Infortunio sul lavoro:condotta abnorme del lavoratore.Responsabilità del datore di lavoro
Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. - Sent. del 04.05.2012, n. 16890
Presidente Sirena - Relatore Romis
Ritenuto in fatto
F.A.M. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Cremona per rispondere del reato di omicidio colposo - aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica - in danno di R.O. , secondo la seguente contestazione: perché, con colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 4, co. 2 lett. b), 35, co. 5, e 38 Decr.Legisl.vo 626/94; 298 D.P.R. 547/55) in qualità di amministratore della Ditta Officine Meccaniche Ing. A. F. s.p.a. aveva cagionato la morte di R.O. , operaio addetto alla macchina taglio laser Bystronic, per insufficienza cardiorespiratoria acuta da folgorazione; in particolare, non aveva predisposto né una procedura operativa di sicurezza per interventi sull'armadio elettrico di comando, né aveva segregato con chiave le parti ad alta tensione, né aveva individuato personale specializzato addetto agli interventi sulla predetta macchina ed aveva consentito che il R. , senza peraltro aver ricevuto un'adeguata formazione, effettuasse la verifica del fusibile di sicurezza posto nell'armadio elettrico di comando laser, intervento resosi necessario perché la macchina si era bloccata durante il ciclo di lavorazione; infatti, mentre una lamiera era in fase di taglio si era verificato un'avaria - probabilmente un surriscaldamento del laser dovuto alla presenza di una bolla d'aria nel sistema di raffreddamento - che aveva determinato il distacco dell'alta tensione e l'arresto del taglio, fatto quest'ultimo già verificatosi tre giorni prima dell'infortunio senza che fosse stato disposto un approfondimento tecnico delle ragioni di tali inconvenienti la cui soluzione restava affidata agli interventi dell'operaio addetto che, nel caso di specie, dopo aver ripristinato l'alta tensione, nel richiudere con le relative viti il pannello del quadro elettrico in materiale plastico trasparente aveva avvicinato le dita alla sbarra nuda (19.000 volt) del condensatore posto appena dietro lo schermo ed era stato investito da una scarica elettrica che ne aveva causato il decesso. Fatto avvenuto in (…) il (…); con la recidiva aggravata.
li Tribunale di Cremona, con sentenza in data 13.10.2008, assolveva il F. con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Il Tribunale valutava il compendio probatorio ricordando l'esito delle indagini anche di carattere tecnico ed evidenziava che il consulente del P.M., quanto alla dinamica dell'infortunio, aveva formulato due ipotesi alternative ed aveva concluso nel senso che a suo avviso poteva affermarsi che comunque, in entrambi i casi, il R. aveva operato con schermi protettivi rimossi e con alta tensione inserita, tanto che la morte per elettrocuzione non poteva che essere scaturita da una scarica elettrica sprigionata dall'impianto ad alta tensione.
Il Tribunale rilevava, tuttavia, come nel corso del dibattimento fossero emersi elementi - dal Tribunale stesso specificamente indicati e vagliati - che minavano la ragionevolezza delle conclusioni cui era pervenuto il consulente del P.M. ad avviso del quale la folgorazione dell'operaio era stata attribuita certamente ad una scarica elettrica dell'alta tensione con conseguente rilevanza dei profili di colpa specifici riferibili alla possibilità di contatti del R. , appunto, con l'alta tensione.
La rilevata incongruenza dei dati posti a fondamento dell'ipotesi accusatoria, pareva quindi accreditare l'ipotesi alternativa formulata dalla difesa secondo cui il R. era stato attinto da una scarica elettrica, ma di tensione assai più bassa (380 V) rilasciata per cause accidentali ed imprevedibili dell'alimentazione della macchina, senza alcun coinvolgimento dell'impianto ad alta tensione; ciò poteva spiegare il maggior tempo di sopravvivenza del R. , altrimenti incompatibile con l'ipotesi della folgorazione ad opera di una scarica da 19.000 volt e il fatto che una scarica di tal fatta avesse lasciato delle tracce fisiche ben poco imponenti. Riteneva pertanto il primo giudice che, nell' impossibilità di ricostruire quanto fosse accaduto, non poteva ravvisarsi rapporto causale tra la condotta dell'omessa segregazione con una chiave adeguata della zona ad alta tensione e l'evento.
