Finalità di
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 27 giugno 2012, n.25428 - Pres. Marasca – est. Bevere
Svolgimento del processo
Con sentenza 18.10.2010, la corte di appello di Bologna, pronunciando sugli appelli proposti dal pubblico ministero presso il tribunale di Bologna, dalla parte civile comune di Rimini, della parte civile N.V. , della parte civile 'Associazione No Border', dagli imputati B.C. , C.S.F. , Co.Ad. , D.L. , F.A. , M.A. , O.M. , S.N. , in riforma della sentenza 10.6.08, emessa ex art. 442 cpp dal Gup del tribunale della stessa sede.
- ha riconosciuto la sussistenza dell'aggravante della finalità di eversione dell'ordine democratico (per aver agito con l'organizzazione di B.C. , dirigente della sezione riminese dell'associazione di estrema destra Forza Nuova), esclusa dal primo giudice;
- ha nuovamente qualificato, il fatto di cui al capo A, che era stato qualificato dal Gup ex artt. 56 -424 c.p., come tentativo di incendio di un immobile di proprietà del comune di Rimini, adibito a 'laboratorio sociale occupato P.A.Z. (Permanence Autonomy Zone)', dal nome del movimento della c.d. 'sinistra antagonista', che ne gestiva l'occupazione;
- ha confermato la dichiarazione di responsabilità di B.C. , C.S.F. , Co.Ad. , D.L. , F.A. , M.A. , O.M. , S.N. , in ordine ai reati sub A, B (tentativo di incendio e tentativo di sequestro di persona in danno di N.V. , custode del laboratorio occupato P.A.Z.) e C (porto di numerosi strumenti atti a offendere), commessi nella notte tra il (omissis) ;
ha confermato la dichiarazione di responsabilità di B. e M. in ordine al reato sub D (incendio, ex art.424 c.p., di due auto, parcheggiate nei pressi del laboratorio P.A.Z.) commesso nella notte tra il (omissis) .
La corte di appello, previa conferma della concessione delle attuanti generiche equivalenti, della continuazione e della diminuente del rito abbreviato, ha così rideterminato le pene:
per B.C. e M.A. , 2 anni e 5 mesi di reclusione;
per O.M. e Co.Ad. , 2 anni e 3 mesi di reclusione;
per C.S.F. , D.L. , F.A. , S.N. , 1 anno e 10 mesi di reclusione;
Ha escluso la sospensione condizionale a B. , M. , O. ;
ha disposto la liquidazione del danno e la rifusione delle spese in favore delle parti civili Comune di Rimini, N.V. , associazione No Border.
Nell'interesse degli imputati è stato presentato ricorso, per molteplici motivi, tra i quali alcuni sono di comune contenuto, che consentono quindi una comune trattazione.
1. Nel ricorso presentato nell'interesse di O.M. e F.A. è censurata la sentenza della corte di merito, laddove ha ritenuto ammissibile l'appello proposto dal p.m., in quanto è stato violato il principio di tassatività delle impugnazioni, ex art. 443 co. 3 cpp, in base al quale l'organo di accusa può impugnare soltanto la sentenza di condanna, emessa nel rito abbreviato, con la quale sia stato modificato il titolo del reato.
La corte territoriale ha stabilito che, in merito alla esclusione dell'aggravante della finalità di eversione, il p.m. avrebbe dovuto presentare ricorso per cassazione, ma il gravame proposto, a prescindere dalla formale intestazione, può essere valutato come ricorso, a norma dell'art. 568/4 cpp. Tale impugnazione, qualificata come ricorso, non è stata trasmessa alla S.C., perché, verificati i requisiti sostanziali di ammissibilità (attinenti all'erronea interpretazione dell'art. 1 D.L. 625/79 e alla contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione), la corte territoriale ha ritenuto di poter esercitare la funzione di giudice di appello, a norma dell'art. 580 cpp, in ordine all'impugnazione del p.m., unitamente a quelle presentate dagli imputati.
Secondo i ricorrenti, il p.m. avrebbe dovuto impugnare con l'unico mezzo consentito, cioè con il ricorso per cassazione, dando modo alla corte di applicare la conversione dell'impugnazione, ex art. 580 cpp, in appello. In ogni caso, ritengono che il contenuto del gravame del p.m. non era riconducibile ad alcuna delle doglianze prospettabili dinanzi alla S.C., risolvendosi in censure di fatto.
Nel ricorso presentato nell'interesse di O. , C. e S. , si rileva che la declaratoria di ammissibilità dell'impugnazione non ha tenuto conto della mancanza di interesse all'impugnazione da parte del'ufficio della procurarne per altri due imputati, ha concordato la pena, ex art. 444 cpp, con esclusione dell'aggravante contestata dagli attuali ricorrenti.
2. Tutti gli imputati hanno sostenuto inoltre l'insussistenza dell'aggravante della finalità di eversione dell'ordine democratico, con le seguenti argomentazioni:
a) il riconoscimento di questa aggravante di tipo soggettivo è condizionato dall'accertamento che, al momento in cui si realizza o si tenta di realizzare la finalità eversiva, il soggetto se ne rappresenti, in maniera immediata e diretta, il suo conseguimento (sez. 1 n. 1753/1983, Filippi) Deve inoltre risultare l'obiettiva idoneità dello scopo a ledere l'interesse protetto (sez. 6, 1.3.1996) Sulla base di questi principi ermeneutici indicati dalla giurisprudenza maggioritaria della S.C., deve concludersi per l'insussistenza dell'aggravante, nei fatti in esame, in quanto le intercettazioni telefoniche e ambientali, se interpretate fedelmente in relazione allo specifico significato delle parole e al contesto razionalmente inquadrato, dimostrano che:
b) l'elemento finalistico non era noto ad alcuni degli imputati (F. e C. , Co. , S. ) che erano convinti di recarsi nel laboratorio P.a.z., per porre in essere atti(parole offensive o generico danneggiamento), dimostrativi di dissenso nei confronti del comportamento degli occupanti, senza che gli imputati fossero messi in condizioni di conoscere la programmazione di 'azione piccola' (limitata all'aggressione fisica delle persone) o di 'azione grande' (incendio).
