I dirigenti dell'azienda sono responsabili per le morti da esposizione all'amianto. Senza adeguate protezioni individuali è omicidio colposo
Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. – Sent. del 27.08.2012, n. 33311
Presidente Brusco – Relatore Grasso
Ritenuto in fatto
1. Gli imputati di cui alla rubrica venivano tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Venezia per rispondere, in ragione della posizione di garanzia da ognuno dei detti tenuta nel corso del tempo (analiticamente indicata nella rubrica) all'interno della Società Operativa C. s.p.a., e, successivamente al giugno 1984, Società F. s.p.a., con stabilimento in Marghera, per violazione dell'art. 437, cod. pen.; nonché per i delitti di cui agli artt. 589, 590 e 61, n. 3), cod. pen. e collegate plurime norme antinfortunistiche.
In particolare si contestava al prevenuti, pur essendo noto almeno dagli anni sessanta la correlazione tra l'inalazione di polveri di amianto, mesotelioma e tumore polmonare, di avere, per colpa specifica e generica, omesso: d'informare i lavoratori dei rischi e delle misure protettive da adottare; di predisporre l'impiego d'idonei ed efficaci mezzi di protezione personale; di far sottoporre i dipendenti a precipuo controllo sanitario, volto a prevenire lo specifico rischio di denunciare all'INAIL l'esistenza del detto rischio; di adottare ogni idonea misura, anche organizzativa, per impedire o ridurre al massimo la dispersione delle polveri d'amianto nell'ambiente di lavoro e in quelli adiacenti; di predisporre efficiente servizio igienico-sanitario di
stabilimento.
Con la conseguente ulteriore contestazione che le dette condotte erano state causa dell'insorgenza di gravissimi infortuni-malattie professionali, che avevano condotto a morte, oltre ai lavoratori dipendenti BM, CG, CS, DD, FG, FP, MG, SG, SI, SB, VA, anche DC, GJ e PG (rispettivamente mogli dei lavoratori PR, SP, e BG, le quali erano venute a contatto con le polveri tossiche lavando gli indumenti da lavoro dei coniugi).
All'epilogo della laboriosa istruttoria dibattimentale quel giudice di primo grado, con sentenza del 22/7/2008, «assorbita la condotta di cui all'art. 590 in quella di cui all'art. 589, cod. pen.», assolti per non avere commesso il fatto GR, OB, e A in ordine al decesso di M, OR,G, C e limitatamente a determinati periodi analiticamente indicati B, A, e B dal delitto di cui all'art. 437, cod. pen.,
dichiarava la penale responsabilità di A e B per omicidio colposo ai danni di B, C, D C F, S, S, e S di B, C e O, per l'omicidio colposo, oltre che a danno dei detti, anche di V, di G,, oltre che per l'omicidio a danno di quest'ultimi, di C, F, GM e P, R , per l'omicidio al danni di B, C, D, C, F, M, S, S, S e V.
Concesse a tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche con criterio di equivalenza, condannava costoro alle pene reputate di giustizia.
Infine, iI tribunale, oltre a regolare le spese processuali, poneva a carico degli imputati e della responsabile civile (F ) provvisionali varie, giudicate di ragione, in favore delle parti civili.
2. La Corte d'appello di Venezia, investita dell'Impugnazione, confermando nel resto la statuizione gravata, con sentenza del 13/1/2011 dichiarava non doversi procedere nel confronti del R nelle more deceduto, revocando le statuizioni civili che erano state poste a carico del detto; dichiarava non doversi procedere nei confronti di A, B, C, G, O in ordine agIi omicidi colposi di B e S estinti per intervenuta prescrizione, confermando le pertinenti statuizioni civili; assolveva dai reati di omicidio colposo ascrittigli per non avere commesso il fatto, revocando le statuizioni civili B dall'omicidio colposo in danno di V per non avere commesso il fatto; escludeva per tutti gli imputati la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 62, n. 3), cod. pen., fermo restando Il giudizio di equivalenza; riduceva variamente la pena a tutti gli imputati, siccome analiticamente in dispositivo, concedendo la sospensione condizionale in favore di O, dichiarava condonata l'intiera pena inflitta ad A, B e C, le nonché anni tre di reclusione a G. Per quel che rileva in questa sede deve rammentarsi, quanto alle disposizioni riguardanti talune delle parti civili, quanto appresso: la provvisionale disposta in favore dell'INAlL veniva aumentata ad €. 1.040.541,86; alla Regione Veneto, riconosciuta l'esistenza anche di danno ambientale e d'immagine, veniva liquidato risarcimento nella complessiva misura di ( 335.000,00; restavano confermate le statuizioni civili riguardanti gli enti esponenziali d'interessi collettivi.
