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Sentenza

Ne bis in idem: l’accusato che è stato condannato o prosciolto con sentenza divenuta irrevocabile non puo' essere sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto anche se il fatto e' qualificato a diverso titolo
Ne bis in idem: l’accusato che è stato condannato o prosciolto con sentenza divenuta irrevocabile non puo' essere sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto anche se il fatto e' qualificato a diverso titolo
Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. - Sent. del 09.01.2012, n. 108

 

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza in data 27.03.2007, con riferimento alle posizioni che oggi vengono in rilievo, dichiarava B. A . responsabile del reato di cui all'art. 449, cod. pen. condannando l'imputato alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.
2. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 11.11.2010, in riforma della predetta sentenza dichiarava non doversi procedere nei confronti del B. in ordine al reato ascrittogli, perché estinto per intervenuta prescrizione e confermava nel resto.
La Corte di Appello rilevava che al B. si contesta di avere eseguito un'opera muraria di contenimento commissionatagli da M.S. in modo difforme dal progetto, così da cagionare il crollo del muro di sostegno con successivo sfondamento dei muri di tamponamento delle pareti perimetrali del fabbricato antistante.
La Corte territoriale, nel ricostruire il fatto in addebito, rilevava che B. aveva realizzato, su commissione del M., una paratia di pali trivellati, per un fronte di intervento di mI. 65,50, per il contenimento di un terrapieno; e che in data 23.06.2000, mentre gli operai di altra ditta successivamente incaricata, stavano effettuato lavori di sbancamento, una parte del muro lunga circa 24 metri lineari era rovinosamente crollata.
Nel censire i motivi di doglianza, la Corte territoriale rilevava l'infondatezza della dedotta violazione del “ne bis in idem”, reiterata dalla difesa nei motivi di appello. Il Collegio evidenziava che l'intervenuta sentenza di non luogo a procedere, emessa nei confronti del B., riguardava il reato di cui all'art. 676 cod. pen.; e rilevava che l'istruttoria dibattimentale svolta in primo grado aveva evidenziato la sussistenza di elementi ulteriori rispetto a quelli già esistenti allorquando nei
confronti del B. era stata richiesta l'emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui all'art. 676, comma 2, cod. pen., imputazione rispetto alla quale era stata di poi pronunciata sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. Osservava che i predetti elementi avevano consentito di configurare una nuova e diversa condotta, sussumibile sotto il paradigma normativo di cui all'art. 449 cod. pen., di talché si configurava il concorso formale rispetto alla originaria contestazione.
AI riguardo, la Corte di Appello considerava che i testi escussi avevano chiarito che nei pressi del muro crollato si trovavano campetti da calco ed una scuola di danza frequentata da giovani; e che solo una fortunata coincidenza aveva scongiurato che i frequentatori delle predette strutture, che erano soliti transitare o sostare nella strettoia in cui è rovinato il muro, rimanessero travolti dall'imponente crollo. Sulla scorta di tali rilievi, il Collegio considerava che si era verificata una concreta situazione di pericolo, per la pubblica incolumità, idonea a configurare il reato di cui all'art. 449 cod. pen. Il Collegio evidenziava che la natura privata della strada non escludeva che stessa fosse in concreto frequentata, nei termini anzidetti.
La Corte di Appello riteneva pertanto che non fosse realizzata la condizione richiesta dall'art. 649, cod. proc. pen., atteso che al B. era stato contestato un fatto diverso nella sua dimensione storica e naturalistica, oltre che giuridica, rispetto a quello di cui all'art. 676, cod. pen.
La Corte distrettuale rilevava che l'opera realizzata dal B. si qualificava per la palificazione sospesa alla trave di coronamento priva di sostegni alla base, essendo essi consistiti in vuote strutture metalliche, prive del loro naturale riempiemento in cemento armato. La Corte territoriale evidenziava che, sul punto, tutte le consulenze in atti, del pubblico ministero, della parte civile e della difesa Iriti, erano perfettamente concordanti. Oltre a ciò, il Collegio rilevava che parimenti incontestata risultava la circostanza relativa alla cattiva esecuzione dell'opera, realizzata senza alcun rispetto dei parametri di edificazione in sicurezza e mediante l'uso di calcestruzzo inferiore alla media ed in maniera arbitrariamente ridimensionata rispetto al progetto originario.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di merito riteneva accertato un nesso di derivazione causale tra le inefficienze della esecuzione dell'opera ed il crollo del muro come in concreto verificatosi, osservando che l'eventuale corresponsabilità colposa del M., nei termini prospettati dalla difesa, non aveva esplicato causalità efficiente rispetto alla causazione dell'evento. II Collegio evidenziava che anche ritenendo provata la consegna, da parte del M. all'impresa successivamente intervenuta, di un progetto diverso da quello originario, l'evento si sarebbe ugualmente verificato, atteso che la palificazione realizzata dalla ditta B. era comunque destinata, per le proprie deficienze strutturali ed eclatanti inadeguatezze, a non consentire il contenimento del muro. La Corte di Appello rilevava che l'eventuale concorrente responsabilità della ditta G., successivamente intervenuta, alla quale la difesa addebitava di avere realizzato lo scavo in maniera da scoprire i pali interrati, non valeva ad escludere la responsabilità del B.
3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il B., deducendo la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all'art. 649 cod. proc. pen.
La parte ritiene che le Corte di Appello abbia errato nell'escludere che il giudice di primo grado fosse incorso in errore di diritto, laddove aveva disatteso la richiesta di emissione di sentenza di non doversi procedere per intervenuto giudicato ex art. 649 cod. proc. pen. Osserva che detta questione era stata dedotta già prima dell'attività istruttoria e quindi reiterata in sede di richieste conclusive.
L'esponente rileva che la Corte di Appello ha fatto riferimento al concorso formale dei reati, istituto da ritenersi inaccettabile con riguardo alle due norme in esame. Il ricorrente ritiene che le due fattispecie in addebito - di cui agli artt. 676, comma 2 e 449 cod. pen. - si sostanzino di un medesimo fatto, con riferimento agli elementi costitutivi del reato, quali condotta, evento e nesso di causalità. E considera che la Corte di Appello, erroneamente, ha richiamato gli elementi emersi nel corso della istruttoria dibattimentale; osserva, sul punto, che i due procedimenti erano stati originati da due denuncie e che gli stessi si fondano sui medesimi elementi probatori.
Il ricorrente osserva che la Corte di Appello era chiamata a verificare la correttezza dell'operato del primo giudice, che aveva rigettato al richiesta di pronuncia ex art. 129 cod. proc., spiegata prima dell'espletamento della istruttoria dibattimentale.
Sotto altro aspetto, il ricorrente deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in relazione agli artt. 676 comma 2, e 449 cod. pen. Osserva che il reato contravvenzionale differisce sostanzialmente dall'ipotesi di cui all'art. 449 coc, pen.; ciò in quanto l'elemento materiale di quest'ultima ipotesi si caratterizza per la maggiore gravità dell'avvenimento; rileva che, per la sussistenza del delitto, si richiede che il crollo della costruzione abbia assunto la fisionomia di un disastro, con conseguente pericolo per la vita e l'incolumità delle persone, indeterminatamente considerate da valutarsi “ex ante”, mentre per la contravvenzione deve trattarsi di semplice rovina di edificio e la circostanza che sia derivato pericolo alle persone è prevista come aggravante.
