Costituzione in appello con la velina.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - SENTENZA 8 maggio 2012, n.6912 - Pres. Uccella – est. Frasca
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce 'violazione e falsa applicazione degli artt. 165 e 347 c.p.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c'.
Sulla premessa che l'iscrizione a ruolo era avvenuta tramite deposito di velina conforme all'originale “in quanto l'atto passato per la notifica agli ufficiali giudiziali non era stato restituito nei termini” e che, tuttavia, si era provveduto al deposito dell'originale una volta restituito, si critica la sentenza impugnata per avere essa ritenuto che debba escludersi la decorrenza del termine di costituzione di cui all'art. 165 c.p.c. dal momento in cui venga restituito l'originale dell'atto di appello notificato, perché tale interpretazione determinerebbe una situazione di assoluta incertezza “per l'impossibilità di controllo da parte del giudice - non essendo accettabile, in difetto di specifica previsione normativa, il momento della conoscenza o conoscibilità dell'avvenuta notifica”.
p.2. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata mostra di conoscere la giurisprudenza di questa Corte sul raccordo della previsione di cui all'art. 165 c.p.c. con quella di cui all'art. 347, primo comma, perché, dopo avere evocato Cass. nn. 17958 del 2007 e Cass. 13163 del 2007 sul decorso del termine per la costituzione dalla prima notificazione nel caso di pluralità di convenuti di appello, cita espressamene Cass. n. 17666 del 2009 e n. 23027 del 2004, riportandone il principio di diritto. Di seguito, però, osserva - per giustificare il rifiuto di applicare alla vicenda di cui è processo tali precedenti - che “nel caso di specie, tuttavia, il G. non ha depositato all'atto della costituzione una copia dell'atto notificato ma una mera velina dell'atto di appello in corso di notifica”.
In tal modo la sentenza impugnata sembra ipotizzare che, quando i cennati precedenti si riferiscono al deposito di “una copia dell'atto notificato” vogliano alludere ad una copia della citazione recante la relata di notifica.
Ma tale implicito assunto è privo di fondamento, volta che si rilevi che l'art. 148 (e non diversamente fa l'art. 3, primo comma, della l. n. 890 del 1982 a proposito della notificazione a mezzo posta), nel parlare di relazione di notificazione sull'atto distingue fra l'originale e la copia da consegnarsi alla parte cui la notificazione è destinata, per cui è palese che il notificante che iscrive a ruolo la causa prima che l'ufficiale giudiziario gli abbia restituito l'originale non può - per la contradizion che no'l consente - depositare una copia con la relata e ciò per l'assorbente ragione che essa è quella rimessa all'ufficiale giudiziario per la consegna al destinatario. Ciò che può depositare è semmai una copia della citazione, recante uno schema non riempito e, quindi, in bianco, della relata, aggiunto a mani o con mezzi meccanici in calce all'originale, per tale ragione identico a quello presente sull'originale e sulla copia consegnata per la notifica, e predisposto per essere riempito dall'ufficiale giudiziario, cui in alternativa competerebbe di scrivere la relazione o di apporta sull'atto (cioè su originale e copia da consegnarsi al destinatario) con altro mezzo.
p.2.1. Detta copia, però, è una 'velina' non diversamente da una copia non recante il detto schema. E ciò perché quest'ultimo, quando c'è, non è riempito del suo contenuto.
I precedenti citati, allora, quando alludono alla copia dell'atto notificato non intendono certamente riferirsi ad una copia recante la relata riempita dei suoi contenuti, ma ad una copia dell'atto conforme all'originale ed alla copia consegnata al destinatario. Intendono cioè sottolineare l'identità della copia dell'atto utilizzata per l'iscrizione all'uno ed all'altra.
