Il marito muore in un incidente stradale. La moglie, chiede risarcimento anche per non aver potuto fare la casalinga per tre anni. La Cassazione rigetta.
Corte di Cassazione - Sez. Terza Civ. - Sent. del 09.10.2012, n. 17167
Presidente Amatucci - Relatore Barreca
Svolgimento del processo
1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 30 agosto 2010, la Corte d'Appello di Venezia ha, per quanto ancora rileva, accolto parzialmente l'appello principale proposto da M.L.G. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza del 27 luglio 2005 ed ha riconosciuto all'appellante il risarcimento del danno biologico e del danno morale, nonché del danno patrimoniale, subiti in conseguenza della morte del coniuge G.A. , verificatasi a causa di un sinistro stradale; la responsabilità è stata attribuita, con la stessa sentenza, in pari misura, ad C.E. , conducente, ed At.Ca. , proprietario, dell'autovettura assicurata per la RCA con la S. S.p.A. (poi F. - S. S.P.A.), nonché a Z.R. , conducente, e L.P. , proprietario, dell'autovettura assicurata per la RCA con la P. S. s.p.a. (poi G. I. Assicurazioni S.p.A. e quindi G. Assicurazioni SpA).
La Corte d'Appello ha, invece, rigettato il motivo d'appello concernente la mancata liquidazione del danno patrimoniale che l'appellante aveva dedotto di aver subito per la perdita della propria capacità di lavoro specifica quale casalinga, conseguita ai danni sofferti in proprio.
Ha, inoltre, riconosciuto la c.d. mala gestio impropria della S. S.p.A. e, considerati gli acconti corrisposti alla danneggiata sia da S. S.p.A. che da G Italia Assicurazioni S.p.A., ha condannato in solido i convenuti appellati al pagamento in favore di M.L.G. della somma complessiva di Euro 116.418,8, oltre agli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata dal sinistro al saldo, previa devalutazione della stessa alla data del sinistro, con condanna di F. S. S.P.A. e G. Assicurazioni SpA nei limiti del massimale, maggiorato di rivalutazione ed interessi dal sinistro alla data dei versamenti; ha condannato in solido gli appellati al rimborso delle spese dei due gradi di giudizio in favore dell'appellante principale.
2.- Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia M.L.G. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resistono con distinti controricorsi G. Assicurazioni SpA e F. - S. S.P.A.; quest'ultima propone ricorso incidentale affidato a due motivi.
Non si sono difesi gli altri intimati.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo del ricorso principale si denuncia, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059 cod. civ., 2, 29, 30 e 32 Cost. in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello liquidato, a titolo di danno non patrimoniale, le somme di Euro 29.200,00 come danno biologico e di Euro 130.000,00 come danno morale, non riconoscendo nulla come danno esistenziale. La ricorrente sostiene che la Corte d'Appello, che ha richiamato la sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 26972/2008, l'avrebbe male interpretata ed avrebbe quindi violato le norme sopra riportate, perché non avrebbe rispettato “il principio di integralità del risarcimento del danno”, che impone che nessuno degli aspetti “di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale” rimanga privo di ristoro. In particolare, secondo la ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe dovuto riconoscere la risarcibilità anche di aspetti del danno non patrimoniale lamentati dalla ricorrente, ulteriori rispetto a quelli già liquidati a titolo di danno biologico e di danno morale, consistenti nella lesione dell'intangibilità della sfera degli affetti reciproci che esistono all'interno della famiglia, oltre che nella violazione dell'intangibilità della libera esplicazione di attività realizzatrici della persona sempre all'interno del nucleo familiare. 1.1.- La Corte d'Appello, dopo aver distinto tra il danno biologico temporaneo e il danno morale, e dopo aver operato le distinte liquidazioni di cui sopra, secondo il criterio tabellare, ha aggiunto di non ritenere di dover liquidare un'ulteriore voce a titolo di danno esistenziale, richiamando la sentenza a Sezioni Unite n. 26972 dell'11 novembre 2008, nella parte in cui, esclusa l'esistenza di un'autonoma categoria di danno, da qualificarsi come “esistenziale”, ha precisato la portata del pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale. Il richiamo, nel contesto complessivo della motivazione, sta a significare che, pur avendo la Corte adoperato la terminologia meno attuale di danno “morale”, ne ha attuato la liquidazione dando seguito al precedente delle Sezioni Unite espressamente richiamato, quindi considerando tutti gli “aspetti” che connotano il danno non patrimoniale, in caso di perdita del rapporto parentale, alla stregua di detto precedente.
1.2.- In applicazione dei principi espressi da quest'ultimo, va ribadito che la liquidazione del danno non patrimoniale sofferto per il decesso di un familiare causato dal fatto illecito altrui (nella specie per sinistro stradale) sfugge necessariamente ad una previa valutazione analitica e resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità, se congruamente motivati (cfr., tra le altre, Cass. n. 23053/09; n. 1410/11).
In proposito, va precisato che la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto bene è effettuata quando si determini, come nel caso di specie, un importo omnicomprensivo (cfr. Cass. n. 24864/10), sempreché la somma complessivamente determinata risponda ai criteri di equità che ne debbono conformare la liquidazione a prescindere dal nomen iuris riferito dal giudicante alla voce o alle voci di danno che con essa ha inteso liquidare (cfr. Cass. n. 10527/11). Né i nomina iuris dei vari tipi di danno possono essere invocati singolarmente per un aumento della liquidazione (Cass. n. 24015/11).
In particolare, non da luogo ad una voce di danno autonomamente liquidabile quello, che, con sintagma in uso nella prassi giudiziaria, si qualifichi come “danno esistenziale”, ma che non costituisce un'autonoma categoria di danno (Cass. n. 3718/12).
Né in senso contrario può argomentarsi dai precedenti menzionati in ricorso (in specie da Cass. n. 14402/11), poiché richiamano la decisione a S.U. n. 26972/08 e, nel farne applicazione ai casi sottoposti all'attenzione della Corte, si limitano a precisare, quanto al criterio di riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale costituito dalle tabelle in uso nei diversi distretti, che occorre procedere alla c.d. personalizzazione, ove ne sussistano i presupposti (laddove la fattispecie concreta sia connotata da peculiarità che impongano di superare i massimi ovvero andare al di sotto dei minimi previsti in tabella).
1.3.- Dato quanto sopra, il primo motivo non è fondato, dal momento che il giudice di merito ha fornito, riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale in capo alla moglie della vittima, una motivazione tale da dimostrare di aver tenuto conto di tutti gli aspetti rilevanti nel caso concreto, anche mediante il richiamo espresso delle tabelle in uso presso la Corte d'Appello di Venezia. Non può quindi rilevare, come motivo di censura, l'attribuzione del nomen iuris di “danno morale”, piuttosto che quella di “non patrimoniale”, laddove si siano comunque considerati tutti gli aspetti pregiudizievoli dell'evento luttuoso sofferto dalla danneggiata, sicché l'aggiunta di ulteriori somme finirebbe per comportare proprio quella duplicazione della medesima voce di danno - che altro non è che il danno non patrimoniale - che il dictum delle Sezioni Unite, che la Corte d'Appello di Venezia ha fatto proprio, ha inteso evitare.
Poiché la censura si limita a criticare il mancato riconoscimento di un'autonoma voce di danno qualificabile come “esistenziale”, senza dedurre che gli aspetti del danno non patrimoniale ulteriori rispetto alla mera sofferenza psichica non fossero considerati nelle tabelle di cui si è avvalsa la Corte d'Appello ovvero che il caso di specie fosse connotato da aspetti tali da richiederne la c.d. personalizzazione, non può che concludersi nel senso del rigetto del primo motivo di ricorso.
2.- Col secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione, in riferimento all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., perché la Corte d'Appello ha ritenuto non risarcibile il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro specifica, quale casalinga, che l'attrice avrebbe subito iure proprio. Viene censurata la sentenza impugnata laddove ha affermato che l'invalidità “si è protratta per un periodo di tempo limitato”, durante il quale la danneggiata risulterebbe essere stata ospitata dalla figlia e “in ogni caso, non ha dimostrato di aver sopportato esborsi per le faccende domestiche, né di essere stata limitata in tale settore”. La ricorrente sostiene che la sentenza sarebbe errata perché non avrebbe tenuto conto di quanto risultante dalla consulenza tecnica medico-legale, che avrebbe accertato in capo alla ricorrente una malattia con
14-10-2012 15:49
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