Milano. Il sottotetto è parte condominiale? In presenza di precise circostanze è da ritenere comune.
Corte di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 14.12.2011, n. 26833
Svolgimento del processo
1. Em.Ma.Ma., proprietaria di due porzioni immobiliari ubicate al seminterrato del fabbricato condominiale sito in (..), conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano D.M. , E.G. , A.L.M. e R.T. , proprietari degli appartamenti siti al piano terra e al primo piano del predetto immobile, per sentire accertare che i locali sottotetto erano comuni a tutti i condomini con la condanna dei convenuti a eliminare le opere eseguite e al ripristino del sottotetto.
Si costituivano i convenuti, che chiedevano il rigetto della domanda, deducendo che il sottotetto costituiva pertinenza degli appartamenti posti all'ultimo piano dell'edificio.
Con sentenza dell'8 luglio 2003 il Tribunale rigettava la domanda sul rilievo che il sottotetto avesse la destinazione di camera d'aria per l'ultimo piano e non di vano utilizzabile da tutti i condomini.
Con sentenza dep. il 22 ottobre 2005 la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione impugnata dall'attrice, dichiarava che il sottotetto costituiva parte comune, dichiarandone la comproprietà dell'attrice in proporzione della quota millesimale; peraltro respingeva la domanda di ripristino, considerando lecite le opere realizzate dai convenuti.
Secondo i Giudici, premesso che nei singoli atti di acquisto il sottotetto non era menzionato fra i beni comuni, la natura andava determinata in base alla obiettiva destinazione e alla funzione da esso assolta.
Alla stregua degli accertamenti effettuati dal consulente i Giudici ritenevano l'attitudine ad assolvere la funzione di servizio comune a tutti i condomini, quale deposito di oggetto e di allocazione di impianti comuni.
2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione M.D. , E.G. , A.L.M. e T.R. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l'intimata.
Le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), denunciano che la sentenza impugnata sarebbe scarsamente e comunque contraddittoriamente motivata, laddove:
a) aveva ritenuto la facile accessibilità al sottotetto, quando invece era vero l'esatto contrario, tenuto conto che, essendo risultata la botola scomoda, angusta e priva di scala retrattile, era difficoltosa se non impossibile recarsi nel sottotetto;
b) aveva dato rilevanza al posizionamento della botola nel pianerottolo quando si trattava di circostanza irrilevante e comunque sarebbe stata irrazionale una collocazione in uno dei due appartamenti dell'ultimo piano;
c) aveva ritenuto l'idoneità della soletta del pavimento, quando tale accertamento doveva essere compiuto con riferimento alla struttura del pavimento al momento della costituzione del Condominio, mentre quella attuale era stata rinforzata dai ricorrenti, come rilevato dal consulente tecnico, non potendo essere una soletta di cm. 20/25 come indicato in sentenza;
d) aveva dato rilevanza alla mancanza di divisioni interne, che era un elemento irrilevante; d'altra parte secondo quanto risultava accertato dal consulente tecnico d'ufficio - il locale non era suscettibile di utilizzazione autonoma con destinazione comune;
e) aveva ritenuto che il locale sarebbe stato destinato al riscaldamento comune, non essendo al riguardo sufficienti gli elementi emersi.
Osservano che in realtà il sottotetto non fosse stato mai adibito a destinazione comune e che lo stesso aveva un'altezza inferiore a quella prescritta dal regolamento edilizio anche per locali a uso deposito.
1.2. Il motivo va disatteso.
La sentenza, nel ritenere che il sottotetto era un bene comune, ha evidenziato tutta una serie di elementi dai quali si doveva pervenire al convincimento circa l'attitudine a essere destinato al servizio di tutti i condomini.
Al riguardo, la sentenza ha evidenziato:
a) l'accessibilità, con l'ausilio di una scala a pioli attraverso una botola di cm. 70 x 120 dal pianerottolo della scala comune e non dai singoli appartamenti dell'ultimo piano;
b) l'idoneità del pavimento originario a sopportare il peso del calpestio e di deposito di oggetti, dato lo spessore della soletta e la capacità portante accertata dal consulente;
c) le dimensioni e l'altezza originaria del sottotetto, misurata al colmo di metri 2,80, e della superficie di mq. 170, avendo al riguardo chiarito che all'altezza di metri 2,60 andavano aggiunti 40 cm. (20+20 cm.) relativi alla controsoffittatura e alla trave di colmo per un totale di m. 3,20;
d) la mancanza di divisioni interne corrispondenti alle porzioni sottostanti ;
e) la installazione di parti dell'impianto di riscaldamento comune a suo tempo esistente.
Ciò premesso, pur denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione, le doglianze formulate dai ricorrenti si risolvono piuttosto nel prospettare una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla sentenza impugnata, sollecitando una inammissibile (in sede di legittimità) indagine di fatto che è evidentemente riservata al giudice di merito. Ed invero, le doglianze formulate non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell'iter logico giuridico seguito dalla sentenza: in realtà, non si denuncia un vizio logico o giuridico della motivazione, atteso che le censure si concretano in argomentazioni volte a dimostrare - attraverso la disamina e la soggettiva valutazione delle circostanze di fatto considerate dai Giudici - l'erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dalla sentenza laddove ha ritenuto quegli stessi elementi sufficienti per giungere ad affermare la destinazione e l'utilizzazione del sottotetto al servizio di tutti i condomini: in sostanza, i ricorrenti formulano una valutazione del materiale probatorio difforme da quella accolta dalla Corte. Occorre qui ricordare che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre il vizio di falsa applicazione delle legge riguarda la sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nella ipotesi normativa: viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione che nella specie è insussistente e che peraltro non è stato dedotto secondo il paradigma di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., atteso che il vizio di motivazione deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell'art. 360 n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell'ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto). In caso contrario, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 67394/2010).
2.1. Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art.91 cod. cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano la statuizione di condanna delle spese processuali, nonostante la reciproca soccombenza, posto che la domanda di danni era stata respinta.
2.2. Il motivo va disatteso.
In tema di regolamento delle spese processuali, l'unico divieto posto a carico del giudice è quello di non porle a carico della parte interamente vittoriosa, essendo oggetto di una scelta discrezionale e motivata quella di compensarle in tutto o in parte.
Nella specie, i ricorrenti non sono certo la parte risultata interamente vittoriosa, posto che viceversa è stata l'attrice a vedersi accogliere quella che evidentemente costituiva la domanda principale (avente a oggetto l'accertamento della comunione del sottotetto).
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 14.12.2011
21-12-2011 00:00
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