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Sentenza

Responsabilità vendita on line - eBay è responsabile dei prodotti messi in vendita sul suo sito
Responsabilità vendita on line - eBay è responsabile dei prodotti messi in vendita sul suo sito
Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 12 luglio 2011, causa C-324/09 (*)
«Marchi – Internet – Offerta in vendita, in un mercato online destinato ai consumatori nell'Unione, di prodotti contrassegnati da un marchio destinati, dal titolare, ad essere venduti negli Stati terzi – Eliminazione dell'imballaggio di detti prodotti – Direttiva 89/104/CEE – Regolamento (CE) n. 40/94 – Responsabilità del gestore del mercato online – Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”) – Ingiunzioni giudiziarie nei confronti di tale gestore – Direttiva 2004/48/CE (“direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale”)»

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli artt. 5 e 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall'Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: la «direttiva 89/104»), degli artt. 9 e 13 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), dell'art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1), nonché dell'art. 11 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU L 157, pag. 45).
2 Tale domanda è stata proposta nell'ambito di una controversia che oppone la L'Oréal SA, nonché le sue controllate Lancôme parfums et beauté & Cie SNC, Laboratoire Garnier & Cie e L'Oréal (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «L'Oréal»), a tre controllate della eBay Inc., vale a dire la eBay International AG, la eBay Europe SARL e la eBay (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «eBay») e inoltre al sig. Potts, alla sig.ra Ratchford, alla sig.ra Ormsby, al sig. Clarke, alla sig.ra Clarke, al sig. Fox e alla sig.ra Bi (in prosieguo: le «persone fisiche convenute»), riguardo alla messa in vendita, senza il consenso della L'Oréal, di prodotti di quest'ultima attraverso il mercato online gestito dalla eBay.

I – Contesto normativo
A – La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94

3 La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94 sono stati abrogati, rispettivamente, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008, e dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Nondimeno, in considerazione dell'epoca in cui si sono svolti i fatti, la controversia di cui alla causa principale resta disciplinata dalla direttiva 89/104 e dal regolamento n. 40/94.
4 L'art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», era formulato nei seguenti termini:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l'uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
(…)».
5 Il testo dell'art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 corrispondeva sostanzialmente a quello dell'art. 5, n. 1, della direttiva 89/104. Il n. 2 di tale art. 9 corrispondeva al n. 3 di detto art. 5. Quanto all'art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, esso disponeva quanto segue:
«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
(…)
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi».
6 L'art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», era del seguente tenore:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l'uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio in una Parte contraente dello Spazio economico europeo con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
7 Ai sensi dell'art. 13, n. 1, del regolamento n. 40/94, «il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l'uso per prodotti immessi in commercio nell'Unione europea con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso». Il testo del n. 2 dello stesso articolo è identico a quello dell'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104.

B – La direttiva 2000/31 («direttiva sul commercio elettronico»)

8 L'art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell'informazione» mediante un riferimento all'art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione (GU L 204, pag. 37), quale modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE (GU L 217, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva 98/34»), come «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».
9 L'art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, così prosegue:
«(…)
Ai fini della presente definizione si intende:
– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;
– “per via elettronica”: un servizio inviato all'origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (...) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;
– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.
(…)».
10 L'art. 6 della direttiva 2000/31 prevede quanto segue:
«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto dell'Unione, gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell'informazione (...) rispettino le seguenti condizioni minime:
(…)
b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata la comunicazione commerciale è chiaramente identificabile;
(…)».
11 Il capo II della direttiva 2000/31 contiene una sezione 4, dal titolo «Responsabilità dei prestatori intermediari», che comprende gli artt. 12 15.
12 L'art. 14 della stessa direttiva, rubricato «Hosting», così dispone:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:
a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illegalità dell'attività o dell'informazione, o
b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso.
2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l'autorità o il controllo del prestatore.
3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca una violazione o vi ponga fine nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell'accesso alle medesime».
13 Ai sensi dell'art. 15 della direttiva 2000/31, rubricato «Assenza dell'obbligo generale di sorveglianza»:
«1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.
(…)».
14 Il capo III della medesima direttiva comprende, in particolare, l'art. 18, intitolato «Ricorsi giurisdizionali», che prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto nazionale per quanto concerne le attività dei servizi della società dell'informazione consentano di prendere rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa.
(…)».

C – La direttiva 2004/48 («direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale»)

15 I ‘considerando' primo, secondo, terzo, ventitreesimo, ventiquattresimo e trentaduesimo della direttiva 2004/48 sono del seguente tenore:
«(1) La realizzazione del mercato interno comporta l'abolizione delle restrizioni alla libera circolazione e delle distorsioni della concorrenza, creando un contesto favorevole all'innovazione e agli investimenti. In tale quadro, la tutela della proprietà intellettuale è un elemento essenziale (...).
(2) (...) Nello stesso tempo, essa non dovrebbe essere di ostacolo alla libertà d'espressione, alla libera circolazione delle informazioni, alla tutela dei dati personali, anche su Internet.
(3) Tuttavia, in assenza di misure efficaci che assicurino il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, l'innovazione e la creazione sono scoraggiate e gli investimenti si contraggono. È dunque necessario assicurare che il diritto sostanziale in materia di proprietà intellettuale, oggi ampiamente parte dell'acquis comunitario, sia effettivamente applicato nell'Unione. (...)
(…)
(23) (…) i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di richiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare il diritto di proprietà industriale del titolare. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento inibitorio dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri. Per quanto riguarda le violazioni del diritto d'autore e dei diritti connessi, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione (GU L 167, pag. 10) prevede già un ampio livello di armonizzazione. Pertanto l'articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE non dovrebbe essere pregiudicato dalla presente direttiva.
(24) A seconda dei casi e se le circostanze lo richiedono, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso da prevedere dovrebbero comprendere misure inibitorie, volte a impedire nuove violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. (...)
(...)
(32) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali (...) riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della proprietà intellettuale in conformità all'articolo 17, paragrafo 2, di tale Carta».
16 L'art. 2 della direttiva 2004/48, che definisce l'ambito di applicazione di quest'ultima, prevede quanto segue:
«1. Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione dell'Unione o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano (...) alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione dell'Unione e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.
(...)
3. La presente direttiva fa salve:
a) (...) la direttiva 2000/31/CE in generale e le disposizioni degli articoli da 12 a 15 della direttiva 2000/31/CE in particolare;
(...)».
17 Il capo II della direttiva 2004/48, dal titolo «Misure, procedure e mezzi di ricorso», comprende sei sezioni, di cui la prima, intitolata «Obbligo generale», contiene in particolare l'art. 3, che è del seguente tenore:
«1. Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati.
2. Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo (...)».
18 La sezione 5 del capo II della direttiva 2004/48, recante il titolo «Misure adottate a seguito di decisione sul merito», è costituita dagli artt. 10 12, rubricati, rispettivamente, «Misure correttive», «Ingiunzioni» e «Misure alternative».
19 Ai sensi dell'art. 11 della stessa direttiva:
«Gli Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità giudiziarie possano emettere nei confronti dell'autore della violazione un'ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione. Se previsto dalla legislazione nazionale, il mancato rispetto di un'ingiunzione è oggetto, ove opportuno, del pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, al fine di assicurarne l'esecuzione. Gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell'articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE».
20 Tale art. 8, n. 3, della direttiva 2001/29 prevede quanto segue:
«Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d'autore o diritti connessi».