c) la commissione dei reati è circoscritta in angusti confini: l'azione violenta, anche se di matrice e finalità sicuramente politiche (danneggiare i beni di proprietà degli occupanti, allo scopo di arrecare disturbo agli avversari politici), attraverso l'uso illegittimo della forza, non è giunta alla finalizzazione penalmente rilevante dell'eversione dell'ordine democratico, restando inevitabilmente limitata ad uno scontro di avverse fazioni politiche, in ambito locale;
d) l'azione violenta in un contesto di conflitto politico è lesione del metodo democratico, che ripudia la violenza.; comunque perché assurga al rango di azione eversiva occorre che sia preordinata al rovesciamento dell'intero sistema costituzionale, cioè dell'insieme dei valori e principi che governano lo Stato. Anche la nozione 'deviazione dai principi costituzionali', cui fa riferimento la corte di appello a pag. 54, comporta il coinvolgimento dell'insieme dei principi o di uno solo di essi, con l'intento di coinvolgere anche l'insieme, mirando così all'intera struttura statale;
e) l'aggravante non sussiste, in quanto è evidente che manca una struttura organizzativa tale da rendere effettivo o almeno possibile l'attuazione di un programma atto a destabilizzare le strutture politiche fondamentali (B. ).
3. Gli imputati F. , C. , Co. , S. , in relazione ai reati di tentativo di incendio e di tentativo di sequestro di persona, hanno escluso la sussistenza di dolo, in quanto questi imputati non erano stati messi in condizione di conoscere l'obiettivo specifico della iniziativa o in condizioni di conoscere la programmazione di 'azione piccola'(solo danneggiamento) o di 'azione grande' (con incendio), essendo convinti di recarsi nel laboratorio P.a.z., per porre in essere atti(parole offensive o generico danneggiamento), dimostrativi di dissenso nei confronti del comportamento degli occupanti.
4. Il difensore di Co.Ad. , nel ricorso ha formulate le ulteriori doglianze:
a) la corte di merito riconosce che l'imputato ha proposto un'azione piccola, limitata all'aggressione fisica alle persone, con esclusione dell'incendio (l'azione grande) ma gli ha addebitato la responsabilità per quest'ultima per aver omesso concretamente di dissociarsi, manifestando fattivamente il proprio dissenso. Questa conclusione è errata, in ordine alla pregressa selezione di quali siano e quali non siano i comportamenti indicativi della dissociazione. Il coltellino e la tanica, rinvenuti nella sua auto non sono strumentali rispetto ai delitti contestati, in quanto la tanica è normalmente utilizzata per motivi del lavoro di operaio presso un'impresa di ascensori, ed era nella propria auto per pura comodità, in quanto così egli evitava di montarla sul veicolo in ogni occasione di lavoro; il coltellino accidentalmente non si trovava nella cassetta degli attrezzi dell'auto, ma sul sedile anteriore.
b) violazione di legge in riferimento all'art. 423 cp: la riqualificazione del fatto a norma dell'art. 423 cp è stata giustificata con la considerazione dell'alta infiammabilità del materiale sequestrato e con la frase captata di Bo. 'voglio sentire le sirene, il 118', senza che sia stato effettuato un accertamento sullo stato dei luoghi, sulla struttura dell'edificio e sulla presenza di materiale ignifugo;
c) violazione di legge in riferimento alle statuizioni civili: N.V. e l'associazione No Border non hanno legittimazione alla costituzione di parte civile, che spetta solo allo Stato, in quanto l'azione degli imputati era diretta a disarticolarne le strutture.
Va rilevato che la difesa, il 6.2.2012, ha trasmesso via telefax, 'atti di quietanza liberatoria' rilasciati da N.V. e da N..A. , quale legale rappresentante dell'Associazione No Border.
Quanto al comune di Rimini, il ricorrente rileva che il giudice di appello si contraddice, perché, dopo aver affermato la risarcibilità del solo danno morale, ha risarcito il comune per i danni materiali riportati dall'immobile di sua proprietà;
d) violazione di legge in riferimento alle norme sul trattamento sanzionatorio: la corte ha motivato l'entità della pena con il ruolo di propulsore e organizzatore dell'azione criminosa, così come riconosciuto dal Gup, sebbene questo giudice non lo avesse posto in questo ruolo; ha anche giustificato la pena con l'intensità del dolo, sebbene sia stato ricostruito il suo tentativo di far prevalere la proposta di un'esclusiva aggressione fisica, senza un incendio; nel calcolo della pena, la corte, su sollecitazione della difesa per una pena più mite, è partita da una pena base inferiore, ma ha stabilito degli aumenti per la continuazione logicamente incompatibili. Nessuna motivazione è data al rifiuto di accogliere la richiesta di escludere l'aggravante ex art. 112 n. 4 cp.
Non è logicamente corretta la motivazione sul rigetto della richiesta di valutare con giudizio di prevalenza le circostanze attenuanti, in quanto è giustificato facendo riferimento alla generosità mostrata dal primo giudice, nel riconoscere la sussistenza delle attenuanti generiche, sia pure con giudizio di equivalenza.
5. Il difensore di D.L. ha inoltre formulato queste altre censure nei confronti della sentenza della corte di appello:
a) in relazione al reato di tentativo di incendio, una più attenta lettura della trascrizione di una conversazione ambientale, avvenuta il 17.9.07 nell'abitazione del B. , consente di ritenere ingiustificata la riformulazione del fatto di cui al capo A), a norma degli artt. 56 e 423 cp. Risulta, infatti, che non solo è incerta l'individuazione dei mezzi da usare nell'incursione al laboratorio PAZ, ma anche che la corte non riconosce la desistenza dall'iniziale proposito incendiario, desistenza che non viene disconosciuta dal giudice di primo grado. L'intendimento finale del gruppo risulta quindi il seguente: fare ingresso nei locali del laboratorio sociale e spaccare i beni degli occupanti. Il superamento del progetto incendiario si evince dalle dichiarazioni di M.A. - che ha riferito dell'intendimento di 'entrare e demolire'- e di B.C. , che individua l'azione programmata nel danneggiamento di mobili e macchinari. Il rinvenimento nell'auto di O.M. di due taniche di nitro diluente è credibilmente giustificato dal suo intendimento di usare il solvente per sverniciare le auto dello speedom, in vista di prossime gare. Né può avere rilievo accusatorio la presenza del ricorrente nell'abitazione del B. , nell'incontro del successivo (omissis) , nel corso del quale fu messo in grado di rendersi conto dell'intendimento incendiario e omise di manifestare il proprio dissenso. Il silenzio del D. non può ricevere valore giuridicamente consistente.