Ciò premesso, il ricorrente ritiene che la Corte di Appello abbia ritenuto sussistente l'elemento del pericolo per la pubblica incolumità, valutando erroneamente le emergenze probatorie, con riferimento ai tempi ed alle circostanze del crollo. L'esponente rileva che il crollo è avvenuto in un cantiere chiuso al passaggio di chiunque. Assume l'esponente che il crollo sia stato provocato dalla attività di sbancamento effettuata da altra ditta incaricata dal M., ditta che non conosceva i dati progettuali dell'opera. Il ricorrente ritiene che la causa del crollo sia da individuare nello sbancamento successivamente effettuato; e rileva che la Corte di Appello, contraddittoriamente, dopo avere evidenziato che la condotta posta in essere dal M. aveva assunto rilievo nella vicenda che occupa, ha omesso di considerare che fu la stessa opera di sbancamento disposta dal M. a determinare il crollo della paratia. Il deducente rileva che il riferimento effettuato dalla Corte di Appello alla palificazione fornisce in realtà avvallo alla tesi difensiva, atteso che detta situazione venne a determinarsi a causa della attività di sbancamento; e considera che i giudici di merito si sono basati sui rilievi svolti dal consulente tecnici della parte civile, rinunziando alla nomina di un perito.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato, nei sensi di seguito esposti.
4.1 Come rilevato dalla Corte di Appello, il reato per cui oggi si procede risulta pacificamente estinto per intervenuta prescrizione.
Nel caso di specie, è stata pronunciata condanna dell'imputato al risarcimento dei danni ex art. 578 cod. proc. pen., di talché, pure a fronte di una causa estintiva del reato, occorre comunque procedere ad un analitico esame del compendio probatorio, al fine di verificare la sussistenza di elementi idonei per pronunciare una sentenza di contenuto liberatorio (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28.05.2009, dep. 15.09.2009, Rv. 244273). Del resto, in relazione alla dedotta violazione del divieto di secondo giudizio, la regola di cui all'art. 649, comma 2, cod. proc. pen., impone al giudice di verificare in ogni stato e grado del processo la sussistenza degli elementi per pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
4.2 Tanto chiarito, si procede all'esame del primo motivo di ricorso, con il quale la parte deduce la violazione di legge, in relazione al divieto di un secondo giudizio previsto dall'art. 649 cod. proc. pen. la regola dettata dall' art. 649, comma 1, cod. proc. pen., che si richiama nei limiti che vengono in rilievo rispetto al tema controverso, stabilisce che “L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze” .
Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte di cassazione, nell'interpretare la citata disposizione normativa, hanno chiarito che ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento e nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. Sez. U sentenza n. 34655 del 28.06.2005, dep. 28.09.2005, Rv. 231799; conforme Cass. Sez. 5, sentenza 28548 in data 1.07.2010, dep. 20.07.2010, Rv. 247895).
AI fine di verificare se, in concreto, l'imputato prosciolto o condannato sia stato nuovamente sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto”, occorre pertanto ordinariamente procedere alla verifica della configurazione del reato, come operata nei capi di imputazione, ove si scolpiscono i termini fattuali dell'addebito, che circoscrivono il tema del giudizio e rispetto ai quali il giudice procede alla verifica di fondatezza della tesi accusatoria la regola dettata dall'art. 649, comma l, cod. proc. pen., in base alla quale non è dato procedere per il medesimo fatto contro la stessa persona, impone cioè al giudicante di procedere alla diretta comparazione tra il fatto come contestato nel (secondo) procedimento ed il fatto-reato oggetto di altro procedimento, rispetto al quale l'imputato è stato prosciolto ovvero condannato con sentenza irrevocabile, considerando tutti gli elementi che compongono le relative fattispecie, sotto il profilo della condotta, dell'evento e del nesso causale.
4.3 Trattandosi di eccezione di natura processuale, si procede allora alla diretta disamina degli atti richiamati dall'esponente, relativi ai procedimenti ai quali è stato sottoposto B. A., rispetto al crollo della struttura di contenimento verificatosi in Reggio Calabria il 23.06.2000.
4.3.1 La Procura della Repubblica di Reggio Calabria, in data 13.02.2003, in riferimento al procedimento n. 4102/2001 RGNR, chiedeva l'emissione di decreto penale di condanna nei confronti di B. A., imputato del reato di cui all'art. 676, comma 2, cod. pen., perché in qualità di costruttore aveva realizzato, nella proprietà e su commissione del M., dei pilastri in c.a. per il contenimento del terreno, di consistenza inferiore - nella misura di un terzo - a quella strettamente indispensabile per la tutela della struttura in questione; opera che rovinava mettendo in pericolo l'incolumità delle persone. Accertato in Reggio Calabria il 23.06.2000.