3. Appare opportuno, prima di passare all'esame dei due ricorsi con i quali è stata investita questa Corte, seppure in sintesi e avuto riguardo esclusivo alle questioni che conservano ancora rilievo in questa sede, passare in rassegna i punti salienti della vicenda.
3.1. II giudice di merito, all'esito di approfondita istruttoria, dopo aver individuato la genesi della Società Operativa C s.p.a. (che dal 1947 si occupò del cantiere navale fondato 1923 da E B e, successivamente al giugno 1984, Società F s.p.a., con stabilimento in Marghera; le attività delle quali la detta impresa si occupava (costruzione di navi passeggeri, merci e militari e grandi riparazioni delle stesse); le modalità lavorative (che vedevano interessato personale dalle più varie competenze ed anche dipendente da imprese satelliti), sia a bordo, che a terra il largo uso di amianto (crisotilo, per l'intonaco ed i tessuti, amosite per i rivestimenti e, parrebbe, anche crocidolite) utilizzato per lo svolgimento della detta attività e per la protezione stessa degli operai dalle alte temperature causate dalle saldatricl, sicuramente a partire dal 1933 (data di assunzione di B G coniuge di P G e fino al 1992, allorquando l'utilizzo venne vietato per legge
(seppure, nell'ultimo periodo, allo scopo di liquidare le scorte); l'assenza di protezioni individuali significative, i contesti di promiscuità e polverosità che caratterizzavano gli ambienti di lavoro, non purificati da adeguati sistemi di aspirazione, nonché l'assenza di acconce misure igienico-preventive e sanitarie; ripresi gli studi più significativi (attraverso l'apporto degli specialisti della scienza di settore) dal quali emergeva l'estrema pericolosità per la salute dell'amianto, a dispetto della sua economicità e versatilità operativa, da svariati decenni riconosciuto causa certa, in presenza di elevata contaminazione, dell'asbestosi polmonare e, almeno dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso, quale causa, praticamente esclusiva di mesotelioma ed anche di carcinoma polmonare, reputava sussistere il nesso causale e la colpevole condotta omissiva e commissiva degli imputati, la cui posizione di garanzia veniva analiticamente descritta.
In ordine al primo profilo, sulla base delle risultanze istruttorie il giudice di merito, sconfessata la plausibilità della teoria della cd. < >, mutuata dalle conclusioni scientifiche raggiunte da Sellkoff nel 1978; privilegiandosi i risultati della vasta ricerca operata con gli studi di Casale Monferrato, giungeva al convincimento che, pur potendo risultare decisiva sull'insorgenza della patologia anche solo la cd. «dose iniziale», v'era motivo di ritenere che le esposizioni successive dovevano considerarsi perlomeno determinanti della riduzione della latenza (in genere assai lunga) e, così, della vita.
In ordine al secondo profilo, il giudice giungeva a rimprovero colposo degli imputati per avere costoro omesso di assumere quelle iniziative, che erano in loro potere, che avrebbero inciso positivamente sull'evoluzione delle affezioni (cd. giudizio controfattuale), violando plurime norme volte a prevenire malattie professionali e infortuni sul lavoro e, comunque, non assumendo quel diligente, prudente e perito atteggiamento che ognuno di loro avrebbe dovuto tenere, quale agente modello.
4. Le Difese proponevano ricorso per cassazione.
4.1. L'avv. F P, co-difensore di fiducia, in uno all'avv. C P, di G R , con il primo motivo denunzia, invocando la previsione di cui all'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza della corte territoriale.
In sintesi, il ricorrente con il detto articolato motivo assume che la ricostruzione degli ambienti di lavoro, degli impianti, delle lavorazioni e dell'esposizione alle fibre d'amianto aerodisperse dei lavoratori e delle loro mogli, nonostante gli sforzi istruttori compiuti, non emergeva dagli atti ed era frutto di mera congettura del giudice.
Troppi anni erano trascorsi e troppi mutamenti intervenuti sul luoghi di lavoro, sulle modalità lavorative e sui materiali utilizzati. Sul punto incerte e spesso contraddittorie apparivano le deposizioni, distorte dal vari decenni trascorsi.
In particolare doveva escludersi l'asserita promiscuità lavorativa, stante che la coibentazione (unica fase che prevedeva l'uso dell'amianto) veniva posta in essere allorquando l'efficienza del natante e la rispondenza alle norme degli impianti erano stati certificati; solo occasionalmente le malte contenenti amianto venivano preparate a bordo e, comunque, lontano dagli ambienti interni.
Illogicamente e con contraddittorietà la corte di merito, invece che valutare i dati istruttori raccolti, che non consentivano di determinare la quantità e qualità dell'esposizione del lavoratori, aveva fatto ricorso alle massime d'esperienza e a un < >.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 40 e 41 cod. pen.; nonché carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla causalità quanto al casi di mesotelioma pleurico.
La corte territoriale, assume l'impugnante, aveva ricostruito la prova del nesso di causalità (sia inteso esso in senso commissivo: uso di amianto e insorgenza della malattia; che omissivo: non aver tenuto la condotta doverosa che l'evento dannoso avrebbe impedito) affidandosi all'epidemiologia, cioè al metodo statistico. Sicché, in violazione delle regole penalistiche in materia di reati d'evento, aveva ancorato la responsabilità individuale all'aumento del rischio.
Inoltre, ferma la pericolosità per la salute dei composti d'amianto, la misura d'essa dipendeva dal tipo di materiale utilizzato (dalla crocidolite, all'amosite, al crisotilo) e degli amalgami formati con altri componenti, che portano a dispersioni di fibre di diversa dimensione, dalle quali discende la Iesività dell'accumulo polmonare.
Di poi, ignoto era rimasto il tempo d'induzione (cioè la durata della persistenza del contatto per ingenerare, magari a distanza di anni, la malattia), senza contare che non risultava essere stata adeguatamente chiarito se, avutosi il contatto, la malattia sia destinata a progredire inesorabilmente (dose-necessaria) o, seppure, essa avanzi in relazione anche all'entità delle successive esposizioni (dose-dipendenza).
Il giudice di merito, sposata la teoria dell'aumento del rischio, aveva ritenuto provato il nesso di causalità, reputando di aver soddisfacentemente verificato l'asserto attraverso il giudizio di controfattualità, Nel far ciò aveva aderito ai risultati dello studio epidemiologico svolto sui lavoratori della fabbrica Eternit di cemento e amianto di Casale Monferrato, senza considerare che si trattava di un contesto lavorativo del tutto diverso rispetto a quello degli operai di quell'industria cantieristica, meno esposti alla sostanza tossica per intensità e durata. Inoltre, era stata del tutto omessa l'indagine sulla storia individuale dello sviluppo della malattia in ognuno del lavoratori venuti a morte. A tal ultimo riguardo la difesa introduceva schema dal quale si ha modo di trarre i dati anagrafici, il tempo di esposizione durante Il periodo di garanzia del G quella totale, nonché la latenza generale.
I dati in parola, sottoposti a vaglio critico, consentono alla Difesa di affermare che nella prevalenza dei casi la latenza complessiva era stata superiore della media statistica; che ciò aveva consentito a sei delle persone offese di raggiungere la soglia della vita media; che, anche in considerazione dell'entità delle fibre disperse, non si erano registrati casi di asbestosi; che per i lavoratori raggiunti da morte prima della soglia di cui detto emergevano pregresse esperienze lavorative a contatto con l'amianto (anche il coniuge di P G era stato «dipendente» di G solo per un anno).