D – La direttiva 76/768 (“direttiva sui prodotti cosmetici”)

21 L'art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 febbraio 2003, 2003/15/CE (GU L 66, pag. 26), così dispone:
«1. Gli Stati membri adottano adeguate misure affinché i prodotti cosmetici possano essere immessi sul mercato soltanto se il recipiente e l'imballaggio recano le seguenti indicazioni, in caratteri indelebili, facilmente leggibili e visibili; tuttavia, le indicazioni di cui alla lettera g) possono figurare unicamente sull'imballaggio:
a) il nome o la ragione sociale e l'indirizzo o la sede sociale del fabbricante o del responsabile dell'immissione sul mercato stabilito all'interno della Comunità (…);
b) il contenuto nominale al momento della confezione, (…);
c) la data di durata minima (...);
d) le precauzioni particolari per l'impiego (…);
e) il numero della partita di fabbricazione o il riferimento che permetta di identificarla. (…)
f) la funzione del prodotto, salvo se risulta dalla presentazione del prodotto;
g) l'elenco degli ingredienti (…).
(…)».

E – La normativa nazionale

22 La direttiva 89/104 è stata recepita nel diritto nazionale con la legge sui marchi (Trade Marks Act). La trasposizione dell'art. 5, nn. 1 3, della direttiva 89/104 è assicurata dall'art. 10 di tale legge.
23 La direttiva 2000/31 è stata recepita nel diritto nazionale dal regolamento sul commercio elettronico (Electronic Commerce Regulations). L'art. 14 di tale direttiva è stato trasposto all'art. 19 di detto regolamento.
24 Per quanto riguarda l'art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non ha adottato norme specifiche per dare attuazione a tale disposizione. Il potere di pronunciarsi sulle ingiunzioni è tuttavia disciplinato dall'art. 37 della legge relativa alla Corte suprema (Supreme Court Act), ai sensi del quale la High Court può pronunciare un'ingiunzione «in tutti i casi in cui ciò appaia giusto e appropriato» («in all cases in which it appears to be just and convenient to do so»).
25 La direttiva 76/768 è stata recepita in diritto nazionale con il regolamento sui prodotti cosmetici (Cosmetic Products Regulations). L'art. 12 di quest'ultimo corrisponde all'art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 e la sua violazione può configurare un reato.
II – Causa principale e questioni pregiudiziali
26 La L'Oréal produce e commercializza profumi, cosmetici e prodotti per la cura dei capelli. Essa è titolare, nel Regno Unito, di diversi marchi nazionali ed è inoltre titolare di marchi comunitari.
27 La distribuzione dei prodotti della L'Oréal avviene mediante un sistema chiuso di distribuzione, nell'ambito del quale è vietato ai distributori autorizzati di fornire prodotti ad altri distributori.
28 La eBay gestisce un mercato online, nel quale sono presentati annunci per prodotti messi in vendita da persone iscritte a tal fine presso la eBay e che hanno creato un account venditore presso tale società. La eBay riscuote una percentuale sulle operazioni effettuate.
29 La eBay consente ai potenziali acquirenti di partecipare ad un'asta sugli oggetti proposti dai venditori. Essa consente altresì di vendere oggetti senz'asta, e quindi a prezzo fisso, mediante un sistema cosiddetto di «Compralo subito». I venditori possono, inoltre, creare «negozi online» sui siti della eBay. Un negozio di questo tipo offre tutti i prodotti proposti da un venditore in un determinato momento.
30 I venditori e gli acquirenti sono tenuti ad accettare le condizioni d'uso del mercato online fissate dalla eBay. Tra le condizioni suddette rientrano il divieto di vendita di oggetti contraffatti e di arrecare pregiudizio a marchi.
31 Ove necessario, la eBay aiuta i venditori ad ottimizzare le loro offerte, a creare i loro negozi online, a promuovere e ad aumentare le loro vendite. Essa fa altresì pubblicità a taluni prodotti messi in vendita nel suo mercato online mediante la visualizzazione di annunci ad opera di gestori di motori di ricerca, quali Google.
32 Con lettera del 22 maggio 2007, la L'Oréal comunicava alla eBay le sue inquietudini riguardo all'esistenza, su vasta scala, di transazioni commerciali in violazione dei suoi diritti di proprietà intellettuale effettuate attraverso i siti europei della eBay.
33 La L'Oréal, non essendo soddisfatta della risposta che le era stata fornita, ha proposto ricorsi contro la eBay in diversi Stati membri, tra i quali un ricorso dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division.
34 La L'Oréal ha adito la High Court of Justice per far constatare, in primo luogo, che la eBay e le persone fisiche convenute sono responsabili delle vendite effettuate da quest'ultime, attraverso il sito www.ebay.co.uk, di 17 articoli, vendite che a dire della L'Oréal avrebbero leso i diritti conferitile, segnatamente, dal marchio figurativo comunitario contenente le parole «Amor Amor» e dal marchio denominativo nazionale «Lancôme».
35 È pacifico tra la L'Oréal e la eBay che, dei suddetti 17 articoli, due erano contraffazioni di prodotti di marca della L'Oréal.
36 Per quanto riguarda gli altri quindici articoli, pur non affermando che essi siano contraffazioni, la L'Oréal ritiene nondimeno che la loro vendita leda i suoi diritti di marchio, in quanto essi sono prodotti non destinati alla vendita, quali articoli da utilizzare per la dimostrazione e campioni gratuiti, oppure prodotti di marca della L'Oréal destinati alla vendita in America del Nord e non nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»). Inoltre alcuni di detti articoli sono stati venduti senza imballaggio.
