Incidente sul lavoro. Chi risponde? Di chi è la colpa?SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE IV PENALE Sentenza 3 febbraio 2011, n. 4106
Svolgimento del processo
S.G. è stato condannato con sentenza emessa in data 31.03.2008 dal Tribunale di Pordenone in composizione monocratica alla pena di mesi due di reclusione per il reato di lesioni colpose in seguito ad infortunio sul lavoro in danno di N.G., infortunio avvenuto in ****.
Secondo il giudice l'imputato era responsabile di avere omesso in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta Ro-** P. spa di Pordenone di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate, in particolare una scala pedana di dimensione e conformazione tali da realizzare un posto di lavoro stabile e sicuro per eseguire le attività inerenti la manutenzione della pressa a iniezione, sita nello stabilimento della sopra indicata impresa.
In data ****, infatti, il lavoratore N.G., addetto alla pressa nello stabilimento della Ro-** P. spa, nell'ispezionare l'interno della tramoggia, annessa alla pressa a iniezione, in mancanza di supporto adeguato, perdeva l'equilibrio e, nel tentativo di proteggersi, si agganciava al bordo tagliente della tramoggia con la mano destra, riportando ferita lacero contusa al terzo dito della mano destra con lesioni tendinee al flessore profondo con prognosi di 81 giorni ed invalidità permanente pari al 3%.
Avverso la decisione del Tribunale di Pordenone ha proposto appello il difensore dell'imputato. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 15.06.209, confermava la sentenza emessa dal Tribunale e condannava l'imputato al pagamento delle spese processuali del grado.
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste il S. proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore, censurando la sentenza impugnata per il seguente motivo:
erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche delle quali si deve tener conto nell'applicazione della legge penale:
art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 2, 4 e 35 e 590 c.p.;
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione - incompatibilità con atti del procedimento - travisamento della prova ex art. 606 c.p.p., lett. e). Affermava il ricorrente di essere legale rappresentante di una società che opera in sette stabilimenti dislocati in due regioni (Friuli Venezia Giulia e Veneto), che occupa oltre 600 dipendenti e che ha un fatturato annuo di circa 140 milioni di Euro e che nello stabilimento nel quale si è verificato l'infortunio c'era un direttore, e cioè P. G., il quale aveva poteri ed autonomia di spesa almeno fino a 5000 Euro, senza alcuna necessità di preventiva autorizzazione, il quale per delega disponeva le manutenzioni necessarie. Nella fattispecie di cui è processo il ruolo di "datore di lavoro" era soltanto del P. (che è già stato condannato), nè il ricorrente poteva condividere l'assunto della Corte territoriale secondo cui sarebbe stata necessaria la prova rigorosa ed esaustiva dell'esistenza di una delega anche non scritta, in quanto tale asserzione poteva riferirsi solo all'insussistenza di una valida delega di tipo generale per coprire ogni tipo di deficienza nelle attrezzature messe a disposizione del lavoratore. Non poteva invece ritenersi necessaria la prova rigorosa della delega per affermare la responsabilità esclusiva del direttore di stabilimento per tutti quegli infortuni che dipendevano o da carenze nelle modalità operative o da inidoneità di attrezzature alle quali egli doveva e poteva porre rimedio in quanto la spesa necessaria rientrava nei limiti della sua autonomia, come appunto nel caso che ci occupa.
Concludeva infine chiedendo di voler annullare la sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione.
Motivi della decisione
Osserva la Corte che la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente principalmente sulla base dei seguenti argomenti: il mancato accertamento dell'esistenza di una delega scritta e dell'esistenza di una delega ancorchè non scritta; la mancata nomina di un responsabile della sicurezza; la circostanza che il direttore dello stabilimento P.G. non poteva essere considerato "datore di lavoro", dal momento che aveva un potere di spesa limitato solo alle situazioni di emergenza, come poteva desumersi dalle affermazioni del teste d.M.Z.I..
Tanto premesso di osserva che risulta dalle emergenze istruttorie citate nella sentenza di appello che P.G. aveva poteri legati all'emergenza, ma altresì aveva il potere di far fronte alle spese di modesta entità, avendo a tale scopo una disponibilità di cassa di circa 1000,00 Euro (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
La sentenza impugnata,pertanto, non ha spiegato perchè l'intervento sulla scala messa a disposizione del lavoratore G.G., che ha comportato una spesa di circa 500,00 Euro, non dovesse rientrare nella disponibilità di spesa del medesimo P..
Sulla base delle considerazioni di cui sopra non risulta pertanto necessaria la prova rigorosa della sussistenza di una delega al direttore dello stabilimento.
Il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, lett. b), 1 periodo, così come modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, considera datore di lavoro "il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore" o comunque "il soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa ovvero dell'unità produttiva, quale definita dalla lett. i) in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa". Con l'avverbio "comunque" il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale.
Quindi, in virtù della modifica operata dal D.Lgs. n. 242 del 1996, nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l'effettivo potere di organizzazione dell'azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest'ultimo che dovranno attribuirsi le connesse responsabilità prevenzionali.
Secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte, pertanto, (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 49819 del 5.12.2003) il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. E evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell'unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali.
Egli pertanto sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili.
Pertanto, nella fattispecie di cui è processo, il direttore dello stabilimento P.G., rientrando l'intervento sulla scala nel suo potere di spesa e nell'autonomia di cui disponeva, era autonomamente onerato a titolo originario e non già per delega del legale rappresentante della Ro-** P, S.p.A..
La sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste.
12-03-2011 00:00
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