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Sentenza

Per configurare il reato di associazione per delinquere non è necessaria la reciproca conoscenza degli associati
Per configurare il reato di associazione per delinquere non è necessaria la reciproca conoscenza degli associati
Associazione per delinquere organizzata allo scopo di realizzare reati contro la pubblica amministrazione.
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 21.09.2011, n. 34406

Svolgimento del processo

1. - Con la sentenza in epigrafe il G.u.p. del Tribunale di Catanzaro ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti, tra gli altri, di C.A., M.F., Mo.Gi.En., G.D., A.N. e F.G., imputati del reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), perché il fatto non sussiste.
Secondo l'ipotesi accusatoria gli imputati, tutti operanti nell'ambito dell'amministrazione della Regione Calabria, chi come funzionario e dirigente regionale (C., M., G.), chi con incarichi di rilievo politico negli Assessorati (Mo., A.) - ad eccezione di F., che invece risulta essere stato uno degli amministratori della società W. N. - avrebbero fatto parte di un'organizzazione criminale in cui S.A., tramite le sue società di gestione del lavoro interinale, avrebbe posto in essere una serie di reati contro la pubblica amministrazione al fine di accaparrarsi l'esecuzione di servizi e commesse da parte della Regione, assicurando posti di lavoro assegnati secondo logiche clientelari, che avrebbero fruttato anche in termini di consenso politico.
La sentenza, invece, ha escluso la sussistenza del reato associativo, ritenendo che non vi fosse alcuna prova di un accordo finalizzato al compimento di reati contro la pubblica amministrazione, nel senso di una condivisione verso un comune programma criminoso, essendo stati gli illeciti realizzati autonomamente, in concorso, di volta in volta, con i rappresentanti delle società facenti capo a S. In altri termini si è sostenuto che non vi fosse alcuna associazione a delinquere retta da politici che, attraverso l'opera di S., volevano “sovvertire le naturali regole della competizione elettorale per acquisire fraudolentemente consenso elettorale”. Le condotte illecite dirette a fare “incetta di bandi pubblici” per aumentare i profitti delle società B. e W. N. sono state poste in essere anche con l'accordo di pubblici funzionari, ma in virtù di singole intese raggiunte attraverso determinazioni assunte con S. e i suoi collaboratori. Gli imputati non avrebbero fatto parte di alcuna associazione, ma i reati sarebbero stati realizzati su base concorsuale, con intese che cessavano dopo la perpetrazione dell'illecito.
Con riferimento alle singole posizioni, il G.u.p. ha evidenziato che le accuse mosse a A.N., considerato il politico di riferimento del S., non hanno trovato riscontro, in quanto le raccomandazioni fatte nel corso del 1999 per favorire l'assunzione di lavoratori presso la società O. L. sarebbero prive di rilevanza penale e comunque non sono oggetto di specifiche contestazioni, inoltre non è risultato che l'imputato abbia attribuito alcun appalto a S. e ai suoi collaboratori. Riguardo alle posizioni di G.D. e di Mo.En., la sentenza rileva che le loro condotte hanno avuto un carattere isolato, non risolvendosi cioè in un continuo apporto alle finalità dell'associazione e ai suoi programmi. L'addebito mosso ad C.A. sarebbe, invece, frutto di un evidente errore materiale, avendo svolto questi un ruolo solo nella vicenda della sorveglianza idraulica, non partecipando in seguito né alla fase dell'affidamento né a quella di esecuzione di altri servizi.
La conclusione della sentenza è nel senso che è possibile ritenere che vi sia stato uno stabile e perdurante legame nel tempo solo tra gli amministratori della B. e della W. N. , cioè tra quei soggetti che attraverso le predette società hanno, tra il 2003 e il 2006, posto in essere reiterate azioni criminose ai danni della pubblica amministrazione; tuttavia, tale vincolo non configurerebbe la fattispecie associativa di cui all'art. 416 c.p., perché si ritiene non ipotizzabile una associazione formata da soggetti non in grado, da soli - cioè senza l'apporto di pubblici funzionari -, di attuare un programma criminoso costituito dalla realizzazione di reati contro la pubblica amministrazione. Secondo la sentenza il fenomeno emergente dagli atti del procedimento avrebbe giustificato l'incriminazione delle società ai sensi del d.lgs. 231 del 2001.
2. - Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte d'appello di Catanzaro, deducendo inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 416 c.p. e 425 c.p.p., nonché manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, secondo parte ricorrente per l'esistenza del reato associativo non è necessario che tutti i componenti si conoscano ed agiscano sinergicamente per la realizzazione del programma criminoso, né è richiesto che la componente personale resti nel tempo inalterata. Nel caso di specie, viene contestato il ragionamento contenuto nella sentenza impugnata e si afferma che non può automaticamente escludersi una consapevole adesione dei diversi pubblici ufficiali, anche se operanti in articolazioni differenti, al programma illecito portato avanti dagli amministratori delle società B. e W. N. , finalizzato ad ottenere una serie di contratti in materia di lavoro interinale, attraverso modalità e procedure illegittime. La tesi sostenuta dal procuratore generale è che il legame associativo non deve essere ricercato tra i pubblici funzionari, ma tra questi, singolarmente considerati, e i rappresentanti delle società facenti capo al S. : l'associazione così strutturata avrebbe consentito ai soggetti privati di accaparrarsi illecitamente ingenti risorse pubbliche, indipendentemente dall'alternarsi delle diverse maggioranze politiche all'interno della Regione Calabria.
3. - A.N. e F.G. hanno depositato autonome memorie difensive con cui chiedono l'inammissibilità o, comunque, il rigetto del ricorso del pubblico ministero.

Motivi della decisione

4. - Il ricorso è fondato, in quanto la sentenza impugnata non ha fatto buon governo delle norme e dei principi che legittimano la dichiarazione di non luogo a procedere a seguito dell'udienza preliminare e, inoltre, ha offerto una motivazione contraddittoria e incompleta in ordine alle ragioni poste a fondamento del “proscioglimento” degli imputati.
5. - Con riferimento al primo profilo evidenziato, quello cioè della regola di giudizio della sentenza di cui all'art. 425 c.p.p., si osserva come a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999 l'udienza preliminare ha subito una trasformazione che ha esaltato il suo ruolo di controllo e di verifica dei risultati investigativi, essendo stati ampliati i poteri istruttori del g.u.p., il quale non deve limitarsi a valutare la tendenziale completezza delle indagini, ma può procedere immediatamente a raccogliere gli elementi di prova in grado di definire il processo, con l'effetto che il giudizio finalizzato ad emettere la sentenza di cui all'art. 425 c.p.p. ha assunto una maggiore ampiezza. Tuttavia, la valutazione che il giudice è chiamato ad effettuare nell'ipotesi della sentenza di non luogo a procedere attiene pur sempre “alla mancanza delle condizioni su cui fondare la prognosi di evoluzione in dibattimento, in senso favorevole all'accusa, del materiale di prova raccolto” (tra le tante v., Sez. 5^, 15 maggio 2009, n. 22864, P.G. in proc. Giacomin, Sez. 2^, 11 novembre 2008, n. 45046, P.M. in proc. Corona, Sez. 2^, 18 marzo 2008, n. 14034, P.G. in proc. D'Abramo). Si tratta di una valutazione funzionale ad evitare fasi processuali inutili, sicché l'esito del proscioglimento si avrà nei casi in cui emerga l'infondatezza dell'accusa o quando vi siano elementi di prova del tutto inidonei per un possibile sviluppo dibattimentale; peraltro, a seguito della soppressione del requisito dell'evidenza tra i presupposti per la pronuncia della sentenza di cui all'art. 425 c.p.p., lo stesso risultato si avrà nei casi di insufficiente o contraddittoria prova sulla colpevolezza dell'imputato, qualora il quadro probatorio non appaia integrabile nella fase successiva del dibattimento.
In conclusione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere solo sulla base di un giudizio prognostico di “immutabilità” del quadro probatorio nella successiva fase del dibattimento, per effetto dell'acquisizione di nuove prove o di una diversa rivalutazione degli elementi in atti, nonché quando le fonti di prova non si prestino a soluzioni alternative e aperte (Sez. 6^, 3 luglio 2008, n. 35178, P.M. in proc. Brunetti, Sez. 6^, 16 novembre 2001, n. 45275, Acampora).
