I genitori fanno convivere la figlia minore con un uomo adulto. E’ concorso in atti sessuali con minore.
Corte di Cassazione Sez. Terza Pen. - Sent. del 31.08.2012, n. 33562
Presidente Petti - Relatore Lombardi
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma in data 15/12/2008, con la quale M.L. e L.A. erano stato dichiarati colpevoli del reato: B) di cui agli art. 110 e 609 quater c.p., loro ascritto perché, quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore M.S. di anni 13, in concorso tra loro e con P.S., ne consentivano ed anzi incoraggiavano la stabile convivenza con il P., in tal modo permettendo ed agevolando i costanti rapporti sessuali tra la minore ed il predetto imputato del reato corrispondente,
Per quanto riguarda la posizione degli attuali ricorrenti, la corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali gli appellanti avevano contestato che vi fossero prove della conoscenza da parte loro della stabile relazione tra il P. e la figlia e dei consequenziali rapporti sessuali; dedotto, pertanto, l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, nonché del rapporto di causalità di natura omissiva; chiesto, in subordine, l'attenuante della lieve entità del fatto.
La Corte ha, però, ridotto la pena inflitta agli imputati, rideterminandola in quella di anni tre, mesi quattro e giorni quindici di reclusione ciascuno.
2. Avverso la sentenza ha proposto distinti ricorsi il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge e vizi di annullamento sostanzialmente Identici:
2.1. Violazione dell'art. 194, comma 3, c.p .
La teste D. ha riferito che “la circostanza della convivenza tra la minore ed il P. era di dominio pubblico nel quartiere”, tale elemento di prova era inutilizzabile ai fini delle affermazioni di colpevolezza degli imputati, stante il divieto di testimonianza sulle voci correnti nel pubblico al sensi della disposizione citata, la dichiarazione della teste costituisce anche espressione di un mero apprezzamento personale ed è stata particolarmente valorizzata dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella di appello per l'espresso richiamo in essa contenuto. Anche la dichiarazione della teste C. n ordine all'atteggiamento che avrebbe palesato la madre della minore, secondo la quale ‘pare incentivare nella figlia Il legame con il P., una sorte di sistemazione per S., costituisce espressione di un mero apprezzamento personale, non utilizzabile ai fini del giudizio.
2. Inosservanza dell'art. 500, comma 2, c.p.p.
I giudici di merito hanno desunto dalla divergenza tra le dichiarazioni rese da S.M. in sede di indagini e quelle rese in dibattimento, in punto di conoscenza da parte dei genitori della sua relazione con il P., il convincimento della inattendibilità delle seconde senza un congruo argomentato giudizio complessivo delle predette dichiarazioni, II giudice di primo grado inoltre ha mostrato di avere tratto il proprio convincimento anche dalle dichiarazioni utilizzate ai fini delle contestazioni. La sentenza di appello è incorsa nel vizio di mancanza di motivazione con riferimento alle puntuali deduzioni difensive dell'appellante su detta questione.
2.3 Carenza assoluta di motivazione anche in relazione all'art. 121 c.p.p.
Sia la sentenza di primo grado che quella di appello hanno totalmente ignorato le deposizioni favorevoli agli imputati, costituite per entrambi da quelle di M.L., fratello della persona offesa, il quale aveva riferito che la relazione tra S.P. e S. era rimasta nascosta, tanto che lui ne era venuto a conoscenza solo successivamente all'inizio delle indagini; che i due “avevano fatto tutta una cosa in segreto”; costituita inoltre per la L. dalle dichiarazioni del teste P.R. all'epoca dei fatti convivente con l'imputata, il quale aveva riferito che entrambi ignoravano la relazione tra S. e S. P. e che la L., dopo la cessazione della loro convivenza, nel marzo 2003, fece ritorno a Bastogi per un brevissimo periodo per poi trasferirsi subito in Sardegna presso la casa materna. Sono state inoltre esaminate solo parzialmente le dichiarazioni della teste C., secondo la quale i genitori, quando furono informati dell'accaduto, rimasero sconvolti.
Le sentenze di merito sono incorse non solo nel vizio di motivazione su tali punti, ma sono anche affette da nullità per l'omesso esame delle deduzioni difensive in ordine agli stessi.
2.4 Violazione ed errata applicazione dell'art. 40, comma2, c.p.p.
Entrambi gli imputati rispondondono del reato loro ascritto per non avere impedito l'evento che avevano l'obbligo giuridico di impedire nella loro qualità di genitori della persona offesa.
L'elemento soggettivo del reato nella forma omissiva prevista dall'art. 40, comma secondo, c.p. non può essere però, Il dolo eventuale, che è stato posto a fondamento dell'affermazione di colpevolezza degli imputati. La responsabilità penale ex art. 40, comma secondo, c.p. postula la effettiva rappresentazione dell'evento da parte del soggetto obbligato ad impedirne l'accadimento e tale effettiva conoscenza deve essere desunta da elementi certi.
