Maltrattamenti.Il provvedimento di divieto di avvicinamento alla vittima non deve indicare necessariamente una distanza metrica.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 31 maggio - 23 agosto 2012, n. 33234
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Propone personalmente ricorso per cassazione C.A. avverso l'ordinanza in data 29 dicembre 2011 con la quale il Tribunale del riesame di Roma ha confermato l'ordinanza del Gip, di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.) in relazione al reato, provvisoriamente contestato, di maltrattamenti in famiglia in danno della convivente B.C.
Il Tribunale ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza, in primo luogo, nella denuncia presentata dalla persona offesa l' (OMISSIS), con richiesta di intervento della forza pubblica: la donna veniva vista, dalla polizia operante, sanguinante vistosamente sul volto; inoltre il C. veniva arrestato mentre sferrava un calcio alla maniglia del portone d'ingresso di uno stabile.
Precedenti denunce relative ad episodi di vessazioni, offese gravi e aggressioni fisiche erano state presentate dalla stessa vittima il giorno precedente, (OMISSIS) del medesimo anno.
In particolare nella denuncia del (OMISSIS) si segnalavano lesioni che la donna aveva riportato, a causa del comportamento dell'indagato, il giorno stesso ed anche il giorno precedente, (OMISSIS).
Il Tribunale aveva ritenuto, altresì, che la misura del divieto di avvicinamento fosse adeguata alla gravità e alla natura dei fatti, affermando soltanto di volere meglio determinare il divieto imposto che è stato così circoscritto alla persona della denunciante e alla sua abitazione, in viale (OMISSIS).
Deduce il ricorrente.
1) la violazione dell'art. 282 ter c.p.p. e il vizio di motivazione.
I giudici, pur intendendo dare applicazione al principio espresso nella sentenza della cassazione numero 26819/ 2011, nella sostanza non vi avevano provveduto poichè, diversamente da quanto affermato dalla menzionata giurisprudenza, non avevano circostanziato il divieto di avvicinamento relativo alla persona della denunciante: non la indicazione della distanza in metri, e neppure quella della correlazione tra un simile potenziale incontro e un luogo o un'occasione predeterminabili: omissione della motivazione tanto più grave ove si consideri che la vittima abita in pieno centro, nei pressi di una stazione ferroviaria e di altra della metropolitana, ha un alloggio in altra zona centrale vicina all'abitazione dell'indagato e svolge la sua attività lavorativa non lontano dagli luoghi per primi indicati;
2) l'omessa assunzione di prova decisiva.
Si tratta della remissione della querela presentata in gennaio e dell'istanza con la quale l'indagato ha richiesto la restituzione dei beni di sua proprietà indebitamente trattenuti dalla denunciante;
inoltre la prova che a chiamare i carabinieri il 6 dicembre era stato l'indagato; il diario clinico carcerario utili a dimostrare che l'indagato non abusò di sostanze medicinali alcoliche; l'attività di PG che non aveva portato al rinvenimento di bottiglie o calzature militari asseritamente utilizzate come armi improprie.
Il tribunale, ad avviso del ricorrente, aveva anche omesso di valutare circostanze di fatto che avrebbero dimostrato I1 inattendibilità della persona offesa, dedita all'assunzione di metadone;
3) l'erronea applicazione dell'art. 572 c.p., non essendovi, nel provvedimento impugnato, una idonea motivazione sulla relazione di convivenza con la vittima, relazione che l'indagato ha sempre negato quanto al tempo presente e che anche la persona offesa ha definito come rapporto di ospitalità.
Alla odierna udienza la difesa ha depositato una memoria nella quale ha sollecitato, oltre alla valutazione di documenti nuovi, anche la trattazione delle ricorso presentato contro la convalida dell'arresto, il ritualmente già presentato al Tribunale del riesame.
Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente rilevare che è inammissibile la richiesta formulata con i motivi nuovi e volta a ottenere la trattazione, nella presente procedura incidentale introdotta con ricorso contro l'ordinanza del tribunale della libertà, anche dell'impugnativa contro la convalida dell'arresto.
E ciò, in primo luogo, in quanto non risulta rispettato del ricorrente il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi: tale principio non è derogato nell'ambito del ricorso per cassazione contro provvedimenti "de libertate", e l'unica diversità rispetto alla ordinaria disciplina attiene al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è quello di quindici giorni prima dell'udienza ma è spostato all'inizio della discussione (v. tra le molte, Rv. 251412).