Rispetto agli altri profili di colpa, con riferimento a quello consistente nell'aver consentito al dipendente senza formazione di accedere comunque alla zona in cui si era verificato il decesso per effettuare operazioni di manutenzione, indipendentemente dal loro specifico contenuto, riteneva il primo giudice che difettasse la prova dell'elemento soggettivo in quanto la condotta del R. era da collocarsi al limite dell'azione abnorme, dovendosi concludere che l'operatore, dopo aver aperto e controllato il quadro elettrico della zona posteriore, avesse riattivato l'alta tensione agendo sul quadro o sul pulpito per poi tornare ad operare sul medesimo quadro così esponendosi assurdamente ad un rischio di folgorazione. Osservava il giudice che era emerso come esistesse un tecnico responsabile della manutenzione elettrica che lavorava sia nella sede di (…) sia in quella dove si era verificato l'infortunio (stabilimenti distanti 15 minuti circa l'uno dall'altro). Il tecnico aveva riferito che esisteva un preciso modus operandi in caso di guasti che era effettivamente osservato seppur non formalizzato; secondo questo protocollo bisognava dapprima chiedere l'assistenza dei tecnici della macchina che intervenivano o fornivano telefonicamente istruzioni e direttive: al riguardo, erano risultate concordanti le deposizioni di diversi testi, uno dei quali aveva inoltre sostenuto di aver personalmente sostituito in precedenza il fusibile della macchina secondo le direttive dei tecnici della stessa e di aver partecipato a un corso di formazione specifico. Le mansioni del R. sulla macchina, presente nello stabilimento da quattro anni, erano limitate alla gestione esecutiva delle lavorazioni con assoluta esclusione di interventi relativi alla manutenzione della parte elettrica, alla cui effettuazione lo stesso non era autorizzato. Affermava ancora il primo giudice che l'unico dovere del R. , in caso di guasto, era quello di interrompere ogni lavorazione sino all'arrivo del tecnico responsabile: il che era avvenuto in tutte le circostanze precedenti. Ne derivava che il datore di lavoro non poteva rappresentarsi l'evento, dipeso da iniziativa autonoma del dipendente, mai verificatasi sino ad allora.
Avverso detta sentenza proponeva rituale gravame il Procuratore Generale della Corte d'Appello di Brescia, e detta Corte, condividendo le argomentazioni poste dall'appellante a sostegno dell'impugnazione, ribaltava il verdetto del primo giudice e, con il riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno valutata equivalente alla contestata aggravante, condannava il F. alla pena di mesi otto di reclusione.
La Corte distrettuale dava conto del proprio convincimento con argomentazioni che possono così riassumersi: a) pacifica era la causa della morte del R. , individuata in arresto cardiorespiratorio dovuto a folgorazione: la difesa invero aveva contestato che la folgorazione fosse scaturita da corrente elettrica ad alta tensione, piuttosto che non dalla residua presenza di corrente all'interno del quadro elettrico dell'alta tensione; b) pacifico era, altresì, che l'addetto alla macchina, verificatone il blocco di operatività, si era portato sul retro del complesso macchinario, raggiungendo l'armadio elettrico, dove aveva certamente aperto il portellone arancione posteriore che consentiva l'accesso alle parti ad alta tensione, aveva rimosso il pannello nero (rinvenuto appoggiato al lato dell'armadio) ed aveva certamente operato sullo schermo in plexiglas che consentiva l'accesso al fusibile: ciò risultava dimostrato dal reperimento di una vite e dal fatto che detta vite era proprio quella mancante dall'angolo destro superiore dello schermo in plexiglas; c) il compendio delle prove testimoniali dava conto di come, in precedenti analoghe situazioni la macchina si era fermata e per risolvere il problema era stato necessario l'accesso al quadro dell'alta tensione, il controllo del fusibile e/o la sua sostituzione; d) poteva quindi correttamente dedursi, in piena coerenza con le emergenze processuali, che l'intenzione del R. fosse quella di risolvere la problematica, verificando se il fusibile (che era raggiungibile rimuovendo la barriera plexiglas) presentasse qualche problema di funzionamento; al riguardo non assumeva particolare rilievo che sul luogo non era stato rintracciato un fusibile (dunque, nessuna sostituzione era stata fatta) e che il consulente tecnico del Pubblico ministero, nel momento in cui aveva provato a riattivare la macchina, ne aveva riscontrato la perfetta funzionalità (segno che il fusibile non aveva problemi): era