Inoltre il nesso di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, sicché possa ritenersi, con un elevato grado di certezza, che, ipotizzando come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa, l'evento non si sarebbe verificato. La sentenza è carente di motivazione in ordine a tale verifica. Sul punto si sarebbe dovuto tener conto della infatuazione della minore per il P. che l'aveva indotta anche in seguito al ricovero presso una casa famiglia a fuggire ripetutamente per recarsi da lui. Alla luce di tale dato di fatto doveva ritenersi dubbia l'efficacia impeditiva dell'evento di un eventuale intervento degli imputati.
5.5 Violazione degli art. 530, comma secondo, e 533, comma primo, c.p.p . L'esistenza di prove divergenti determina inevitabilmente la contraddittorietà del quadro istruttorio complessivo ai fini dell'affermazione della colpevolezza di ciascuno degli imputati e non consente di configurare un'ipotesi di accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio.
5.6 Mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento dell'attenuante speciale di cui all'art. 409 quater, comma 4, c.p .
Con un motivo aggiunto di ricorso depositato l'11/06/2012 la difesa dei ricorrenti ha denunciato la violazione dell'art. 192, comma 2, c.p.p. in ordine alla valutazione della prova indiziaria.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono infondati.
2.1 E' stato già reiteratamente precisato da questa Corte, in relazione al primo motivo di gravame, che il divieto di testimonianza sulle voci correnti del pubblico, previsto dall'art. 194, comma terzo, cod. proc. pen., non è applicabile nell'ipotesi di notizie circoscritte ad una cerchia ben determina ed individuabile di persone. (cfr. sez. 6, Sentenza n. 31721 del 10/06/2008, Rv. 2140985; sez. 2, Sentenza n. 47404 del 30/11/2011, Rv. 251608; sez. II, nn. 47405, 47406, 47407,47408 e 47409/11, non massimate).
Orbene, secondo le sentenze di entrambi i gradi del giudizio la teste D.L. non ha riferito voci correnti nel pubblico a proposito del rapporto di stabile convivenza tra il il P e T.M. bensì fatti noti agli abitanti dello stesso palazzo in cui vivevano sia il P. un appartamento con la persona offesa, sia i genitori di quest'ultima in un altro appartamento.
Peraltro, la stessa teste D. abitava nello stesso palazzo di fronte alla casa dello P. mentre i genitori della ragazza abitavano al piano inferiore. Le cose che riferisce pertanto sono precipuamente quelle da lei stessa osservate, che hanno formato oggetto dell'apprezzamento di merito.
La sentenza, poi, ha puntualmente rilevato che anche le dichiarazioni della C. non corrispondono a mere impressioni, ma a quanto dalla medesima osservato direttamente.
Un ulteriore riscontro della consapevolezza da parte dei genitori della ragazza del rapporto di convivenza tra costei ed il P., infine, è stato desunto dalla testimonianza degli organi di polizia giudiziaria che intervennero in casa del P., il quale risultava pregiudicato, in ordine alle reazioni del padre della ragazza alla notizia della convivenza accertata in quella sede.
2.2 I giudici di merito hanno correttamente utilizzato le dichiarazioni rese dalla M. agli organi di polizia giudiziaria per le contestazioni al fine di valutarne la attendibilità, al sensi dell'art. 500, comma 2, c.p.p., mentre l'affermazione di colpevolezza degli imputati non risulta affatto fondata sulle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dalla persona offesa, che peraltro ha ammesso in dibattimento di avere dichiarato agli operanti di P.G. che era la convivente del P.
Pertanto, la valutazione in ordine alla inattendibilità delle dichiarazioni rese in dibattimento da S.M. e anche quelle del fratello L.M., al fine di scagionare i genitori, ha formato oggetto di adeguata motivazione.
2.3 La sentenza ha puntualmente esaminato le dichiarazioni del P., ritenute inidonee ad escludere la colpevolezza della L. sulla base di puntuali rilievi argomentativi, così come quelle di tutti gli altri testi che hanno formato sempre oggetto di apprezzamento di merito.
2.4 Gli imputati non rispondono del reato di cui all'art. 609 quater c.p, ai sensi dell'art. 40, comma secondo, c.p., bensì a titolo di concorso ex art. 110 c.p. con il P. per avere favorito ed agevolato i rapporti sessuali tra il predetto e la figlia minore degli anni quattordici.
In ogni caso, la sentenza di primo grado risulta esaustivamente motivata anche in ordine alla violazione da parte degli imputati dell' obbligo di impedire, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., che la figlia, minore di quattordici anni, avesse abitualmente rapporti sessuali con il P.
Sul punto la tesi dei ricorrenti, secondo la quale non avrebbero potuto impedire l'evento, si palesa, oltre che di merito meramente assertiva.
2.5 I rilievi che precedono sono assorbenti rispetto alle deduzioni dei ricorrenti in ordine alla violazione dell'art 2, comma 2, c.p.p., in punto di valutazione della prova indiziaria e degli art. 530, comma 2, e 533, comma 1, c.p.p. per la mancata assoluzione degli imputati.
2.6 Le sentenze di entrambi i gradi del giudizio, infine, hanno escluso che il fatto, nella sua obbiettività, potesse considerarsi di minore gravità ai sensi dell'art, 609, quater, comma 1 quarto, c.p., mentre la censura dei ricorrenti sul punto è del tutto generica.
3 I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
Depositata in Cancelleria il 31.08.2012
02-09-2012 23:37
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