37 Pur astenendosi dal pronunciarsi, in questa fase, sulla questione della misura in cui siano stati lesi i diritti di marchio della L'Oréal, la High Court of Justice ha confermato che le persone fisiche convenute hanno effettuato, sul sito www.ebay.co.uk, le vendite descritte dalla L'Oréal.
38 In secondo luogo, la L'Oréal sostiene che la eBay è responsabile dell'uso di marchi della L'Oréal per effetto della possibilità di visualizzare questi ultimi sul suo sito, nonché possibilità di visualizzare sul sito di gestori di motori di ricerca, quali Google, di link sponsorizzati attivati mediante l'impiego di parole chiave corrispondenti a detti marchi.
39 A quest'ultimo proposito, è pacifico che la eBay, selezionando parole chiave corrispondenti a marchi della L'Oréal nell'ambito del servizio di posizionamento «AdWords» di Google, ha fatto comparire, ogni volta che sussisteva una concordanza tra tale parola e quella contenuta nella richiesta rivolta da un utente Internet al motore di ricerca di Google, un link pubblicitario verso il sito www.ebay.co.uk. Tale link compariva nella rubrica «Link sponsorizzati», che è mostrata nella parte destra oppure nella parte superiore della schermata mostrata da Google.
40 Così, il 27 marzo 2007, allorché un utente di Internet inseriva quali termini di ricerca le parole «shu uemura», che corrispondono sostanzialmente al marchio denominativo nazionale «Shu Uemura» della L'Oréal, nel motore di ricerca Google, nella summenzionata rubrica «link sponsorizzati», compariva il seguente annuncio della eBay:
«Shu Uemura
Buoni affari su Shu uemura
Acquistate su eBay e risparmiate!
www.ebay.co.uk»
(Shu Uemura
Great deals on Shu uemura
Shop on eBay and Save!
www.ebay.co.uk)
41 Cliccando su tale link pubblicitario si giungeva ad una pagina del sito www.ebay.co.uk, che indicava «96 oggetti trovati per shu uemura». Relativamente alla maggior parte di tali oggetti era espressamente precisato che essi provenivano da Hong Kong.
42 Del pari, tra altri esempi, all'utente di Internet che il 27 marzo 2007 inseriva quali termini di ricerca le parole «matrix hair», corrispondenti in parte al marchio denominativo nazionale «Matrix» della L'Oréal, nel motore di ricerca Google, nella summenzionata rubrica «link sponsorizzati», compariva il seguente annuncio della eBay:
«Matrix hair
Qui fantastici prezzi bassi 
Alimentate la vostra passione su eBay.co.uk!
www.ebay.co.uk»
(Matrix hair
Fantastic low prices here
Feed your passion on eBay.co.uk!
www.ebay.co.uk)
43 In terzo luogo, la L'Oréal ha sostenuto che, pur se la eBay non era responsabile delle violazioni dei diritti connessi ai suoi marchi, doveva essere pronunciata nei suoi confronti un'ingiunzione ai sensi dell'art. 11 della direttiva 2004/48.
44 La L'Oréal ha raggiunto una composizione amichevole con alcune delle persone fisiche convenute, valere a dire il sig. Potts, la sig.ra Ratchford, la sig.ra Ormsby, il sig. Clarke e la sig.ra Clarke e ha ottenuto una sentenza in contumacia nei confronti delle altre, ossia il sig. Fox e la sig.ra Bi. Successivamente, nel corso del mese di marzo 2009, si è svolta dinanzi alla High Court of Justice un'udienza dedicata al ricorso diretto contro la eBay.
45 Con sentenza 22 maggio 2009, la High Court of Justice ha svolto alcune considerazioni di fatto e ha concluso che la causa non era allo stato di essere giudicata, in quanto per numerose questioni di diritto era anzitutto necessaria un'interpretazione da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea. 
46 In tale sentenza, la High Court of Justice constata che la eBay ha installato filtri per individuare gli annunci che potrebbero contravvenire alle condizioni d'uso del sito. Detto giudice constata del pari che la eBay ha elaborato, mediante un programma denominato «VeRO» («Verified Rights Owner»), un sistema di notifica e di eliminazione destinato ad aiutare i titolari di diritti di proprietà intellettuale a far eliminare dal mercato online gli annunci che costituiscono violazione. La L'Oréal si è rifiutata di partecipare a tale programma ritenendolo insoddisfacente.
47 La High Court of Justice ha del pari rilevato che la eBay applica sanzioni quali la sospensione temporanea o addirittura permanente di venditori che hanno violato le condizioni d'uso del mercato online.
48 Nonostante le constatazioni sopra ricordate, la High Court of Justice ha considerato che era possibile, per la eBay, adottare più misure per ridurre il numero di vendite lesive dei diritti di proprietà intellettuale effettuate attraverso il suo mercato online. Secondo tale giudice, la eBay potrebbe utilizzare ulteriori filtri, potrebbe altresì inserire nelle sue regole il divieto di vendita, senza il consenso dei titolari dei marchi, di prodotti contrassegnati da un marchio non provenienti dal SEE. La eBay potrebbe, inoltre, imporre restrizioni supplementari sulle quantità di prodotti che possono essere oggetto di annunci simultanei e applicare sanzioni in modo più rigoroso.
49 La High Court of Justice precisa tuttavia che la circostanza che sarebbe possibile per la eBay prendere ulteriori provvedimenti non significa necessariamente che essa sia tenuta per legge a farlo.
50 Con decisione 16 luglio 2009, che ha fatto seguito alla menzionata sentenza 22 maggio 2009, la High Court of Justice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1) Nel caso in cui tester di profumi e cosmetici (vale a dire campioni utilizzati per presentare i prodotti ai consumatori negli esercizi al dettaglio) e flaconi per ricariche (vale a dire contenitori dai quali possono essere prelevati piccoli quantitativi di prodotto da distribuire alla clientela come campioni gratuiti), che non sono destinati alla vendita al pubblico (e sono spesso contrassegnati con la dicitura “vietata la vendita” o “non vendibile separatamente”), vengano forniti gratuitamente ai distributori autorizzati dal titolare del marchio, se tali prodotti siano “immessi in commercio” ai sensi dell'art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 e dell'art. 13, n. 1, del regolamento n. 40/94.