infatti emerso che il controllo del fusibile non ne richiedeva necessariamente la sostituzione, che era evenienza più rara rispetto ai controlli (come dichiarato dal teste P. ); e) al momento della folgorazione il ginocchio destro del R. si trovava certamente a contatto con la cornice inferiore posta all'interno dell'armadio elettrico che era in metallo: sul ginocchio destro del R. erano state infatti rinvenute tre formazioni crateriformi, configurabili come ” marchio elettrico “, identiche a quelle presenti sulla tuta indossata ed il consulente tecnico-medico legale aveva ispezionato il quadro dell'alta tensione ed aveva potuto verificare l'asportazione dello strato superficiale della vernice sul bordo inferiore del quadro elettrico, per forma e dimensioni esattamente sovrapponibile a quelle riscontrate sul ginocchio destro della vittima (come poteva rilevarsi dalle foto in atti); f) tali dati fattuali consentivano di ribadire che, nel momento in cui il R. era stato raggiunto dalla corrente, si trovava inginocchiato davanti al quadro elettrico aperto, con il pannello nero già rimosso e con il ginocchio a contatto della cornice interna del quadro dell'alta tensione, in corrispondenza del punto ove si trovavano il trasformatore ed il condensatore (non protetti dal pannello in plexiglas); g) la possibilità di accedere alle parti pericolose, interne, dell'armadio ad alta tensione servendosi di una semplice chiave quadra (rinvenibile, ovunque, in uno stabilimento industriale) era situazione pacificamente inosservante della prescrizione dettata dall'art. 298 d.p.r. 547/55, la cui finalità andrebbe individuata proprio in quella di impedire incidenti dello stesso tipo di quello che si era verificato, essendo diretta ad impedire l'accesso alle parti ad alta tensione ai soggetti non autorizzati; h) nemmeno l'intervallo di tempo massimo pari a 10 minuti tra una folgorazione da alta tensione e decesso, indicato dal medico legale - e ritenuto dal primo giudice incompatibile con il più ampio arco di tempo intercorso tra il momento del guasto tecnico, alle ore 6,08, ed il rinvenimento del R. esanime, alle ore 7,30 - valeva a scalfire l'ipotesi di folgorazione da scarica elettrica di alta tensione, ben avendo potuto il R. impiegare diverso tempo nel tentativo di risolvere la problematica: ed invero, anche nell'occasione del fermo di due giorni prima la risoluzione del problema era stata particolarmente complessa, ed aveva coinvolto anche il lavoratore Fa. , come poteva rilevarsi dalle dichiarazioni del teste P. , il quale non aveva saputo dire come la questione fosse stata risolta, essendosi egli allontanato alle ore 17.00 avendo finito il turno); i) la circostanza che non fosse stato rintracciato il c.d. marchio di entrata della corrente elettrica (o di uscita, secondo quanto sostenuto dalla difesa) non appariva incompatibile con l'ipotesi della folgorazione riconducibile all'accesso all'armadio dell'alta tensione: di fatto un solo marchio era stato rintracciato, e corrispondeva perfettamente con le asportazioni di vernice sulle parti interne dell'armadio dell'alta tensione, a riprova, dunque, del contatto che era in essere, anche perché l'abrasione della vernice appariva non compatibile con un fenomeno di dispersione di corrente a “soli” 380 volt; l) neanche poteva essere sottaciuto che il Pubblico ministero aveva contestato il fatto che pur essendosi già verificato, tre giorni prima dell'infortunio mortale, l'inconveniente del fermo del raggio laser e dell'alta tensione, non fosse stato disposto alcun approfondimento tecnico sulle ragioni di tale inconveniente, lasciando, così, nei fatti, la soluzione del problema agli interventi degli operai addetti: proprio i fatti accaduti nei giorni precedenti spiegavano perché il R. avesse tentato di raggiungere il fusibile posto dietro lo schermo in plexiglas; il teste Fa.St. , impiegato tecnico con l'incarico di programmare le lavorazioni sulla macchina cui erano addetti il R. e il P. , aveva riferito del guasto dei giorni precedenti: questo non si era risolto, tanto che egli aveva dovuto chiamare i tecnici svizzeri della ditta produttrice, i quali avevano ritenuto che il problema fosse da ricondurre al fusibile che bruciava; si era deciso, perciò, di intervenire sul fusibile ed il F. aveva affermato che questa sostituzione l'aveva fatta l'elettricista B. : tuttavia, nel momento della richiesta del Pubblico Ministero di sentire il B. come teste a riferimento, il F. aveva precisato di non poter escludere che alla sostituzione del fusibile aveva poi provveduto lui stesso; ed infatti, il