massimario presso questa Corte (Rei. n. III/06/11 Cassazione), osserva che il tenore letterale dell'art. 1, comma 4 sembra differire nel tempo l'operatività dell'intera nuova regolamentazione dettata in materia di misure cautelari, compreso il più ampio divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti delle detenute madri. Tale conclusione sembrerebbe essere confermata dall'inciso contenuto nell'ultimo periodo della disposizione, che fa salva “la possibilità di utilizzare i posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata”. Viene rimarcato che questa previsione, di per sé, vale ad anticipare nel tempo esclusivamente la possibilità di applicare la custodia cautelare presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, nella misura in cui tale struttura offra già la relativa disponibilità di posti. Richiamando un primo commento dottrinario si afferma che il riferimento alla "legislazione vigente" “non può che voler ribadire la non immediata operatività dell'art. 275, comma 4 c.p.p. (come modificato dalla legge)”. Pertanto, sino all'attuazione del "piano carceri" o al 1 gennaio 2014, allo scattare del terzo anno d'età della prole il P.M. potrà chiedere, ed il giudice potrà disporre, la normale custodia cautelare in carcere della madre, provocandone il distacco dal minore, sulla base degli ordinari presupposti ed esigenze cautelari.
In conclusione, sembra di poter ritenere che la tesi tratteggiata nella Relazione sia quella del differimento dell'applicazione del "nuovo testo" dell'art. 275, co. 4 cod. proc. pen., mentre sarebbe già possibile disporre la custodia attenuata qualora vi sia disponibilità del posto nell'istituto dedicato.
4.3 Una seconda interpretazione, fatta propria dalla Seconda sezione di questa Corte (Cass. sez. II, sent. n. 11714 del 16.3.2012, Ruoppolo), esclude parimenti l'immediata applicabilità dell'art. 1, co. 1 legge n. 62/2011, e quindi la già intervenuta applicabilità del nuovo testo dell'art. 275, co. 4 cod. proc. pen., ed esclude che la clausola relativa ai posti disponibili a legislazione vigente abbia un qualche effetto sull'applicabilità dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 1 cit. L'assunto prende le mosse dalla considerazione secondo la quale "la situazione attuale degli I.C.A.M.", ovvero gli istituti di custodia attenuata per madri, è tale per cui "non risulta adottata sin qui alcuna fonte di rango normativo, regolamentare o di altro genere che ne definisca in modo organico e unitario i compiti e le attribuzioni sul piano strutturale ed ordinamentale". Da ciò si deduce che allo stato tali istituti (in verità il solo I.C.A.M. di Milano, il solo attivo sul territorio nazionale) "operano come articolazioni in via sperimentale di strutture della amministrazione penitenziaria". L'ulteriore conseguenza che se ne ricava è che "la riserva relativa alla possibilità di utilizzare i posti già disponibili presso gli istituti a custodia attenuata, si riferisce espressamente a quanto risulta consentito in basa alla “legislazione vigente”; sicché, nessun riflesso può desumersi da quella clausola sul piano della applicazione della disciplina novellata posto che la relativa entrata in vigore è stata espressamente differita".
Si rileva, infine, che sarebbe in contrasto con più parametri costituzionali far dipendere l'applicazione di un regime cautelare di indubbio favor dalla semplice esistenza e disponibilità di posti presso una struttura sperimentale della amministrazione penitenziaria. Pertanto la clausola in esame si riferirebbe unicamente "alla prosecuzione sperimentale di una modalità alternativa di custodia, che nei fatti consente di "anticipare" i contenuti propri della misura delineata dall'art. 285-bis cod. proc. pen.". In sostanza, e in questo il più evidente sviluppo rispetto alle osservazioni contenute nella Relazione dell'ufficio del Massimario, l'utilizzo dei posti avverrebbe sul piano meramente amministrativo, senza riflessi sull'applicazione della legge da parte dell'A.G.
5.1. Prima di valutare la fondatezza delle interpretazioni testé riportate si deve rilevare come l'assunto del ricorrente, secondo il quale le disposizioni in esame vanno ricostruite alla luce del dato testuale, trovi contraddizione patente nell'intima contraddittorietà della lettera della legge.