Ne consegue che del tutto erroneamente la sentenza impugnata ha considerato non pertinenti i precedenti sopra ricordati perché era stata depositata una velina.
p.2.2. Peraltro, la sentenza impugnata sembra evocare - pur senza citarlo - un precedente di questa Corte, cioè Cass. n. 17009 del 2008 (seguito, poi, da Cass. n. 10 del 2010 e non posto in discussione, come si vede in motivazione, da Cass. n. 17666 del 2009, che anzi mostra di condividerlo, là dove sottolinea che nel caso di cui era investita la copia recava la relata, così mostrando anch'essa di non considerare quanto sopra rilevato circa l'impossibilità che la copia possa recare la relata, cioè una relata riempita di contenuto e, quindi, effettivamente tale), il quale risulta avere così statuito: “Il deposito dell'atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all'atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l'improcedibilità del gravame ex art. 348 cod. proc. civ., essendo privo di effetti sananti l'eventuale deposito tardivo dell'atto notificato in prima udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla legge”.
Questo precedente, effettivamente si trovò ad esaminare un caso nel quale la costituzione dell'appellante era avvenuta mediante deposito di una copia della citazione non recante alcuna notifica e, peraltro, (per come risulta dall'esposizione della motivazione) dopo una notificazione effettuata ad una delle due parti appellate, mentre solo la notificazione all'altra era avvenuta successivamente a quella costituzione (tempestiva rispetto alla prima notificazione).
Nel caso di specie, non si configurava alcuna difformità fra la copia depositata senza alcuna relata di notificazione (ed è da credere senza alcuno schema di relata di notificazione) e la citazione effettivamente notificata.
La dichiarazione di improcedibilità cui pervenne la citata decisione venne giustificata sulla base delle seguenti considerazioni, che muovono dalla premessa della diversità della situazione rispetto alla costituzione in primo grado, nel quale è possibile la costituzione tardiva ai sensi dell'art. 171 c.p.c.: “Discorso diverso merita invece la stessa fattispecie se riferita al giudizio di appello, la cui disciplina, in tema di costituzione in giudizio dell'appellante, per ragioni contrapposte rispetto al giudizio di primo grado, è ispirata a particolare rigore, colpendo con la sanzione della improcedibilità dell'atto di impugnazione la mancata costituzione in giudizio dell'appellante nel termine previsto. La sanzione della improcedibilità, in particolare, sta ad esprimere una valutazione legale in ordine alla necessità di un adempimento - la costituzione in giudizio entro il termine - che il giudice è chiamato ad accertare d'ufficio al fine poter dare seguito e sviluppo al procedimento. La perentorietà del termine di costituzione in appello e la sua rilevabilità d'ufficio in caso di inosservanza stanno d'altra parte a segnalare l'impossibilità di sanare ovvero di considerare mere irregolarità, suscettibili corte) tali di successiva regolarizzazione, imperfezioni e mancanze della costituzione in giudizio dell'appellante tali da impedire l'accertamento della validità ed efficacia dello stesso atto di impugnazione. Questa è la situazione che si riscontra nel caso, come quello di specie, in cui nel costituirsi in giudizio l'appellante depositati un atto di citazione in appello non notificato alla controparte. L'improcedibilità dell'atto di impugnazione discende pertanto direttamente dalla legge: premesso che la costituzione in giudizio implica l'onere di depositare l'atto di citazione notificato e che essa deve avvenire entro il termine di dieci giorni dalla notifica, ne deriva che anche l'atto di citazione notificato, a pena di improcedibilità, deve essere depositato entro e non oltre tale termine. A conferma di tale conclusioni militano anche altri argomenti sistematici. Può così osservarsi che la previsione che demanda al giudice di accertare se la costituzione dell'appellante sia avvenuta entro il termine, imponendogli di adottare, in caso di inosservanza, una pronuncia di improcedibilità, non può non venire estesa anche alla verifica, quale premessa logica e giuridica, della stessa regolarità della costituzione in giudizio o, quanto meno, della circostanza che l'impugnazione sia stata effettivamente proposta, sicché se il giudice non è posto in grado di compiere tale risconto, l'atto di impugnazione va dichiarato ugualmente improcedibile. Non si vede, infatti, come possa ritenersi superabile una condizione di procedibilità attinente alla tempestività della costituzione dell'attore nel giudizio di appello nei casi in cui l'inosservanza riscontrata incida, precludendola, sulla possibilità per il giudicante di verificare la stessa instaurazione del giudizio di secondo grado. Non v'è dubbio, al riguardo, che l'onere di costituzione dell'appellante, imponendo il deposito dell'atto di citazione in appello notificato alta controparte, sia finalizzato anche al preliminare riscontro della effettiva proposizione della impugnazione. La costituzione in giudizio dell'appellante in questo caso è, dunque, priva del requisito necessario per il raggiungimento dello scopo cui è destinato il vaglio di procedibilità che la legge assegna al giudice dell'impugnazione”.