b) In ordine all'imputazione sul tentativo di sequestro di persona del custode del laboratorio sociale, sono ribadite le argomentazioni sulla impossibilità di individuare un programma organizzativo, idoneo ed inequivoco che possa aver raggiunto la soglia della rilevanza penale. Al di là del mancato avvicinamento al luogo di dimora della potenziale vittima, va rilevato che i colloqui fra gli imputati non dimostrano l'intendimento di sequestro. Dalla conversazione captata il 17 settembre emerge l'incertezza sul modo di sistemare il custode durante l'esecuzione dell'azione violenta. Comunque, l'intendimento di effettuare il sequestro, eventualmente desumibile da tale conversazione, rimane privo di autonomia, ponendosi come mera modalità esecutiva del reato di danneggiamento o di tentato incendio.
6. Il difensore di M.A. afferma che le frasi captate nelle conversazioni tra gli imputati dimostrano l'unico intendimento di distruggere i beni degli occupanti, per impedire la prosecuzione della loro illecita presenza nei locali del comune. La riqualificazione del fatto a norma dell'art. 423 cp è stata giustificata con la considerazione dell'alta infiammabilità del materiale sequestrato nell'auto del D. , senza che sia stato effettuato un accertamento sullo stato dei luoghi, sulla struttura dell'edificio e sulla presenza di materiale ignifugo;
7. Quanto alle statuizioni civili, il difensore di B. ha formulato le seguenti doglianze: violazione di legge e vizio di motivazione: il giudice di appello (p.64) ha erroneamente escluso che l'offerta di risarcimento sia avvenuta con le forme rituali, nonostante un carteggio che dimostra il contrario. I documenti allegati al ricorso dimostrano che la somma che è stata offerta al comune di Rimini è stata rifiutata e poi nuovamente richiesta. Il circolo No Border e il custode N.V. non hanno accertato la somma offerta e poi l'hanno di nuovo chiesta. La sentenza (p.73) ha poi liquidato, a titolo di risarcimento, una somma di denaro pari a quella offerta dal B. .
È censurabile l'ammissione della costituzione di parte civile, da parte di coloro che, dopo aver rifiutato un'offerta di risarcimento formulata nei termini di legge, si costituiscano in giudizio per reclamare il risarcimento dei danni, poco prima rifiutato.
È censurabile inoltre l'ammissione della costituzione di parte civile di persona giuridica che ritenga leso il diritto all'immagine, in quanto questo danno è riferibile solo a persona fisica. Le statuizioni civili in favore delle parti civili, per le ragioni qui esposte, vanno revocate.
Il difensore del B. , ha inviato a mezzo fax, in data 6.2.2012, documentazione attestante il pagamento della quota, cui era tenuto a versare, a titolo di risarcimento dei danni in favore delle parti civili 'No Border' e N.V. , con allegata dichiarazione di quietanza dei predetti.
Il comune di Rimini, costituito parte civile, ha depositato il 24.2.2012, memoria difensiva, con cui ha sostenuto la piena legittimità della sentenza della corte di appello e ha chiesto il rigetto dei ricorsi proposti dai singoli imputati.
Motivi della decisione
1. Sulle questioni attinenti all'ammissibilità dell'impugnazione proposta dal p.m. avverso la sentenza del primo giudice, va rilevato che le censure formulate dai ricorrenti non incidono sulla piena legittimità della decisione della corte di merito.
Premessa l'immediata declaratoria di ammissibilità, ex art. 443 c.p.p., della doglianza relativa alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A) (contenente la richiesta di riqualificarlo a norma degli artt. 56-523 c.p.); la corte di merito ha valutato, ex art. 568 co. 4 cpp, come ricorso in cassazione la doglianza sulla esclusione dell'aggravante della eversione dell'ordine democratico. Ha affermato poi la propria cognizione, in virtù della conversione del ricorso in appello, a norma dell'art. 580 cpp.. Va a questo punto rilevato che, secondo un condivisibile orientamento interpretativo, l'appello conserva la natura di impugnazione di legittimità e la corte di appello di Bologna, compiuta, con esito positivo, la doverosa verifica dell'ammissibilità della specifica doglianza sulla sussistenza dell'aggravante, ha ripreso la propria funzione di giudice di merito e ha adottato legittimamente le proprie statuizioni su tutte le doglianze, formulate dalle parti processuali, (sez. 6, n. 42694 del 23.10.08 rv 241872; sez. 4, n. 37074 del 24.6.08, rv 241059; sez 4, n.39618 dell'11.7.07 rv 237986; 1, n. 15025 del 14.2.06 rv 2340039). Pertanto nessuna violazione di legge e del principio di tassatività dell'impugnazione è ravvisabile sul punto nella sentenza impugnata. Va inoltre rilevato che è del tutto infondata la doglianza con cui è stato negato al p.m. l'interesse all'impugnazione, in quanto, nel procedimento a carico di altri correi, ha concordato la pena, ex artt. 444 cpp, con esclusione dell'aggravante, aggravante per l'affermazione della quale, a carico di altri imputati, ha proposto l'appello. Al di là del generale interesse del pubblico ministero alla tutela della pretesa punitiva dello Stato, è di tutta evidenza la facoltà del rappresentante della pubblica accusa di compiere in ogni singolo procedimento, in maniera autonoma, ogni valutazione in fatto e in diritto, sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Tale facoltà è incompatibile con l'obbligo di svolgere le proprie funzioni, in maniera uniforme nei procedimenti connessi, nei confronti di ciascuno degli imputati, a prescindere delle specifiche ricostruzioni e valutazioni dei fatti e delle condotte contestati.