2) Nel caso in cui i prodotti siano privati dell'imballaggio esterno senza il consenso del titolare del marchio, se ciò costituisca un “motivo legittimo” perché il titolare del marchio si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti privati dell'imballaggio in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 e dell'art. 13, n. 2, del regolamento n. 40/94.
3) Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza:
a) il fatto che, una volta privati dell'imballaggio, i prodotti non rechino le informazioni prescritte dall'art. 6, n. 1, della direttiva 76/768, e in particolare non rechino l'elenco degli ingredienti né una “data di scadenza”;
b) il fatto che, in assenza di tali informazioni, l'offerta in vendita o la vendita dei prodotti privati dell'imballaggio costituisca un reato ai sensi della legge dello Stato membro della Comunità in cui essi vengono offerti in vendita o venduti da terzi.
4) Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza il fatto che l'ulteriore commercializzazione rechi pregiudizio, o sia atta a recare pregiudizio, all'immagine dei prodotti e quindi alla reputazione del marchio. In caso di risposta affermativa, se tale effetto debba essere presunto, oppure debba essere dimostrato dal titolare del marchio.
5) Nel caso in cui il gestore di un mercato online acquisti l'uso di un segno identico a un marchio registrato quale parola chiave dal gestore di un motore di ricerca, di modo che il segno venga presentato agli utenti dal motore di ricerca in un link sponsorizzato che conduce al sito Internet del gestore del mercato online, se la visualizzazione del segno nel collegamento sponsorizzato costituisca un “uso” del segno ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94.
6) Nel caso in cui la selezione del link sponsorizzato menzionato nella quinta questione rinvii l'utente direttamente ad annunci pubblicitari o ad offerte riferentisi a prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato con il segno, immessi sul sito da terzi, alcuni dei quali commettono una violazione del marchio e altri no, a seconda della diversa situazione dei rispettivi prodotti, se ciò costituisca uso del segno da parte del gestore del mercato online “per” prodotti costituenti violazione ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94.
7) Nel caso in cui i prodotti pubblicizzati e offerti in vendita sul sito Internet menzionato nella sesta questione includano prodotti che non sono stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, se, affinché tale uso rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 – ed esuli da quello dell'art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 e dell'art. 13, n. 1, del regolamento n. 40/94 – sia sufficiente che l'annuncio pubblicitario o l'offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato, oppure il titolare del marchio debba dimostrare che l'annuncio pubblicitario o l'offerta in vendita comporta necessariamente l'immissione in commercio dei prodotti in questione nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.
8) Ai fini della soluzione delle questioni dalla quinta alla settima, se faccia differenza il fatto che l'uso contestato dal titolare del marchio consiste nella visualizzazione del segno sul sito Internet del gestore del mercato online stesso, anziché in un link sponsorizzato.
9) Nel caso in cui sia sufficiente che l'annuncio pubblicitario o l'offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato affinché tale uso rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 – ed esuli da quello dell'art. 7 (...) della direttiva 89/104 e dell'art. 13 (...) del regolamento n. 40/94 –
a) se detto uso consista nella o includa la “memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio” ai sensi dell'art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31;
b) nel caso in cui l'uso non consista esclusivamente in attività rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, ma includa tali attività, se il gestore del mercato online sia esente da responsabilità nei limiti in cui l'uso consiste nelle suddette attività e, in tal caso, se possano essere concessi il risarcimento dei danni o altri risarcimenti economici in relazione a tale uso laddove il gestore non sia esente da responsabilità;
c) nel caso in cui il gestore del mercato online sia a conoscenza del fatto che sul suo sito Internet sono stati pubblicizzati, offerti in vendita o venduti prodotti in violazione di marchi registrati e che presumibilmente le violazioni di tali marchi registrati continuino attraverso la pubblicità, l'offerta in vendita e la vendita degli stessi prodotti o di prodotti simili da parte degli stessi o di altri utenti del sito Internet, se ciò significhi che egli ne è “al corrente” o “effettivamente al corrente” ai sensi dell'art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31.
10) Nel caso in cui i servizi di un intermediario quale un gestore di un sito Internet siano stati utilizzati da terzi per violare un marchio registrato, se l'art. 11 della direttiva 2004/48, imponga agli Stati membri di garantire che il titolare del marchio possa ottenere un'ingiunzione nei confronti dell'intermediario al fine di impedire ulteriori violazioni di detto marchio, e non solo la prosecuzione di detto specifico atto di contraffazione, e in tal caso quale sia la portata dell'ingiunzione che può essere richiesta».