p.2.3. Ora, ad avviso del Collegio queste considerazioni trascurano un dato normativo, del quale, invece, è necessario farsi carico.
L'art. 348, primo comma, dopo che il primo comma dell'art. 347 c.p.c. ha prescritto che “la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale”, così attuando un sostanziale rinvio all'art. 165 c.p.c., dispone che “l'appello è dichiarato improcedibile, anche d'ufficio, se l'appellane non si costituisce in termini”. Ebbene, la sanzione di improcedibilità è ricollegata soltanto all'inosservanza del termine di costituzione e non anche all'inosservanza delle sue forme.
Ne deriva che le conseguenze della scelta del legislatore di applicare la sanzione della improcedibilità, che significano sottrazione dell'inosservanza delle forme al regime delle nullità e, quindi, esclusione dell'operatività del principio della sanatoria per l'eventuale configurabilità di una fattispecie di raggiungimento dello scopo, si giustificano soltanto per il caso di costituzione mancata entro il termine, cioè che non sia mai avvenuta, o sia avvenuta successivamente ad esso. Le conseguenze di una costituzione avvenuta nel termine ma senza l'osservanza delle forme evocate nel primo comma dell'art. 347, essendo il regime della improcedibilità, in quanto di maggior rigore rispetto al sistema generale delle nullità, di stretta interpretazione, soggiacciono, viceversa, al regime delle nullità di cui all'art. 156 ss. c.p.c. e, quindi, vanno disciplinate applicando il principio della idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo e ciò anche attraverso l'esame di atti distinti o di comportamenti successivi rispetto a quello entro il quale la costituzione doveva avvenire.
p.2.4. In questa prospettiva, premesso il rilievo che, essendo il controllo sulla procedibilità demandato alla prima udienza di trattazione - siccome previsto dal secondo comma dell'art. 350 c.p.c. non risulta conferente l'osservazione della decisione sopra ricordata che la costituzione con la copia non notificata mette il giudice nell'impossibilità di controllare la procedibilità sotto il profilo della effettiva proposizione dell'impugnazione: invero, atteso che il controllo dev'essere fatto alla detta udienza, si comprende come la constatazione solo in essa, della conformità della copia (la velina), con cui l'appellante si è costituito, all'originale che egli produca in quella udienza, consente di ritenere che lo scopo della costituzione quoad deposito dell'originale della citazione notificata, mancante al momento della costituzione, ma non prescritta a pena di improcedibilità, risulti raggiunto attraverso la constatazione che la copia è conforme all'originale.
