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Sentenza

Legittimo impedimento, costituzionalità, limiti Corte Costituzionale , sentenza 25.01.2011 nr. 23
Legittimo impedimento, costituzionalità, limiti Corte Costituzionale , sentenza 25.01.2011 nr. 23
Corte Costituzionale

Sentenza 25 gennaio 2011, n. 23

(Presidente DE SIERVO, Redattore CASSESE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza) promossi dal Tribunale di Milano, sezione I penale e sezione X penale, con ordinanze del 19 e del 16 aprile 2010 e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano con ordinanza del 24 giugno 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 173, 180 e 304 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 41, prima serie speciale, dell'anno 2010.

Visti gli atti di costituzione di S.B. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo per S.B. e gli avvocati dello Stato Michele Dipace e Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Milano, sezione I penale, con ordinanza del 19 aprile 2010 (reg. ord. n. 173 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 1, 3 e 4, della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza), per violazione dell'art. 138 della Costituzione.

1.1. – Il collegio rimettente riferisce che la difesa dell'imputato nel giudizio principale ha dedotto e documentato, per l'udienza del 12 aprile 2010, un legittimo impedimento a comparire, consistente nell'impegno dell'imputato stesso a svolgere, nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei ministri, un viaggio di Stato. Il Tribunale riporta inoltre che, a fronte della richiesta di ulteriori date utili per la prosecuzione del giudizio, la difesa dell'imputato, ai sensi della disciplina censurata, ha formulato richiesta di rinvio al 21 luglio 2010, producendo attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di impedimento continuativo dell'imputato motivato mediante riferimento esemplificativo a plurime attività governative da svolgere nel periodo intercorrente fra il 9 aprile e il 21 luglio 2010.

Il giudice a quo espone che il pubblico ministero si è opposto alla richiesta di rinvio, sulla base di una interpretazione logica e sistematica della disciplina censurata, tale da consentire al giudice di valutare l'assolutezza dell'impedimento a comparire dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, secondo l'interpretazione proposta dal pubblico ministero, «la mera attestazione di un impegno continuativo e correlato all'esercizio delle funzioni» indicate dalla disciplina censurata «non precluderebbe al giudice l'accertamento della sussistenza in concreto dell'assoluto impedimento a comparire dell'imputato per il periodo indicato nell'attestazione» stessa. In subordine, secondo quanto riferisce il Tribunale rimettente, il pubblico ministero ha dedotto l'illegittimità costituzionale della norma censurata, nell'ipotesi in cui essa dovesse intendersi come preclusiva di un sindacato del giudice in ordine alla sussistenza in concreto del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ad avviso del giudice a quo, l'interpretazione del pubblico ministero non può essere condivisa, in quanto la disciplina censurata qualifica come legittimo impedimento, ai sensi dell'art. 420-ter del codice di procedura penale, «non solo le varie attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti con riguardo alla funzione ministeriale», ma anche le relative «attività preparatorie e consequenziali», nonché ogni «attività comunque coessenziale alle funzioni di governo», imponendo, inoltre, il rinvio del processo ove la Presidenza del Consiglio dei ministri «attesti che l'impedimento è continuativo e correlato» allo svolgimento delle suddette funzioni.

Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che la disciplina censurata non si limiti «ad integrare la previsione di cui all'art. 420-ter del c.p.p.», introducendo «casi ulteriori di legittimo impedimento legati a situazioni specificamente individuate» e tipizzando «taluni atti o attività di governo come integranti la fattispecie legale di impedimento», ma sostanzialmente identifichi l'intera attività di governo «(peraltro mediante un meccanismo di autocertificazione) con l'assoluta impossibilità a comparire». Ciò si traduce, ad avviso del giudice a quo, nella privazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dell'impedimento con riferimento ad uno specifico impegno correlato alla singola udienza. In altri termini – osserva ancora il collegio rimettente – la definizione di legittimo impedimento di cui alla disciplina censurata è talmente ampia e generica da risolversi in una «presunzione assoluta di impedimento», considerata quale situazione legata non già ad un «fatto contingente», ma ad uno «status permanente», con conseguente venir meno della possibilità del giudice di accertare la «sussistenza in concreto» dell'impedimento stesso.

L'impossibilità di seguire l'interpretazione proposta dal pubblico ministero rende rilevante, ad avviso del Tribunale rimettente, la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata. Secondo il giudice a quo, tale questione sarebbe non manifestamente infondata, dal momento che «le disposizioni in esame, introducendo una presunzione iuris et de iure di impedimento continuativo per un lungo periodo di tempo connessa alle funzioni di governo si sostanziano in una norma di status derogatoria dell'ordinaria giurisdizione e dunque in una prerogativa che richiede una copertura costituzionale».

Ad avviso del Tribunale rimettente, infatti, la disciplina censurata, stabilendo a priori e in modo vincolante che la titolarità e l'esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, si tradurrebbe nella «statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non già il diritto di difesa nel processo bensì lo status o la funzione», realizzandosi, in tal modo, «la medesima situazione già analizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2009». Inoltre, secondo il giudice a quo, la circostanza che la stessa legge censurata indichi espressamente la propria «funzione di legge ponte», in vista della successiva entrata in vigore di una organica disciplina costituzionale delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ne renderebbe esplicita «la ratio di anticipazione di una disciplina innovativa in una materia che deve essere necessariamente introdotta con procedimento costituzionale» e confermerebbe, quindi, la violazione dell'art. 138 Cost.

1.2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata non fondata.