III – Sulle questioni pregiudiziali
A – Sulle questioni prima, seconda, terza, quarta e settima relative alla vendita di prodotti contrassegnati da un marchio in un mercato online

 1. Considerazioni preliminari
51 Com'è stato ricordato ai punti 36 e 37 della presente sentenza, è pacifico che le persone fisiche convenute hanno offerto in vendita e venduto a consumatori nell'Unione, mediante il sito www.ebay.co.uk, prodotti di marca della L'Oréal destinati da quest'ultima alla vendita in Stati terzi, nonché prodotti non destinati alla vendita, quali articoli utilizzati per la dimostrazione e campioni gratuiti. È inoltre incontestato che taluni di tali prodotti sono stati venduti senza imballaggio. 
52 La messa in vendita sul sito www.ebay.co.uk di prodotti introdotti in Stati terzi risulta del pari dalle constatazioni riassunte nei punti 40 e 41 della presente sentenza, secondo le quali la eBay ha fatto pubblicità per le offerte in vendita, su tale sito, di prodotti contrassegnati dal marchio Shu Uemura che si trovavano a Hong Kong (Cina).
53 La eBay contesta il fatto che tali offerte in vendita nel suo mercato online possano ledere diritti conferiti dai marchi. Con le sue questioni pregiudiziali prima, seconda, terza, quarta e settima il giudice del rinvio chiede se detta tesi della eBay sia corretta.
54 Prima di esaminare tali questioni è importante ricordare, come ha fatto l'avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, che, in linea di principio, i diritti esclusivi conferiti dai marchi possono essere fatti valere solo nei confronti degli operatori economici. Infatti, affinché il titolare di un marchio possa vietare l'uso da parte di un terzo di un segno identico o simile a tale marchio, è necessario che tale uso abbia luogo nel commercio (v., in particolare, sentenze 16 novembre 2004, causa C 245/02 Anheuser-Busch, Racc. pag. I 10989, punto 62, e 18 giugno 2009, causa C 487/07, L'Oréal e a., Racc. pag. I 5185, punto 57).
55 Ne consegue che, quando una persona fisica vende un prodotto contrassegnato da un marchio mediante un mercato online senza che tale operazione rientri nel contesto di un'attività commerciale, il titolare del marchio non può invocare il proprio diritto esclusivo di cui all'art. 5 della direttiva 89/104 e all'art. 9 del regolamento n. 40/94. Laddove, per contro, le vendite effettuate in tale mercato superino, per il loro volume, la loro frequenza o altre caratteristiche, la sfera di un'attività privata, il venditore si colloca nell'ambito del «commercio» ai sensi di detti articoli.
56 Nella sentenza 22 maggio 2009 il giudice del rinvio ha constatato che il sig. Potts, una delle persone fisiche convenute, aveva venduto attraverso il sito www.ebay.co.uk, un numero considerevole di articoli recanti marchi della L'Oréal. In considerazione di tale circostanza, il giudice del rinvio ha concluso che tale persona aveva agito quale commerciante. Constatazioni analoghe sono state fatte per quanto riguarda le sig.re Ratchford, Ormsby, Clarke e Bi, nonché riguardo ai sigg. Clarke e Fox.
57 Così, dato che le offerte in vendita e le vendite, menzionate al punto 51 della presente sentenza, che comportavano un uso di segni identici o simili a marchi di cui la L'Oréal è titolare, sono avvenute nell'ambito del commercio e che è inoltre pacifico che la L'Oréal non vi ha prestato il proprio consenso, si deve esaminare se quest'ultima potesse opporsi a tali offerte in vendita e a tali vendite, alla luce di tutte le norme enunciate all'art. 5 della direttiva 89/104 e all'art. 9 del regolamento n. 40/94, nonché della giurisprudenza relativa a tali articoli.
 2. Sull'offerta in vendita, attraverso un mercato online destinato a consumatori nell'Unione, di prodotti contrassegnati da un marchio destinati, dal titolare di tale marchio, alla vendita in Stati terzi
58 Con la sua settima questione, che va esaminata per prima, il giudice del rinvio chiede in sostanza se sia sufficiente che l'offerta in vendita sia destinata ai consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato, affinché il titolare di un marchio registrato in uno Stato membro dell'Unione o di un marchio comunitario possa opporsi, in forza delle norme enunciate all'art. 5 della direttiva 89/104 e all'art. 9 del regolamento n. 40/94, all'offerta in vendita, in un mercato online, di prodotti di tale marca non commercializzati in precedenza nel SEE o, nel caso di un marchio comunitario, non commercializzati in precedenza nell'Unione.
59 La norma enunciata all'art. 5 della direttiva 89/104 e all'art. 9 del regolamento n. 40/94 conferisce al titolare del marchio un diritto esclusivo che gli consente di vietare ai terzi d'importare prodotti recanti il suo marchio, di offrirli, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, mentre l'art. 7 della stessa direttiva e l'art. 13 del medesimo regolamento hanno previsto un'eccezione a tale norma, disponendo che il diritto del titolare si esaurisce qualora i prodotti siano stati immessi in commercio nel SEE – o nel caso di marchio comunitario, nell'Unione – dal titolare stesso o con il suo consenso (v., in particolare, sentenze 30 novembre 2004, causa C 16/03, Peak Holding, Racc. pag. I 11313, punto 34; 15 ottobre 2009, causa C 324/08, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., Racc. pag. I 10019, punto 21, nonché 3 giugno 2010, causa C 127/09, Coty Prestige Lancaster Group, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 28 e 46).
60 Nell'ipotesi esaminata nell'ambito della presente questione, in cui i prodotti non sono stati mai messi in commercio all'interno del SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, non può trovare applicazione l'eccezione di cui all'art. 7 della direttiva 89/104 e all'art. 13 del regolamento n. 40/94. A tal proposito, la Corte ha più volte statuito che è essenziale che il titolare di un marchio registrato in uno Stato membro possa controllare la prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti detto marchio (v., in particolare, sentenze 20 novembre 2001, cause riunite da C 414/99 a C 416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I 8691, punto 33; Peak Holding, cit., punti 36 e 37, nonché Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., cit., punto 32).
61 Pur ammettendo tali principi, la eBay sostiene che il titolare di un marchio registrato in uno Stato membro o di un marchio comunitario non può far valere utilmente il diritto esclusivo conferito da detto marchio fintantoché i prodotti contrassegnati da quest'ultimo e offerti in vendita in un mercato online si trovino in uno Stato terzo e non siano necessariamente avviati verso il territorio per il quale detto marchio è stato registrato. La L'Oréal, il governo del Regno Unito, i governi italiano, polacco e portoghese, nonché la Commissione europea ritengono, per contro, che le norme della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94 si applichino dal momento in cui appare evidente che l'offerta in vendita del prodotto contrassegnato da un marchio che si trova in uno Stato terzo è destinata a consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.