Solo in caso di difformità dall'originale oppure in caso di mancato deposito della copia notificata senza alcuna richiesta o allegazione di ragioni giustificative di una richiesta di rinvio per produrla, emerge che la costituzione mediante il deposito della copia è priva di rispondenza con la vocatio in ius siccome espressa nella citazione notificata e risulta, quindi, che riguardo a quest'ultima nessuna costituzione tempestiva vi è stata. L'appello, per come incardinato presso il giudice d'appello risulta, pertanto, in questo caso improcedibile. Il fatto che l'improcedibilità emerga solo alla prima udienza di trattazione, essendo questo il momento in cui il relativo controllo dev'essere fatto, non contraddice del resto l'indisponibilità della sanzione da parte del giudice in essa espressa, perché il giudice ne rileva le condizioni alla prima udienza di trattazione, ma con riferimento al momento entro il quale l'adempimento previsto a pena di improcedibilità - cioè la costituzione e non le sue forme - doveva compiersi.
D'altro canto, alla prima udienza di cui al secondo comma dell'art. 350 c.p.c. (e, comunque, alla prima udienza del giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, giudice dell'appello sulle sentenze dei giudici di pace), poiché la legge prevede che il controllo della regolarità della costituzione e, quindi, delle ritualità delle sue forme, debba essere compiuto in essa, il giudice, di fronte alla mancata produzione in cancelleria nelle more fra l'iscrizione tempestiva con la velina e l'udienza oppure alla mancata produzione direttamente in udienza, potrà a questo punto, nell'esercizio dei suoi poteri di direzione del procedimento ai sensi del primo comma dell'art. 175 c.p.c. e, particolarmente del sollecito svolgimento del processo, assegnare un termine alla parte appellante a norma dell'art. 152 c.p.c., sì da scongiurare manovre dilatorie, nel quale caso al termine - in quanto ordinatorio e fissato dal giudice - sarà applicabile il regime di cui all'art. 154 c.p.c..
Questa gestione della vicenda esclude la preoccupazione che traspare tra le righe dall'orientamento degli uffici di merito che insistentemente mostra di essere contrario alla ricostruzione qui prospettata, dovendo fare i conti con il probabile fisiologico ritardo nella restituzione degli atti introduttivi notificato al foro, specie nei grandi centri urbani.
p.2.5. Le considerazioni qui svolte si sono reputate, d'altro canto, opportune perché la sentenza impugnata è l'indizio di una non chiara percezione da parte della giurisprudenza di merito dell'esegesi dell'art. 348, primo comma, c.p.c., forse dovuta al mancato approfondimento anche da parte della giurisprudenza di questa Corte dell'esatta dimensione dei termini della iscrizione a ruolo dell'appello mediante una velina in riferimento alla esistenza (o meglio alla necessaria inesistenza) su di essa di una relazione di notificazione.
La loro opportunità non deve sembrare un fuor d'opera nemmeno dopo l'arresto con cui recentemente le stesse Sezioni Unite hanno confermato incidenter che l'iscrizione a ruolo della citazione d'appello può avvenire sulla base di una velina (Cass. sez. un. n. 10864 del 2011), atteso che l'affermazione è stata fatta senza un'espressa considerazione, non necessaria, peraltro, ai tini della questione allora esaminata, della mancanza della relazione di notificazione (o meglio dello schema in bianco di essa nei sensi sopra precisati).
p.2.6. Il primo motivo è, dunque, accolto e la sentenza impugnata è cassata sul punto in cui ha dichiarato l'improcedibilità per essere stata la causa iscritta con una copia non recante alcuna relata di notificazione (o meglio, ripetesi, il suo schema).
p.3. Con il secondo motivo si deduce 'violazione e falsa applicazione degli artt. 165, 125, 182 e 83 c.p.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione alla nullità dell'atto di appello per difetto di ius postularteli in quanto all'atto della costituzione non risultava depositata la procura al difensore, rilasciata a margine dell'atto di citazione del giudizio di primo grado, con espressa estensione al giudizio di secondo grado'.
Vi si censura la sentenza impugnata là dove, nella parte finale, ha ritenuto affetto da nullità l'atto di appello perché all'atto della costituzione non era stata depositato la procura, non sussistendo alcun onere del giudice d'appello di ordinare la regolarizzazione ai sensi dell'art. 182 c.p.c..