1.2.1. – Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, il giudice a quo deduce l'illegittimità costituzionale della disciplina censurata erroneamente presupponendo che essa introduca una prerogativa o immunità in favore del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ciò che, per pacifica giurisprudenza costituzionale, potrebbe avvenire solo mediante legge costituzionale. In realtà, ad avviso della difesa dello Stato, la finalità delle disposizioni oggetto di censura, come emergerebbe anche dai lavori preparatori, sarebbe quella di «identificare normativamente le attività, esercitate da soggetti che rivestono cariche pubbliche di rilievo costituzionale, che costituiscono impedimento a comparire nelle udienze del procedimento penale nel quale risultano imputati». Tali disposizioni – osserva l'Avvocatura generale dello Stato – sono quindi dirette ad integrare la disciplina generale contenuta nell'art. 420-ter cod. proc. pen. e a «tipizzare gli atti, o meglio le attività di governo, che si traducono in altrettante fattispecie di legittimo impedimento». Simile tipizzazione legislativa si rivelerebbe necessaria, secondo il punto di vista della difesa dello Stato, allo scopo di adattare le soluzioni indicate da questa Corte con riferimento all'impedimento a comparire dei membri del Parlamento (sentenza n. 225 del 2001, secondo cui in particolare il giudice «ha l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari») alla diversa fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, le cui attività, rispetto a quelle dei parlamentari, «si svolgono con modalità e cadenze temporali […] più eterogenee e non facilmente preventivabili» e sono «più soggett[e] a variazioni, atteso che l[e] stess[e] dev[ono] tenere conto di svariate evenienze». L'intervento legislativo della cui legittimità si dubita, secondo la difesa dello Stato, sarebbe dunque rivolto a tipizzare, anche a fini di certezza del diritto e allo scopo di evitare divergenti interpretazioni giurisprudenziali, «le ipotesi in cui lo svolgimento dell'attività governativa rende assolutamente impossibile, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri», la comparizione in giudizio, in quanto essa precluderebbe «lo svolgimento di attività istituzionali non delegabili».

L'Avvocatura generale dello Stato ritiene, inoltre, che la disciplina censurata, a differenza della legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato), non determini «in via automatica» la sospensione del processo. In primo luogo, essa si limiterebbe a consentire all'imputato di ottenere, «volta per volta», il rinvio dell'udienza. In secondo luogo, le funzioni di governo in grado di giustificare la richiesta di rinvio troverebbero un «esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario o secondario» espressamente richiamate, o sarebbero comunque «adeguatamente determinate e agevolmente individuabili atteso il loro carattere strettamente strumentale rispetto a quelle specificamente indicate con il richiamo delle rispettive fonti normative» (attività preparatorie, consequenziali o comunque coessenziali alle funzioni di governo). Infine, il giudice non sarebbe privato del potere di accertare «la sussistenza in concreto» del legittimo impedimento, perché egli potrebbe comunque valutare «se l'attività governativa dedotta quale legittimo impedimento rientri fra le ipotesi previste dalle disposizioni» censurate. Al giudice, pertanto, resterebbe solo precluso il potere di «sindacare se le attività istituzionali indicate» da tali disposizioni siano, «una volta provatane in fatto l'esistenza, causa di legittimo impedimento»: se così non fosse, si avrebbe, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, un inammissibile sindacato del giudice penale sulle ragioni politiche sottese all'esercizio delle attività istituzionali degli organi costituzionali.

La difesa dello Stato esclude, quindi, che la disciplina censurata costituisca, come invece affermato dal giudice a quo, una prerogativa o immunità tale da richiedere copertura costituzionale. Si tratterebbe, invece, di un intervento legislativo di «modulazione» dell'istituto generale del legittimo impedimento, che, in definitiva: «non comporta esenzione dalla giurisdizione penale»; «non prevede una sospensione generale e automatica del procedimento penale»; «ha, quale unico effetto processuale, quello del rinvio del processo ad altra udienza su richiesta di parte»; prevede un rinvio che «non ha una durata indeterminata» e, nell'ipotesi di impedimento continuativo, comunque «non può essere superiore a sei mesi»; «non comporta una presunzione assoluta di legittimo impedimento, ma soltanto l'indicazione di categorie di attività istituzionali che possono comportare la richiesta del rinvio dell'udienza a tutela del diritto di difesa dell'imputato in coerenza con l'esercizio dei propri doveri costituzionali»; «contiene un ragionevole bilanciamento dei due valori costituzionali, quello dell'esercizio della giurisdizione e quello dell'esercizio delle attività politico-istituzionali dei membri del Governo, senza far prevalere l'uno sull'altro e soprattutto senza sacrificarne nessuno».

Né può sostenersi, secondo la difesa dello Stato, che il rinvio effettuato dall'art. 2 della legge n. 51 del 2010 ad una successiva organica disciplina costituzionale delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri dimostri il carattere di prerogativa di quanto disposto dalla disciplina censurata. Tale richiamo, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, «vuol significare soltanto che – correttamente – sarà una legge costituzionale a disciplinare le vere prerogative dei membri del Governo», mentre, fino a quel momento, «rimarranno in vigore specifiche previsioni di legge ordinaria (come quella in esame) inerenti a specifici aspetti della materia che al concetto di prerogativa non sono certo riconducibili». Del resto, il disegno di legge costituzionale effettivamente presentato (A.S. n. 2180, recante «Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato»), costituisce, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, un intervento legislativo che ha un contenuto ben diverso rispetto a quello della disciplina censurata. Il disegno di legge, infatti, disporrebbe «la sospensione della giurisdizione nei confronti delle alte cariche dello Stato al fine di fornire una obiettiva protezione del regolare svolgimento delle attività connesse alla carica stessa». La legge n. 51 del 2010, invece, prevederebbe un impedimento a comparire «in caso di concomitante esercizio di una o più attribuzioni previste dalle leggi e dai regolamenti» per le alte cariche, senza «sospende[re] l'esercizio della giurisdizione», né «crea[re] un particolare status giuridico per tale carica», ma limitandosi a disporre un «rinvio dell'udienza con conseguente sospensione della prescrizione per l'intera durata del rinvio».

Infine, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, la scelta normativa, «particolarmente stigmatizzata dal giudice a quo», di attribuire alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito di attestare la continuatività e la correlazione con lo svolgimento delle funzioni governative dell'impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, troverebbe invece giustificazione «nella necessità ed opportunità di attribuire tale delicato compito ad un soggetto […] distinto rispetto al Presidente del Consiglio dei Ministri coinvolto nel processo penale come imputato», mentre sarebbe stato «irragionevole» lasciare a quest'ultimo «il compito di autocertificare che l'impedimento presenta carattere continuativo».

1.2.2. – In data 23 novembre 2010, l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, memoria illustrativa, ribadendo le ragioni dedotte con l'atto di intervento e insistendo per l'inammissibilità e l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

La difesa dello Stato deduce l'inammissibilità della questione sostenendo, in primo luogo, che l'ordinanza di rimessione non preciserebbe i fatti del processo a quo, né indicherebbe i reati per i quali esso viene celebrato, in tal modo non permettendo a questa Corte di valutare la rilevanza della questione, se non violando il principio di autosufficienza dell'atto di rimessione. Il giudice rimettente, in secondo luogo, ad avviso della difesa statale, non avrebbe «spiegato perché non potesse decidere sulla richiesta di rinvio dell'udienza, formulata dalla difesa dell'imputato […] in quanto quest'ultimo era assolutamente impossibilitato a presenziare alla medesima udienza per legittimo impedimento concretatesi in impegni istituzionali specificamente indicati dall'attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e facilmente accertabili da parte del Tribunale indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale costituzionale avente ad oggetto l'art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51 del 2010». Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, quindi, il giudice a quo non avrebbe fornito alcuna giustificazione in relazione al fatto che l'istanza difensiva non potesse essere valutata e decisa alla stregua della disciplina di cui all'art. 420-ter cod. proc. pen. La questione, pertanto, sarebbe stata proposta non all'esito della necessaria verifica della sua rilevanza, bensì «per sindacare la legittimità costituzionale di una norma di legge senza fornire la prova della incidenza della stessa in concreto sul processo in corso».

Nel merito, la difesa dello Stato ribadisce quanto dedotto nell'atto di intervento, rimarcando che le disposizioni della legge n. 51 del 2010 non si discosterebbero dalla logica dell'art. 420-ter cod. proc. pen., «di cui precisano soltanto alcune fattispecie di impedimento e pertanto non hanno la finalità di proteggere la funzione pubblica, in sé e per sé considerata, creando una prerogativa ovvero un'immunità per specifici imputati, ma sono volte a tutelare il diritto di difesa dell'imputato che in un determinato periodo di tempo (es. giorno dell'udienza) è impedito a partecipare al processo per un proprio impegno istituzionale non prorogabile». La normativa censurata, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, non introduce alcuna forma di immunità, ma «specifica, tipizzandola (e, peraltro, riducendola significativamente)» la portata dell'istituto dell'impedimento a comparire già previsto dall'art. 420-ter cod. proc. pen. Né potrebbe dirsi, sostiene la difesa dello Stato, che si sia dinanzi a una presunzione iuris et de iure, in base alla quale la legge n. 51 del 2010 avrebbe privato il giudice del potere di qualsiasi valutazione con riferimento al caso concreto, dal momento che «il giudice è tenuto ad accertare quando ricorrono le ipotesi previste dall'art. 1, comma 1, della legge e rinviare il processo solo accertata la sussistenza di tali casi».

1.3. – Si è costituito in giudizio, con atto depositato in data 5 luglio 2010, l'imputato nel giudizio principale, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.

1.3.1. – L'imputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, l'inammissibilità della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. Egli nega che, in relazione alle norme processuali, risulti attenuato l'obbligo del giudice a quo di descrivere puntualmente la fattispecie sottoposta al suo esame e comunque ritiene che, ove pure si volesse aderire a tale tesi, la mancata descrizione della fattispecie sarebbe, nel caso in esame, così «drastica» da determinare comunque l'inammissibilità della questione. Sostiene la parte privata, infatti, che l'ordinanza di rimessione: non chiarisce a quali reati si riferisce l'imputazione, né dove e quando gli stessi sarebbero stati commessi, né se siano contestate ipotesi di concorso con altre persone; non fornisce una puntuale descrizione della «condizione soggettiva che legittima l'applicazione » della norma censurata; non indica lo stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Ad avviso dell'imputato nel giudizio principale, in virtù del principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, tali elementi, di cui la Corte «deve avere necessariamente contezza […] per comprendere l'impatto che l'applicazione» della disciplina censurata potrebbe avere sul giudizio principale, neppure potrebbero essere ricavati «ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo, o, addirittura, a fatti ritenuti notori».

L'imputato nel giudizio principale, inoltre, deduce, quale ulteriore ragione di inammissibilità, il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi la quale sarebbe «necessario che l'interpretazione non costituzionale della legge, oltre ad essere l'unica possibile, supporti ed orienti l'applicazione che nel medesimo contesto il giudice si accingerebbe a farne». Ciò non accadrebbe nel caso in esame, nel quale la difesa dell'imputato, all'udienza del 12 aprile 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, rappresentato da un viaggio di Stato a Washington D.C., negli Stati Uniti d'America, e, dall'altro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al successivo 21 luglio.

Alla luce di tali circostanze, secondo l'imputato nel giudizio principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni.

In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata «prematuramente rispetto alla necessità di dare effettiva applicazione» alla disciplina censurata, in considerazione della «sussistenza dell'impedimento puntuale, valevole hic et nunc per l'udienza del 12 aprile 2010, dato dal viaggio di Stato a Washington». L'imputato nel giudizio principale chiarisce che l'attestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri è stata prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio, date che però il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente – e quindi prematuramente – la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata.

In secondo luogo, l'imputato nel giudizio principale rileva che, ove pure «si ritenesse che la mera esibizione dell'attestazione […] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno dell'udienza in cui avviene detta esibizione», tale attestazione si è limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo di poco più di tre mesi, inferiore quindi al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest'ultima avrebbe avuto quindi, nel giudizio a quo, una «applicazione parziale» e la questione di legittimità costituzionale avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cioè di una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per tre mesi, mentre il giudice a quo – rileva la parte privata - «discetta in astratto di “rilevanti periodo di tempo” in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento».

Nel merito, l'imputato nel giudizio principale ritiene che il Tribunale rimettente abbia sollevato la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata sulla base dell'erroneo presupposto che essa abbia introdotto un meccanismo che, «al di là dell'evocazione del nomen di legittimo impedimento, costituirebbe in realtà una prerogativa connessa alla carica costituzionale di Presidente del Consiglio dei ministri e richiederebbe pertanto una fonte di rango costituzionale».

Innanzitutto, la circostanza su cui il Tribunale rimettente fonderebbe questo assunto, cioè l'asseritamente prevista sottrazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dell'impedimento, è negata dall'imputato nel giudizio principale. Questi infatti osserva come «nulla viet[i] al giudice, al quale venga esibita l'attestazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri» di cui alla disciplina censurata, «sia di controllare l'autenticità della stessa, sia di chiedere […] ulteriori precisazioni in merito all'attività di governo che deve essere compiuta», restandogli soltanto preclusa la possibilità «di sindacare il merito dell'attività di governo, giudicandola più o meno importante e necessaria», ciò che peraltro contrasterebbe anche con il principio di separazione dei poteri.

