Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Cassazionista Trapani

Sentenza

Lavoratore si rifiuta di svolgere le proprie mansioni oltre l'orario di lavoro. Sanzione disciplinare. Intervento della Suprema Corte.
Lavoratore si rifiuta di svolgere le proprie mansioni oltre l'orario di lavoro. Sanzione disciplinare. Intervento della Suprema Corte.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 16 giugno – 19 settembre 2011, n. 19085

(Presidente Canevari – Relatore Filabozzi)

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Brescia, confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto la legittimità della sanzione disciplinare irrogata dalla società Poste Italiane spa ad V.A. per essersi rifiutata di svolgere la prestazione lavorativa secondo il sistema cosiddetto "ad areola", in base al quale il singolo operatore è tenuto alla consegna non solo della corrispondenza della zona di sua competenza, ma anche, pro quota, di quella di altra zona ricompresa nella medesima area di recapito (cd. areola), in caso di assenza del dipendente assegnato a quest'ultima zona. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente è un rifiuto di eseguire una delle prestazioni che potevano essere legittimamente richieste al lavoratore durante l'orario normale di lavoro - orario che, per il portalettere, è pari a 36 ore settimanali - e che, pertanto, il rifiuto di eseguire le prestazioni di areola solo perché eccedenti l'orario di sei ore giornaliere costituiva un inadempimento contrattuale che ben poteva essere sanzionato a livello disciplinare. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione V.A. affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso la società Poste Italiane spa.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., assumendo che la Corte territoriale avrebbe preso in esame una questione estranea al thema decidendum, e cioè quella relativa all'orario di lavoro del portalettere ed al cd. sistema ad areola, trascurando invece di prendere in esame le eccezioni del lavoratore, secondo cui l'accordo che aveva introdotto tale sistema era decaduto perché stabilito in via sperimentale e l'azienda non poteva pretendere una ulteriore prestazione lavorativa, una volta scaduto l'orario giornaliero.

2.- Con il secondo motivo si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione all'affermazione che il lavoro straordinario è quello che supera le 36 ore settimanali e non le sei ore giornaliere.

3.- Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 2697 c.c. e nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all'art. 115 c.p.c., sostenendo che il lavoratore non aveva alcun onere di dimostrare che il rifiuto delle prestazioni di areola derivava dal già avvenuto superamento delle 36 ore di lavoro settimanale.

4.- Il primo motivo è infondato. Va rilevato anzitutto che nella sentenza impugnata viene esposto che, nell'ambito del servizio postale, il recapito della corrispondenza secondo il sistema cd. "ad areola" è stato adottato in via sperimentale con la contrattazione collettiva del 3 luglio 1998 e poi mantenuto in uso dall'azienda con proprie determinazioni unilaterali. Tale sistema comporta la suddivisione del territorio in aree di recapito (areole) costituite da zone adiacenti e l'assegnazione all'areola dei titolari di ciascuna zona, i quali sono tenuti al recapito dell'intero corriere della propria zona ed, in più, a collaborare, unitamente agli altri colleghi, all'azzeramento dell'intero corriere dell'areola, quando sia assente il collega di una delle zone costituenti l'areola, percependo un compenso forfettario di L. 60.000, da dividersi tra gli operatori che contribuiscono all'azzeramento. La sanzione disciplinare era stata applicata in conseguenza del rifiuto da parte del lavoratore di eseguire le prestazioni di areola.

La Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto che tale rifiuto non potesse fondarsi sulla motivazione che in tal modo veniva superato il limite delle sei ore giornaliere, in quanto la disciplina dell'orario di lavoro fissa solo un limite di trentasei ore settimanali, consentendo al lavoratore di terminare la prestazione prima delle sei ore giornaliere qualora riesca ad esaurire il corriere giornaliero prima di tale limite e di recuperare poi in altro giorno della settimana, al fine di svolgere comunque un orario di lavoro settimanale non inferiore alle 36 ore. Secondo i giudici di merito, la flessibilità giornaliera dell'orario di lavoro, all'interno del suddetto limite settimanale, si desume dall'art. 28 del ccnl e dalle circolari datoriali acquisite agli atti di causa.