Ciò esonera dall'operare con adeguato approfondimento una ricognizione dello stato dell'arte in tema di teoria dell'interpretazione dei testi normativi e segnatamente della norma penale. Tuttavia è utile ricordare come si possa fondatamente dubitare che l'interpretazione letterale, che il ricorrente ritiene imposta dal legislatore quale canone gerarchicamente sovraordinato, quanto meno in assenza di ambiguità lessicali o sintattiche (in claris non fit interpretatio), sia realmente prevalente sull'interpretazione fondata sull'intenzione del legislatore (art. 12 disp. sulla legge in generale). È questo un assunto che la teoria generale del diritto ha ormai definitivamente consacrato, alla luce delle consapevolezze indotte dalla moderna filosofia del linguaggio. Come ricorda la migliore dottrina, anche penalistica, il dato letterale è per lo più ambiguo, perché i significati verosimili sono molteplici e tutti legittimi sin quando interni alla cornice di senso definita mediante la massima estensione interpretativa del testo. Le stesse teorie neoformaliste convengono sul fatto che accanto ad un'area di contenuti in grado di aggregare già sul piano letterale un adeguato consenso, vi è un'area nella quale l'attribuzione di significato non può trarre alcun giovamento dal criterio letterale, e l'interpretazione diviene atto di volontà. Anche la giurisprudenza di legittimità afferma che quando l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente a esprimere un significato chiaro e univoco, l'interprete non deve ricorrere all'interpretazione logica, specie se attraverso questa si tenda a modificare la volontà della legge chiaramente espressa. Ma, aggiunge, quando il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse non sia già tanto chiaro e univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione, si deve ricorrere al criterio logico: ciò al fine di individuare, attraverso una congrua valutazione del fondamento della norma, la precisa "intenzione del legislatore", avendo cura, però, di individuarla quale risulta dal singolo testo che è oggetto di esame e non già, o semmai in via subordinata e complementare, quale può genericamente desumersi dalle finalità ispiratrici di un più ampio complesso normativo in cui quel testo, insieme con altri, ma distintamente da essi, è inserito. Addirittura, il criterio di interpretazione teleologia, previsto dall'ultima parte del primo comma dell'art. 12 preleggi, può assumere rilievo prevalente, rispetto alla interpretazione letterale nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo. Rimanendo quindi escluso che interprete possa correggere la norma, nel significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, quando ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (Cass. civ. sez. 3, n. 9700 del 21 maggio 2004).
Ma, come già osservato, nel caso che occupa risulta del tutto palese l'assoluta insufficienza del dato meramente letterale a dare un verosimile senso compiuto alla previsione recata dall'art. 1, co. 4 legge n. 62/2011. Su ciò conviene la stessa decisione di questa Corte in causa Ruoppolo.
5.2. Ebbene, ritiene questo Collegio che le interpretazioni sinora emerse non siano persuasive. Da un canto non si comprende in virtù di quali elementi testuali o sistematici sia possibile affermare che la clausola di salvezza che chiude il comma 4 possa confermare l'assunto del differimento dell'applicabilità dell'intero regime. Già la giustapposizione tra un enunciato il cui nucleo è nella statuizione della procrastinata applicabilità di alcune disposizioni e la locuzione fatta salva dovrebbe far propendere per l'enucleazione di un nocciolo disciplinare immediatamente applicabile. Su un diverso ed ulteriore piano, la deroga alla prescrizione dell'applicabilità differita non può essere conferma del fatto che oggetto del differimento sono davvero tutte le disposizioni recate dall'articolo 1, per la agevole constatazione del presupporre, quella eccezione, l'immediata applicabilità di una norma che contempli il potere-dovere di disporre la custodia in quegli istituti a custodia attenuata, nei limiti dei posti già disponibili a legislazione vigente. Detto in altri termini, la previsione dell'immediato utilizzo dei posti già disponibili per la custodia attenuata presuppone ("immediata applicazione della disposizione che introduce l'istituto della custodia attenuata, ovvero quella recata dall'art. 1, co. 3 legge n. 62/2011. La quale, a sua volta, presuppone l'operatività dell'art. 275, co. 4 cod. proc. pen.
5.3. Ad avviso di questa Corte occorre prendere le mosse da un primo punto fermo: il comma 4 non può essere inteso come riferito a tutte le disposizioni dell'articolo 1 in quanto: a) ciò non consente di attribuire un significato univoco alla clausola di salvezza; b) ciò importerebbe il differimento dell'applicabilità del medesimo comma 4, con evidente aporia teleologica.
