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Sentenza

PM telefona al presunto avvocato della controparte in una causa di lavoro invitandolo a transigere - Non sussiste il reato di concussione  Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 13.07.2011, n. 27459
PM telefona al presunto avvocato della controparte in una causa di lavoro invitandolo a transigere - Non sussiste il reato di concussione Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 13.07.2011, n. 27459
PM telefona al presunto avvocato della controparte in una causa di lavoro invitandolo a transigere - Non sussiste il reato di concussione

Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 13.07.2011, n. 27459

Fatto e diritto

1. Il Gup del Tribunale di Brescia, con sentenza 21/9/2007, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di R. C., in ordine al reato di tentata concussione, per non essere il predetto punibile ai sensi dell'art. 49, comma secondo, c.p.
L'addebito specifico mosso al C. è di avere, abusando della qualità e dei poteri di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a indurre l'avv. M. S. al quale telefonava la sera del 4/11/2002, nella convinzione che fosse il difensore di tale G. P., controparte in una controversia di lavoro con l'imprenditore A. D., amico del magistrato a promettergli di transigere detta controversia, facendo conto che alla stessa fosse interessato direttamente lui anziché il D.
Il Gup, dopo avere dato atto che l'imputato, essendo stato successivamente informato che il P. non era assistito dall'avv. B. ma da altro professionista, aveva ricontattato il legale, invitandolo a non tenere conto della precedente segnalazione, riteneva che l'azione posta in essere dal C., pur astrattamente inquadrabile nell'ipotizzabile tentativo, si era rivelata assolutamente inoffensiva, perché inidonea alla realizzazione del proposito criminoso.
2. Avverso tale decisione proponeva appello il Procuratore Generale di Brescia, sollevando, in via preliminare, la questione di costituzionalità dell'art. 428 c.p.p., come modificato dalla legge n. 46/06, per asserito contrasto con gli artt. 3 e 111, comma secondo, della Costituzione, e denunciando nel merito l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta configurabilità del reato impossibile, che doveva essere apprezzato con valutazione ex ante dell'inidoneità dell'azione a produrre l'evento, e non con valutazione ex post sulla base di quanto in concreto verificatosi.
3. La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza 4/2/2010, dopo avere preso atto che l'eccezione d'incostituzionalità dell'art. 428 c.p.p., sollevata con ordinanza 17/3/2008, era stata dichiarata infondata dal Giudice delle leggi con sentenza n. 242/09, riteneva la propria incompetenza a conoscere dell'impugnazione e qualificata la stessa come ricorso per cassazione, trasmetteva gli atti a questa Suprema Corte.
4. Avverso quest'ultima decisione proponeva ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l'imputato, deducendo: 1) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 568 c.p.p., per non avere la Corte territoriale dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione proposta dal P.G., che aveva deliberatamente scelto un mezzo di gravame non consentito; 2) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 268 e 270 c.p.p. e conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni espletate in diverso procedimento, non essendo previsto per il reato per cui si procede l'arresto obbligatorio in flagranza; 3) violazione della legge processuale, per non essere stati depositati, contestualmente all'avviso ex art. 415 bis c.p.p., i verbali, le registrazioni delle intercettazioni e i relativi decreti autorizzativi, con conseguente violazione del diritto di difesa; 4) violazione della legge processuale (art. 267 c.p.p.) per omessa motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni.
5. Il ricorso proposto dal P.G. è infondato e deve essere rigettato. Tale conclusione assorbe conseguentemente, al dì là di ogni altra considerazione in rito, che pure avrebbe in astratto - un qualche rilievo, le doglianze articolate dal C. nel proprio ricorso.