Inoltre, la «facoltà del giudice di entrare nel merito della fondatezza del legittimo impedimento», ad avviso dell'imputato nel giudizio principale, non sarebbe «così coessenziale alla natura stessa dell'istituto» da far escludere che possa rientrare nella categoria del legittimo impedimento (e non in quella della prerogativa costituzionale) anche «un'ipotesi di impedimento qualificato a monte come legittimo da una fonte di rango ordinario, rispetto al quale il giudice possa solo verificare se si versi o meno nei casi previsti dalla legge». Ragionando in via analogica, l'imputato nel giudizio principale ritiene che non potrebbe ritenersi preclusa al legislatore ordinario «la compilazione di un elenco di patologie invalidanti in presenza delle quali il giudice fosse costretto a riconoscere il legittimo impedimento dell'imputato che ne sia affetto», potendo «disporre accertamenti sulla veridicità del certificato», ma senza «sindacare la ragionevolezza della scelta legislativa di inserire nell'elenco una patologia piuttosto che un'altra». Una simile disciplina, infatti, «non cancellerebbe la natura di legittimo impedimento» dell'imputato «affetto da una delle patologie legislativamente previste, per trasformare questa evenienza in una prerogativa per quel tipo di malati».

Ad avviso dell'imputato nel giudizio principale, dunque, il Tribunale rimettente, nel negare che la disciplina censurata preveda una ipotesi di legittimo impedimento, muoverebbe da un presupposto giuridico errato e, di conseguenza, evocherebbe un parametro costituzionale (art. 138 Cost.) non pertinente, dal momento che «nessuno può seriamente dubitare che una tipizzazione da parte del legislatore di alcuni casi di legittimo impedimento debba e possa avvenire con legge ordinaria». Quest'ultima – osserva ancora l'imputato nel giudizio principale – deve realizzare un ragionevole bilanciamento fra i valori costituzionali in gioco (diritto di difesa e obbligatorietà dell'azione penale e ragionevole durata del processo), che è oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale. Ma l'ordinanza di rimessione trascurerebbe completamente di considerare il profilo della «ragionevolezza del concreto bilanciamento di interessi operato» dalla disciplina censurata, rimanendo invece «ancorata al pregiudizio della “prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelare non già il diritto di difesa del processo bensì lo status e le funzioni”».

La tesi che la disciplina censurata introduca una prerogativa costituzionale sarebbe ulteriormente contraddetta, ad avviso della parte privata, dal suo carattere temporaneo: una normativa destinata «a dispiegare i propri effetti nell'ordinamento al più per i diciotto mesi successivi alla sua pubblicazione», infatti, non potrebbe «integrare una prerogativa costituzionale, a meno di non voler pensare che le prerogative costituzionali possano avere una scadenza».

Né la tesi della prerogativa costituzionale potrebbe trarre conforto dalla circostanza che la disciplina censurata «preannuncia una riforma costituzionale» delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri. Secondo l'imputato nel giudizio a quo, tale argomento, adoperato dal giudice rimettente, «equipara in modo del tutto arbitrario il contenuto» della normativa oggetto di censura con quello della futura disciplina costituzionale. Quest'ultima, secondo l'imputato nel giudizio principale, nel dettare una disciplina costituzionale organica delle prerogative dei membri del Governo potrà regolare «anche […] l'interazione fra le suddette prerogative e […] istituti previsti da leggi ordinarie […] quali il legittimo impedimento». Ma ciò non significa che le disposizioni censurate intendano «anticipare a livello di legge ordinaria gli effetti di una riforma costituzionale». Esse, invece, secondo la parte privata, risponderebbero allo scopo di «regolare in modo estremamente equilibrato un lasso di tempo intermedio fra la mancanza assoluta di una disciplina che si occupi delle eventuali difficoltà che il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri possono trovare a difendersi efficacemente in un processo penale che li veda imputati e l'approvazione di una legge costituzionale che ridefinisca lo status di queste cariche».

Il carattere equilibrato del contemperamento di interessi realizzato dalla disciplina transitoria censurata sarebbe inoltre dimostrato, ad avviso dell'imputato nel giudizio a quo, dalle seguenti ulteriori circostanze. In primo luogo, la disciplina prevede la sospensione del decorso della prescrizione, con la conseguenza che per effetto del legittimo impedimento «la situazione processuale viene semplicemente congelata senza alcun effetto pregiudizievole sul piano sostanziale». In secondo luogo, l'applicazione concreta di tale disciplina nel giudizio a quo permetterebbe presumibilmente di realizzare un equo bilanciamento degli interessi in gioco, atteso che l'imputato nel processo principale si è raramente avvalso dell'istituto del legittimo impedimento, permettendo così la celebrazione di ben 83 udienze. Infine, il periodo massimo di differimento del processo, consentito dalle disposizioni oggetto di censura, è di appena sei mesi, che è intervallo di tempo assai più breve rispetto al periodo di sospensione che si determina per effetto della remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimità sollevata dal giudice a quo.

1.3.2. – In data 22 novembre 2010, l'imputato nel giudizio principale ha depositato memoria illustrativa, ribadendo l'infondatezza della questione. Nella memoria, la parte privata illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio fino al giorno 19 aprile 2010, al dichiarato fine di consentire a questa Corte di «valutare la ragionevolezza di quanto deciso dal Tribunale di Milano a fronte di una richiesta di rinvio corredata anche dall'indicazione di possibili date per la celebrazione delle successive udienze». Dalle vicende del giudizio principale emergerebbe come «la difesa abbia rigorosamente interpretato quei canoni ermeneutici offerti» dalla Corte «per individuare il concetto di leale collaborazione processuale, concordando le date, non frapponendo impedimenti pretestuosi, consentendo la celebrazione delle udienze anche quando l'imputato era impedito, se la sua partecipazione non era oggettivamente necessaria». Con osservazioni estese anche ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 180 e 304 del 2010, inoltre, la parte privata sostiene che i rinvii richiesti per legittimo impedimento sarebbero stati sempre limitati e rispettosi dell'attività giudiziaria e che le attestazioni fornite sono state sempre assai inferiori al termine massimo dei sei mesi. Sarebbe quindi stato sufficiente, conclude la difesa dell'imputato nel giudizio principale, applicare i canoni di cui all'art. 420-ter cod. proc. pen. per poter continuare i processi.

