La disciplina delle spese processuali, desumibile in via generale dagli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., trova applicazione anche nel procedimento disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, sia nella soccombenza dell'opponente che dell'opposto.
Corte di Cassazione Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 1330 del 30/01/2012
FATTO E DIRITTO
1) Con sentenza 29 aprile 2008 il giudice di pace di Bari accoglieva l'opposizione proposta da Giovanni Co.. avverso la cartella esattoriale notificatagli dalla ETR spa, in relazione a un verbale di accertamento per infrazione al codice della strada. Il giudice di pace compensava le spese del giudizio. L'opponente proponeva appello in ordine a quest'ultimo capo del giudizio e il tribunale di Bari, in accoglimento del gravame, il 5 gennaio 2010 condannava l'amministrazione ingiungente al pagamento in favore dell'appellante delle spese del giudizio di primo grado, nonché di quelle relative al secondo grado.
Il Ministero dell'Interno e la prefettura di Roma (così indicata in epigrafe del ricorso, verosimilmente per errore materiale, essendo stata parte del giudizio d'appello la prefettura di Bari) proponevano ricorso per cassazione, notificato 12 marzo 2010. L'intimato Co.. non svolgeva attività difensiva. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio.
1.1) Il ricorso consta di due motivi.
Con il primo, che lamenta la violazione dell'art. 91 e 92 c.p.c., l'amministrazione chiede che sia stabilito che l'art. 92 c.p.c., come modificato dalla L. n. 263 del 2005, si debba interpretare nel senso che la motivazione sulla compensazione delle spese di lite deve ritenersi esplicitata anche se la stessa si evinca dal tenore complessivo della decisione, allorché le argomentazioni svolte dal giudicante contengano elementi di diritto o di fatto tali da giustificare la compensazione delle spese di giudizio. In tal modo censura la sentenza del tribunale di Bari, la quale ha rilevato che il primo giudice non aveva neppure fatto riferimento ai giusti motivi per compensare le spese ed ha pertanto applicato la regola generale della condanna del soccombente, non ravvisando alcun "valido motivo" per derogarvi. La censura è priva di fondamento. Il principio di diritto affermato dal giudice d'appello è ineccepibile, giacché, a differenza di quanto esposto in ricorso, questa Corte ha già avuto modo di affermare - e intende ribadire - che nei giudizi soggetti alla disciplina dell'art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ove non sussista reciproca soccombenza, è legittima la compensazione parziale o per intero delle spese processuali soltanto quando i giusti motivi a tal fine ravvisati siano dal giudice esplicitamente indicati. (Cass. 20324/10; 12893/11). La mancata esplicitazione dei motivi di compensazione da parte del giudice di pace imponeva quindi al giudice d'appello la condanna del soccombente alle spese, a maggior ragione in assenza di alcun motivo evidente che giustificasse la compensazione mediante esercizio del potere di correzione della sentenza di primo grado (Cass. 26083/10). 2) Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23.
Con quesito formulato ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., ancorché detta norma non fosse applicabile ratione temporis (cfr L. n. 69 del 2009, art. 58), l'avvocatura erariale chiede alla Corte di affermare che nei giudizi instaurati ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 23 non sono applicabili, in caso di soccombenza dell'amministrazione, le regole di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. in punto di spese di giudizio.
Anche questa censura è inammissibile in relazione a quanto disposto dall'art. 360 bis c.p.c..
Il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, senza che vengano offerti elementi per mutare l'orientamento.
È stato infatti ritenuto che: "in tema di sanzioni amministrative, l'incidenza finale del costo del processo va regolata secondo le norme ordinarie dettate, in tema di spese, dagli artt. 90 e ss. cod. proc. civ., a nulla rilevando che la L. n. 689 del 1981, art. 23 preveda la condanna del solo ricorrente per l'ipotesi di rigetto dell'opposizione. Ne consegue, in caso di omessa pronuncia sulle spese da parte del giudice adito, l'onere, per l'opponente vittorioso, di impugnare la sentenza "in parte qua", e la inammissibilità della eventuale domanda di risarcimento danni ex art. 2043, dal medesimo introdotta con atto di citazione, fondata (sostanzialmente) sulla omessa pronuncia circa le spese del giudizio di opposizione." (Cass. 1037/98).
Si è inoltre ribadito che: La disciplina delle spese processuali, quale desumibile in via generale dagli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., trova applicazione anche nel procedimento disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, sia nel caso - espressamente menzionato dall'art. 23 della Legge medesima - di soccombenza dell'opponente, sia nel caso inverso di soccombenza della parte nei cui confronti l'opposizione sia stata proposta." (Cass. 12543/03). Queste considerazioni, contenute nella relazione preliminare e non contrastate da memoria di parte, sono pienamente condivise dal Collegio.
Si impone pertanto il rigetto del ricorso.
Non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell'intimato.
Superflua la evocazione in giudizio di Equitalia ETR spa (SU 6826/10).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile tenuta, il 2 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2012
28-05-2012 00:00
Richiedi una Consulenza