2. Correttamente la corte di appello ha rilevato che la ricostruzione storica dei fatti - accertati in flagranza dalla polizia giudiziaria - non è contestata e, comunque va rilevato che su di essa vi è una completa coincidenza dell'apparato fattuale contenuto nelle due sentenze di merito. Sotto il profilo fattuale e sotto il profilo valutativo, le decisioni sono da considerare quindi il risultato di un organico e inscindibile accertamento giudiziale, impostato sulla fedele conformità alle risultanze delle indagini e delle susseguenti attività istruttorie, nonché sulla loro lineare e razionale interpretazione. All'esito di accertamenti sono emersi gli incontestabili dati storico-valutativi:
gli imputati sono stati arrestati, in piena flagranza di univoci e idonei atti, diretti a compiere una criminale spedizione punitiva, flagranza verificata:
a) nel momento in cui gli imputati sono usciti dal luogo (abitazione di B. ), in cui si era tenuta la riunione conclusiva, nel corso della quale, si erano presi gli ultimi accordi, si erano definiti i ruoli, si era verificata la immediata disponibilità della strumentazione offensiva, consistita anche nel porto di ed arma bianca;
b) nel momento, immediatamente successivo e senza soluzione di continuità, in cui i predetti stavano salendo, sulle 3 auto armate di tutti gli oggetti offensivi ivi rinvenuti. I giudici di merito hanno compiutamente elencato i materiali predisposti all'incendio dei locali (tra l'altro, una tanica di liquido infiammabile era sull'auto di Co. , due taniche erano sull'auto di O. ), nonché al sequestro del custode N. , all'offesa e all'eliminazione di cose e persone, in posizione di resistenza all'esecuzione dell'accurato progetto elaborato in un arco di tempo di circa 10 giorni, nel corso di più riunioni del B. .
Quanto alle posizioni dei singoli imputati, la corte ha ripercorso lo svolgimento delle fondamentali intercettazioni delle conversazioni, svoltesi tra gli imputati medesimi, ritenendole correttamente dimostrative della loro presenza - sia pure con cadenze diverse - nelle riunioni organizzative dell'impresa e della loro adesione, espressa o tacita, alla criminosa aggressione sventata dalla polizia giudiziaria nella notte tra il (omissis) . La generale adesione al progetto di violenza a persone e cose va affermata in base all'argomentazione del tutto ragionevole della corte (e quindi assolutamente insindacabile), secondo cui il silenzio e comunque il mancato dissenso esplicito vanno interpretati come adesione a un progetto, elaborato in più incontri, diretto a commettere una serie di reati a sfondo politico.
Trattasi di reati, la cui finalità e la cui strumentazione è stata razionalmente ritenuta come decisa non solo nel quadro di una comune ed unitaria posizione di fondo di tutti gli astanti nell'impostare, all'insegna dell'intolleranza e della violenza, i rapporti con avversari politici o comunque con i soggetti diversi, ma anche specificamente nel contesto di una comune avversione, mirata verso persone fisiche e verso l'istituzione pubblica, esplicitamente individuate nel corso delle conversazioni. La scelta di concretizzare questa avversione in atti di estrema violenza è inequivocabilmente dimostrata dalle parole registrate e della predisposizione degli strumenti sequestrati, che hanno impresso all'iniziativa i connotati di una spedizione punitiva di storica matrice di estrema destra, derivata dalla scelta di campo del dirigente riminese di Forza Nuova, a cui si sono pienamente e consapevolmente adeguati i correi (sui connotati storici e politici di questa associazione, v. sez. 5, n. 4938 del 28.10.2010, rv 249239; id, n. 19449 dell'8.1.2010, rv 247132) La evidente connotazione politica di questa iniziativa a pluralistico obiettivo criminoso rende ciascuna presenza, indipendentemente da specifiche formali adesioni, l'espressione indiscutibile di coinvolgimento in un modello di comportamento politico ben definito e notoriamente affermato nello scorso secolo in Italia e in Germania.
In conclusione, alla luce dell'esperienza comune, deve escludersi una consapevolezza ridotta, da parte di alcuno degli imputati, nel momento in cui ha partecipato ad un'azione violenta, contro cose e contro persone, le cui caratteristiche ne svelavano l'indiscutibile e indubitabile radice culturale, etica, politica.
3. Quanto al reato di cui al capo A), la sussistenza del tentativo di incendio, ex artt. 56-423 c.p. è stata affermata dalla corte di merito con una condivisibile analisi della condotta degli imputati, ricostruita in maniera insindacabile, sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Gli imputati avevano deciso di innestare un incendio con un abbondante materiale incendiario (15 litri di solvente ad alta infiammabilità), da spargere nei locali, al piano inferiore e al piano superiore, ad opera dei numerosi soggetti convocati e organizzati, in modo che le fiamme divampassero dall'interno all'esterno di tutti i locali. È stato accertato il possesso di foto, di una cartina indicativa dei locali del laboratorio, di una pianta del medesimo, funzionali ad un'opera distruttiva di massimo livello.
Correttamente è stata ritenuta superflua - a fronte della razionale interpretazione di questi dati di fatto, la richiesta di ulteriori accertamenti tecnici, per dimostrare idoneità e univocità di questa predisposizione di atti, già di per sé, altamente ed evidentemente capaci di far esplodere un incendio nello stabile. Le conversazioni intercettate sono state razionalmente interpretate come dimostrative delle decisione di predisporre un fuoco non limitato alle suppellettili o a un solo vano dell'edificio, ma proiettato sull'intero edificio, all'interno del quale era nota la presenza di materiale facilmente infiammabile, e idoneo quindi ad estendere le proprie potenzialità distruttive a beni mobili e immobili contigui e/o vicini. D'altro canto, la motivazione della sentenza impugnata mostra - in base alla razionale interpretazione delle registrazioni ambientali del 17 settembre - l'assenza di una realistica intenzione, riferibile ai protagonisti dell'impresa, di circoscrivere le fiamme in un determinato locale, con esclusione degli altri, nonché la mancanza della ideazione di pur minime cautele per evitarne la propagazione. Correttamente l'argomentazione della corte sulla sussistenza dell'ipotesi dell'incendio tentato è stata ritenuta confermata dall'orientamento interpretativo, secondo cui il discrimine tra il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 cod. pen.), e quello di incendio (art. 423 cod. pen.) è segnato dall'elemento psicologico del reato. Nell'ipotesi prevista dall'art. 423 cod. pen. esso consiste nel dolo generico, cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tende ad espandersi e non può facilmente essere contenuta e spenta. Il reato di cui all'art. 424 cod. pen. è, invece, caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento. Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall'art. 423 cod. pen., è applicabile quest'ultima norma e non l'art. 424 cod. pen., nel quale l'incendio è contemplato come evento che esula dall'intenzione dell'agente (Sez. 1 n. 25781 del 7.5.03, rv 227377; conf sez. 1, n. 6250 del 3.2.09 rv 243228). Correttamente la corte di merito conclude con la razionale considerazione, che, senza un intervento tempestivo dei vigili del fuoco (il suono delle cui sirene era auspicato, a fini propagandistici, dal Bo. ), si sarebbe verificata la distruzione dell'intero edificio.
4. La piena consapevolezza della meta finale e degli obiettivi intermedi, con cui gli imputati tutti si stavano apprestando ad andare a commettere i reati sub A) e B) risulta pienamente dimostrata, confermando il rilievo all'inconsistenza della tesi dell'ignoranza e della sventatezza di alcuni di loro. Questo convincimento è stato raggiunto dai giudici di merito, non solo attraverso una generale valutazione pienamente razionale (è del tutto fuor di logica che in un gruppo numeroso di persone ci fossero presenze di pietra o che ad alcuni fosse stata celata la parte più forte e pericolosa dell'impresa, pur programmata nei suoi minimi particolari sulle funzioni, sui modi di impiego del materiale, sulle cautele e sulle vie di fuga), ma anche attraverso la logica interpretazione della specifica strumentazione - funzionale al successo dell'impresa criminosa - curata da alcuni imputati con il porto - sicuramente non celato ai correi - di oggetti, compiutamente descritti, nello loro illimitata potenzialità bellica, non limitata alla distruzione delle cose presenti nell'immobile: al di là delle tre taniche, portate da O. (2) e di Co. (1) è stato accertato che F. portò un cavo elettrico di oltre mezzo metro, alle cui estremità viti autofilettanti funzionali a renderlo più lesivo; S. aveva con sé un coltello a serramanico, Co. aveva un coltello nell'auto; C. portò una pistola a gas, corredata da tre bombolette di gas e da piombini; D. aveva con sé un coltello a serramanico, un tirapugni, una catena di ferro di cm 75.
I giudici di merito hanno inoltre messo in evidenza che la parziale presenza, da parte di alcuni, nelle riunioni nelle quali sono stati scelti e definiti gli strumenti, i percorsi e gli obiettivi della spedizione della notte tra il (omissis) non ha sicuramente inciso sulla loro conoscenza di tutti i particolari della predisposizione e dell'esecuzione dei reati di incendio e sequestro di persona e quindi sulla loro consapevole partecipazione ad essi, sia pure nella dimensione del tentativo. Quanto a C. , S. e F. , i giudici di merito hanno scandito con estrema precisione la loro partecipazione a riunioni precedenti a quella conclusiva del (omissis) , alla quale arrivarono in ritardo, essendo comunque in possesso delle armi e degli oggetti lesivi sopra indicati.
Quanto a Co. , è certa la sua partecipazione alla riunione del XX e del (omissis) nell'abitazione del B. , per le quali fu convocato da quest'ultimo insieme al M. (che infatti informava il B. che A. (Co. ) era con lui. Nel corso di queste riunioni fu partecipe e consapevole delle plurime finalità criminose e manifestò i propositi più brutali e disumani: la corte ha rilevato che fu lui a progettare, senza dissenso o opposizione, di spezzare una gamba, un braccio, sette o otto costole del N. , e di concludere questa esibizione di ferocia disumana con una specifica e mirata utilizzazione del fuoco contro un uomo, ritenuto avversario politico (lo porti al colle di Covignano, nudo...una tanica di benzina addosso...con l'accendino, poi gli dici...).
La tesi difensiva, secondo cui il porto del materiale infiammabile non aveva fini incendiari in danno dei locali del laboratorio PAZ, ma altri fini puramente di lavoro, o dimostrativi o di mero danneggiamento), è logicamente smentita non solo dalla non occasionale presenza delle taniche in due delle auto, senza altra finalità che quella desumibile da tutto l'altro armamentario in possesso degli stessi conducenti, diretti al suddetto laboratorio, ma anche dalla constatazione che il Co. ha manifestato una disumana propensione a instaurare rapporti incendiari, con l'ausilio di un accendino acceso impugnato dinanzi a quest'ultimo, nudo e cosparso di benzina.
5. Il riferimento a questo aspetto della condotta del Co. , introduce il tema della sussistenza del tentativo del reato di sequestro di persona in danno del custode N.V. . Nella conversazione intercettata il 17.9.07 nell'abitazione del B. , i presenti si soffermano sul custode e sul trattamento da riservargli (previa minaccia e/o lesione della sua incolumità, legarlo, imbavagliarlo mani e bocca e lasciarlo in qualche posto, all'interno o all'esterno dello stabile, con l'ultima variante proposta dal Co. ), al fine di privarlo totalmente della sua libertà fisica, intesa come possibilità di movimento, secondo la sua libera scelta. Che non si sia trattato di generici intendimenti criminosi, lontani dalla fase esecutiva di questa specifica fattispecie criminosa, risulta incontestabilmente dimostrato dall'accertato possesso, nella notte tra il (omissis) , di nastro per confezionare pacchi, di nastro isolante, di una corda di 7 metri. La cura con cui è stata programmata questa azione criminosa e gli strumenti a tal fine predisposti, escludono che sia configurabile una mera modalità bracciata in maniera generica ed estemporanea dagli imputati, in relazione all'esecuzione dell'altro reato.
6. Sono condivisibili le argomentazioni di critica al riconoscimento dell'aggravante dell'eversione dell'ordine democratico, alle quali vanno aggiunte le seguenti osservazioni. La sentenza di primo grado dimostra di aderire all'orientamento interpretativo, secondo cui l'aggravante dell'eversione dell'ordine democratico ricorre se il fine perseguito dall'agente è quello di rovesciare il sistema democratico, di impedire il normale funzionamento delle strutture dello Stato, di sovvertire i principi fondamentali che governano le istituzioni e i rapporti tra i consociati. Dal tenore complessivo delle conversazioni registrate - unico elemento su cui valutare i motivi e lo scopo che spinsero gli imputati all'azione- il GUP ha tratto il convincimento che gli imputati, anche se convinti che il ricorso alla violenza sia il metodo per risolvere i contrasti con gli avversari politici e per ottenere visibilità pubblica, non erano stati in grado - tenuto anche conto del loro scarso bagaglio di cultura politica - di destabilizzare i pubblici poteri o di minare le regole comuni di civile convivenza.
La corte di appello critica questa interpretazione dei fatti. in quanto ha considerato che gli odierni imputati, con la loro azione, si erano prefissati un duplice obiettivo politico:
a) neutralizzare gli avversari, 'mettendo a ferro e a fuoco 'la loro sede;
b) proporsi sulla scena politica e mediatica come soggetti politici capaci di superare, in efficienza e capacità, la stessa autorità politica dell'ente pubblico territoriale, 'indicato come imbelle ed incapace di reagire anche ad atti illegali, come era stata ritenuta l'occupazione della ex scuola'. Oltre che 'rispondere alle 'insoddisfazioni' del cittadino Bo. , molestato dalla rumorosità della sinistra, gli imputati avevano 'la volontà di proporsi, agli occhi della opinione pubblica, come entità in grado di sostituire le istituzioni...nel perseguimento della legalità, delegittimandole'. L'assalto al laboratorio P.A.Z. aveva quindi la funzione di deviare dai principi costituzionali vigenti, in merito alla espressione delle istanze politiche con il metodo del confronto e non con quello dell'annichilimento dell'avversario e, in merito alla difesa dell'operato delle istituzioni, da attacchi competitivi compiuti con l'esercizio della forza bruta. Volevano dimostrare alla popolazione la valenza della violenza del gruppo in concorrenza con l'autorità amministrativa, rea di lassismo e bollata come incapace di risolvere i problemi della cosa pubblica e incapace di assecondare le aspettative di legalità dei cittadini.
Queste argomentazioni non sono condivisibili, perché non risultano corrispondere alla realtà politica e culturale dell'odierna società italiana e alla sussistenza di reali fattori di destabilizzazione. Va preliminarmente osservato che il significato della nozione di finalità di 'eversione dell'ordine democratico' è da ritenere concettualmente e giuridicamente riferita, grazie all'interpretazione autentica indicata dall'art. 11 della legge 29.5.1982 n. 304, all'ordinamento costituzionale. Tale finalità è quindi soggettivamente da identificarsi 'nel fine più diretto di sovvertire l'ordinamento costituzionale e di travolgere in definitiva l'assetto democratico e pluralistico dello Stato, disarticolandone le strutture impedendone il funzionamento e deviando i principi che costituiscono l'essenza dell'ordinamento costituzionale' (sez. 1, 30.10.1986, in Cass. pen. 1988, p.624, n.566). Nel momento in cui il giudice di merito - ponendosi nel suo naturale ruolo di storico - affronta questa analisi di fatti e antefatti, non può non tener conto che l'attuale ordinamento costituzionale si è formato non come casuale sedimentazione di regole e prassi, in continuità con la situazione antecedente, non come eredità del passato, ma come effetto del rifiuto della cultura fascista e delle sue articolazioni politiche ed istituzionali, che hanno oppresso e umiliato il Paese nel noto ventennio. Questo rifiuto della dittatura fascista è stato voluto e gestito dal movimento di opposizione democratica e antifascista, che ha resistito e combattuto dal 1922, sacrificando vite e libertà di donne e uomini, per poi sfociare nella ribellione del 1943, nell'Assemblea Costituente del 1946 e, infine, nella Carta Costituzionale del 1948. Il vigente ordinamento costituzionale costituisce un patrimonio prezioso della nostra civiltà, della nostra evoluzione storica, politica e culturale, le cui radici sono scolpite, prima ancora che nello Statuto Albertino, nella cultura giuridica, risalente al pensiero dell'Illuminismo.
Questo nucleo intangibile dell'intero sistema giuridico della Repubblica italiana è costituito dalla Carta fondamentale, in cui sono sanciti i diritti inviolabili del cittadino e la pluralità di strutture, centrali e decentrate, attraverso cui si articola il metodo democratico. Questi principi, secondo una consolidata corrente di pensiero, non possono essere oggetto di revisione costituzionale (Cass. Sez. 6, n. 2310 del 2.11.2005, rv 233113), perché sono penetrati, nel corso degli ultimi secoli del passato millennio, nel codice genetico della Repubblica Italiana.
Di conseguenza, il significato di 'eversione dell'ordine democratico' non può identificarsi nel concetto di una qualsiasi 'azione politica violenta', non potendo rappresentare sostanzialmente un'endiadi della finalità di terrorismo, ma si identifica necessariamente nel sovvertimento del basilare assetto istituzionale e nello sconvolgimento del suo funzionamento, ovvero nell'uso di ogni mezzo di lotta politica - caratterizzato o meno dall'uso della tradizionale violenza cruenta - che sia in grado di rovesciare, destabilizzando i pubblici poteri e minando le comuni regole di civile convivenza, sul piano strutturale e funzionale, il sistema democratico previsto dalla Carta Costituzionale. 'In sostanza, ogni azione violenta o non violenta, che mira a ledere tali principi è finalizzata all'eversione dell'ordine democratico... '(sez. 6 cit.).
Secondo questo orientamento interpretativo - inizialmente indicato della dottrina e fatto proprio dalla giurisprudenza (sez. 1, n. 1753 del 21.10.1983, Filippi) - la questione della interpretazione della natura dell'aggravante viene preliminarmente impostata in termini di soggettività, di sfera psichica del soggetto agente, che ha identificato questa finalità come rappresentazione di un risultato che si è proposto di conseguire. Questa impostazione rende la norma in esame una disposizione di chiusura, che assicura la tutela dell'ordine costituzionale da aggressioni poste in essere con qualsiasi reato.
Va fatta, però, la seguente precisazione: la possibilità di attrarre nell'ambito del delitto politico, con lo specifico aggravamento della punizione di cui alla citata norma di legge, qualsiasi trasgressione, posta in essere dal soggetto agente con la rappresentazione eversiva, può condurre ad un'indiscriminata estensione della severità dello Stato non solo a fatti che determinano un pericolo concreto per la sicurezza delle istituzioni, ma anche comportamenti che, dal punto di vista oggettivo si presentano razionalmente di scarso significato e di inconsistente forza destabilizzante per la polis e quindi, razionalmente, non meritevoli di aggravamento di pena.
È stato quindi osservato che la finalizzazione dell'azione verso l'obiettivo eversivo - integratrice della circostanza aggravante, indipendentemente dalla realizzazione dell'obiettivo medesimo - deve però essere accompagnata dall'ulteriore condizione che lo scopo eversivo sia perseguito con mezzi oggettivamente idonei a mettere in pericolo la vita della democrazia, di ledere l'effettiva vigenza dei suoi principi (sez. 6 cit; sez. 1, n. 556 del 28.1.1994, rv. 196826; sez. 1, n. 11949 del 5.11.1987, rv 177128-; v. in tal senso l'interpretazione da a sez. 6, 15.2.1983, rv 159115, in Cass. pen. 1984, p. 1400, n. 937).
Viene quindi correttamente applicato da queste decisioni il principio di offensività (o di necessaria lesività). Tale principio comporta che la incriminazione di un fatto e/o la sua più grave punizione sono giustificate solo se risulti oggettivamente offeso (espressione comprensiva sia della lesione che della messa in pericolo) la specifico bene di rilevanza costituzionale previsto dalla norma. La costituzionalizzazione di questo principio (v. sentenze del giudice delle leggi n. 360/1995 e 265/2005) si collega alla concezione materiale o realistica del reato: tale concezione, riconoscendo il reato come fatto conforme al modello legale e lesivo dell'interesse tutelato, in caso di scissione tra tipicità e offensività, disconosce rilevanza penale al fatto - tipico ma non offensivo - accertato dal giudice.
Non va inoltre sottovalutata la rilevanza della Costituzione non solo come limite ma anche come base giustificativa, sotto il profilo della ragionevolezza, dell'intervento punitivo dello Stato, nonché del suo spessore. Ogni scelta di politica criminale che voglia rispettare il principio di uguaglianza/ragionevolezza (art. 3 Cost.) è condizionata dall'esito positivo del vaglio sul razionale bilanciamento dei beni/interessi contrapposti o la proporzione tra mezzi approntati e il fine asseritamente perseguito. Il principio di ragionevolezza è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale come altro limite per il diritto penale (tra le altre, v. sentenza della Corte costituzionale n. 364/1988).
7. Nel caso in esame, il presupposto fondamentale di legittimazione della scelta di infliggere razionalmente la sanzione più severa è quindi, al di là dell'avvenuto accertamento della responsabilità degli imputati i n ordine ai gravi fatti di cui ai capi di imputazione, la dimostrazione che tali fatti siano stati oggettivamente idonei a porre in pericolo le caratteristiche di fondo delle strutture democratiche del Paese, sia pure nella loro articolazione decentrata dell'amministrazione comunale.
Va ribadito che i fatti ricostruiti conformemente dai giudici di merito sono inquadragli nella complessiva predisposizione di un'azione punitiva dalla indiscutibili radici risalenti al ventennio 1922-1945, sia pure attualizzate ai giorni nostri, con l'impiego di moderne strumentazioni) che risulta diretta contro molteplici bersagli: i componenti del 'Laboratorio Sociale P.A.Z.', appartenenti a uno schieramento politico e culturale antagonista, rei di occupare abusivamente un immobile di proprietà del comune di Rimini e, in più, di arrecare disturbo ad uno dei componenti della squadra; l'amministrazione comunale, rea, inizialmente, di avere per troppo tempo sopportato l'abuso e, attualmente, di provvedere con troppa lentezza a ripristinare la legalità (paradossalmente invocata da cittadini del tipo dei ricorrenti). Secondo la corte territoriale, questa condotta trasgressiva caratterizzata dalla violenza, posta in essere in un quadro politico e ideologico, in alternativa alla pacifica dialettica della nostra democrazia, ha un contenuto di eversione nel suo significato etimologico di deviazione, di spinta dei processi politici dalla fisiologia del confronto alla patologia dello scontro fisico e della intimidazione, della neutralizzazione per vie di fatto degli avversari. Questa condotta violenta è vista dalla corte di appello come diretta a porsi in concorrenza, a presentarsi ai cittadini come via alternativa rispetto alla via democratica, alla forza della ragione, al confronto delle idee tra tutti i diversi e divergenti schieramenti (economici, politici, culturali, etnici, religiosi) operanti nella società. Da questa premessa, il giudice di appello trae la conclusione sulla sussistenza dell'aggravante della finalità di eversione dell'ordine democratico, ex art. 1 L. 15/1980.
Questa tesi è però sostenuta dalla corte di appello senza procedere alla complessiva analisi di tutti i suindicati presupposti, previsti dalla Costituzione e dalla legge ordinaria, nonché alla razionale valutazione di tutti gli elementi di fatto.
Manca la dimostrazione, sul piano fattuale e sul piano logico, che l'aumento della pena sia giustificato da uno scopo eversivo strutturato con mezzi obiettivamente idonei a mettere in pericolo la democrazia, a ledere l'effettiva vigenza dei suoi principi intangibili in tutto il territorio e per tutti i cittadini dello Stato. La corte territoriale non è stata in grado di verificare e dimostrare che le violente condotte da eseguire nei locali della ex scuola di Rimini - direttamente, contro i componenti del laboratorio culturalmente avverso, e indirettamente, contro l'ente comunale - siano state oggettivamente idonee a disarticolare la vita democratica del nostro paese, a mettere a repentaglio i diritti di tutti i cittadini, così come scolpiti dalla Carta Costituzionale. Ai comportamenti degli imputati - finalizzati a punire l'amministrazione comunale per carente e tardivo impiego dei suoi mezzi coercitivi costituendosi ad essa con azioni violente dirette in prima persona su avversari politici - viene riconosciuta un'indimostrata potenzialità disgregatrice di tutto l'apparato istituzionale - statale e comunale - operante in quella parte del territorio e di lì capace di estendersi a tutto il territorio nazionale. Manca la dimostrazione che il patrimonio prezioso della nostra civiltà, della nostra evoluzione storica, costituito da quei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile dell'intero sistema giuridico della Repubblica italiana, sia stato offeso (sia stato oggetto di lesione o di messa in pericolo) dalle condotte criminose preordinate e approntate dagli imputati, fino alla notte compresa tra il (omissis) . Manca la dimostrazione che la funzionalità delle nostre istituzioni democratiche decentrate sia risultata depotenziata, inquinata dall'impresa qui ricostruita.