Abbandonando quindi il suggestivo ma ingannevole richiamo alla lettera della norma, occorre rilevare che i canoni cui ha inteso richiamarsi il Tribunale del riesame risultano condivisibili laddove valorizzano la finalità del legislatore di apprestare una più ampia tutela al minore, evitandone per quanto maggiormente possibile la frequentazione del contesto carcerario. Non altrettanto univoca è la risultante dell'analisi dei lavori preparatori, dai quali si evince senz'altro che la disposizione transitoria prevista al quarto comma dell'articolo 1 è stata introdotta per ragioni di bilancio dello Stato; ma non che essa sia stata avvertita e voluta come riferita solo a taluna delle disposizioni recate dall'articolo 1. E ciò a prescindere dal peso che può legittimamente attribuirsi alle intenzioni del legislatore storico.
5.4. Orbene, la menzionata clausola di salvezza (per il motivo appena indicato certamente esclusa dallo slittamento applicativo), non può che avere ad oggetto le disposizioni che costituiscono prius logico e giuridico della sua operatività immediata. In altri termini, se sin dall'entrata in vigore della legge si dispone l'immediata utilizzabilità dei posti negli istituti a custodia attenuta già disponibili, è evidente che ciò presuppone l'operatività di quelle norme che contemplano il ricorso agli istituti a custodia attenuata.
Ora, come si è già evidenziato in precedenza, la custodia presso tali istituti, introdotta per la prima volta proprio dalla legge n. 62/2011, può essere disposta allorquando ricorrano le seguenti condizioni: la persona destinataria del provvedimento sia genitore esclusivo dell'infraseienne; il giudice ritenga che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; e che esse siano compatibili con la custodia attenuata. Ma tali condizioni sono previste innanzitutto dall'art. 275, co. 4 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 1, co. 1, la cui immediata applicabilità è quindi necessariamente presupposta dall'art. 1, comma 4. Allo stesso modo, l'art. 1, co. 4 presuppone l'immediata applicabilità dell'art. 1, co. 3, perché è tale disposizione che inserisce il nuovo art. 285-bis cod. proc. pen. La catena delle implicazioni evocata dalla più volte menzionata clausola di salvezza va quindi ricostruita a partire dall'art. 285-bis: i posti disponibili di cui all'art. 1, co. 4 legge n. 62/2011 sono quelli per la custodia attenuata, la quale è prevista dall'art. 285-bis, il cui ambito di applicazione è interno a quello dell'art. 275, co. 4, proponendosi come fattispecie speciale rispetto a questa in ragione dell'elemento specializzante costituito dalla presenza di esigenze di eccezionale rilevanza compatibili con la custodia attenuata.
5.5. Ciò precisato, non appare persuasiva la lettura che è stata offerta della clausola di salvezza dalla seconda sezione di questa Corte. Il fatto che gli I.C.A.M., alla data di entrata in vigore della legge n. 62/2011, non fossero ancora stati oggetto di puntuale regolamentazione e che quindi fossero in via di sperimentazione non è di per sé significativo che essi siano (stati intesi dal legislatore come) utilizzabili esclusivamente come prosecuzione dell'esperienza in corso, secondo determinazioni interne all'amministrazione penitenziaria. D'altro canto, il legislatore non avrebbe avuto alcuna necessità di prevedere espressamente la protrazione dell'utilizzo dell'I.C.A.M., tanto più nel momento in cui la legge n. 62/2011 ne costruiva finalmente il referente normativo fondamentale. Né può leggersi la locuzione "a legislazione vigente" come espressiva della possibilità di far ricorso agli I.C.A.M. nei limiti di quanto consentito dal quadro normativo in essere; l'art. 1. co. 4 con tutta evidenza connette il riferimento alla legislazione vigente al numero dei posti disponibili e non alla disciplina dell'istituto a custodia attenuata. Infatti, la lettura dei lavori preparatori chiarisce che l'inciso in discussione fu introdotto a seguito della relazione presentata dal Ministero dell'Economia, come condizione necessaria a garantire il rispetto dell'art. 81 Cost.. Come ha correttamente rilevato il Tribunale del riesame, il testo originario del comma 4 dell'art. 1 manifestava chiaramente l'intenzione di rendere immediatamente possibile il ricorso alla custodia attenuata, ancorché sino a concorrenza dei posti effettivamente disponibili: "Fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario e comunque fino al 31 dicembre 2013, le disposizioni del presente articolo si applicano nei limiti dei posti disponibili".