62 Deve essere accolta quest'ultima tesi. In caso contrario, infatti, gli operatori che fanno ricorso al commercio elettronico, proponendo in vendita, in un mercato online destinato a consumatori che si trovano nell'Unione, prodotti contrassegnati da un marchio che si trovano in uno Stato terzo, che possono essere visualizzati sullo schermo e ordinati mediante detto mercato online, non avrebbero, relativamente alle offerte in vendita di questo tipo, nessun obbligo di conformarsi alle norme dell'Unione in materia di proprietà intellettuale. Una situazione del genere vanificherebbe l'effetto utile di tali norme.
63 È sufficiente rilevare, in proposito, che, ai sensi dell'art. 5, n. 3, lett. b) e d), della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 2, lett. b) e d), del regolamento n. 40/94, l'uso, da parte di terzi, di segni identici o simili a marchi al quale possono opporsi i titolari di questi ultimi comprende l'uso di detti segni nelle offerte in vendita e nella pubblicità. Come hanno osservato l'avvocato generale al paragrafo 127 delle sue conclusioni e la Commissione nelle sue osservazioni scritte, sarebbe pregiudicata l'efficacia di tali norme qualora l'uso, in un'offerta in vendita o in una pubblicità su Internet destinata a consumatori che si trovano nell'Unione, di un segno identico o simile a un marchio registrato nell'Unione, fosse sottratto all'applicazione di tali norme per il solo fatto che il terzo all'origine di detta offerta o pubblicità è stabilito in uno Stato terzo, il server del sito Internet da lui utilizzato si trovi in tale Stato o ancora il prodotto oggetto di detta offerta o pubblicità si trovi in uno Stato terzo.
64 Occorre tuttavia precisare che la mera accessibilità di un sito Internet nel territorio per il quale il marchio è stato registrato non è sufficiente a concludere che le offerte in vendita che compaiono in esso sono destinate a consumatori che si trovano in tale territorio (v., per analogia, sentenza 7 dicembre 2010, cause riunite C 585/08 e C 144/09, Pammer e Hotel Alpenhof, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 69). Infatti, laddove l'accessibilità in tale territorio di un mercato online fosse sufficiente a far sì che gli annunci che compaiono in quest'ultimo rientrino nell'ambito di applicazione della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, sarebbero indebitamente assoggettati al diritto dell'Unione siti e annunci che, pur essendo manifestamente destinati esclusivamente a consumatori situati in Stati terzi, sono tuttavia tecnicamente accessibili nel territorio dell'Unione.
65 Di conseguenza è compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un'offerta in vendita, che compare in un mercato online accessibile nel territorio per il quale il marchio è stato registrato, sia destinata a consumatori che si trovano in tale territorio. Allorché l'offerta in vendita è accompagnata da precisazioni riguardo alle aree geografiche verso le quali il venditore è disposto a spedire il prodotto, tale tipo di precisazione riveste un'importanza particolare nell'ambito della suddetta valutazione.
66 Nella causa principale, il sito recante l'indirizzo «www.ebay.co.uk» appare, in mancanza di elementi probatori contrari, destinato a consumatori che si trovano nel territorio per il quale i marchi nazionali e comunitari fatti valere sono stati registrati, cosicché le offerte in vendita che compaiono in tale sito e sono oggetto della causa principale rientrano nell'ambito di applicazione delle norme dell'Unione in materia di tutela dei marchi.
67 Alla luce di quanto precede, la settima questione posta va risolta dichiarando che, allorché prodotti che si trovano in uno Stato terzo, recanti un marchio registrato in uno Stato membro dell'Unione o un marchio comunitario e non commercializzati precedentemente nel SEE o, nel caso di marchio comunitario, non commercializzati precedentemente nell'Unione, sono venduti da un operatore economico, attraverso un mercato online e senza il consenso del titolare di detto marchio, ad un consumatore che si trova nel territorio per il quale il marchio di cui trattasi è stato registrato o sono oggetto di un'offerta in vendita o di pubblicità in un mercato siffatto destinata a consumatori che si trovino nel suddetto territorio, il titolare del marchio può opporsi alla vendita, all'offerta o alla pubblicità summenzionate in forza delle norme di cui all'art. 5 della direttiva 89/104 o all'art. 9 del regolamento n. 40/94. È compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un'offerta in vendita o una pubblicità che compare in un mercato online accessibile in detto territorio sia destinata a consumatori che si trovano in quest'ultimo.
 3. Sull'offerta in vendita di articoli destinati alla dimostrazione e di campioni gratuiti
68 È pacifico che, all'epoca dei fatti esaminati dal giudice del rinvio, le persone fisiche convenute hanno del pari offerto in vendita, sul sito www.ebay.co.uk, articoli destinati alla dimostrazione e campioni gratuiti che la L'Oréal aveva gratuitamente fornito ai propri distributori autorizzati.
69 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se la fornitura, da parte del titolare di un marchio, di articoli contrassegnati da quest'ultimo, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi anch'essi contrassegnati da tale marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, costituisca un'immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94.
70 Detto giudice, in questo contesto, ha constatato che la L'Oréal aveva chiaramente indicato ai propri distributori autorizzati che essi non potevano vendere tali articoli e flaconi, che peraltro spesso recavano la dicitura «vietata la vendita».
71 Come la Corte ha già più volte statuito, allorché il titolare di un marchio lo appone su articoli che offre gratuitamente per promuovere la vendita dei suoi prodotti, non sono tali articoli stessi ad essere sottoposti a distribuzione per farli penetrare nel mercato (vedi sentenza 15 gennaio 2009, causa C 495/07, Silberquelle, Racc. pag. I 137, punti 20 22). La fornitura gratuita di detti articoli non costituisce quindi, in linea di principio, un'immissione sul mercato di questi ultimi da parte di detto titolare.