2. – Il Tribunale di Milano, sezione X penale, con ordinanza del 16 aprile 2010 (reg. ord. n. 180 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 51 del 2010, per violazione degli artt. 3 e 138 Cost.

2.1. – Il collegio rimettente riferisce che la difesa dell'imputato nel giudizio principale, al quale è contestato il reato di cui agli artt. 110, 319, 319-ter e 321 del codice penale, ha anticipato via fax, in data 14 aprile 2010, una richiesta di rinvio dell'udienza del 16 aprile (data che era stata indicata dal Tribunale, nel corso della precedente udienza del 27 febbraio 2010, insieme a quelle, successive, del 30 aprile, 7 maggio, 12 maggio e 29 maggio del 2010), deducendo legittimo impedimento consistente nell'impegno a presiedere il Consiglio dei ministri convocato per lo stesso giorno. Il Tribunale rimettente espone che, nel corso dell'udienza del 16 aprile, la difesa dell'imputato nel giudizio principale ha prodotto copia dell'ordine del giorno del Consiglio dei ministri (datato 14 aprile 2010) e ha esibito l'originale, producendo copia, «dell'attestazione del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativa alla continuatività dell'impedimento correlato allo svolgimento delle funzioni di governo» ai sensi della legge censurata. Il giudice a quo riferisce, inoltre, che il pubblico ministero ha domandato il rigetto della richiesta di rinvio, negando il carattere assoluto dell'impedimento alla luce dei punti posti all'ordine del giorno della seduta del Consiglio dei ministri del 14 aprile 2010 e della circostanza per cui l'impedimento è intervenuto successivamente alla fissazione concordata del calendario del processo, mentre la difesa dell'imputato ha ribadito la rilevanza dei temi posti all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri e, dunque, il carattere assoluto dell'impedimento.

Ad avviso del Tribunale rimettente, ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio e della prosecuzione del dibattimento, è «imprescindibile» accertare preliminarmente se, in applicazione della disciplina legislativa censurata, il giudice «mantenga», conformemente alla natura stessa dell'«istituto generale» del legittimo impedimento di cui all'art. 420-ter cod. proc. pen., «il potere-dovere di verificare l'effettiva sussistenza dell'impedimento», mediante un «accertamento di fatto da effettuarsi caso per caso e in concreto». La disciplina censurata, secondo il collegio rimettente, sottrae al giudice tale potere di valutazione. Essa, infatti, non contiene una «disciplina[..] presuntiva[…]» dell'istituto «in relazione a specifiche situazioni di fatto» e «coerente[…] con il sistema delineato dall'art. 420-ter di applicazione generale». L'art. 1, comma 1, della legge n. 51 del 2010, ad avviso del giudice a quo, «stila[…] un elenco» di impedimenti legittimi che include anche le «attività preparatorie e consequenziali, nonché […] ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo». La «genericità» di tale formulazione limiterebbe la possibilità del giudice di apprezzare l'effettività dell'impedimento rispetto alla singola udienza, ciò che risulterebbe rafforzato dal dettato del comma 4 del medesimo art. 1, secondo cui «il giudice rinvia il processo a seguito di certificazione che attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni» di governo. Da tutto ciò il collegio rimettente conclude che, in base alla disciplina censurata, «il rinvio è imposto da ragioni genericamente indicate e insindacabili dalla autorità giudiziaria e si traduce in una causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto di difesa, per il quale l'istituto del legittimo impedimento a comparire è previsto». Né può seguirsi, secondo il Tribunale rimettente, una diversa interpretazione della legge censurata, tale da «salvaguarda[re] il sindacato del giudice in ordine alla natura dell'impedimento e alla sua continuatività»: una simile interpretazione, infatti, «si risolverebbe in una sostanziale disapplicazione della nuova legge» e contrasterebbe con la volontà del legislatore, quale espressamente palesata dall'art. 2 della legge censurata, secondo il quale «le nuove disposizioni si applicano al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge».

Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che il meccanismo processuale previsto dalla disciplina censurata, sebbene qualificato come legittimo impedimento, rappresenti in realtà una «nuova prerogativa», «connessa all'esercizio delle cariche costituzionali di Presidente del Consiglio dei Ministri e di Ministro», e consistente in una «causa di sospensione del processo». Ma – osserva il giudice a quo – la previsione di una simile prerogativa, in quanto «derogatoria al principio di eguale sottoposizione alla legge e alla giurisdizione di tutti i cittadini», non può avvenire con legge ordinaria. Essa richiede necessariamente una fonte costituzionale, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2009 e come del resto riconosciuto dalla medesima disciplina censurata, che ha carattere temporaneo ed è rivolta ad anticipare gli effetti di una legge costituzionale recante una disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri.

2.2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari la questione di legittimità costituzionale sollevata inammissibile, in relazione all'art. 3 Cost., e comunque non fondata, in relazione al medesimo art. 3, nonché all'art. 138 Cost.

2.2.1. – Quanto all'asserita lesione dell'art. 3 Cost., l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce preliminarmente la manifesta inammissibilità della questione, per non avere «il Tribunale rimettente esplicitato i motivi che fonderebbero la predetta violazione». Nel merito, la difesa dello Stato ritiene che le disposizioni censurate prevedano un «trattamento differenziato per i titolari delle cariche ivi indicate del tutto conforme al richiesto requisito della ragionevolezza e proporzionalità», essendo tali disposizioni dirette a pervenire, con specifico riferimento alla fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri imputato «ad un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrità funzionale dell'organo costituzionale». Né può ritenersi, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, che la violazione dell'art. 3 Cost. dipenda da una illegittima differenziazione della posizione del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto a quella dei ministri, dal momento che la disciplina censurata si riferisce ad entrambe le cariche.

Con riguardo, invece, alla lamentata violazione dell'art. 138 Cost., l'Avvocatura generale dello Stato deduce la non fondatezza della censura sulla base di argomenti testualmente identici a quelli svolti nell'atto di intervento riferito all'ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010.