Non è quindi condivisibile la tesi secondo la quale la clausola di salvezza in argomento non interferisce con il regime di applicabilità delle disposizioni dell'art. 1, previsto dalla prima parte del comma 4. La conseguenza è che i commi 1 e 3, presupposti dalla clausola di salvezza, non possono ritenersi coinvolti nel differimento dell'applicazione.
5.6. Tuttavia, come già osservato nella sentenza Ruoppolo, far dipendere l'applicazione della custodia attenuata, prevista dal nuovo art. 285-bis cod. proc. pen., dalla disponibilità di posti darebbe luogo ad un'interpretazione contraria quanto meno all'art. 3 Cost. Infatti, così facendo si verrebbe a determinare un trattamento di sfavore derivante da un fattore del tutto occasionale ed eccentrico rispetto alla valutazione cautelare. Quando il giudice reputi sussistenti nei confronti di due soggetti tutte le condizioni di applicabilità della custodia attenuata, la potrà disporre nei confronti di uno ma non dell'altro se la disponibilità dei posti sarà ridotta all'unità. Si badi che qui non ci si trova in presenza di una semplice modalità di esecuzione di una misura custodiate, ma di una ben distinta ed autonoma misura, i cui presupposti di fruibilità non possono essere condizionati dalle esigenze della P.A. Vale ricordare, che in materia di liberazione anticipata, si è espresso il principio per il quale la decisione del Tribunale di sorveglianza in ordine alla concedibilità del beneficio non può essere condizionata dalle carenze interne alla struttura carceraria, ove queste non abbiano consentito al detenuto di concorrere ad una forma di trattamento rieducativo nei confronti del quale egli abbia manifestato reale disponibilità (Cass. Sez. 1, n. 4206 del 3/10/1994, P.M. in proc. Di Bella, Rv. 199646). Siffatto assunto riposa sul medesimo principio che si afferma in questa sede.
Vi è quindi un'interpretazione dell'art. 1, co. 4 che conduce alla violazione dell'art. 3 Cost. D'altro canto, non è possibile evitare tale esito attraverso una lettura sostanzialmente abrogativa dell'art. 17 co. 4 (come quella che assume l'immediata applicabilità di tutti i commi da 1 a 3 dell'articolo), sia perché ciò è nei compiti del solo giudice costituzionale, sia per il fatto che la norma è stata chiaramente intesa come condizione di coerenza della disciplina al vincolo costituzionale derivante dall'art. 81 Cost.
5.7. Ad avviso di questa Corte è possibile attribuire alla menzionata clausola di salvezza un significato al tempo stesso ragionevole e costituzionalmente compatibile. Tale significato non può che essere quello dell'immediata applicabilità del solo art. 1, co. 1. Si consideri che il quarto comma dell'art. 1 del disposto normativo in questione, nel disciplinare la entrata in vigore delle "disposizioni di cui al presente articolo" (procrastinandola alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario e comunque al 1 gennaio 2014) fa riferimento, come si vede, al regime carcerario ed alle strutture che questo devono assicurare; all'ipotesi, cioè, che debba applicarsi la custodia cautelare in carcere al genitore di prole minore degli anni sei (perché ricorrenti esigenze di eccezionale rilevanza). Esclusivamente a tale regime carcerario fa riferimento anche la salvezza dell'ultima parte dello stesso quarto comma, col riferimento ai "posti già disponibili a legislazione vigente presso gli istituti a custodia attenuata".
Ma da tale previsione esula del tutto quella che, non sussistendo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, contempla il divieto della custodia cautelare in carcere, come disposto dal primo comma.
Se, prescindendo per ipotesi dall'orizzonte costituzionale, può avere un senso disporre che le nuove norme sulla custodia attenuata abbiano efficacia quando il relativo "piano straordinario penitenziario" venga completamente attuato (e comunque non oltre il 1 gennaio 2014), non appare ragionevole subordinare ad eguali termini l'efficacia di altre norme che non prevedono e presuppongono affatto il regime carcerario attenuato.
