Per un sinistro perde il posto di lavoro; Legittima la riduzione del risarcimento del danno se può trovare un altro lavoro
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 29.11.2011, n. 25221
Svolgimento del processo
E. L. ha convenuto davanti al Tribunale di Palermo A.Z., S.O., la s.p.a. M. Assicurazioni e la s.p.a. N.T., chiedendo il risarcimento dei danni subiti nel sinistro stradale occorso il 2 gennaio 1999, allorché l'automobile di proprietà e condotta dallo Z., sul quale era trasportata, ha tamponato l'automobile che la precedeva ed è stata a sua volta tamponata dall'automobile di proprietà dell'O.
I convenuti si sono costituiti, addebitandosi reciprocamente la responsabilità del sinistro.
Il Tribunale, ritenuto il concorso di colpa dei convenuti in ugual misura, li ha condannati al risarcimento dei danni, quantificati nella somma di € 253.546,23, oltre alle spese del giudizio.
Proposto appello principale dai convenuti ed incidentale dall' attrice, con la sentenza impugnata in questa sede .la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado in punto responsabilità, ma ha ridotto a complessivi € 82.977,32 la somma dovuta in risarcimento dei danni, da incrementarsi ad € 95.593,00, in considerazione della rivalutazione monetaria e degli interessi maturati fino alla sentenza.
La L. propone un motivo di ricorso per cassazione, a cui resistono con separati controricorsi la N. T. e la M. Assicurazioni.
Gli altri intimati non hanno depositato difese.
Motivi della decisione
1.- La Corte di appello ha rilevato che il Tribunale aveva calcolato il danno patrimoniale come se l'incapacità lavorativa della danneggiata corrispondesse al 100% del totale, mentre detta invalidità era stata accertata in sede peritale nella misura del 18% ed ha rettificato il calcolo di conseguenza, in considerazione del fatto che l'infortunata, pur avendo perso il posto di lavoro, avrebbe potuto in futuro dedicarsi ad altra attività.
2.- Con l'unico motivo, denunciando insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, la ricorrente premette che, in conseguenza del sinistro, essa è stata licenziata dal posto di lavoro di “cameriera ai piani” alle dipendenze di un'impresa alberghiera, senza poter trovare altra occupazione; che la Corte di appello ha omesso di liquidare in suo favore il danno patrimoniale derivato dal licenziamento, che non è necessariamente collegato alla percentuale di invalidità permanente; che la natura delle lesioni riportate (postumi di fratture della branca ileo ed ischia pubica bilaterale, severa limitazione funzionale dei movimenti di flesso-estensione del rachide lombare e dei movimenti delle anche. Episodi di dorso-lombalgia che si aggraveranno nel futuro anche per una forma di artrosi post- traumatica) le rende difficile riprendere la sua attività lavorativa, che richiede fatica fisica, tanto che è a tutt'oggi disoccupata. Assume che il danno patrimoniale da lucro cessante dovrebbe essere valutato in termini non rigorosamente ancorati alla percentuale di invalidità, ma nella maggior misura determinatasi nel caso concreto, in applicazione del principio enunciato da questa Corte con la sentenza n. 1690 del 2008, secondo cui la riduzione dell'attività lavorativa specifica che non rientri tra i postumi di lieve entità consente di presumere che la futura capacità di guadagno ne risulterà ridotta in misura non necessariamente proporzionale alla percentuale di invalidità.
2.- Il motivo non è fondato.
Premesso che va condiviso quanto la ricorrente dichiara circa la necessità di quantificare il danno patrimoniale da lucro cessante in considerazione delle peculiarità del caso concreto, che potrebbero portare anche a discostarsi in certa misura dalla percentuale di invalidità accertata in sede peritale (come disposto da questa Corte con la citata sentenza n. 1690 del 2008), resta il fatto che il danneggiato deve dimostrare quali siano le peculiarità del caso e per quali ragioni la misura dell'invalidità accertata dal CTU sia da ritenere inadeguata.
Nella specie la ricorrente in primo luogo né dichiara di avere prodotto in questa sede, né indica se sia allegata agli atti e ai documenti prodotti nei giudizi di merito e depositati in questa sede, la relazione di CTU da cui risulta la natura delle lesioni riportate e i loro effetti sulla sua specifica capacità di lavoro, come prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ. con riguardo ai documenti sui quali il ricorso si fonda.
Per questa sola ragione il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile(Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; C a s s . civ . .S. U . 2 dicembre 2008 n. 28547 , Cass. civ. Sez. Lav, 7 febbraio 2011 n. 2966, fra le tante).
In ogni caso si rileva che, stando a quanto risulta dal ricorso, il CTU ha quantificato l'invalidità permanente nel 18% con riferimento non all'invalidità in genere, ma all'incapacità lavorativa specifica dell'infortunata: tenendo conto, cioè, dell'attività di lavoro svolta dalla stessa, nonché - è da presumere - del peculiare impegno fisico che essa richiede.
La ricorrente avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui la percentuale dovrebbe ritenersi inadeguata alla sua particolare condizione, richiamando altresi le parti in cui la relazione peritale sarebbe lacunosa od insufficiente, o comunque suscettibile di rettifica.
Avrebbe dovuto poi dimostrare che essa aveva prospettato le sue ragioni e le sue osservazioni in proposito alla Corte dl merito, e che questa è incorsa in omessa od insufficiente motivazione sul punto.
In mancanza di tali precisazioni, il danno non può che essere commisurato all'entità dei postumi permanenti che sono stati effettivamente accertati con riferimento, si ripete all'inabilità lavorativa specifica- così come ha disposto la sentenza impugnata.
Né può attribuirsi rilievo alla circostanza che - a seguito delle lesioni e della lunga assenza dal lavoro che ne è seguita - l'infortunata è stata licenziata dal posto di lavoro, considerato che non risulta acquisita agli atti la prova che essa sia poi rimasta disoccupata a causa della sua invalidità, o che tale invalidità abbia comportato l'impossibilità totale di attendere alle sue occupazioni o di trovare altro lavoro adeguato alle sue competenze ed alle sue attuali condizioni.
3.- Il ricorso deve essere rigettato.
4.- Considerata la difformità fra i dispositivi delle sentenze di merito, che può avere ingenerato incertezza in ordine al fondamento delle ragioni fatte valere, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese.
Depositata in Cancelleria il 29.11.2011
04-12-2011 00:00
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