Né i cittadini del territorio della Romagna sono risultati destinatali di una spinta idonea a indurli a compiere, nel campo politico, il passaggio dalla fisiologia del confronto delle idee alla patologia dello scontro fisico, dalla dialettica democratica alla riedizione dello squadrismo fascista. La storia, la cronaca, la cultura di questa parte del Nord Italia, dimostrano, anzi, che qui ben si ricorda e ben si rifiuta la regressione al fascismo. Non può aprioristicamente escludersi che, colpendo un'articolazione periferica di democrazia rappresentativa, possa determinarsi, sul piano locale, una destabilizzazione politica, una delegittimazione della ragione, della tolleranza, della dignità umana, di tale forza invasiva da disarticolare strutture e principi, costituenti l'essenza dell'ordinamento costituzionale. Nel caso in esame, manca però l'esplicitazione della forza eversiva dell'impresa impostata dal B. e dai suoi correi, secondo i moduli di Forza Nuova. In assenza di questa specifica enunciazione, la sentenza della corte di appello va annullata limitatamente alla ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'eversione dell'ordinamento costituzionale, ex art. 1 d.l. 625/197979, convertito in l. 15/1980, che va eliminata.
8. Le altre censure sul trattamento sanzionatorio, formulate da Co. sono manifestamente infondate.
Alla luce della precisa ricostruzione della sua posizione propositiva di molteplice e contestuale aggressione ai beni dell'ente territoriale e alle persone inquadrate come avversari politici, gli è stato correttamente riconosciuto da entrambe le sentenze un ruolo di trascinatore e di propulsore, proiettato verso la massima lesione dei beni giudici, in piena sintonia con la cultura e con il grado di civiltà di quel gruppo di aderenti - a prescindere da formale tesseramento - alle idee di ispirazione fascista. Con altrettanta chiarezza e con piena coerenza, la corte ha escluso il riconoscimento dell'attenuante ex art. 114 c.p., a fronte della accertata assenza di apporti concorsuali minimi dei partecipanti: la loro presenza, compattata dalla comune ideologia, ha costituito, di per sé, l'incentivo a formulare e a predisporre il criminoso programma della spedizione punitiva. Quanto al mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento dei danni, è incensurabile l'argomentazione della corte di merito, secondo cui l'indisponibilità delle persone offese a ricevere le somme offerte o a svolgere una trattativa sul punto, avrebbe dovuto indurre gli imputati a procedere, nelle forme di legge, a effettuare un'offerta reale, perfezionata, con effetto liberatorio per il debitore, al momento del deposito della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti o presso un istituto bancario.
La corte ha correttamente rilevato che al primo giudice sono state sottoposte documentazione di offerte irrituali e per di più non distinte per ciascuna persona offesa dal p.v. dell'udienza 15.4.08 risulta che l'offerta riguardava solo le persone giuridiche e non il N. .
Le altre censure sulla quantificazione della pena, presentano identica, se non addirittura, maggiore inconsistenza, atteso l'insindacabile esercizio del potere discrezionale, da parte dei giudici di merito, che è sfociato in un livello sanzionatorio, estremamente mite, a fronte della ricostruzione e della valutazione di fatti di alta gravità. La sussistenza delle aggravanti è stata inoltre affermata dalla corte di merito con argomentazioni pienamente adeguate alla loro palmare evidenza e alla totale inconsistenza delle censure formulate dalle difese. Inoltre il giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche è stato sufficientemente giustificato dalla corte di appello, mediante il richiamo alla fragilità delle ragioni poste dal primo giudice a base del loro riconoscimento, nonché mediante la constatazione del superiore spessore, quantitativo e qualitativo - comunque permanente - delle accertate aggravanti.
Le censure sulle statuizioni civili di Co. e B. sono dirette su argomentazioni dei giudici di merito assolutamente insindacabili in sede di giudizio di legittimità.
La legittimazione del comune di Rimini a inserire il giudizio civile nel processo penale deriva in maniera evidente e incontestabile, non solo dalla potenzialità lesiva, sul piano patrimoniale, delle mire incendiarie degli imputati, ma anche dal discredito derivante dall'atto programmato dagli imputati medesimi, diretto a dimostrare, con espedienti del non rinnegato Ventennio, a) l'incapacità dell'ente di democrazia rappresentativa di tutelare il proprio patrimonio e di consentire ai cittadini la piena e sicura utilizzabilità degli spazi pubblici; b) la capacità degli imputati di sovvertire, con la brutale violenza, il legale percorso ablativo predisposto dal comune medesimo; c) la superiorità operativa ed educativa della pratica della violenza, rispetto alle legali procedure di autotutela amministrativa.
L'associazione 'No Border', soggetto politico, ha subito ugualmente il discredito derivante dal disconoscimento, per scopi non degni in un ordinamento giuridico e culturale aspirato dai principi dell'uguaglianza, del pluralismo e della tolleranza, il ruolo e la funzione di contribuire allo sviluppo culturale e civile dei cittadini.
A tutti i soggetti danneggiati non può essere negato sostanzialmente il diritto a rifiutare il risarcimento eventualmente offerto in sede extragiudiziale, per entità o modalità dell'offerta attraverso l'interpretazione di questo comportamento come preclusivo all'esercizio della relativa azione in giudizio.
Alla luce della eliminazione dell'aggravante della sovversione dell'ordine democratico, si rende necessario l'ulteriore annullamento della sentenza, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Bologna, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio e per le eventuali modifiche delle statuizioni civili, derivanti in maniera diretta dall'esclusione dell'aggravante. Nessuna modifica è invece ammissibile alle statuizioni civili, in relazione al risarcimento dei danni in favore delle parti civili No Border e N.V. , avvenuto successivamente alla pronuncia della sentenza della corte di appello, risarcimento che potrà avere rilevanza in sede di giudizio civile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 1 d.l. 625/79, convertito in legge n. 15/80, che elimina; annulla con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Bologna la predetta sentenza per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio ed eventuali statuizioni civili. Rigetta nel resto i ricorsi.
05-07-2012 00:00
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