In sostanza ed in definitiva, nessun senso può avere che il regime degli arresti domiciliari sia subordinato alla ridefinizione di quello carcerario: il primo continua ad essere pacificamente disciplinato dalle norme in vigore (non attinte affatto dall'intervento novellatore, se non in uno dei presupposti); e non avrebbe alcun senso, sotto il profilo della ragionevolezza e quindi nell'ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata, subordinare la disposta elevazione (a sei anni) della prole minore alla sorte della disciplina della custodia attenuata, la cui operatività non è indefettibilmente implicata dall'applicazione dell'art. 275, co. 4 cod. proc. pen. nuovo testo: si pensi ai casi, come quello in esame, in cui risultando escluse le esigenze di eccezionale rilevanza neppure si pone il tema dell'adozione della misura della custodia attenuata. In sostanza, si può dire che se l'art. 285-bis presuppone l'applicabilità dell'art. 275, co. 4 (nuovo testo), non è vero il contrario.
Attraverso l'interpretazione qui proposta risulta al contempo assicurata la conservazione di valore giuridico dell'art. 1, co. 4 nella sua interezza; preclusi trattamenti custodiali sperequati in ragione della occasionale carenza penitenziaria; rispettato il vincolo posto dall'art. 81 Cost.; resa immediatamente operativa una norma processuale di favore, che sarebbe altrimenti irragionevolmente ancorché transitoriamente inattuata, con un pregiudizio degli interessi tutelati non bilanciato dalla tutela di interessi parimenti meritevoli, come ben segnalato anche nella memoria difensiva.
Pertanto, a partire dal 20 maggio 2011, data di entrata in vigore della legge n. 62/2011, quando si tratta di applicare la custodia cautelare in carcere al genitore di un minore degli anni sei, non affidabile ad altri, non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che non ricorrano esigenze di eccezionale rilevanza. In tal ultimo caso non potrà essere disposta la custodia in istituto a custodia attenuata sino a quando non sarà completato il piano straordinario delle carceri o sino al 1.1.2014.
5.8. Alla luce di siffatto principio, non è incorso in violazione di legge il provvedimento con il quale il Tribunale del riesame ha confermato la misura degli arresti domiciliari nei confronti del B. Il Collegio ha correttamente ritenuto di immediata applicabilità il nuovo testo dell'art. 275, co. 4 cod. proc. pen.
6. Il secondo motivo di ricorso del P.M. è inammissibile. Esso prospetta in sostanza un travisamento della prova [art. 606, co. 1 lett. e) cod. proc. pen.] per avere il Collegio affermato circostanze di fatto non rispondenti al vero e operato sulla base di quelle la valutazione di insussistenza delle esigenze di eccezionale rilevanza, in presenza delle quali il nuovo testo dell'art. 275, co. 4 cod. proc. pen. non permette l'adozione di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere.
Sotto tale profilo mette conto ricordare che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato, oltre che volto a verificare che quest'ultima sia "effettiva", non "manifestamente illogica", priva di interne contraddizioni, non deve altresì risultare "logicamente incompatibile" con altri atti del processo, indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass. Sez. 6, n. 10951 del 15/3/2006, Casula; Cass. Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pm in proc. Longo, Rv. 251516).
Orbene, rimarcato che le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - atte a giustificare l'adozione della custodia cautelare in carcere nei confronti di una madre con prole di età inferiore a sei anni - ricorrono allorquando il grado del pericolo di reiterazione (per quel che qui interessa) supera la semplice concretezza richiesta dall'art. 274 cod. proc. pen., per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l'indagato, ove sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, va puntualizzato che quelle esigenze sono desumibili dagli stessi elementi indicati per le ordinarie esigenze cautelari e, pertanto, dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell'indagato desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali (Cass. Sez. 5, n. 2240 del 05/12/2005, P.M. in proc. Bacalanovic, Rv. 233026).
Il Collegio ha escluso la sussistenza di esigenze di tal natura ed intensità, ritenendo che il fatto contestato al B., per quanto di oggettiva gravità, non sia tuttavia inquadrabile in una protrazione di illeciti durevole nel tempo. Tale giudizio si fonda sull'esame della vicenda in sé considerata. Solo in via di ulteriore conferma il Tribunale ha fatto riferimento all'assenza di precedenti penali specifici e all'assenza di pregresse esperienze detentive. Pertanto, gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione non risultano dotati di autonoma forza dimostrativa e quindi in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante. Peraltro, mette conto rimarcare che lo stesso ricorrente espone circostanze che, lungi dal contraddire, confermano l'assenza di precedenti penali specifici: si evoca, infatti, l'esistenza di un compendio di chiamate in correità ed un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, tutte relative a traffici di stupefacenti, ma non condanne irrevocabili per fatti di tal tenore.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
28-06-2012 00:00
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