A fronte di tale richiesta, il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza resa ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. in data 3.01.2005, dichiarava il non luogo a procedere nei confronti dell'imputato, in ordine al reato ascritto, perché estinto per intervenuta prescrizione.
Rilevato che la sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dal G.i.p. ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., a fronte della richiesta di decreto penale di condanna, risulta idonea a determinare l'effetto preclusivo di cui all'art. 649 cod. proc. pen., come da tempo chiarito dalla Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 1990 del 04/12/1992, dep. 03/03/1993, Rv. 193267), occorre procedere oltre nella verifica che occupa, soffermandosi sui termini dell'imputazione di cui al procedimento n. 6163/00 RGNR, rispetto al quale il Tribunale di Reggio Calabria in data 27.03.2007 ebbe a pronunciare sentenza di condanna nei confronti del B., sentenza confermata, quanto alle statuizioni civili, dalla Corte di Appello con la decisione impugnata.
5. AI B., secondo i termini fattuali dell'imputazione che oggi vengono in rilievo, richiamati ai capi A) e B) della rubrica, si contesta, ai sensi dell'art. 449 cod. pen., di avere eseguito, nella sua qualità di titolare della omonima ditta di costruzioni, su commissione di M., un'opera muraria di contenimento, in difformità dal progetto presentato, erigendo paratie di diametro inferiore a quello previsto ed utilizzando cemento non rispondente ai previsti requisiti tecnici; e di avere cagionato, colposamente, il crollo del predetto muro di sostegno. Fatto verificatosi In Reggio Calabria il 23.06.2000.
5.1 Orbene, l'analisi delle due fattispecie in addebito evidenzia la fondatezza del motivo di ricorso in esame. Ed Invero, sotto il profilo storico-naturallstico, che viene in rilievo al fini di interesse, per le ragioni sopra chiarite, si registra l'identità dei termini del fatto nuovamente ascritto al B., rispetto alla contestazione fondante la ricordata richiesta di emissione di decreto penale di condanna. Invero, le due contestazioni concernono i medesimi elementi strutturali del fatto, con riferimento alla condotta, all'evento ed al nesso causale. In entrambi i procedimenti la condotta consiste nella realizzazione, da parte del B., della stessa opera murarla di contenimento, su incarico del medesimo committente, con violazione delle medesime specifiche progettuali; l'evento è, del pari, individuato nel collasso del muro di sostegno eretto dal B., verificatosi in Reggio Calabria Il 23.06.2000; e l'antecedente causale del cedimento strutturale, come in concreto verificatosi viene parimenti individuato nelle descritte modalità di realizzazione dell'opera di contenimento, da parte del B.
Come si vede, nel caso di specie, nei confronti del B., pure a fronte della sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, si è successivamente proceduto, in riferimento al medesimo fatto storico, sussunto in diversi nomi penali. Infatti, le uniche differenze che si registrano nei capi di imputazione che scolpiscono le contestazioni elevate al B. riguardano la qualificazione giuridica della medesima fattispecie storico naturallstica, qualificata come rovina ai sensi dell'art. 676, comma 2, cod. pen., nel proc, n. 4102/2001, RGNR, e come crollo, in relazione all'art. 449 cod. pen., in quello n. 6163/00 RGNR. E, come sopra evidenziato, la regola del divieto del secondo giudizio, consacrata dall'art. 649, comma 1, cod., proc. pen., prevede espressamente che la preclusione operi anche qualora il medesimo fatto storico, come nel caso di specie, venga diversamente considerato per il titolo.
6. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché l'azione non poteva essere iniziata ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen. la natura assorbente del rilievo assolve dall'obbligo di censire i restanti motivi di gravame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza Impugnata, perché l'azione non poteva essere iniziata ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen.

 

Depositata in Cancelleria il 09.01.2012
Avv. Antonino Sugamele

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