2.2.2. – In data 23 novembre 2010, l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, memoria illustrativa, ribadendo le ragioni dedotte con l'atto di intervento a sostegno dell'inammissibilità e dell'infondatezza della questione di costituzionalità sollevata. La difesa dello Stato formula ulteriori osservazioni in ordine alla manifesta inammissibilità e alla infondatezza della questione, sulla base di argomenti testualmente identici a quelli dedotti nella memoria riferita all'ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010.

2.3. – Si è costituito in giudizio, con atto depositato in data 5 luglio 2010, l'imputato nel giudizio principale, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.

2.3.1. – L'imputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, l'inammissibilità della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. In particolare, l'ordinanza di rimessione conterrebbe, ad avviso dell'imputato nel giudizio principale, una «laconica indicazione degli articoli del codice penale contestati all'imputato e delle coordinate spazio-temporali del capo di imputazione» e non fornirebbe una puntuale descrizione della «condizione soggettiva che legittima l'applicazione» della norma censurata, né dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo l'imputato nel giudizio principale, in virtù del principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, tali elementi, di cui la Corte «deve avere necessariamente contezza per potersi pronunciare», non potrebbero essere ricavati «ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo del giudizio principale, o, addirittura, a fatti ritenuti notori».

L'imputato nel giudizio principale deduce poi, quale ulteriore ragione di inammissibilità, il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi la quale sarebbe «necessario che l'interpretazione non costituzionale della legge, oltre ad essere l'unica possibile, supporti ed orienti l'applicazione che nel medesimo contesto il giudice si accingerebbe a farne». Ciò non accadrebbe nel caso in esame, nel quale la difesa dell'imputato, all'udienza del 16 aprile 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri, e, dall'altro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al 21 luglio 2010.

Sulla base di tali circostanze, secondo l'imputato nel giudizio principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni.

In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata «prematuramente rispetto alla necessità di dare effettiva applicazione» alla disciplina censurata, in considerazione della «sussistenza dell'impedimento puntuale, valevole hic et nunc per l'udienza del 16 aprile 2010, dato dalla concomitante riunione del Consiglio dei Ministri». L'imputato nel giudizio principale chiarisce che l'attestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri è stata prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio 2010, date che però il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente – e quindi prematuramente – la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata.

In secondo luogo, l'imputato nel giudizio principale rileva che, ove pure «si ritenesse che la mera esibizione dell'attestazione […] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno dell'udienza in cui avviene detta esibizione», tale attestazione si è limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo di poco più di tre mesi, inferiore quindi al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest'ultima avrebbe quindi avuto, nel giudizio a quo, una «applicazione parziale» e la questione di legittimità costituzionale avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cioè di una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per tre mesi, mentre il giudice a quo «discetta in astratto di “rilevanti periodo di tempo” in cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento».

Nel merito, la parte privata sostiene che la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale rimettente in relazione all'art. 138 Cost., sia manifestamente infondata, per le ragioni indicate, con argomenti testualmente identici, nell'atto di costituzione relativo al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010.

Relativamente, invece, all'asserita violazione dell'art. 3 Cost., la parte privata osserva che «manca nell'ordinanza di rimessione qualunque valutazione relativa al tertium comparationis […] nonché alla ragionevolezza del bilanciamento di interessi operato» dalla disciplina censurata.

Sotto il primo profilo, viene rilevato che l'ordinanza di rimessione non chiarisce quali siano i soggetti rispetto ai quali la disciplina censurata «creerebbe sperequazioni: se rispetto al semplice cittadino, o ad altre cariche dello Stato, o a un Presidente del Consiglio dei Ministri e a dei Ministri tutelati da vere immunità costituzionali».

Sotto il secondo profilo, si osserva come il giudice a quo si limiti ad affermare che il meccanismo processuale denunciato è «causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata rispetto alla tutela del diritto di difesa», senza però impiegare alcuna altra argomentazione «per dare sostanza e contenuto all'asserita sproporzione» e, soprattutto, senza considerare il carattere temporaneo e transitorio della disciplina denunciata, suscettibile di influenzare significativamente il giudizio sulla ragionevolezza del bilanciamento di interessi da essa operato.

2.3.2. – In data 22 novembre 2010, l'imputato nel giudizio principale ha depositato memoria illustrativa, insistendo perché la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata non fondata. La parte privata, in particolare, illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio, riproducendo le medesime argomentazioni svolte nella memoria riferita al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010.

3. – Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, con ordinanza del 24 giugno 2010 (reg. ord. n. 304 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge n. 51 del 2010, per violazione dell'art. 138 Cost.

3.1. – Il giudice rimettente riferisce che la difesa dell'imputato nel giudizio principale ha avanzato, ai sensi della disciplina censurata, istanza di differimento dell'udienza preliminare alla data del 27 luglio 2010, producendo una attestazione della Segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri in cui viene dato atto di un impedimento continuativo, fino alla suddetta data, correlato alle funzioni di governo che l'imputato stesso è chiamato a svolgere nella sua qualità di attuale Presidente del Consiglio dei ministri. Il giudice a quo espone, inoltre, che, a fronte di tale richiesta di differimento, il pubblico ministero ha chiesto la fissazione di un calendario di udienze per i successivi mesi di settembre e ottobre e la difesa dell'imputato ha offerto la propria disponibilità, tuttavia precisando che «un'eventuale programmazione delle udienze dovrà comunque essere modulata sulla base dei futuri impegni istituzionali del proprio assistito, allo stato non individuabili».

Il giudice rimettente ritiene che, ai fini della decisione sull'istanza di differimento dell'udienza preliminare, occorra preliminarmente stabilire se, alla luce della disposizione legislativa censurata, «il giudice conservi il potere, stabilito dall'art. 420-ter del codice di procedura penale, di sindacare caso per caso se l'impedimento legittimo possa ritenersi assoluto per tutto il periodo in cui viene rappresentato e, come tale, legittimare la richiesta di rinvio dell'udienza». A tal fine, ad avviso del giudice a quo, la legge censurata deve essere interpretata tenendo conto della «ratio» dalla medesima indicata all'art. 2, cioè quella di regolare «le prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e degli stessi Ministri in vista del sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite […] in attesa di una legge di rango costituzionale che valga ad attuarne un'organica e definitiva regolamentazione». Alla luce di tale circostanza, il giudice rimettente ritiene che, «a fronte di una certificazione governativa in cui vengano indistintamente richiamati gli impegni istituzionali non rinviabili presenti nell'agenda del Presidente del Consiglio dei ministri per un determinato arco temporale, senza alcun preciso riferimento in ordine alla relativa natura, frequenza e durata, al giudice sia precluso ogni sindacato in merito al carattere assoluto dell'impedimento così rappresentato».