B. aveva decisamente escluso di essersi recato, in quei giorni, presso lo stabilimento di (…) e di aver effettuato interventi elettrici sull'armadio della macchina tagliatrice: pur non negando di aver sostituito il fusibile in alcune occasioni, aveva tuttavia ribadito di essere certo di non essersi recato nello stabilimento nei giorni che avevano preceduto l'infortunio mortale; I) il teste P.A. , addetto alla macchina, aveva riferito come il fusibile fosse stato sostituito più volte e che lo aveva fatto, in più occasioni (tre o quattro), lo stesso F. , accedendo al retro della macchina e dell'armadio dell'alta tensione: da ciò doveva dedursi che quella procedura non scritta - secondo cui, nel quadro dell'alta tensione, avrebbero potuto accedere solo gli elettricisti - era di fatto inosservata; m) infine, la circostanza che il R. potesse essere riuscito, tramite il pulpito di comando posto sul davanti della macchina o agendo sul quadro del gas, a ripristinare la corrente e l'alta tensione non trovava smentita nel fatto che nessuno si fosse accorto del calo di tensione connesso all'infortunio; ed infatti, l'elettricista B. aveva spiegato (senza in ciò essere contraddetto dai consulenti tecnici della difesa) che la scarica di alta tensione non aveva provocato il distacco della corrente poiché nell'armadio vi era un trasformatore di corrente elettrica da 380 a 19.000 volt, l'alimentazione primaria era separata da quella dell'alta tensione ed il differenziale non poteva sentire la differenza di potenziale che andava a scaricarsi a massa; n) conclusivamente : l'infortunio non si sarebbe verificato nel caso di osservanza dell'obbligo di rendere inaccessibile l'interno del quadro dell'alta tensione, grazie alla dotazione di chiavi per l'apertura, inaccessibili ai non addetti: la mancanza di un dispositivo di segregazione del quadro dell'alta tensione della tagliatrice era di per sé tale da vanificare il preteso obbligo per il personale di astenersi, in caso di guasto, da qualsiasi tipo di iniziativa e di attendere l'intervento dei superiori; era peraltro risultato che, in diverse circostanze, altri soggetti - diversi dall'elettricista (disponibile soltanto nell'orario lavorativo) - avevano potuto accedere al quadro e procedere alla rimozione delle protezioni (tra l'altro, il pannello posteriore era privo di microinterruttore) ed alla sostituzione del fusibile o ad altri interventi; di tal che, il divieto verbale di accedere al quadro, non era poi così cogente, al punto da essere disatteso quando le esigenze di ripristinare la macchina non consentivano di attendere l'elettricista; proprio due giorni prima la sostituzione del fusibile era stata fatta dal F. alla presenza di R.O. il quale dunque era a conoscenza dell'inconveniente e di come, nell'occasione, era stato risolto: imprudentemente, nella prima mattina del 6 ottobre 2003, aveva cercato di risolvere da solo il problema, aprendo l'armadio e rimuovendo il pannello nero; l'affermazione del primo giudice, circa l'asserita abnormità di siffatta condotta, non poteva essere condivisa alla luce della costante interpretazione della Cassazione in materia; il R. era l'addetto alla macchina, cui competeva “il compito di accensione, spegnimento controllo di eventuali guasti, manutenzione ordinaria” (così come precisato dal teste F. ), e quindi non poteva affermarsi che il fatto che l'addetto alla macchina si portasse al quadro del gas e dell'alta tensione fosse imprevedibile: non lo era perché, a fronte di un'emergenza, era ben possibile rappresentarsi che l'addetto aprisse l'armadio elettrico (pericolo tale da giustificare la previsione legislativa di cui all'art. 298 d.p.r. 547/55 ); tanto più non lo era, nel caso di specie, tenuto conto che il fatto era stato preceduto da guasti e da un blocco similare non risolto definitivamente, a fronte del quale si era proceduto con un intervento che il R. (data l'ora in cui si era verificato l'inconveniente) aveva ritenuto di poter replicare, anche perché in precedenza risolto dal F. e non dall'elettricista; la sussistenza del nesso di causalità tra dette condotte colpose e l'evento appariva fuori discussione. Quanto al trattamento sanzionatorio, l'imputato non appariva meritevole della concessione delle attenuanti generiche avuto riguardo alle tre condanne per lesioni colpose a suo carico; l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. - da riconoscersi per l'avvenuto risarcimento del danno - poteva essere valutata, nel giudizio di comparazione, come equivalente alla contestata aggravante avuto riguardo al rilevante profilo di colpa.
