Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Cassazionista Trapani

Sentenza

IL GIUDICE HA UNA RELAZIONE EXTRACONIUGALE CON LA PARTE: È REATO CHIEDERE LA SUA ASTENSIONE  Tribunale di Potenza, 24 giugno 2011, n. 342
IL GIUDICE HA UNA RELAZIONE EXTRACONIUGALE CON LA PARTE: È REATO CHIEDERE LA SUA ASTENSIONE Tribunale di Potenza, 24 giugno 2011, n. 342
IL GIUDICE HA UNA RELAZIONE EXTRACONIUGALE CON LA PARTE: È REATO CHIEDERE LA SUA ASTENSIONE

Tribunale di Potenza, 24 giugno 2011, n. 342

 

 

Fatto e diritto

Con decreto del 21.4.2008 ritualmente notificato, veniva disposta la citazione a giudizio di (…) in ordine al reato a lui ascritto in rubrica.

All'udienza del 22.10. 2008 (…), giudice in servizio presso il Tribunale di (…), si costituiva parte civile al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal reato di cui all'art. 343 c.p. ascritto al (…).

Le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie; il Tribunale con separata ordinanza ammetteva i mezzi di prova richiesti.

All'esito delle escussioni testimoniali e dell'esame dell'imputato, veniva dichiarata chiusa l'istruttoria e le parti formulavano le loro rispettive conclusioni come in epigrafe riportate.

Le risultanze processuali consentono di ritenere fondata l'accusa nel confronti di (…) in ordine al reato di cui all'art. 343 c.p.. Dalla deposizione dei testi escussi , dalle dichiarazioni dell'imputato e dalla lettura del verbale d'udienza del 23.05.2005 è emerso quanto segue.

In data 23.05.2005 nel corso delle celebrazione dell'udienza dinanzi al giudice civile del Tribunale di (…), (…), veniva trattata anche la causa n.7850/2004 R.G. nella quale era parte l'imputato contro il comune di (…).

Il (…) che il giorno dei fatti non agiva nella sua veste di avvocato del foro di (…) bensì in quella di attore nel predetto procedimento civile, durante l'udienza si era dapprima avvicinato al giudice (…) invitandola ad astenersi e poi, a seguito del rifiuto espresso da quest'ultima che non ravvisava gli estremi giuridici per procedere alla invocata astensione, formalizzava nel verbale d'udienza la richiesta di ricusazione del giudice medesimo.

In particolate l'imputato scriveva testualmente nel predetto verbale: “L'avvocato (…) fa noto di essere il difensore di (…) nel giudizio pendente avanti a questi Tribunale per la separazione dal (…). Rileva … che la (…), odierno magistrato assegnatario del presente giudizio risulterebbe essere stata la partner di una relazione extraconiugale del (…) durante il rapporto di coniugio con (…)”.

La denunciante , (…) sentita in dibattimento confermava gli accadimenti sopra descritti e riferiva che effettivamente all'epoca dei fatti aveva una relazione stabile con il collega (…) , poi diventato suo marito; che lei aveva già reso ufficiale tale relazione, sfociata in una convivenza, portandola regolarmente a conoscenza degli organi competenti del C.S.M.; che in quel periodo era pendente il giudizio di separazione personale tra il suo compagno e la ex moglie.

Anche l'imputato confermava i fatti accaduti in udienza il 23 maggio 2005 così come contestati sebbene tuttavia sosteneva che le condotte da lui poste in essere non sarebbero affatto illecite e sarebbero prove di qualunque rilevanza penale atteso che egli si è limitato a presentare una legittima istanza di ricusazione limitandosi a descrivere fatti veri, quali la relazione sentimentale tra il giudice (…) e il (…) (controparte della sua assistita nel giudizio di separazione) nonché il fatto che per quest'ultimo (e non già per la (…)) la relazione era ancora da considerarsi extraconiugale atteso che, essendo pendente il giudizio di separazione, il (…) all'epoca era ancora formalmente coniugato.

Tanto premesso, in fatto, si ritiene che l'accusa sia fondata e, quindi, contrariamente alla tesi sostenuta dalla difesa il reato di cui all'art. 343 c.p. ascritto al (…) sia in concreto configurabile.