Tuttavia, una simile qualificazione legislativa, vincolante per il giudice, di «legittimo impedimento continuativo correlato alle funzioni governo», si tradurrebbe in pratica, ad avviso del giudice rimettente, in una «sorta di temporanea esenzione dalla giurisdizione penale destinata a perdurare per tutto il tempo in cui l'incarico governativo viene ad essere ricoperto». Tale deroga al comune regime giurisdizionale costituirebbe una prerogativa in favore dei componenti di un organo costituzionale che, secondo quanto affermato da questa Corte, può essere introdotta solo con legge costituzionale. Del resto – osserva ancora il giudice a quo – lo stesso art. 2 della legge censurata, «nel rappresentarne il carattere temporaneo, pare essere consapevole della necessità che l'organico assetto delle prerogative dei componenti del Consiglio dei ministri sia attuato attraverso il meccanismo previsto dall'art. 138 Cost.». L'asserita violazione di quest'ultima disposizione costituzionale induce pertanto il giudice rimettente a sollevare d'ufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata, la quale, in quanto legge ordinaria, non potrebbe, «neppure per un periodo di tempo limitato, anticipare gli effetti di una legge di rango costituzionale».

3.2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

La difesa dello Stato eccepisce innanzitutto l'inammissibilità «per difetto di rilevanza in concreto della questione di costituzionalità dedotta». L'Avvocatura generale dello Stato osserva, infatti, che, come emerge della stessa ordinanza di rimessione, alla richiesta di differimento dell'udienza preliminare per l'attestato impedimento dell'imputato, nessuna delle parti si è opposta, compreso il pubblico ministero, che ha chiesto la fissazione di un calendario di udienze per i successivi mesi di settembre e ottobre. In tale contesto, ad avviso della difesa dello Stato, il giudice rimettente avrebbe dovuto preliminarmente valutare la richiesta di rinvio ai sensi della norma generale di cui all'art. 420-ter cod. proc. pen. e, solo in caso di ritenuta inapplicabilità di tale disposizione, verificare l'applicabilità della norma speciale censurata. Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, invece, il giudice rimettente avrebbe proceduto, «in astratto» e «senza fornire alcuna indicazione in ordine alla rilevanza della stessa con riferimento al processo in questione», a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma censurata, che si rivelerebbe, pertanto, inammissibile.

Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato deduce la non fondatezza della questione sollevata sulla base di argomenti testualmente identici a quelli svolti nell'atto di intervento riferito all'ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. La difesa dello Stato esclude, in particolare, che la disciplina censurata possa costituire una prerogativa costituzionale. Essa infatti sarebbe rivolta ad integrare la disciplina dell'istituto processuale generale del legittimo impedimento, il quale può ben essere regolato con legge ordinaria in quanto «prescinde dalla natura dell'attività che legittima l'impedimento medesimo, [è] di generale applicazione e pertanto non deroga al comune regime giurisdizionale».

3.3. – Si è costituito in giudizio, con atto depositato in data 26 ottobre 2010, l'imputato nel giudizio principale, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata.

3.3.1. – L'imputato nel giudizio principale eccepisce, innanzitutto, l'inammissibilità della questione sollevata, in ragione della omessa descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, tale da non permettere alla Corte di valutarne compiutamente la rilevanza. In particolare, l'ordinanza di rimessione, ad avviso dell'imputato nel giudizio principale, non indicherebbe i reati contestati e il luogo e tempo della loro commissione, né fornirebbe una puntuale descrizione della «condizione soggettiva che legittima l'applicazione» della norma censurata e dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo l'imputato nel giudizio principale, in virtù del principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, tali elementi, di cui la Corte «deve avere necessariamente contezza per potersi pronunciare», non potrebbero essere ricavati «ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute, o alla visione diretta del fascicolo del giudizio principale, o, addirittura, a fatti ritenuti notori».

L'imputato nel giudizio principale deduce poi, quale ulteriore ragione di inammissibilità, il difetto della rilevanza in concreto della questione sollevata dal giudice rimettente. Rileva al proposito la parte privata, integrando la descrizione asseritamente imprecisa contenuta nell'ordinanza di rimessione, che, nel caso in esame, la difesa dell'imputato, all'udienza del 24 giugno 2010, da un lato, ha prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri e dalla successiva partenza per un vertice internazionale in Canada, e, dall'altro lato, ha prodotto attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo impedimento continuativo fino al 27 luglio 2010.

Sulla base di tali circostanze, secondo l'imputato nel giudizio principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni.

In primo luogo, la questione sarebbe stata sollevata «prematuramente rispetto alla necessità di dare effettiva applicazione» alla disciplina censurata, in considerazione della «sussistenza dell'impedimento puntuale, valevole hic et nunc per l'udienza del 24 giugno 2010, dato dal Consiglio dei ministri e dal viaggio di Stato in Canada». L'imputato nel giudizio principale chiarisce che l'attestazione della Presidenza del Consiglio è stata prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio, date che però il Tribunale rimettente non avrebbe neppure preso in considerazione, sollevando invece direttamente – e quindi prematuramente – la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata.

In secondo luogo, l'imputato nel giudizio principale rileva che, ove pure «si ritenesse che la produzione dell'attestazione […] equivalga a una richiesta di applicazione della stessa, pur in presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno dell'udienza in cui avviene detta produzione», tale attestazione si è limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di tempo di poco più di un mese, ben inferiore quindi al periodo massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest'ultima avrebbe quindi avuto, nel giudizio a quo, una «applicazione parziale» e la questione di legittimità costituzionale avrebbe dovuto essere formulata in relazione alla disciplina che ha avuto concreta applicazione, cioè ad una disciplina che produce una sospensione del dibattimento per poco più di un mese, mentre il giudice a quo «discetta in modo astratto ed impreciso di “una sorta di temporanea esenzione dalla giurisdizione penale destinata a perdurare per tutto il tempo in cui l'incarico governativo viene ad essere ricoperto”».

