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Sentenza

Bancarotta. Amministrazione di fatto e di diritto. Responsabilita'.
Bancarotta. Amministrazione di fatto e di diritto. Responsabilita'.
Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. - Sent. del 07.05.2012, n. 16942

Presidente Grassi - Relatore Bruno

Motivi della decisione

1. - Il primo motivo d'impugnazione denuncia vizio di motivazione, a mente dell'art. 606 lett. e) c.p.p., in riferimento alla ritenuta responsabilità del C. per i reati in contestazione, acriticamente affermata solo in ragione della carica di amministratore a lui assegnata, nonostante non fosse emerso alcunché a suo carico ed il vero dominus della gestione societaria fosse il coimputato P.
Il secondo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in riferimento all'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e, in subordine, difetto di motivazione al riguardo, ai sensi dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. Il terzo motivo eccepisce erronea applicazione della norma penale relativa alla circostanza aggravante del numero delle persone di cui all'art. 112 n. 1 c.p. e, in subordine, difetto di motivazione in proposito, ai sensi dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.. Il quarto motivo deduce manifesta illogicità di motivazione in relazione all'esclusione della prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata nonché difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
2. - Per quanto concerne la prima censura giova premettere che, secondo consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l'amministratore di diritto risponde penalmente dei reati commessi dall'amministratore di fatto, sia se abbia agito di comune accordo con lui, sia in virtù dei principi generali che regolano la responsabilità penale. Da un canto, infatti, l'art. 40, secondo comma c.p. stabilisce che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, dall'altro è obbligo degli amministratori vigilare sul generale andamento della gestione, nonché fare quanto in loro potere per impedire il compimento di atti pregiudizievoli, ovvero eliminarne od attenuarne le conseguenze dannose (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 5, 27.5.1996, n, 580, rv. 205058; id. sez. 5, 9.2.2010, n. 11938 rv. 246897; e, da ultimo, id. Sez. 5, 2.3.2011, n. 15065, rv. 250094).
Nondimeno, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, nei confronti dell'amministratore apparente, non può trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata resistenza di determinati beni nella disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione (cfr, tra le altre, Cass. Sez. 5, 21.4.1999, n. 7569, rv. 213636), dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto (cfr. Cass. sez. 6, 19.2.2010, rv. 247251).
Sennonché, nel caso di specie, il giudice a quo ha ribadito il giudizio di colpevolezza a carico del C. sulla base della prova positiva di una diretta attività gestoria da parte sua e della piena consapevolezza della condotta posta in essere dagli altri imputati, desunta da circostanze di fatto argomentatamente ritenute univoche e pregnanti.
La seconda censura è infondata per ragioni identiche a quelle anzidette, a fronte di motivazione congrua e pertinente.
È, invece, fondata la terza censura riguardante la ritenuta sussistenza dell'aggravante del numero di persone.
In proposito, è ius receptum, alla stregua di consolidato insegnamento di questo Giudice di legittimità, che in materia di concorso di persone nel reato, con riferimento alla circostanza aggravante di cui all'art. 112 n. 1 cod. pen., deve ritenersi che essa sia configurabile quando le modalità concrete della condotta implichino o, comunque, manifestino di per sé la partecipazione di un numero di persone superiore a cinque. (cfr. Cass. Sez. 5, 25.1.2000, n. 3327, rv. 216581).
Nel caso di specie, l'accertamento dei fatti compiuto dai giudici di merito non consentiva alcuna certezza al riguardo. In particolare, il giudice di appello ha tratto il convincimento della partecipazione di un numero di persone sufficiente ad integrare l'aggravante de qua dalle dichiarazioni delle persone offese con riferimento a singoli episodi asseritamente commessi da persone diverse, ma non identificate, donde l'impossibilità di ogni certezza sul fatto che i soggetti di volta in volta descritti non fossero gli stessi e non si identificassero, comunque, proprio nei tre imputati.
2. - Per quanto precede, esclusa l'aggravante in questione, gli atti devono essere rimessi allo stesso giudice di appello ai fini della rideterminazione della pena, con ciò ritenendosi assorbita la quinta censura.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio sul punto della ritenuta esistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 112 n. 1 c.p. e con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano sul punto della determinazione della pena.

Depositata in Cancelleria il 07.05.2012
Avv. Antonino Sugamele

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