72 La Corte ha del pari dichiarato che, allorché il titolare di un marchio appone diciture quali «campione» e «vietata la vendita» su articoli quali tester di profumo, ciò osta, in mancanza di elementi probatori contrari, a che si consideri sussistente il consenso di tale titolare alla immissione in commercio di detti articoli (v. sentenza Coty Prestige Lancaster Group, cit., punti 43, 46 e 48).
73 Si deve pertanto risolvere la prima questione posta dichiarando che la fornitura da parte del titolare di un marchio ai propri distributori autorizzati di articoli recanti tale marchio, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi recanti detto marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, non costituisce, in mancanza di elementi probatori contrari, un'immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104 o del regolamento n. 40/94. 
 4. Sulla commercializzazione di prodotti privi di imballaggio
74 Come esposto ai punti 36, 37 e 51 della presente sentenza, taluni degli esemplari di prodotti recanti marchi di cui è titolare la L'Oréal sono stati venduti privi di imballaggio da commercianti che agivano attraverso il mercato della eBay.
75 Con le questioni seconda, terza e quarta, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l'eliminazione dell'imballaggio di prodotti, quali quelli di cui si tratta nella causa principale, leda il diritto esclusivo del titolare del marchio apposto su tali prodotti, consentendo quindi a quest'ultimo di opporsi alla rivendita dei prodotti così disimballati.
76 In considerazione della circostanza che i prodotti privi di imballaggio di cui trattasi nella causa principale sono, nella maggior parte dei casi, prodotti cosmetici, il giudice del rinvio chiede che si risponda alle sue questioni tenendo conto dell'art. 6, n. 1, della direttiva 76/768, ai sensi del quale i prodotti cosmetici possono essere messi in commercio solo se il recipiente e l'imballaggio menzionano, segnatamente, l'identità del produttore o del responsabile della immissione in commercio, la composizione del prodotto (contenuto e elenco degli ingredienti), l'uso del prodotto (funzione e precauzioni particolari nell'uso) e la conservazione di quest'ultimo (data di durata minima). A tal proposito il giudice chiede in sostanza se il titolare di un marchio possa, in forza del suo diritto esclusivo di cui alla direttiva 89/104 o, in caso di marchio comunitario, del regolamento n. 40/94, opporsi alla rivendita di prodotti recanti detto marchio qualora tale commercializzazione avvenga in violazione dei requisiti enunciati nella summenzionata disposizione della direttiva 76/768. 
77 La L'Oréal ritiene, al pari dei governi francese, polacco e portoghese, nonché della Commissione, che, indipendentemente dalla questione se sussista o meno violazione della direttiva 76/768, l'imballaggio costituisca una parte essenziale dell'immagine dei profumi e dei prodotti cosmetici. Il titolare del marchio apposto su tali prodotti e su detto imballaggio dovrebbe, di conseguenza, potersi opporre ad una rivendita di tali prodotti privati di imballaggio. Per contro, la eBay sottolinea che, nel settore dei profumi e dei cosmetici, spesso è il flacone o il contenitore del prodotto e non l'imballaggio che caratterizza l'immagine di prestigio e di lusso.
78 Occorre anzitutto osservare che, in considerazione della varietà di gamme di profumi e di prodotti cosmetici, la questione se la rimozione dell'imballaggio di un prodotto del genere pregiudichi l'immagine di quest'ultimo e, quindi, la reputazione del marchio da cui è contrassegnato va esaminata caso per caso. Infatti, come ha esposto l'avvocato generale ai punti 71 74 delle proprie conclusioni, l'aspetto di un profumo o di un prodotto cosmetico senza imballaggio può talvolta trasmettere efficacemente l'immagine di prestigio e di lusso di tale prodotto, mentre, in altri casi, l'eliminazione di detto imballaggio ha proprio la conseguenza di arrecare pregiudizio a tale immagine.
79 Un pregiudizio siffatto può aversi allorché l'imballaggio contribuisce, a pari titolo o più del flacone o del contenitore, alla presentazione dell'immagine del prodotto creata dal titolare del marchio e dai suoi distributori autorizzati. È del pari possibile che l'assenza di talune o di tutte le informazioni richieste dall'art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 arrechi pregiudizio all'immagine del prodotto. Incombe al titolare del marchio comprovare l'esistenza degli elementi costitutivi di tale pregiudizio.
80 Va inoltre ricordato che il marchio, avendo la funzione essenziale di garantire al consumatore l'identità d'origine del prodotto, serve proprio ad attestare che tutti i prodotti da esso contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità (v., in particolare, sentenze 12 dicembre 2002, causa C 206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I 10273, punto 48, e 23 aprile 2009, causa C 59/08, Copad, Racc. pag. I 3421, punto 45).
81 Orbene, allorché talune informazioni richieste per legge, come quelle relative all'identificazione del produttore o del responsabile dell'immissione in commercio del prodotto cosmetico, sono mancanti, è pregiudicata la funzione di indicazione di origine del marchio, in quanto quest'ultimo è privato del suo effetto essenziale consistente nel garantire che i prodotti da esso contrassegnati sono forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità.
82 Va rilevato, infine, come ha fatto l'avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, che la questione se l'offerta in vendita o la vendita di prodotti recanti un marchio privati del loro imballaggio e quindi di talune informazioni richieste ai sensi dell'art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 sia o meno penalmente perseguibile in diritto nazionale non può avere influenza sull'applicabilità delle norme dell'Unione in materia di tutela dei marchi.
83 Alla luce di quanto precede, le questioni seconda, terza e quarta vanno risolte dichiarando che l'art. 5 della direttiva 89/104 e l'art. 9 del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest'ultimo, opporsi alla rivendita di prodotti, quali quelli di cui trattasi nella causa principale, per il fatto che il rivenditore ha eliminato l'imballaggio di tali prodotti, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggio informazioni essenziali, come quelle relative all'identificazione del produttore o del responsabile dell'immissione in commercio del prodotto cosmetico, risultino mancanti. Nel caso in cui la rimozione dell'imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell'imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell'imballaggio ha arrecato pregiudizio all'immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio.

