Il reato di corruzione e quello di millantato credito sono alternativi. No al concorso materiale.
Cassazione, sez. VI, 28 agosto 2012, n. 33328
(Pres./Rel. Garribba)
Considerato in fatto
p.1. B.M. ricorre contro la sentenza di patteggiamento specificata in epigrafe, che gli applicava la pena di anni uno e mesi sei di reclusione più la multa per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, previsti dagli artt. 319, 326 e 346 c.p.. Denuncia violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione:
1. in ordine al reato di cui all'art. 326 cod.pen., assumendo che le informazioni fornite all'imprenditore I.G. , concernendo le modalità di svolgimento dell'ispezione condotta dalla polizia tributaria e la possibilità che fosse stata disposta l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche, non avrebbero violato il segreto d'ufficio;
2. in ordine al reato di cui all'art. 319 c.p., assumendo che l'imputazione, addebitandogli il fatto di avere accettato la somma di Euro 20.000 e la promessa di altri 20.000 ora al fine di indurre i colleghi finanzieri impegnati nell'ispezione ad alterare l'esito della verifica ora semplicemente millantando la sua capacità di intervenire sugli stessi per raggiungere quel risultato, avrebbe illegittimamente duplicato l'addebito del medesimo fatto.
Considerato in diritto
p.1. Premesso che il sindacato che la Corte di legittimità è tenuta a esercitare sulla sentenza non comprende l'esame e la valutazione degli atti processuali, ma è limitato all'esatta osservanza delle norme di legge e al controllo della logicità della motivazione, si osserva che il primo motivo è inammissibile, perché soltanto la lettura delle risultanze processuali potrebbe consentire di accertare se nel caso concreto siano stati effettivamente rivelate notizie destinate invece a rimanere segrete.
È fondato invece il secondo motivo.
Tra il reato di corruzione e quello di millantato credito intercorre un rapporto alternativo che esclude la configurabilità del concorso materiale delle due diverse fattispecie: l'agente che riceve il denaro o la promessa di denaro con il falso pretesto di dover corrompere il pubblico ufficiale commette il reato di millantato credito e non quello di corruzione, che implica invece che la somma di denaro o la sua promessa siano date in vista della effettiva retribuzione dell'atto di ufficio che il pubblico ufficiale ha compiuto o deve compiere.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, e il giudice, nel nuovo giudizio, dovrà stabilire quale sia la corretta qualificazione giuridica del fatto contestato, restando le parti libere di proporre un nuovo patteggiamento, epperò emendato dell'errore giuridico testé rilevato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Brescia per l'ulteriore corso di giustizia.
05-09-2012 01:24
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