Il giudice d'appello ha quindi concluso che, a fronte di questa regolamentazione dell'orario di lavoro, il fatto che lo smaltimento del corriere di areola potesse comportare il superamento delle sei ore lavorative nella singola giornata non implicava di per sé il superamento dell'orario ordinario di lavoro, così che la prestazione per lo smaltimento di tale corriere non poteva, per ciò solo, essere considerata prestazione di lavoro straordinario. Il rifiuto di eseguire le prestazioni di areola solo perché eccedenti le sei ore giornaliere non poteva pertanto ritenersi equivalente al rifiuto di prestare lavoro straordinario, anche perché "il lavoratore non aveva dimostrato, come era suo onere, che il rifiuto dell'areola derivava dal già avvenuto superamento delle trentasei ore di lavoro settimanale" e tale mancata dimostrazione comportava, sia per la Corte d'appello che per il Tribunale, la legittimità della sanzione disciplinare.

5.- Come è agevole rilevare dall'esposizione che precede, la questione relativa all'orario di lavoro dei portalettere è entrata, dunque, a far parte a pieno titolo del thema decidendum, laddove la Corte d'appello ha risposto poi ad entrambe le eccezioni richiamate dal lavoratore con il primo motivo di ricorso, rilevando, quanto alla prima, che al contratto collettivo erano seguite determinazioni unilaterali dell'azienda di analogo contenuto (su tali determinazioni aziendali e sulla loro vincolatività, cfr. Cass. n. 17995/2003, nonché Cass. n. 548/2011) e, quanto alla seconda, che "il portalettere non ha un orario di lavoro rigido giornaliero di 6 ore" e che non era dimostrato che fosse stato superato l'orario di 36 ore di lavoro settimanale. Le censure proposte con il primo motivo devono pertanto ritenersi infondate.

6.- Anche le doglianze proposte con gli altri due motivi sono prive di fondamento. La ricorrente non ha indicato, infatti, il criterio ermeneutico che sarebbe stato violato dalla Corte territoriale nell'interpretazione delle norme del ccnl in materia di orario di lavoro, né le ragioni per le quali la decisione impugnata si porrebbe in contrasto con tali criteri. Il fatto che vi fosse un sistema di rilevazione giornaliera delle presenze non è poi in contrasto logico con l'affermazione che il lavoro straordinario è solo quello che supera le 36 ore settimanali.

1.- Quanto al terzo motivo, vanno interamente condivisi i principi di recente riaffermati da questa Corte in controversie identiche a quella in esame, ed ai quali si intende dare continuità, secondo cui la società aveva l'onere di provare che tra le prestazioni che il lavoratore era tenuto a svolgere vi era anche quella di consegnare la corrispondenza, pro quota, del collega assente, assegnatario di altra zona della medesima areola - onere la quale la società ha dato adempimento - mentre il lavoratore aveva l'onere di provare che il suo rifiuto non costituiva inadempimento parziale della prestazione lavorativa. Una volta eccepito, infatti, che "la ragione del rifiuto era costituita dal fatto che aveva superato l'orario di lavoro ordinario e gli era stata richiesta una prestazione di lavoro straordinario, il dipendente aveva l'onere di provare tale affermazione" (cfr. negli stessi termini Cass. n. 552/2011, nonché Cass. n. 308/2011). Questo onere non è stato adempiuto.

8.- Il criterio di ripartizione dell'onere della prova seguito dalla Corte territoriale è, dunque, conforme a quanto disposto dall'art. 2697 c.c.

9.- Il ricorso va quindi respinto con la conferma della sentenza impugnata.

10.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 14,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza