Lecce. Atti osceni in luogo pubblico: due soggetti si congiungono carnalmente totalmente nudi in una via del perimetro urbano della città.-
Autorità: Cassazione penale sez. VI
Data udienza: 24 ottobre 2012
Numero: n. 44214
Classificazione
ATTI ED OGGETTI OSCENI O CONTRARI ALLA PUBBLICA DECENZA - Atti osceni
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito - Presidente -
Dott. GRAMENDOLA Francesco - Consigliere -
Dott. LANZA Luigi - Consigliere -
Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere -
Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. G.P., nato a (OMISSIS);
2. N.A.M., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/05/2011 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo
l'inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Lecce riformava la pronuncia del 02/12/2008 con la quale il Tribunale della stessa città aveva mandato assolto G.P. e N. A.M. in relazione al reato di cui all'art. 527 cod. pen. (capo a), condannando i prevenuti alle pene di giustizia per avere, in Lecce il 30/06/2006, compiuto atti osceni in luogo pubblico consistiti nel congiungersi carnalmente e nudi su una via del perimetro urbano della città; e confermava nel resto la medesima pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale aveva condannato la N. in relazione ai delitti di cui all'art. 337 cod. pen. (capo b), artt. 81, 582, 585 e 576 c.p. e art. 61 c.p., comma 1, n. 2, (capo b), per avere, nello stesso luogo e nella medesima giornata, usato minaccia contro l'ispettore di polizia S.B., e gli assistenti C., Cu. e Se., nonchè violenza fisica contro lo S., colpendolo al viso con la propria borsa e così cagionandogli lesioni personali consistite in un ematoma allo zigomo sinistro, al fine di opporsi al compimento degli atti di ufficio dei poliziotti relativi alla sua identificazione, che rifiutava, e alla sua conduzione in questura per l'identificazione.
Rilevava la Corte distrettuale come la colpevolezza di entrambi gli imputati in ordine al primo degli elencati delitti fosse stata provata dalle dichiarazioni degli agenti di polizia, i quali avevano riferito di averli notati nel mentre, completamente nudi, stavano consumando un rapporto sessuale sulla pubblica via; e come la penale responsabilità della N. in ordine agli altri due reati fosse stata dimostrata sulla base delle puntuali dichiarazioni rese non solo dallo S., ma anche dal teste Se., che non si sarebbe potuto tacciare di avere alcun personale interesse nella vicenda.
Aggiungeva la Corte come solo il G. fosse meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, mentre dovesse negarsi, per la N., la sussistenza del vincolo della continuazione tra il delitto di atti osceni e gli altri due illeciti per i quali vi era stata condanna in primo grado, potendo escludere che la loro commissione fosse riferibile ad un unitario disegno criminoso.
2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso gli imputati, il G. con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Giancarlo Raco, la N. con atto sottoscritto personalmente.
2.1. Entrambi gli imputati hanno dedotto la violazione di legge, in relazione all'art. 527 cod. pen. ed il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello affermato la loro colpevolezza in ordine al capo a) dell'imputazione, senza considerare che la loro condotta, valutata ex ante e non ex post, non aveva posto in pericolo l'interesse giuridico protetto del senso di pudore, atteso che i due erano stati scoperti un una zona periferica e isolata della città, in orario serale e in un giorno in cui era programmata in televisione la trasmissione di una partita della nazionale italiana ai mondiali di calcio, dunque in un contesto in cui i prevenuti avevano maturato la convinzione di non essere visti da alcun passante.
2.2. Il G. ha, altresì, dedotto la violazione di legge, in relazione ai artt. 163 e 164 cod. pen., ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di sospendere condizionalmente l'esecuzione della pena detentiva comminata.
2.3. La N. ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli articoli del codice penale contestati ai capi b) e c) dell'imputazione, e nullità della sentenza impugnata per vizio della motivazione, per avere la Corte salentina erroneamente escluso che la condotta della prevenuta fosse stata posta in essere in assenza della necessaria coscienza e volontà di fare ricorso alla minaccia per opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, e per non avere considerato che il colpo con la borsetta era stato inferto come mero "sfogo", quando oramai essi erano giunti in questura, dunque non per limitare la libertà di iniziativa del pubblico ufficiale.
2.4. La N., infine, si è doluta della violazione di legge per avere la Corte leccese negatole il riconoscimento del vincolo della continuazione tra tutti i delitti accertati, essendo evidente come gli stessi fossero stati sorretti da unicità del dolo.
(Torna su ) Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso della N. sia inammissibile mentre quello del G. vada accolto, sia pur nei limiti di seguito precisati.
2. Il primo motivo, comune ai due atti di impugnazione, è manifestamente infondato.
Costituisce principio enunciato da una consolidata giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale il reato di atti osceni è reato di pericolo, sicchè la visibilità degli atti posti in essere deve essere valutata "ex ante", in relazione al luogo e all'ora in cui la condotta antigiuridica viene posta in essere (così, da ultimo, Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, P.M. in proc. Zinoni, Rv. 239838).
