Oculista condannato al risarcimento del danno per aver prescritto il collirio ad un paziente senza aver considerato che un uso prolungato causa glaucoma.
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 15.12.2011, n. 26993
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificata in data 17.11.1993 F. R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trani I.G., deducendo: che nel 1989, a seguito di un arrossamento agli occhi, si era recato presso lo studio del convenuto, suo medico curante il quale gli aveva prescritto l'uso di un collirio (il B.) senza ulteriori controlli specialistici; che, a causa di detto collirio e del suo uso protratto nel tempo (a seguito di successive prescrizioni di detto medico), aveva iniziato ad avvertire disturbi visivi, con conseguente ricovero ospedaliero in Chieti e poi in Siena, ove veniva sottoposto a terapie di vario genere per essere risultato affetto da un glaucoma da cortisone; che, inoltre, a seguito anche di un intervento chirurgico aveva subito una menomazione visiva ad entrambi gli occhi.
Chiedeva quindi il risarcimento di danni patrimoniali e morali anche in relazione alla ridotta capacità relazionale e lavorativa.
Costituitosi il F. che affermava, a sua volta, di essere esente dalla responsabilità per aver prescritto il detto farmaco solo per un periodo di tempo limitato, espletata consulenza di ufficio, l'adito tribunale di Trani, con sentenza n. (397/2003, rigettava la domanda non ritenendo sussistere alcuna responsabilità professionale a carico del F.
A seguito dell'appello di quest'ultimo, costituitosi l'I., la Corte d'Appello di Bari, con la decisione in esame depositata in data 29.4.2009, in riforma di quanto statuito in primo grado, condannava l'I. al pagamento della somma di € 445.098,00, con interessi legali dalla data della pronuncia al soddisfo (non adottando alcun provvedimento sulla domanda di garanzia proposta in primo grado confronti dell'A., in seguito A. Assicurazioni, non essendo stata la stessa riproposta in appello). Affermava, in particolare, la Corte di merito che la patologia del F. era ascrivibile “al di là di ogni ragionevole dubbio” alla colpa professionale dell'I. che aveva prescritto un uso prolungato del collirio in questione anche in mancanza del cosiddetto consenso informato.
Ricorre per Cassazione l'I. con un unico articolato motivo, assistito da memoria; resiste con controricorso il F.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso, e relativi quesiti, si deduce violazione degli artt. 1218, 1223, 1227. 2043, 2697 c.c.; si afferma in proposito che “contrariamente a quanto affermato in motivazione, come emerge dalla ricostruzione dei fatti, non risulta minimamente accertato che il rapporto contrattuale tra l'I. e il suo paziente abbia avuto una non corretta esecuzione ed abbia dato luogo ad uno specifico inadempimento da parte del medico; nel caso di specie manca, da parte del presunto danneggiato l'allegazione specifica del fatto dell' inadempimento, con la precisa individuazione del fatto lesivo, fonte dei danni conseguenti, riscontrabili ex art. 1223 c.c., e ciò anche con il riferimento al ritenuto difetto di informazione”.
Il ricorso è inammissibile perché, a fronte di un'ampia e logica motivazione, prospetta alla Corte circostanze di fatto e documentali non ulteriormente esaminabili nella presente sede di legittimità.
Infatti la Corte di merito ha, come detto, con adeguate argomentazioni e sulla base di un compiuto esame delle risultanze processuali, dato conto della ratio decidendi, in particolare affermando che “il F. è risultato affetto da glaucoma secondario da cortisone (circostanza pacifica, accertata dal ctu e risultante dalle cartelle cliniche in atti, oltre che dalle consulenze, tanto del F., quanto della stessa società assicuratrice in giudizio); tale patologia è stata causata (altra circostanza inoppugnabile, ammessa sia dal ctu sia dai consulenti di parte) dall'uso protratto del collirio a base di cortisone; anzi, precisando meglio l'iter eziologico, l'abuso di cortisone provoca l'ipertensione oculare, a sua volta responsabile della patologia glaucomatosa.
Sicché si può affermare con certezza che il nesso di causalità tra l'uso del farmaco in questione e l'evento lesivo è stato accertato al di là di ogni ragionevole dubbio” e che “sebbene, a fronte di tali dichiarazioni, si può dire che la realtà è un'altra, posto che l'appellante ha prodotto la prescrizione della visita specialistica oculistica del dr. I. che reca la data del 4.12.1991 (la visita fu effettuata poi appena due giorni dopo). Quindi, a stare alla stessa versione dell'I., egli sin dalla primavera del 1991 accerta la gravità della situazione, ma non si perita di prescrivere immediatamente una visita specialistica, dal momento che è inconfutabilmente provato che la sua prescrizione reca la data del 4.12.1991″, per poi concludere, con riguardo al consenso informato, che “l'I., pur gravato dell'onere di provare di aver adempiuto all'obbligo di informazione, ha mancato la prova; inoltre, le risultanze processuali consentono di affermare che l'unica visita specialistica prescritta è quella del 4.12.1991, quando ormai la malattia era nella fase irreversibile”.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi € 3.200,00 (di cui € 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessorie come per legge.
Depositata in Cancelleria il 15.12.2011
21-12-2011 00:00
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