Osserva preliminarmente la Corte che l'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere da parte del P.G., che sollecita il rinvio a giudizio dell'imputato, ha effetto pienamente devolutivo, nel senso che attribuisce al giudice dell'impugnazione ampi poteri decisori, con la possibilità di una globale rivalutazione, entro i limiti logicamente del sindacato di legittimità, della statuizione del giudice dell'udienza preliminare, a prescindere dall'oggetto delle critiche articolate nell'atto d'impugnazione. Per effetto dell'impugnazione ad opera del Pubblico Ministero, l'imputato è rimesso nella fase processuale iniziale, può riproporre tutte le istanze a sua difesa circa la rilevanza giuridica del fatto contestatogli, e non è precluso al giudice dell'impugnazione l'esame, in una prospettiva diversa quella presa in considerazione dal giudice a quo, della sussistenza o meno di tutti gli estremi per la configurazione del delitto di cui si discute.
Ciò posto, ritiene la Corte che nel fatto contestato e così come ricostruito nella sentenza di non luogo a procedere del 21/9/2007 non sono ravvisabili gli estremi dell'ipotizzato tentativo di concussione, il che impone, a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p., di superare ogni riferimento alla figura del reato impossibile e alla connessa causa di non punibilità ex art. 49, comma secondo, c.p., su cui fa leva la decisione in verifica.
L'intervento del C. sull'amico avv. B., perché si attivasse nel transigere una controversia di lavoro tra G. P. e l'imprenditore A. D., pure amico del magistrato, a prescindere dall'erroneo convincimento dell'imputato che il detto legale fosse il difensore del P., può costituire - al limite - un illecito disciplinare, ma non integra gli elementi strutturali dell'ipotizzato reato.
L'iniziativa del C., per quello che si evince dalla sentenza impugnata, va inquadrata nell'ambito dei rapporti, di natura privata, che legavano il predetto, per un verso, all'avv. B. e, per altro verso, all'imprenditore D.
Momento costitutivo della materialità del delitto di concussione è, innanzi tutto, l'abuso dei poteri o della qualità da parte del pubblico ufficiale, abuso finalizzato alla costrizione o all'induzione del soggetto passivo.
Non è individuabile concettualmente, nella condotta contestata all'imputato, l'abuso dei poteri, concretandosi questo nell'esercizio del potere secondo criteri volutamente diversi da quelli imposti dalla sua natura. Il C., nel sollecitare la transazione della lite innanzi citata, non fece certamente leva sui poteri, abusandone, che gli derivavano dalla sua posizione istituzionale di sostituto Procuratore della Repubblica, considerato che non pose in essere alcuna estrinsecazione oggettiva della funzione della quale egli era investito, ma fece leva esclusivamente sui rapporti personali che lo legavano al S. e al D.
Non è apprezzabile neppure, nella condotta dell'agente, l'abuso della qualità, inteso come uso indebito della posizione personale rivestita, indipendentemente e a prescindere dall'esercizio dei poteri a questa corrispondenti. L'abuso della qualità implica comunque una strumentalizzazione della posizione di preminenza rivestita dal pubblico ufficiale, il che significa che assume rilievo, ai fini che qui interessano, l'eventuale estrinsecazione dinamica di tale posizione soggettiva e non il mero aspetto statico della medesima. Nel caso in esame, nessun elemento di fatto, univocamente sintomatico del dinamismo prevaricatore, risulta essere stato accertato.
Altro momento costitutivo della materialità del delitto di concussione è la dazione o la promessa dell'indebito.
Nella vicenda di cui si discute, l'indebito non è tale oggettivamente, perché la mera sollecitazione a definire una lite in corso con una transazione non significa necessariamente, come si ipotizza nel capo d'imputazione, penalizzare gli interessi di una parte a vantaggio dell'altra, ma implica una regolamentazione equilibrata dei contrapposti interessi, attraverso reciproche concessioni convenzionali tra le parti interessate, per porre fine ad una controversia in atto (art. 1965 c.c.). Nulla induce a ritenere, sulla base degli elementi acquisiti, che l'imputato si attivò per una transazione a vantaggio del proprio amico imprenditore. Né l'indebito può ravvisarsi, per le considerazioni innanzi svolte, nelle modalità della richiesta fatta dall'imputato all'avv. B., nell'ambito di un rapporto personale che legava i due.
6.La sentenza 21/9/2007 del Gup del Tribunale di Brescia deve, pertanto, essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza 21/9/2007 del Gup del Tribunale di Brescia perché il fatto non sussiste. Rigetta il ricorso del P.G. e dichiara assorbito il ricorso del C.
Depositata in Cancelleria il 13.07.2011
Avv. Antonino Sugamele

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