Nel merito, la parte privata sostiene che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale rimettente sia manifestamente infondata per le ragioni indicate, con argomenti testualmente identici, nell'atto di costituzione relativo al giudizio di cui al reg. ord. n. 173 del 2010.

3.3.2. – In data 22 novembre 2010, l'imputato nel giudizio principale ha depositato memoria illustrativa, insistendo perché la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata. La parte privata illustra le vicende del processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio, riproducendo le medesime argomentazioni svolte nelle memorie riferite ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 173 e 180 del 2010.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Milano, con tre distinte ordinanze della sezione I penale (reg. ord. n. 173 del 2010), della sezione X penale (reg. ord. n. 180 del 2010) e del Giudice per le indagini preliminari (reg. ord. n. 304 del 2010), solleva questione di legittimità costituzionale della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza). In particolare, la sezione X ha censurato l'intero testo della legge n. 51 del 2010, mentre il Giudice per le indagini preliminari ha censurato il solo articolo 1 e la sezione I soltanto i commi 1, 3 e 4 di tale articolo.

Tutte le ordinanze di rimessione sollevano questione di legittimità costituzionale della predetta disciplina in quanto essa introdurrebbe, con legge ordinaria, una prerogativa in favore dei titolari di cariche governative, in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e con l'art. 138 Cost. Tali disposizioni costituzionali sono entrambe esplicitamente indicate quali parametri violati nell'ordinanza di rimessione della sezione X e risultano implicitamente evocati, in congiunzione fra loro, anche nelle altre due ordinanze, benché queste ultime, testualmente, richiamino soltanto l'art. 138 Cost. La sezione X, inoltre, censura la legge n. 51 del 2010 anche in relazione all'art. 3 Cost., considerato autonomamente e sotto il profilo della ragionevolezza.

1.1. – La legge n. 51 del 2010 disciplina il legittimo impedimento a comparire in udienza, ai sensi dell'art. 420-ter del codice di procedura penale, del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 1, comma 1) e dei ministri (art. 1, comma 2), in qualità di imputati. In particolare, in base all'art. 1, comma 3, di tale legge, il giudice, su richiesta di parte, rinvia il processo ad altra udienza quando ricorrono le ipotesi di impedimento a comparire individuate dal comma 1 (per il Presidente del Consiglio) e dal comma 2 (per i ministri) della medesima legge. In base a tale disciplina, costituisce legittimo impedimento «il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo». Inoltre, l'art. 1, comma 4, della medesima legge, dispone che «ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi». L'art. 1, comma 5, della legge n. 51 del 2010 chiarisce che «il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio». Tale disciplina si applica «anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della» medesima legge (art. 1, comma 6) e «fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonché della disciplina attuativa delle modalità di partecipazione degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvi i casi previsti dall'articolo 96 della Costituzione, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge» (art. 2).

1.2. – I giudici a quibus ritengono, in particolare, che la disciplina censurata individui con formule generiche e indeterminate le attività costituenti legittimo impedimento del titolare di una carica governativa e sottragga al giudice il potere di valutare in concreto l'impossibilità a comparire connessa allo specifico impegno addotto, soprattutto nell'ipotesi di impedimento continuativo, nella quale l'imputato potrebbe ottenere il rinvio mediante un «meccanismo di autocertificazione» di legittimo impedimento. Ciò costituirebbe, ad avviso dei rimettenti, una «presunzione assoluta di impedimento», collegata allo «status permanente» della titolarità della carica, o comunque una prerogativa o immunità del titolare, la quale, come ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 262 del 2009, non può essere introdotta con legge ordinaria.

L'Avvocatura generale dello Stato e la difesa dell'imputato nei giudizi principali escludono che la disciplina censurata sia costituzionalmente illegittima, osservando, in particolare, come essa sia diretta ad «integrare» la disciplina processuale comune, contenuta nell'art. 420-ter cod. proc. pen., mediante una «tipizzazione» delle attività di governo che costituiscono legittimo impedimento a comparire in udienza.

2. – In ragione della loro connessione oggettiva, i giudizi devono essere riuniti, per essere congiuntamente trattati e decisi con un'unica pronuncia.

3. – Devono essere preliminarmente esaminati i profili che attengono all'ammissibilità delle questioni sollevate.

3.1. – Vanno dichiarate inammissibili le censure prospettate dalla sezione X (reg. ord. n. 180 del 2010) e dal Giudice per le indagini preliminari (reg. ord. n. 304 del 2010) del Tribunale di Milano, nella parte in cui si riferiscono all'art. 1, commi 2, 5 e 6, nonché all'art. 2 della legge n. 51 del 2010. Le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge censurata non assumono rilevanza nei giudizi a quibus, nei quali tale disposizione non può trovare applicazione, in quanto riferita esclusivamente ai ministri e non al Presidente del Consiglio dei ministri, cioè alla carica di cui è titolare l'imputato nei giudizi principali. Le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 5 e 6, e dell'art. 2 della legge n. 51 del 2010 sono inammissibili, atteso che tali norme non risultano in alcun modo investite dalle censure svolte nelle motivazioni delle ordinanze di rimessione.

3.2. – Vanno disattese le eccezioni dell'Avvocatura generale dello Stato e della difesa della parte privata, con le quali si deduce l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale riferite all'art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51 del 2010.

3.2.1. – La difesa della parte privata e l'Avvocatura generale dello Stato eccepiscono, innanzitutto, relativamente a tutti e tre i giudizi, la insufficiente e lacunosa descrizione, compiuta dai giudici a quibus, delle fattispecie sottoposte al loro esame. Le denunciate carenze atterrebbero, in particolare, alla mancata indicazione del tipo di reati cui si riferisce l'imputazione, del luogo e data di commissione degli stessi, delle eventuali ipotesi di concorso con altre persone, della condizione soggettiva che legittima l'applicazione della norma censurata e dello stato in cui si trova il processo che si sta celebrando dinanzi ai giudici a quibus.

L'eccezione non è fondata.

In primo luogo, va rilevato che l'ordinanza di rimessione della sezione X del Tribunale di Milano (reg. ord. n. 180 del 2010) contiene tutte le informazioni di cui si lamenta la mancan
Avv. Antonino Sugamele

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