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Sentenza

Dirigente licenziato: licenziamento illegittimo se non vengono rispettate le garanzie di difesa
Dirigente licenziato: licenziamento illegittimo se non vengono rispettate le garanzie di difesa
Corte di Cassazione Sez. Lavoro - Sent. del 27.12.2011, n. 28967

Svolgimento del processo

Con sentenza 21.4.- 2.5.06 la Corte d'Appello di Firenze rigettava il gravame interposto da L. M. B. contro la sentenza del Tribunale di Siena che ne aveva respinto l'impugnativa del licenziamento intimatogli il 19.5.98 dalla (…) S.r.l.

Statuivano i giudici del merito che, ricoprendo il B la posizione di dirigente apicale della società, non gli si applicavano le garanzie procedimentali di cui all'art. 7 legge n. 300/70 e che il licenziamento era stato legittimamente intimato per il venir meno del necessario rapporto di fiducia con la società.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il B. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 C.p.C.

Resiste con controricorso la S.r.l (…)

Motivi della decisione

1- Con il primo motivo si prospetta violazione dell'art. 7 legge n. 300/70 e falsa applicazione degli artt. 10 legge n. 604/66 e 2118 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso l'applicabilità delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7 cit. nei confronti dei dirigenti apicali, in subordine prospettando questione di illegittimità costituzionale delle disposizioni in esame per violazione degli articoli 3 e 35 Cost.

Con il secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 2095 c.c. e dell'art. 1 CCNL per i dirigenti di aziende alberghiere del 3.7.95, laddove l'impugnata sentenza ha riconosciuto in capo al B. la figura di dirigente apicale solo per l'ampiezza dei suoi poteri, omettendo di considerare anche le dimensioni e l'importanza del ramo di azienda cui egli era preposto.

Con il terzo motivo si deduce ulteriore violazione dell'art. 2095 c.c. e dell'art. 1 CCNL per i dirigenti di aziende alberghiere del 3.7.95, per avere la Corte territoriale desunto l'autonomia dirigenziale del B. dall'ampiezza delle deleghe ricevute, senza accertarne il concreto atteggiarsi nello svolgimento del rapporto.

Con il quarto motivo ci si duole di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo l'impugnata sentenza trascurato documenti e risultanze testimoniai i da cui emergeva che l'operato del B. era sottoposto a una supervisione continuativa e penetrante da parte della società.

Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione nella parte in cui la Corte fiorentina ha riconosciuto il carattere giustificato del licenziamento nell'avere ripetutamente il B. comunicato ai vertici aziendali presenza di clientela in albergo secondo dati non veritieri, trattandosi di presunta infedeltà che sarebbe stata facilmente svelata dal confronto con i dati relativi agli incassi.

2- Il primo motivo è fondato.

Con sentenza_7880_2007 le S.U. di questa S.C. hanno statuito che le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, commi 2° e 3°, legge n. 300/70 devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente anche a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa (da ultimo, nello stesso senso, v. Cass. Sez. Lav. 17.1.2011 n. 897), sia quando il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole) sia se a base del recesso siano poste condotte tali da recidere il necessario vincolo fiduciario.

In tal modo le S.U. hanno ribaltato il proprio precedente orientamento espresso dalla sentenza 29.5.95 n. 6041, nella parte in cui aveva escluso che gli obblighi della preventiva contestazione e dell'attribuzione di un termine a difesa, previsti dall'art. 7 legge n. 300/70, riguardassero il licenziamento del dirigente “apicale” di aziende industriali, cioè del prestatore di lavoro che, collocato al vertice dell'organizzazione aziendale, svolga mansioni tali da caratterizzare la vita dell'azienda con scelte di respiro globale e con rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro dal quale si limiti a ricevere direttive di carattere generale, per il resto operando come vero e proprio alter ego dell'imprenditore.