Sebbene infatti sia emerso che il magistrato offeso al momento dei fatti fosse la compagna del collega (…) e che quest'ultimo fosse parte di una causa di separazione dall'ex moglie, non può tuttavia essere negata la evidente carica offensiva della condotta del (...) il quale nel formalizzare la sua, pur in astratto legittima, istanza di ricusazione del giudice, ha senz'altro usato nei confronti del magistrato ed al cospetto di quest'ultimo toni irriguardosi ed espressioni oltraggiose del tutto gratuite e ultronee rispetto al fine perseguito.

Ed invero, nel presentare la richiesta di ricusazione il (…) in ragione anche della sua professione di avvocato, non ignorava di certo che ben avrebbe potuto limitarsi ad esporre “ i fatti” rilevanti a sostegno della sua istanza e cioè il rapporto esistente tra il giudice (…) e il (…) ovvero la loro relazione sentimentale, la convivenza tra i due, la loro risalente frequentazione ecc. essendo queste le circostanze che dovevano essere se mai essere oggetto di valutazione da parte dell'organo giudiziario competente a decidere sulla richiesta di ricusazione medesima, a nulla rilevando a tal fine la loro qualificazione “negativa” che ad ogni costo il (…) ha voluto deliberatamente aggiungere alla descrizione dei fatti medesimi.

Non si vede, infatti, quale legittima rilevanza potesse avere in quale contesto e soprattutto ai fini della istanza di ricusazione del giudice, l'avere attribuito a quest'ultimo il fatto di essere stata la partner di una relazione “extraconiugale” se non quella di volere ad ogni costo evocare qualcosa di clandestino e di conferire una connotazione “disdicevole o riprovevole” ad una condotta privata del magistrato.

In altri termini ciò che in astratto poteva determinare l'asserita incompatibilità del giudice era la relazione sentimentale in sé con il collega e, quindi, il fatto di qualificare come “extraconiugale” detta relazione è palesemente ultroneo rispetto alla finalità sottesa all'istituto della ricusazione che è quello di garantire l'imparzialità del giudice.

Il (…) , quindi, nell'esercitare una facoltà prevista dall'ordinamento trascende nell'attacco oltraggioso e gravemente denigratorio del giudice (…) risultando evidente che il tenore dello scritto non rientra nei limiti della manifestazione di un dissenso motivato espresso in termini corretti e misurati, ma ne travalica notevolmente i confini assumendo toni gravemente lesivi della dignità morale e professionale della denunciante.

Ne consegue che i toni usati, le complessive modalità con cui l'imputato ha esercitato una sua legittima facoltà, la superfluità dell'espressione offensiva rispetto al fine lecito in apparenza perseguito dall'imputato, connotano la sua condotta di evidente illiceità al punto da integrare la fattispecie delittuosa sanzionata dall'art. 343 c.p., risultando evidente l'offesa all'onore o al prestigio del magistrato in udienza e la lesione della funzione giudiziaria da questo esercitata.

Alla luce delle precedenti considerazioni, (…) deve pertanto essere dichiarato responsabile del reato a lui ascritto.

Il contesto in cui i fatti si sono verificati, lo stato di incensuratezza, rendono l'imputato meritevole delle circostanze attenuanti generiche ex art.62 bis c.p.

Avuto riguardo ai criteri di valutazione di cui all'art. 133 c.p., ed in particolare alle modalità della condotta e alla personalità dell'imputato, si ritiene conforme a giustizia condannare quest'ultimo alla pena di mesi quattro di reclusione (.p. b. mesi 6 di reclusione, diminuita ex art. 62 bis c.p. a quella inflitta).

Dalla decisione consegue il pagamento a carico dell'imputato delle spese processuali. Ricorrendone i presupposti previsti dalla legge n. 241/2006 deve essere dichiarata l'estinzione dell'intera pena inflitta.

Per quanto riguarda l'azione civile proposta nel presente processo dalla dott.ssa (…), si ritiene che dagli elementi di prova acquisiti si evince chiaramente che il comportamento penalmente rilevante dell'imputato ha determinato la lesione dell'interesse, giuridicamente protetto, dell'integrità della sfera psichica e morale della persona offesa derivante dalla sofferenza a lei inflitta dal (…) con la sua condotta illecita. Pertanto, l'imputato deve essere , altresì, condannato al risarcimento del danno conseguente a siffatta lesione da liquidarsi dinanzi al giudice civile.

Quanto alle spese processuali sostenute dalla parte civile seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,

dichiara (…) colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Dichiara interamente estinta la pena inflitta ex l. 241/06.

Condanna, altresì, l'imputato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile che liquida in euro 1.500,00 oltre CPA, rimborso forfettario e IVA e come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza