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Sentenza

PENALE. Il Gip del Tribunale di Chieti applica l'art. 249 cpc sostenendo che il teste ha facoltà di astenersi. La Cassazione annulla.
PENALE. Il Gip del Tribunale di Chieti applica l'art. 249 cpc sostenendo che il teste ha facoltà di astenersi. La Cassazione annulla.
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 05.12.2011, n. 45311

Fatto e diritto

Con la sentenza in data 19/1/2010 il G.I.P. del Tribunale di Chieti dichiarava n.d.p., perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell'art. 425 c.p.p. nei confronti di D.B. F. e D'A. M. in ordine al reato di cui all'art. 372 c.p., ciascuno ascritto. I predetti, deponendo come testi nel giudizio di separazione giudiziale tyra il figlio e la moglie, aveva negato di essere a conoscenza deli maltrattamenti subiti dal coniuge ad opera del figlio.
In motivazione il G.I.P., pur riconoscendo la sussistenza della condotta ascritta agli imputati, riteneva applicabile nel caso in esame, la regola di cui all'art. 249 c.p.c., che prevede la facoltà di astensione, non comunicata ai testimoni.
Di diverso avviso era il P.M., che ricorre per cassazione chiedendo l'annullamento della decisione, deducendo che nel novero dei soggetti, che possono avvalersi della facoltà di astensione nel processo civile non erano compresi i genitori, o meglio che non vi è presunzione di astensione operante in tutti i casi, giacché essa è ravvisabile solo in presenza di un interesse nella causa. Richiamava all'uopo la sentenza della Corte Cost., che aveva dichiarato la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del cit. art. 249 c.p.c. nella parte in cui non fa rientrare i prossimi congiunti tra coloro che possono astenersi dal testimoniare nel processo civile. Di conseguenza non poteva invocarsi l'esimente de qua né quella ex art. 384/1 c.p., essendo evidente la riferibilità del danno allo stesso soggetto agente.
Il ricorso è fondato.
Ed invero secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, che questo collegio condivide, ai fini della esclusione della punibilità ai sensi dell'art. 684, ult. co., c.p.p., commessa in una causa civile, l'interesse che rende una persona incapace di deporre si identifica, secondo quanto dispone l'articolo 246 c.p.c., con l'interesse giuridico personale, concreto e attuale, a proporre una domanda e a contraddirsi, sia sotto l'aspetto di una legittimazione primaria, sia sotto quello di una legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo indipendente, per cui non è rilevante un interesse di mero fatto, non sorretto da una posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile (Cass. sez. VI, 30/4/79 - 22/2/76 n. 1963 Rv. 132300; 18/6 - 27/6/08 n. 26005 Rv. 240566; 10/10 - 31/10/08 n. 40975 Rv. 241523).
Alla stregua di tale principio, appare errata la motivazione a sostegno della sentenza impugnata, che, pur dando atto della sussistenza della condotta ascritta agli imputati, ravvisa la causa di giustificazione della punibilità del mancato esercizio della facoltà di astensione dei prossimi congiunti dal deporre nella causa civile ai sensi dell'art. 249 c.p.c., trascurando invece che la incapacità a testimoniare nella causa civile discende dall'interesse in capo al teste, che potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio ai sensi dell'art. 246 c.p.c.
Ma ciò non si verifica nella fattispecie, in cui nessun concreto interesse nella causa di separazione in corso tra M. F. e D.B. A. potevano avere i genitori di quest'ultimo.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio al medesimo Tribunale di Chieti che procederà ad una nuova deliberazione alla stregua del principio summenzionato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Chieti per nuova deliberazione.

 

Depositata in Cancelleria il 05.12.2011
Avv. Antonino Sugamele

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