Di ciò consapevole, all'odierna discussione la difesa della società controricorrrente ha ventilato l'applicabilità della precedente giurisprudenza di questa S.C., sostanzialmente prospettando un'applicazione non retroattiva del mutato orientamento espresso dalla cit. sentenza n. 7880/07 e, quindi, invocando una cd. prospective overruling.

L'assunto non è accoglibile.

Come di recente statuito da Cass. S.U. 11.7.2011 n. 15144, la cd. prospective overruling, vale a dire l'applicazione solo per il futuro - e non anche riguardo alle situazioni già sorte - del mutamento della propria precedente interpretazione da parte del giudice della nomofilachia, si applica solo in caso di mutamento dell'interpretazione di norma processuale che importi, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, nel senso di rendere irrituale l'atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all'orientamento precedente.

Nel caso in esame, invece, l'inversione giurisprudenziale ha avuto ad oggetto una norma di natura pur sempre sostanziale quale l'art. 7 legge n. 300/70, indifferente al tenore della cit. sentenza n. 15144/11.

In quest'ultima, la motivazione delle S.U. consta essenzialmente di due snodi argomentati vi: nel primo, premesso che all' origine di una cd. overruling può esservi un'interpretazione evolutiva o una “correttiva”, esamina l'astratta possibilità di configurare forme di ufficiale vincolatività (orizzontale e verticale) dei propri precedenti, per poi pervenire ad una risposta negativa che conferma l'esclusione della giurisprudenza come fonte del diritto in senso proprio; nel secondo, introduce specificamente la praticabilità di una prospective overruling inerente ad una regola processuale, quando il mutamento di giurisprudenza su di essa sia duplicemente connotato dall'imprevedibilità (per il carattere consolidatosi nel tempo, del pregresso indirizzo) e da un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte che sulla stabilità del precedente abbia ragionevolmente fatto affidamento.

Ciò viene ammesso solo in virtù del superiore valore del giusto processo, la cui portata - come precisato da Cass. Sez. II n. 14627/2010 - non si esaurisce in una mera sommatoria delle garanzie strutturali formalmente enumerate nel secondo comma dell' art. 111 Cost. (contraddittorio, parità delle parti, giudice terzo ed imparziale, durata ragionevole di ogni processo), ma rappresenta una sintesi qualitativa di esse (nel loro coordinamento reciproco e nel collegamento con le garanzie del diritto di azione e di difesa), la quale risente anche dell'effetto espansivo dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo (cfr. Corte Cost., sentenza n. 317 del 2009, punto 8 del Considerato in diritto).

Come ben si vede, i citati parametri normativi restano estranei al caso in esame, non potendo si equiparare a regola processuale le garanzie di cui all'art. 7 legge n. 300/70, finalizzate non già all'esercizio d'un diritto di azione o di difesa del datore di lavoro, ma alla possibilità di far valere all'interno del rapporto sostanziale una giusta causa o un giustificato motivo di recesso (che, altrimenti, resterebbe ingiustificato: cfr., ex aliis, Cass. 7.7.04 n. 12526).

In conclusione, i presupposti prescritti dalla cit. Cass. n. 15144/2011 affinché il nuovo orientamento non sia “retroattivo” (come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali), ovvero affinché si possa parlare di prospective overruling, presupposti che devono concorrere in via cumulativa fra loro, sono:

a) che si verta in materia di mutamento di giurisprudenza su una regola del processo;

b) che tale mutamento sia stato imprevedibile a cagione del carattere lungamente consolidatosi nel tempo del pregresso indirizzo, tale - cioè - da indurre la parte ad un ragionevole affidamento su di esso;

c) che l'overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte.

Come ben può constatarsi, certamente nel caso in esame non ricorrono quanto meno i presupposti che precedono sub a) e sub c).

3- L'accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe l'esame delle restanti censure e determina la cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte
accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione.
Depositata in Cancelleria il 27.12.2011
Avv. Antonino Sugamele

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