Di tale regula iuris la Corte di appello di Lecce ha fatto buon governo evidenziando, con motivazione completa e priva di vizi di logicità, che i due imputati erano stati scoperti dagli agenti di polizia nel mentre, completamente nudi, stavano consumando un rapporto sessuale lungo una strada dell'abitato cittadino, sia pur in un quartiere periferico, regolarmente transitata e con abitazioni adiacenti, in un orario, quello delle 19,30 (peraltro, anteriore all'ora in cui tramonta il sole), nel quale era ragionevole immaginare un normale passaggio di persone e mezzi, tenuto conto che si trattava di una serata di fine giugno. In tale ottica, mentre appare del tutto irrilevante la circostanza che fosse stata programmata quella sera la trasmissione in tv di una partita della nazionale di calcio italiana (che, comunque, sarebbe iniziata solo più tardi), è determinante quanto sottolineato dalla Corte territoriale che ha rilevato come, sulla base delle dichiarazioni testimoniali acquisite, fosse emerso che gli imputati erano stati notati nel mentre, del tutto nudi, si trovavano nei pressi di una vettura, ma fuori dalla stessa, a pochi metri dalla strada principale, senza alcun ostacolo, quale un muro o un albero, che potesse coprire la visuale a chi si fosse trovato a passare: ponendo, in tal modo, in essere un comportamento certamente lesivo del comune senso del pudore (v. pagg. 13-13 della sentenza impugnata).
3. Il secondo motivo del ricorso del G. è, invece, fondato.
Nella giurisprudenza di legittimità è pacifico l'orientamento secondo il quale il giudice non è tenuto a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena se nessuna richiesta è stata formulata nel giudizio (così, tra le molte, Sez. 6, n. 4374/09 del 28/10/2008, Maugliani, Rv. 242785). Tuttavia tale regola non è operante laddove - come nella fattispecie è accaduto - il giudice d'appello, su impugnazione del P.M. abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado pronunciando condanna dell'imputato, poichè in siffatta situazione deve motivare, pur in assenza di specifiche deduzioni di parte, circa l'eventuale, mancata, concessione della sospensione condizionale della pena o di altra analoghi benefici. In tali circostanze, il giudice di seconde cure, decidendo di accogliere una richiesta di radicale riforma di una pronuncia favorevole all'imputato, non può esimersi dal definire l'estensione di quell'accoglimento e, quindi, sotto tale profilo, chiarire se lo stesso debba essere contenuto, se vi sono i presupposti di legge, nei limiti di una condanna condizionalmente sospesa o di una non menzione della relativa pronuncia nel certificato del casellario giudiziale (in questo senso Sez. 6, n. 3917 del 08/01/2009, Chiaccherini, Rv. 242527; Sez. 6, n. 12839 del 10/02/2005, De Martino, Rv. 231431).
La sentenza gravata deve essere, dunque, annullata nei confronti del G. limitatamente alla concedibilità dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, che si uniformerà al principio innanzi esposto.
4. Il secondo motivo del ricorso presentato dalla N. è inammissibile in quanto formulato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La ricorrente, infatti, solo formalmente ha indicato, come motivo della sua impugnazione, il vizio di manifesta illogicità della motivazione della sentenza gravata, ma non ha prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni. Nè è stata lamentata una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
La ricorrente, invero, si è limitata a criticare il significato che la Corte di appello di Lecce aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l'istruttoria dibattimentale di primo grado. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un 'travisamento delle provè, vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, sia stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di analisi, sollecitando una "incursione nei fatti", vale a dire un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine rispetto al quale è stata proposta una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale, nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
Al contrario, va rilevato come la motivazione contenuta nella sentenza impugnata possegga una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità: avendo la Corte pugliese analiticamente spiegato, per un verso, come le dichiarazioni del teste S. (asseritamente non disinteressato perchè costituitosi parte civile nel giudizio contro la N.) fossero state pienamente riscontrate dalla circostanziate indicazioni offerte dal teste Se.; per altro verso, come le reiterate minacce della donna, la quale aveva "assunto un atteggiamento di sfrontata e vigorosa resistenza", fossero state indirizzate contro gli agenti di polizia con il chiaro e manifesto intento di impedire la sua identificazione, comportamento poi "sfociato in una grave aggressione fisica in danno dell'ispettore S.", colpito sul viso dalla imputata con una borsetta poco dopo essersi ancora rifiutata di scendere dalla vettura di servizio ed aver continuato a pronunciare epiteti oltraggiosi contro i poliziotti: dunque, ponendo in essere una condotta minacciosa e violenta palesemente finalizzata ad impedire il compimento da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria di attività finalizzata alla sua identificazione, in conseguenza dell'accertata precedente commissione dell'altro reato di atti osceni (v. pagg. 6-11 della sentenza impugnata).
5. Manifestamente infondato, da ultimo, è il terzo motivo del ricorso della N..
La Corte territoriale aveva congruamente motivato la ragione per la quale aveva ritenuto di dover negare alla imputata il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato di atti osceni da una parte, e quelli di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate dall'altra, in assenza di elementi concreti da cui poter desumere che i secondi illeciti, espressione di "un episodio del tutto eventuale e non prevedibile dall'interessata" fossero stati commessi in attuazione di un unico disegno criminoso cui poter riferire anche il primo illecito, quello consumato con il rapporto sessuale tenuto sulla pubblica via con il G..
Si tratta di motivazione nella quale non è riconoscibile alcun vizio manifesto di illogicità, nella quale si sostanzia la corretta applicazione della disciplina dettata dall'art. 81 cod. pen. che, come è oramai pacifico, richiede la sicura dimostrazione della ascrivibilità delle più condotte delittuose ad un medesimo programma: con la conseguenza che correttamente l'identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, come nel caso di specie è accaduto, malgrado la contiguità spazio-temporale e il nesso funzionale riscontrabile tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei distinti reati, ponendo invece in risalto l'occasionalità di quelli tenuti successivamente rispetto a quello cronologicamente anteriore (in questo senso Sez. 6, n. 35805 del 24/05/2007, Allegra, Rv. 237643).
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso della N. consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare nell'importo indicato nel dispositivo che segue.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di N.A.M. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quella di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.P. limitatamente alla concedibilità dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Lecce; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2012
15-12-2012 22:56
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