In definitiva, non solo l'imputato aveva fatto quanto in suo potere per ridurre il rischio, ma, qualunque fosse stata la sua condotta, l'evento si sarebbe verificato in ogni caso.
4.3. Con Il terzo motivo G denunzia la violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all'art. 43 comma 3 cod. pen. ed in riferimento alle disposizioni di cui all'art. 21 del d.P.R. n. 303/1956, nonché all'art. 2087 cod. civ., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla configurazione della colpa, stante l'imprevedibilità e l'inevitabilità dell'evento morte da mesotelloma e carcinoma polmonare. Nessun comportamento alternativo lecito avrebbe impedito l'evento, o, comunque, lo avrebbe scongiurato con significativa probabilità. Un tale comportamento alternativo avrebbe potuto prevenire l'asbestosi, la quale insorge proprio in presenza di rilevanti concentrazioni di fibre d'amianto nell'aria. Al contrario, il mesotelioma e il tumore polmonare, nonostante l'adozione di qualsivoglia cautela, non avrebbero potuto essere scongiurati. Solo nel corso degli anni successivi, acquisita consapevolezza, si erano prescritte protezioni e cautele, fermo restando che fino al 1992 l'amianto era un materiale legalmente in commercio. Né, peraltro, soggiunge il ricorrente, le prescrizioni di cui all'art. 21 del d.P.R. n. 303/1956 si attagliavano al caso di specie. Trattavasi, invero, dell'abbattimento di polveri moleste e non di certo della soppressione delle microfibre d'amianto, all'epoca comunque non consentita dalla tecnica.
Solo a partire dal 1980 si è avuta la piena consapevolezza della micidiale pericolosità dell'amianto anche ove respirato in quantitativi impercettibili; nel passato era nota solo l'insorgenza dell'asbestosi, direttamente collegata all'inalazione di cospicui quantitativi di fibre.
All'epoca nella quale l'imputato aveva rivestito la posizione di garanzia (1971- 1980) non si era neppure in grado di rilevare la presenza nell'ambiente delle microfibre ultrafini foriere delle gravi malattie di cui si è detto.
In definitiva, nessun comportamento alternativo lecito poteva pretendersi dal G.
4.4. Con Il quarto ed ultimo motivo l'imputato contesta inosservanza ed erronea applicazione di legge, nonché carenza assoluta di motivazione, correlando all'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. gli art. 81 e 589 cod. pen., avendo Il giudice di merito errato, < ; soggetti, i quali, peraltro, adottando le opportune cautele, avevano scongiurato l'Insorgere di casi di asbestosi.
Inoltre, come aveva chiarito il consulente di parte, all'epoca non esistevano sistemi di filtraggio tali da impedire la diffusione nell'aria delle fibre ultrafini e, pertanto, il rischio non era prevenibile.
4.10 Da pag. 53, dopo l'introduzione del seguente titolo: «Mancanza di motivazione in ordine alla responsabilità del singoli imputati in relazione alla loro specifica posizione di garanzia», il ricorso riproduce testualmente (salvo marginale variante a pag. 54, In fine) l'atto d'appello.
Questi, in sintesi, gli argomenti.
La sentenza non aveva operato alcuna distinzione tra i vari titolari di posizione di garanzia, pur avendo costoro rivestito ruoli diversi (presidenti, direttori generali e direttori di stabilimento) e, soprattutto, aveva ignorato che lo stabilimento di Marghera era solo una unità produttiva facente capo ad una grande società, avente diverse sedi di < superdirezione> >, con la conseguenza che ciascun direttore di stabilimento aveva ampi poteri d'intervento. Non era dato cogliere, di conseguenza, da dove poteva trarsi il convincimento che presidenti e direttori generali si fossero mal occupati o avrebbero dovuto occuparsi di misure che erano di spettanza dei direttori di stabilimento, i quali avevano tutti i poteri, incluso quello di spesa.
4.11 II ricorso, poi, enuncia: < > ), tutte le esposizioni successive, pur in presenza di concentrazioni anche elevatissima di fibre cancerogene, dovevano reputarsi ininfluenti.