In secondo luogo va dato atto che i profili della legittimità della convalida, sottoposti inammissibilmente al tribunale del riesame dal momento che contro di essi è previsto il solo ricorso per cassazione, sono stati dichiarati per l'appunto irricevibili dal detto giudice del merito e la decisione non si trova esposta ad alcuna delle censure del ricorrente.
Inammissibile è anche la richiesta di acquisizione di documenti, tenuto conto che il giudice della legittimità è deputato alla valutazione della sola motivazione del provvedimento impugnato e della sua eventuale emissione in violazione di legge senza potere sindacare - al di fuori del vizio del travisamento della prova, non dedotto nel caso di specie - il merito di atti o documenti che solo il giudice del merito può apprezzare.
A maggior ragione risulta inammissibile, nel merito, la richiesta valutativa contenuta nei motivi nuovi, volta a sollecitare questo giudice della legittimità ad una diretta valutazione di materiale rilevante sul piano indiziario, materiale che soltanto il giudice del merito può esaminare una volta che sia stato, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, adito dall'interessato.
Quanto al merito del ricorso originario, poi, muovendo dall'ultimo motivo, il cui accoglimento assorbirebbe il resto della materia dedotta con ricorso medesimo, si rileva che esso non è apprezzabile perchè versato in fatto.
L'indagato contesta che vi sia un'adeguata motivazione sulla relazione di convivenza o piuttosto di mera coabitazione con la vittima.
In realtà tale critica non solo contrasta con l'accertamento che, sul punto, il tribunale ha ritenuto di compiere, accreditando le chiare dichiarazioni della persona offesa a proposito della convivenza stabile con l'indagato.
In più, la censura del ricorrente non tiene conto del principio giurisprudenziale secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di una persona convivente "more uxorio", atteso che il richiamo contenuto nell'art. 572 cod. pen. alla "famiglia" deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo (Rv. 239726).
Infondato deve ritenersi, a questo punto della disamina, anche il primo motivo.
La giurisprudenza cui anche il Tribunale del riesame ha dichiarato di volersi uniformare, ha osservato che "la misura prevista dalla norma citata, come pure quella di cui all'art. 282 bis c.p.p., si caratterizza per essere normativamente "temperata" sulla situazione che si vuole tutelare in via cautelare, li giudice penale è abituato a maneggiare misure cautelari "interamente predeterminate", che generalmente non necessitano di integrazioni prescrittive e quando vi sono, sono di minima entità. Invece, sia la misura di allontanamento dalla casa familiare, che quella del divieto di avvicinamento si caratterizzano perchè affidano al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l'obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa.
Con il provvedimento di divieto di avvicinamento il giudice deve individuare i luoghi ai quali l'indagato non può avvicinarsi e in presenza di ulteriori esigenze di tutela può prescrivere di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e addirittura indicare la distanza che l'indagato deve tenere da tali luoghi o da tali persone".
E ciò, in quanto la completezza e la specificità del provvedimento costituisce una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini.
Nel caso di specie il Tribunale si è attenuto al detto principio concentrando il proprio sindacato sui luoghi rispetto ai quali rendere operativo il divieto di avvicinamento.
Per quanto poi concerne la mancata indicazione delle modalità e della distanza metrica che devono essere osservate anche per l'eventualità di incontri non ricercati dall'indagato, deve osservarsi che il pur apprezzabile intento espresso dalla giurisprudenza sopra evocata debba e possa in concreto ritenersi realizzato tenendo conto che è in violazione della misura cautelare in esame soltanto la condotta che si risolva in una percepibile e volontaria invasione dell'ambito nel quale la persona offesa esplica ordinariamente le proprie esigenze di vita: un'invasione che non può essere predeterminata dal giudice sempre e soltanto in termini metrici ma che, elasticamente, sussiste ogniqualvolta risulti in concreto chiara ed evidente la dolorosa intromissione nella sfera che la persona offesa occupa e domina con il proprio apparato sensoriale.
Inammissibile è, infine, il secondo motivo di ricorso posto che, alla luce del complessivo ed eloquente materiale indiziario valutato dal giudice del riesame, non risulta che tutta la documentazione indicata dall'interessato presentasse il carattere della decisività, richiesto nella formulazione del motivo ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. D): un carattere che, invece, deve essere espressamente e analiticamente indicato dall'interessato, con riferimento alla struttura della motivazione esibita dal giudice a quo, da presumersi emessa sulla base di un quadro indiziario stabilizzato, soprattutto in ragione del fatto che l'emissione dell'ordinanza cautelare è stata seguita dagli adempimenti volti proprio alla conoscenza della specifica difesa dell'indagato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
20-10-2012 14:15
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