6. - Nel caso in esame il G.u.p. del Tribunale di Catanzaro non si è attenuto a queste regole di giudizio, le sole che possono giustificare l'emissione di una sentenza di non luogo a procedere. In particolare, il vizio rinvenibile nella decisione impugnata consiste nell'aver ritenuto che i risultati probatori acquisti nelle indagini non si prestassero a soluzioni alternative e aperte, suscettibili di possibili sviluppi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, offrendo una ricostruzione e una valutazione delle prove frutto di una visione non dialettica, ma unilaterale, omettendo una completa verifica e un attento confronto con tutte le altre emergenze istruttorie, pervenendo infine ad una giustificazione della decisione che presenta aspetti di manifesta illogicità.
La tesi accolta nella sentenza è nel senso di escludere l'associazione tra gli imputati -soggetti pubblici, non essendo emersi elementi di prova circa l'esistenza di accordi fra di loro finalizzati alla realizzazione di un comune programma delittuoso. Conseguentemente, si sostiene che un'associazione per delinquere, organizzata allo scopo di realizzare reati contro la pubblica amministrazione, come quella promossa dal S., dovrebbe necessariamente “avere tra i suoi soci fondatori, preposti a stabili funzioni apicali”, pubblici funzionari, cioè quei soggetti aventi specifiche competenze nell'amministrazione, in grado, per questo, di porre in essere i delitti che costituiscono l'oggetto del programma criminoso (nella specie, reati di abuso d'ufficio). Tale situazione non figura nel caso in esame in cui, stando a quanto ritiene il G.u.p., l'iniziativa sarebbe stata esclusivamente nelle mani dei privati, in particolar modo del S. e dei suoi collaboratori, i quali per attuare il loro piano delittuoso avrebbero di volta in volta “agganciato” politici e funzionari pubblici che si avvicendavano nella gestione della cosa pubblica, il cui contributo era necessariamente limitato nel tempo. Per questi ultimi soggetti viene quindi esclusa la partecipazione all'associazione, ritenendo che abbiano solo concorso alla consumazione dei singoli reati, con la cui realizzazione cessava anche l'accordo criminoso alla base della “specifica operazione delittuosa”. Proseguendo in questo ragionamento la sentenza afferma, da un lato, che gli unici soggetti che avrebbero potuto far parte dell'associazione sarebbero stati gli amministratori delle società B. e W. N. preposte alla commissione dei reati, dall'altro, che tali soggetti sarebbero stati comunque incapaci di operare autonomamente, dovendosi necessariamente avvalere del contributo dei politici e dei pubblici funzionari, concludendo per l'impossibilità di qualificare comunque ai sensi dell'art. 416 c.p. il vincolo intercorrente tra di essi. Peraltro, la sentenza impugnata mentre esclude il vincolo associativo tra le persone fisiche, ritiene che la fattispecie in questione avrebbe potuto dar luogo alla responsabilità amministrativa delle società B. e W. N. , ai sensi del d.lgs. 231 del 2001, in quanto società dedite alla realizzazione dei reati ovvero nel cui interesse i reati venivano realizzati.
7. - Tale motivazione non tiene conto che le stesse prove valutate in sentenza possono portare ad una diversa soluzione in ordine al coinvolgimento degli imputati e, soprattutto, appaiono in grado di essere supportate da ulteriori elementi nel corso dell'istruttoria dibattimentale.
Innanzitutto, va censurata l'impostazione della sentenza là dove sembra escludere la sussistenza dell'associazione per delinquere, in quanto il sistema creato dal S. avrebbe dato luogo solo a forme di responsabilità da reato ex d.lgs. 231/2001 delle società coinvolte (B. e W. N. ): a questo proposito si evidenzia come l'ipotesi di un'eventuale responsabilità delle due società non comporta automaticamente l'esclusione di una possibile responsabilità delle persone fisiche per il reato associativo contestato, essendo tali diverse tipologie di responsabilità del tutto compatibili fra di loro, dal momento che non può negarsi, in ipotesi, che i reati-fine posti in essere dai componenti dell'associazione fossero realizzati anche nell'interesse delle società.
8. - In secondo luogo, il ragionamento con cui la sentenza nega l'esistenza stessa dell'associazione non regge dal punto di vista logico.
È errata la tesi, sostenuta in sentenza, secondo cui un'associazione per delinquere costituita per realizzare reati contro la pubblica amministrazione è configurabile solo se vi facciano parte anche funzionari pubblici o in genere soggetti che appartengono all'amministrazione, potendo sicuramente ipotizzarsi un apporto del pubblico ufficiale, non intraneo all'organizzazione delittuosa, nei reati contro la pubblica amministrazione - compreso il delitto di abuso di ufficio -costituenti il programma criminoso. In altri termini, il ruolo del pubblico funzionario nella realizzazione del reato costituisce una variabile indipendente rispetto alla configurabilità di un'associazione per delinquere, costituita da privati, che si ponga l'obiettivo di realizzare i delitti previsti dal titolo 2 del codice penale.
9. - In ogni caso, la stessa affermazione con cui la sentenza impugnata esclude la partecipazione degli imputati, quali soggetti pubblici, all'associazione si basa su elementi controvertibili.
Infatti, deve riconoscersi come la tesi sostenuta dal ricorrente circa la partecipazione all'associazione anche dei soggetti pubblici imputati in questo processo trovi una sua giustificazione negli stessi elementi probatori cui la sentenza impugnata si è riferita. Infatti, le fonti di prova acquisite si prestano a soluzioni alternative e aperte, che non giustificano il giudizio prognostico con cui il G.u.p. ha sostanzialmente escluso ogni possibilità di evoluzione del quadro probatorio.
La ritenuta mancanza di ogni accordo o vincolo tra gli imputati “soggetti pubblici” non può comunque portare alla negazione dell'esistenza dell'associazione, in quanto il legame associativo non deve essere ricercato solo tra tali soggetti, ma tra questi, singolarmente considerati, e i rappresentanti delle società facenti capo al S. o ai suoi collaboratori. In questa prospettiva il nucleo dell'associazione sarebbe costituito dalla componente privata a cui avrebbero però aderito i soggetti che ricoprivano incarichi pubblici, senza che tra questi ultimi esistesse alcuna forma di vincolo. Come è noto per la configurabilità del reato di partecipazione all'associazione non è necessaria la conoscenza reciproca di tutti gli associati, poiché quel che conta è la consapevolezza e volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale.
È a questa soluzione aperta che si riferisce il ricorso del procuratore generale, che sottolinea come la prova dell'esistenza dell'organizzazione criminale sarebbe desumibile anche dalla continuità, frequenza e intensità dei rapporti tra i soggetti coinvolti, nonché dall'interdipendenza delle loro condotte e, soprattutto, dalla predisposizione dei mezzi finanziari. D'altra parte, si evidenzia come la stessa sentenza abbia riconosciuto che il S. e gli altri amministratori del consorzio B. e della società W. N. hanno “preposto le loro strutture societarie alla reiterata commissione di reati necessariamente richiedenti l'azione dei pubblici uffici”, sicché è appare ragionevole ritenere, come sostenuto da parte ricorrente, che tale azione potesse avvenire proprio grazie ai rapporti con i pubblici funzionari della Regione Calabria incaricati di provvedere all'assegnazione delle commesse pubbliche, i quali si sarebbero resi stabilmente disponibili ad assecondare i fini illeciti perseguiti dal gruppo imprenditoriale, condividendo e contribuendo ad eseguire il programma criminoso.
A sostegno di questa tesi il procuratore generale indica una serie di elementi, peraltro trascurati dalla sentenza impugnata, tra cui: a) i privilegiati rapporti di S. con esponenti politici calabresi sin dal 1999, quando con la sua società O. L. e in accordo con A.N., assessore ai lavori pubblici della Giunta Regionale, fornisce alla Regione 180 lavoratori interinali da adibire al servizio di sorveglianza idraulica, poi aumentati a 490, tutti raccomandati da esponenti politici dei diversi schieramenti; b) le vicende relative all'approvazione della legge regionale n. 23 del 2002 sulla esternalizzazione dei servizi, approvata proprio per stabilizzare i 490 lavoratori interinali; c) il trasversalismo politico di S.; d) il numero elevato di progetti affidati al consorzio B. ; e) l'assenza dei controlli sulla regolare esecuzione dei progetti e sui risultati conseguiti.
Inoltre, si sottolinea come una ricostruzione dello stabile sistema di illeciti accordi tra S. e i pubblici funzionari regionali sia emersa dalle dichiarazioni accusatorie rese dalla Me., stretta collaboratrice di S., da T.P. e da Z.A., dichiarazioni che, come ha rilevato il ricorrente, la sentenza impugnata ha ritenuto aprioristicamente e illogicamente inattendibili, nonostante abbiano trovato riscontri concreti in una serie di elementi probatori e di fatto posti a base della condanna del S. per gran parte dei reati-fine.
L'insostenibilità della tesi che esclude la sussistenza dell'associazione sul presupposto dell'estraneità dei soggetti pubblici al sodalizio appare evidente proprio in considerazione di un possibile sviluppo nel corso dell'istruttoria dibattimentale del quadro probatorio, con particolare riferimento anche alla assunzione, in contraddittorio, delle dichiarazioni accusatori di Me., T.P. e Z.
10. - D'altra parte, la sentenza esclude che vi siano comunque prove circa un “ruolo organico” degli imputati all'interno dell'ipotizzato sodalizio criminale, negando che agli stessi si possa attribuire alcuna condotta partecipativa al programma dell'associazione.
Tuttavia, anche sotto questo profilo il giudizio a base della decisione di proscioglimento appare viziato. Infatti, a sostegno della partecipazione all'associazione da parte degli imputati di questo processo sono stati evidenziati i seguenti elementi di prova che portano ad escludere l'ipotesi di una immutabilità del quadro probatorio nel corso del dibattimento: C.A., dirigente regionale, avrebbe svolto una funzione essenziale nella vicenda in esame, redigendo il bando di gara relativo all'esternalizzazione dei servizi della Regione Calabria, conseguente all'approvazione della legge n. 23 del 2002, per poi far parte della Commissione di gara che ha aggiudicato l'appalto alla società B. e si sottolinea, inoltre, che la figlia del C. è stata in seguito assunta dalla società W. N. ; M.F., dirigente del dipartimento obiettivi strategici della Regione Calabria e Capo di gabinetto del Presidente della Giunta Regionale, sarebbe stato il principale protagonista dell'illecito affidamento al B. del progetto “…” nonché di altri lucrosi progetti, intrattenendo strettissimi e confidenziali rapporti con S.; Mo.Gi., in qualità di assessore al personale nella Giunta Regionale, avrebbe promosso l'assegnazione al B. dei progetti “…” e “…”, nonché di quello relativo al censimento del patrimonio immobiliare; G.D. avrebbe partecipato attivamente all'associazione rendendosi promotore dei progetti “(omissis)” e “…”; A.N., anch'egli assessore della Regione Calabria, risulterebbe coinvolto oltre che nella vicenda O. L., nella segnalazione dei lavoratori da assumere per l'esecuzione dei servizi pubblici assegnati al B. e inoltre si sarebbe distinto per avere sempre assecondato gli interessi imprenditoriali del S., concordando di volta in volta i progetti che potevano interessargli.
Infine, per quanto riguarda F.G. il suo proscioglimento risulta ancor più ingiustificato. Egli è stato l'amministratore della W. N. , quindi non rientra tra i soggetti pubblici per i quali la sentenza ha escluso ogni ipotesi di partecipazione all'associazione, tanto è vero che lo stesso G.u.p. riconosce l'esistenza di uno “stabile legame perdurante nel tempo” tra i soli amministratori delle due società, seppure escludendo che il vincolo possa rientrare nella fattispecie associativa. Una volta messa in crisi la ricostruzione della sentenza in relazione alla irragionevole esclusione della configurabilità dell'associazione a seguito della ritenuta mancata partecipazione dei soggetti pubblici, appare del tutto immotivato il proscioglimento del F.
11. - In conclusione, la sentenza deve essere annullata, con rinvio al G.u.p. del Tribunale di Catanzaro per un nuovo giudizio in persona di un diverso magistrato rispetto a quello che ha partecipato alla decisione oggetto di impugnazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Catanzaro per nuovo giudizio.

 

Depositata in Cancelleria il 21.09.2011
Avv. Antonino Sugamele

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