Trattasi di una vera e propria distorsione dell'intuizione del S., il quale aveva voluto solo mettere in guardia sulla pericolosità del contatto con le fibre d'amianto, potendo l'alterazione patologica essere stimolata anche solo da brevi contatti e in presenza di percentuali di dispersione nell'aria modeste. Non già che si fosse in presenza, vera e propria anomalia mai registrata nello studio delle affezioni oncologiche, di un processo cancerogeno indipendente dalla durata e intensità dell'esposizione.
Ciò ha trovato puntuale conferma nelle risultanze peritali alle quali il giudice di merito ha ampiamente attinto. Infatti, la molteplicità di alterazioni innestate dall'inalazione delle fibre tossiche necessita del prolungarsi dell'esposizione e dal detto prolungamento dipende la durata della latenza e, in definitiva della vita, essendo Ovvio che a configurare il delitto di omicidio è bastevole "accelerazione della fine della vita. Pertanto, di nessun significato risulta l'affermazione che talune delle vittime venne a decedere In età avanzata. La morte, infatti, costituisce limite certo della vita e a venir punita è la sua ingiusta anticipazione per opera di terzi, sia essa dolosa, che colposa.
L'autonomia dei segnali preposti alla moltiplicazione cellulare, l'insensibilità, viceversa, al segnali antiproliferativi, l'evasione del processi di logoramento della crescita cellulare, l'acquisizione di potenziale duplicativo illimitato, lo sviluppo di capacità angiogenica che assicuri l'arrivo di ossigeno e dei nutrienti e, infine, la perdita delle coesioni cellulari, necessarie per i comportamenti invasivi e metastatici, sono tutti processi che per svilupparsi e, comunque, rafforzarsi e accelerare il loro corso giammai possono essere Indipendenti dalla quantità della dose.
Ciò ancor più a tener conto che l'accumulo delle fibre all'interno dei polmoni, continuando l'esposizione, non può che crescere, nel mentre solo col concorso, in assenza d'ulteriore esposizione, di molti anni, lentamente il detto organo tende a liberarsi delle sostanze tossiche, essendo stato accertato, dagli studi di casale Monferrato, del quali appresso si dirà, che l'accumulo tende a dimezzarsi solo dopo 10/12 anni dall'ultima esposizione.
Dallo studio in parola (i cui risultati sono stati riportati dalla sentenza di merito, la quale ha, a sua volta attinto agIi apporti degli esperti di settore), il primo intervenuto in Italia, avendo operato su una vasta platea di persone, osservate per un lungo periodo (3434 lavoratori presi in considerazione per oltre cinquanta anni; seguiti dal 1950 al 1986 e poi fino al 2003), si è potuto ricavare che tutte le esposizioni alle quali il soggetto è stato sottoposto almeno negli ultimi dieci anni che precedono la diagnosi della malattia hanno avuto influenza, aumentando il rischio ed accelerando il processo maligno; che, allo stesso tempo, non è possibile determinare una soglia quantitativa e temporale di sicurezza, né il tempo massimo d'induzione; che sul soggetto fumatore si verifica un effetto moltiplicativo esponenziale del rischio, ben maggiore della singola somma dei due rischi, quanto al carcinoma polmonare.
AI contrarlo, lo studio sul quale si fonda la tesi difensiva (quello dovuto al prof. D), come è stato ampiamente chiarito in sede pernale, con argomenti pienamente convincenti, a causa dell'estrema esiguità del campione osservato non può essere di utilità statistica.
Sussiste, in definitiva, Il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e Il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l'esatto momento di insorgenza della malattia, deve ritenersi prevediblle che la condotta doverosa avrebbe potuto
incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza (Sez. IV, 11/4/2008, n. 22165).
In altri termini, se il garante avesse tenuto la condotta lecita prevista dalla legge, operando secondo Il noto principio di controfattualità, guidato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica _ universale o statistica (S.U., 10/7/2002, n. 30328), l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. In questo senso l'evento doveva ritenersi evitabile.
Quanto alla cd. legge statistica, come noto, la conferma dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché Il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con <
31-08-2012 19:48
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