Ricorre per cassazione il F. con due atti di impugnazione dello stesso difensore. Il primo atto di ricorso è caratterizzato da ampie ed articolate argomentazioni a sostegno delle dedotte censure in punto di affermazione di colpevolezza e trattamento sanzionatorio. Sotto il primo aspetto, il ricorrente si richiama diffusamente alla motivazione del primo giudice, specie in relazione alla causa della morte del R. ritenuta dal Tribunale riconducibile non ad una scarica elettrica di alta tensione bensì ad una scarica a bassa tensione, con conseguente insussistenza del nesso causale tra le contestate violazioni di legge, riferibili alla prevenzione di infortuni da ricollegare a contatti con fonti di corrente ad alta tensione, e l'evento; in proposito, il ricorrente, a sostegno della prospettazione difensiva, evoca la ricostruzione della dinamica dell'infortunio ed i più significativi passaggi cronologici, anche in ordine alle manovre che avrebbe effettuato il R. , sostenendo che la Corte distrettuale non avrebbe operato “alcuna ricostruzione causale dell'evento, limitandosi a negare ogni valore alla stessa” (pag. 4 del ricorso); sarebbe altresì mancato un adeguato giudizio controfattuale, reso ancor più necessario in presenza del dubbio circa la tipologia della corrente che determinò l'evento. Afferma ancora il ricorrente, in proposito, che la Corte distrettuale non avrebbe convalidato nessuna delle due tesi alternative proposte (elettrocuzione da alta o bassa tensione). Afferma quindi il ricorrente che i giudici di seconda istanza non avrebbero fornito alcuna dimostrazione delle ragioni per cui quanto sostenuto dal primo giudice non sarebbe corretto, così lasciando inalterati tutti i dubbi ricostruttivi espressi dal Tribunale, venendo altresì meno all'onere di spiegare le ragioni sottese al diverso epilogo decisionale rispetto a quello assolutorio del giudizio di primo grado, violando anche la regola di giudizio dell'”oltre ragionevole dubbio” dettata dall'art. 533, primo comma, del codice di rito. Il ricorrente affronta poi il tema della abnormità della condotta del lavoratore, e sostiene che il Tribunale, contrariamente a quanto opinato poi dalla Corte territoriale, avrebbe puntualmente ed adeguatamente dimostrato la assoluta imprevedibilità del comportamento del lavoratore, tale da interrompere il nesso di causalità, anche tra gli altri profili di colpa addebitati all'imputato - con particolare riferimento alla contestata omessa formazione del dipendente - e l'evento. Da ultimo vengono mosse censure all'impugnata sentenza quanto al trattamento sanzionatorio, con argomentazioni che risultano poi ulteriormente e più diffusamente sviluppate nel secondo atto di impugnazione - anch'esso tempestivo in relazione alla notifica dell'estratto contumaciale - con particolare riferimento al diniego delle attenuanti generiche ed al giudizio di bilanciamento di sola equivalenza.
Considerato in diritto
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
Il primo giudice aveva escluso la penale responsabilità del F. muovendo sostanzialmente da due rilievi: 1) la ritenuta incertezza sulla riconducibilità della scarica elettrica ad una corrente ad alta tensione, con conseguente dubbio sul nesso causale tra la violazione delle norme finalizzate ad assicurare la segregazione del pannello dell'alta tensione e l'evento; 2) la condotta del lavoratore, considerata del tutto abnorme, per quel che riguarda gli ulteriori profili di colpa concernenti l'obbligo per gli operai di astenersi dall'accesso alle patri elettriche: era previsto l'intervento esclusivamente di un tecnico, a disposizione, nel caso di necessità di interventi tecnici relativi all'impianto elettrico. La Corte distrettuale, viceversa, avuto riguardo alla dinamica dell'infortunio quale ricostruita secondo le cadenze fattuali richiamate dalla Corte stessa e sopra riportate nella parte narrativa - contestata dal ricorrente quanto all'intensità della scarica elettrica dalla quale fu colpito il R. (non ad alta tensione secondo la difesa), ma non per quel che riguarda l'accesso del R. all'armadio in cui vi era il quadro elettrico dell'alta tensione - ha valorizzato le condotte omissive contestate all'imputato e, avuto riguardo proprio alla dinamica dell'infortunio, ha ravvisato la riconducibilità dell'evento a tali condotte, valutando il comportamento della vittima come non imprevedibile perché inquadrabile pur sempre nell'ambito delle fasi lavorative dell'attività espletata dalla vittima stessa. Con il ricorso, il F. ha innanzi tutto ribadito che il R. non sarebbe stato attinto da una scarica ad alta tensione, ma da una scarica elettrica di tensione assai più bassa, così ancorando la propria tesi difensiva all'ipotesi formulata dal primo giudice con la sentenza assolutoria secondo cui la scarica elettrica mortale sarebbe stata rilasciata per cause accidentali ed imprevedibili dell'alimentazione della macchina, senza alcun coinvolgimento dell'impianto ad alta tensione.
Il ricorrente ha poi sviluppato diffusamente la tesi dell'abnormità della condotta del R. , ed anche in proposito ha valorizzato le argomentazioni del primo giudice sostenendo che le stesse non sarebbero state adeguatamente confutate dalla Corte d'Appello che, a dire del ricorrente stesso, si sarebbe sottratta ad un puntuale confronto con i dati giuridici e fattuali sui quali il Tribunale aveva basato il proprio convincimento. Trattasi di doglianze infondate.
Come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 27.6.1995 n. 8009; Cass. 16.12.1994 n. 1381; Cass. 9.6.1994 n. 9425; Cass. 9.2.1990 n. 4333), in relazione al vizio di legittimità previsto dall'art. 606, lett. e), c.p.p., il giudice di appello è certamente libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato ed il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, ma ha tuttavia l'obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento, obbligo che, in caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche l'adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza riformata. Infatti, l'alternatività della spiegazione di un fatto non attiene al mero possibilismo, quale esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma a specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un iter logico cui si perviene senza affermazioni apodittiche. Nel caso di contrasto (come nella specie, totale) tra due decisioni di merito in ordine allo stesso fatto, e cioè tra la sentenza di primo grado e quella di appello, il giudice di secondo grado deve analizzare congruamente ed analiticamente le argomentazioni della sentenza appellata, e spiegare perché ritenga che le ragioni ivi addotte non siano condivisibili, ed altro sia il ragionamento in direzione della verità. Il giudice di legittimità, in tale situazione di contrasto da parte dei giudici di merito, ben può esaminare la sentenza di primo grado e valutare se il secondo giudice, nel sostituire il proprio modo di vedere a quello risultante dalla sentenza appellata (sorretta, fino a quel momento, da una presunzione di giustizia), abbia tenuto nel debito conto, sia pure per disattenderle, le argomentazioni esposte da quest'ultima: la valutazione del giudice di secondo grado, soprattutto se la difformità concerne l'affermazione o l'esclusione della responsabilità dell'imputato, non può essere infatti superficiale o arbitraria, e tale invece si rivelerebbe qualora disattendesse in modo irragionevole o se omettesse persino di prendere in esame i contrari argomenti del primo giudice. Trattasi di principio autorevolmente avallato dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno avuto modo di precisare quanto segue: “In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato” (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 Ud. - dep. 20/09/2005 - Rv. 231679).
Ciò posto, occorre ora verificare se, nel caso in esame, la Corte distrettuale, nel ribaltare il verdetto del primo giudice, abbia adempiuto all'onere motivazionale quale precisato da questa Corte con i principi testé ricordati. La risposta è affermativa.
La Corte distrettuale ha offerto una diversa lettura del compendio probatorio già vagliato dal Tribunale, svolgendo considerazioni rigorosamente ancorate a quanto accertato in punto di fatto sulla scorta delle deposizioni testimoniali specificamente indicate e degli accertamenti svolti dal consulente tecnico del P.M., anch'essi puntualmente evocati, così confutando le deduzioni che da tali risultanze aveva ritenuto di trarre il Tribunale stesso laddove aveva ritenuto di individuare la causa esclusiva dell'evento in una scarica elettrica di tensione bassa - rilasciata per cause accidentali ed imprevedibili dell'alimentazione della macchina, senza alcun coinvolgimento dell'impianto ad alta tensione - nonché nella condotta del R. .
La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto accertato in punto di fatto, in base alle risultanze probatorie di cui si è detto (specificamente sopra ricordate nella parte narrativa) che il R. era stato attinto da una scarica elettrica in conseguenza del contatto della sua persona - in particolare il ginocchio - con una parte metallica dell'armadietto dell'alta tensione; ed in proposito, la Corte stessa ha indicato un dato probatorio ben preciso la cui valenza appare in verità indiscutibile: l'asportazione dello strato superficiale della vernice sul bordo inferiore del quadro elettrico dell'alta tensione, per forma e dimensioni esattamente sovrapponibile a quella riscontrata sul ginocchio destro della vittima. A tali dati fattuali la Corte ha dunque ancorato il proprio convincimento secondo cui allorquando il R. era stato raggiunto dalla corrente, il medesimo si trovava inginocchiato davanti al quadro elettrico aperto, con già il pannello nero rimosso e con il ginocchio a contatto della cornice interna del quadro dell'alta tensione, in corrispondenza del punto ove si trovavano il trasformatore ed il condensatore (non protetti dal pannello in plexiglas). Orbene, trattasi di percorso motivazionale che non presenta alcuna connotazione di incongruità - rispetto all'ipotesi formulata dal Tribunale - ed offre una chiave di lettura assolutamente in sintonia, sul piano logico, con il compendio probatorio acquisito. E, del tutto coerentemente, i giudici di seconda istanza hanno osservato che, una volta accertato il contatto della persona del R. con l'armadio dell'alta tensione, e così individuata la fonte della scarica elettrica, nessuna rilevanza poteva mai attribuirsi all'intensità della scarica, cioè se di alta tensione o se di tensione più bassa, posto che risultava incontestata la causa della morte del R. come riconducibile a folgorazione. Né ha mancato la Corte territoriale - come sopra ricordato nella parte narrativa (cui si rimanda per evitare superflue ripetizioni) - di confutare analiticamente gli argomenti svolti dal primo giudice in ordine alla successione cronologica dei fatti che avevano preceduto il rinvenimento del R. esanime, offrendo anche in proposito una propria lettura congrua ed adeguata, certamente priva di qualsiasi connotazione di manifesta illogicità.
Muovendo da siffatti elementi probatori, peraltro anche logicamente concatenati, la Corte d'appello ha ravvisato precisi profili di colpa nella condotta del F. ritenendoli legati da nesso eziologico con l'evento. Ed invero, in base ai rilievi effettuati nell'immediatezza del fatto, è risultato accertato che il R. aveva potuto accedere al quadro dell'alta tensione utilizzando un ordinario attrezzo da lavoro quale una c.d. “chiave quadra”, nel tentativo di porre rimedio ad un inconveniente presentatosi durante la fase lavorativa, nel convincimento di poter risolvere il problema così come aveva visto fare da altro compagno di lavoro alcuni giorni prima; di tal che: 1) non erano state date rigorose disposizioni scritte circa il divieto per gli operai di accedere al quadro dell'alta tensione; 2) non erano state adottate le dovute cautele - previste per legge - per segregare adeguatamente tale quadro onde impedire comunque qualsiasi contatto degli operai con il quadro stesso. Dunque, stando così le cose, appare assolutamente evidente, come ritenuto dalla Corte di merito, la sussistenza del nesso causale tra le condotte omissive dell'imputato - titolare della posizione di garanzia in quanto datore di lavoro - e l'evento: a) l'infortunio non si sarebbe verificato - al di là di ogni ragionevole dubbio - nel caso di osservanza dell'obbligo di rendere inaccessibile ai dipendenti il quadro dell'alta tensione, mediante la dotazione di chiavi per l'apertura non nella disponibiltà dei lavoratori: la mancanza di un dispositivo di segregazione del quadro dell'alta tensione della tagliatrice era di per sé tale da vanificare il preteso obbligo per il personale di astenersi, in caso di guasto, da qualsiasi tipo di iniziativa e di attendere l'intervento del personale tecnico dotato di specifica competenza. In punto di nesso di causalità, diffuse argomentazioni sono state svolte poi dal ricorrente in ordine alla condotta del R. , al fine di dimostrarne l'assoluta abnormità, così come ritenuto dal primo giudice, e da considerarsi, in quanto tale, causa esclusiva dell'evento. Orbene, anche in proposito, così come per la ricostruzione dell'infortunio, la Corte di merito ha ancorato il proprio convincimento, di segno opposto, a precise risultanze probatorie, specificamente indicate, osservando che: a) era emerso - sulla scorta di quanto riferito dai testi escussi (compagni di lavoro della vittime, P. e Fa. , nonché lo stesso tecnico. B. , il quale aveva il compito di intervenire in caso di guasti all'impianto elettrico) - che in presenza di inconvenienti ai macchinari, anche di natura elettrica, erano stati a volte gli stessi operai ad adoperarsi per risolverli, e ciò era accaduto anche pochi giorni prima dell'infortunio mortale di cui era rimasto vittima il R. , così come evidenziato e contestato dal P.M. (deposizione Fa. ); b) il divieto - peraltro impartito solo verbalmente - di accedere al quadro, non era poi così cogente, al punto da essere disatteso quando le esigenze di ripristinare la macchina non consentivano di attendere l'elettricista.
Il ragionamento seguito dai giudici di seconda istanza risulta assolutamente ineccepibile.
È nota e pacifica la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la eventuale imprudenza del lavoratore non elide il nesso di causalità allorché l'incidente si verifichi a causa del lavoro svolto e per l'inadeguatezza delle misure di prevenzione. È evidente, infatti, che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, che è conseguito, nella specie, dall'avere la vittima operato in condizioni di rischio note all'azienda e non eliminate da chi rivestiva la posizione di garanzia. Chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui. In altri termini, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori non è invocabile, non solo per la illiceità della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l'evento, imputabile a colpa altrui, quando si è nella possibilità di impedirlo. È il cosiddetto “doppio aspetto della colpa”, secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui. È da osservare, peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa. È stato condivisibilmente affermato in giurisprudenza che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o Inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento. Alla stregua di tale principio, la tesi difensiva si appalesa dunque infondata.
Parimenti infondate, infine, sono le censure in ordine al trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento al diniego delle attenuanti generiche ed al giudizio di sola equivalenza tra l'attenuante del risarcimento del danno e l'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica. Quanto alle attenuanti generiche, la Corte d'Appello ha ritenuto il F. non meritevole di tale beneficio avuto riguardo ai suoi precedenti penali, risultando egli gravato da tre condanne per lesioni colpose; trattasi di motivazione che si pone del tutto in sintonia con i principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo” (in tal senso, tra le tante, Sez. 1, N. 3772/94, RV. 196880). Lo stesso dicasi per il giudizio di comparazione tra l'attenuante del risarcimento del danno e l'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica; i giudici di seconda istanza hanno ritenuto di non poter formulare un giudizio più favorevole rispetto a quello di sola equivalenza, valorizzando al riguardo il rilevante profilo di colpa: orbene anche in proposito si tratta di apprezzamento di merito incensurabile in questa sede perché non espresso in modo apodittico e privo di connotazioni di illogicità (cfr. Sez. VI 25.8.1992, Lafleur, RV 192244, secondo cui, ai fini del giudizio di comparazione ex art. 69 c.p.,il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dalle parti, essendo sufficiente, invece, che egli dia rilievo a quelli ritenuti di valore decisivo).
Per mera completezza argomentativa, un'ultima considerazione, anche se al riguardo nulla ha argomentato il ricorrente. Al F. era stata contestata la recidiva. Con l'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, l'art. 99 c.p. è stato modificato, tra l'altro, anche con la previsione della impossibilità di contestare la recidiva per reati colposi: con la conseguenza che, trattandosi di norma sostanziale più favorevole per l'imputato, successiva al fatto addebitato al F. , la recidiva non poteva essere presa in considerazione. Ed in effetti, la Corte territoriale, pur non avendo esplicitato formalmente l'esclusione della recidiva, in concreto l'ha esclusa non avendone tenuto conto, posto che nel giudizio di comparazione con l'attenuante del risarcimento del danno ha valutato esclusivamente l'aggravante della colpa specifica per violazione di legge, espressamente valorizzandone il relativo profilo. Ovviamente, l'esclusione della recidiva non poteva impedire alla Corte territoriale di tener conto dei precedenti penali a carico del F. ai fini del diniego delle attenuanti generiche trattandosi di parametro previsto “ex se”, dall'art. 133 c.p., anche in relazione alla dosimetria della pena.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna oil ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 04.05.2012
11-05-2012 00:00
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