B – Sulle questioni quinta e sesta, relative alla pubblicità fatta dal gestore del mercato online riguardo al proprio sito e ai prodotti in esso proposti

84 Risulta dai fatti della causa principale, riassunti ai punti 39 42 della presente sentenza, che la eBay, mediante la selezione, presso il gestore del motore di ricerca Google, di parole chiave corrispondenti a marchi della L'Oréal, ha fatto comparire, dall'inserimento ad opera degli utenti Internet in tale motore di ricerca di una richiesta contenente dette parole chiave, un link pubblicitario verso il sito www.ebay.co.uk, accompagnato da un messaggio commerciale vertente sulla possibilità di acquistare prodotti della marca ricercata attraverso il suddetto sito. Tale link promozionale compariva nella rubrica «link sponsorizzati» situata nella parte destra oppure nella parte superiore della schermata dei risultati della ricerca mostrati da Google.
85 È pacifico che, in una situazione siffatta, il gestore del mercato online è un inserzionista. Egli fa comparire link e messaggi che, come ha ricordato l'avvocato generale al paragrafo 89 delle sue conclusioni, costituiscono pubblicità non solo per talune offerte in vendita in tale mercato online, ma anche per lo stesso mercato online in quanto tale. Le pubblicità menzionate, tra altri esempi, dal giudice del rinvio e ricordate ai punti 40 e 42 della presente sentenza illustrano detta prassi.
86 Con le questioni quinta e sesta, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità – mediante una parola chiave che è identica al suddetto marchio e che è stata selezionata, nell'ambito di un servizio di posizionamento su Internet, da tale gestore senza il consenso del titolare del marchio – al suddetto mercato online e ai prodotti recanti tale marchio in esso proposti.
87 Con riferimento alla pubblicità che compare su Internet a partire da parole chiave corrispondenti a marchi, la Corte ha già statuito che una parola chiave di questo tipo è lo strumento utilizzato dall'inserzionista per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio ed è dunque oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell'art. 5 della direttiva 89/104 e dell'art. 9 del regolamento n. 40/94 (sentenze 23 marzo 2010, cause riunite da C 236/08 a C 238/08, Google France e Google, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 51 e 52, nonché 25 marzo 2010, causa C 278/08, BergSpechte, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 18).
88 Al fine di determinare se una pubblicità di questo tipo soddisfi anche le altre condizioni che, ai sensi delle norme enunciate all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e all'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, devono ricorrere affinché il titolare del marchio possa opporvisi, è necessario esaminare, da un lato, se annunci come quelli fatti comparire dalla eBay mediante un servizio di posizionamento del tipo fornito da Google siano fatti per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato e, d'altro lato, se siffatti annunci arrechino o siano atti ad arrecare pregiudizio ad una delle funzioni del marchio (v. sentenza BergSpechte, cit., punto 21).
89 A tal proposito, occorre osservare anzitutto che, nei limiti in cui la eBay ha utilizzato parole chiave corrispondenti a marchi della L'Oréal per promuovere il proprio servizio, consistente nel mettere a disposizione di venditori e acquirenti di prodotti un mercato online, detto uso non è stato fatto né per prodotti o servizi «identici a quelli per cui il marchio è stato registrato», ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, né, peraltro, per prodotti o servizi simili a questi ultimi, ai sensi del n. 1, lett. b), degli stessi articoli.
90 Detto uso, da parte della eBay, di segni corrispondenti a marchi della L'Oréal al fine di promuovere il proprio mercato online, potrà quindi, tutt'al più, essere esaminato in base all'art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, disposizioni che istituiscono, a favore dei marchi che godono di notorietà, una protezione che è più ampia di quella prevista al n. 1, lett. a) e b), degli stessi articoli e comprende segnatamente l'ipotesi in cui il terzo faccia uso di segni corrispondenti a marchi siffatti per prodotti o servizi che non sono simili a prodotti o servizi per i quali tali marchi sono stati registrati.
91 Si deve, poi, necessariamente constatare che, nei limiti in cui la eBay ha utilizzato parole chiave corrispondenti a marchi della L'Oréal per promuovere offerte in vendita di prodotti di marca provenienti dai suoi clienti venditori, essa ne ha fatto uso per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tali marchi sono stati registrati. Si deve ricordare, in proposito, che l'espressione «per prodotti o servizi» non si riferisce esclusivamente ai prodotti o ai servizi del terzo che fa uso dei segni corrispondenti ai marchi, ma può riguardare anche i prodotti o i servizi di altre persone. La circostanza, infatti, che un operatore economico utilizzi un segno corrispondente ad un marchio per prodotti che non gli appartengono, nel senso che egli non dispone di alcun titolo su di essi, di per sé non impedisce che detto uso rientri nell'ambito dell'art. 5 della direttiva 89/104 e dell'art. 9 del regolamento n. 40/94 (v. sentenza Google France e Google, cit., punto 60, nonché ordinanza 19 febbraio 2009, causa C 62/08, UDV North America, Racc. pag. I 1279, punto 43).
92 Con riferimento proprio ad una situazione in cui il fornitore di un servizio fa uso di un segno corrispondente ad un marchio altrui per promuovere prodotti che uno dei propri clienti commercializza grazie a tale servizio, la Corte ha considerato che siffatto uso rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e dell'art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94, laddove abbia luogo in modo tale da creare un nesso tra detto segno e tale servizio (v. ordinanza UDV North America, cit., punto 47 e giurisprudenza citata).
93 Come hanno sottolineato l'avvocato generale al paragrafo 89 delle sue conclusioni e il governo francese in udienza, un nesso del genere esiste in circostanze come quelle di cui alla causa principale. Gli annunci fatti dalla eBay creano, infatti, un'evidente associazione tra i prodotti di marca menzionati nei propri annunci e la possibilità di acquistarli attraverso eBay.
94 Infine, per quanto attiene alla questione se l'uso della parola chiave corrispondente ad un marchio sia idoneo a recare pregiudizio ad una delle funzioni del marchio, la Corte ha precisato, in altre cause, che un pregiudizio del genere sussiste qualora l'annuncio non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all'utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi a cui l'annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un'impresa economicamente collegata a quest'ultimo oppure, al contrario, da un terzo (sentenze Google France e Google, cit., punto 99, nonché 8 luglio 2010, causa C 558/08, Portakabin e Portakabin, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 54).
95 Va, in questo contesto, ricordato che la necessità che gli annunci su Internet siano mostrati in modo trasparente è sottolineata nella legislazione dell'Unione sul commercio elettronico. Considerati gli interessi alla correttezza delle operazioni e alla tutela dei consumatori, l'art. 6 della direttiva 2000/31 sancisce la regola secondo la quale deve essere chiaramente identificabile la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata una comunicazione commerciale rientrante in un servizio della società dell'informazione (sentenza Google France e Google, cit., punto 86).
96 La pubblicità che promana dal gestore di un mercato online ed è mostrata dall'operatore di un motore di ricerca deve quindi, in ogni caso, comunicare l'identità di tale gestore nonché il fatto che i prodotti contrassegnati da un marchio oggetto dell'annuncio sono messi in vendita attraverso il mercato che egli gestisce.
97 Considerato quanto precede, le questioni quinta e sesta devono essere risolte dichiarando che l'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l'art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità – partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell'ambito di un servizio di posizionamento su Internet – ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all'utente di Internet normalmente informato e ragionevolment
Avv. Antonino Sugamele

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