Ancorché non lo espliciti, la sentenza impugnata è pervenuta a tale conclusione sempre sulla scorta della sua errata esegesi dell'art. 348, primo comma, c.p.c. in relazione al primo comma dell'art. 347 c.p.c., cioè considerando che, quando la prima norma prevede l'improcedibilità, non la riferisce solo all'inosservanza del termine, ma anche delle forme della costituzione. Fra esse, infatti, per il tramite del rinvio dell'art. 347, primo comma all'art. 165 c.p.c. vi è anche il deposito della procura e, dunque, in un caso nel quale lo ius postularteli in appello era stato esercitato sulla base della procura conferita con la citazione di primo grado che abilitava al ministero anche in appello, attraverso la produzione dell'originale (o della copia) della citazione di primo grado recante la procura.
Nella specie, infatti, è pacifico che il qui ricorrente non depositò al momento della costituzione la citazione di primo grado, essa venendo acquisita - come dice la stessa sentenza impugnata - solo per effetto dell'acquisizione del fascicolo d'ufficio del giudice di primo grado il 30.9.2008, evidentemente avvenuta ai sensi dell'art. 347, secondo comma, c.p.c..
p.3.1. Anche questo secondo motivo è fondato.
Questa Corte, già nel vigore del testo degli artt. 347 e 348 anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 353 del 1990 (il quale imponeva a pena di improcedibilità all'appellante di depositare il proprio fascicolo dopo essersi costituito: art. 348, secondo comma c.p.c., nel testo introdotto dalla l. n. 581 del 1950), aveva ritenuto che “Qualora la procura al difensore dell'appellante sia stata rilasciata in calce alla copia notificata della citazione di primo grado, con espressa estensione al giudizio di secondo grado, e l'atto di gravame ne faccia precisa menzione, il suo mancato inserimento nel fascicolo dell'appellante medesimo, tempestivamente presentato a norma dello art. 348 secondo comma cod.proc. civ., non comporta l'improcedibilità del gravame ove sia suscettibile di successiva regolarizzazione ex art. 182 cod. proc. civ.,su invito dell'istruttore (o su iniziativa spontanea della parte), mediante la produzione del fascicolo di primo grado contenente detta copia notificata della citazione introduttiva”. (Cass. n. 3342 del 1982).
Con riferimento a fattispecie soggetta al regime successivo alla l. n. 353 del 1990 a sua volta, senza particolari motivazioni e senza percepire il cambiamento dell'art. 348 c.p.c., il riferito precedente è stato reiterato da Cass. n. 6327 del 2006.
La sua giustificazione, nel regime attualmente vigente, si fonda sia sulla ricostruzione del significato dell'art. 348, primo comma, nel senso che sanzioni solo l'inosservanza del termine di costituzione e non delle sue forme e, quindi, delle produzioni che dovrebbero farsi a norma dell'art. 165 c.p.c, sia - qualora non risulti che la citazione di primo grado recante la procura sia contenuta nel fascicolo del giudice di primo grado doverosamente acquisito ai sensi dell'art. 347, primo comma, c.p.c. (ad esempio, perché, la parte aveva ritirato il suo fascicolo che conteneva l'atto), sul carattere altrettanto doveroso del potere del giudice di ordinare la produzione ai sensi dell'art. 182 c.p.c. (come ampiamente argomentato da Cass. n. 10123 del 2011).
La sentenza impugnata dev'essere, pertanto, cassata anche in accoglimento del secondo motivo.
p.4. La cassazione comporta il rinvio al Tribunale di Latina, perché decida, in persona di diverso magistrato addetto all'ufficio, sull'appello, considerandolo procedibile.
Al giudice del rinvio è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata a rinvia al Tribunale di Latina, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione, in persona di diverso magistrato addetto all'ufficio.
15-05-2012 00:00
Richiedi una Consulenza