Consiglio di Stato – Decisione n. 7108/2006. Rapporti tra sentenza di patteggiamento e destituzione.
Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 24 ottobre-5 dicembre 2006, n. 7108
Presidente Giovannini – Estensore De Nictolis
Ricorrente L.
Fatto e diritto
1. Con il ricorso di primo grado il sig. L., già assistente della polizia di Stato, ha impugnato:
- il provvedimento 1 aprile 2004 del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, con il quale viene inflitta al ricorrente la sanzione disciplinare della destituzione a decorrere dal 6 novembre 2003, a seguito di condanna penale patteggiata;
- la deliberazione 10 marzo 2004 del Consiglio provinciale di disciplina d Bolzano, con la quale si è proposto “a maggioranza con tre voti su cinque” che al ricorrente venisse inflitta la sanzione disciplinare della destituzione;
- ogni altro atto connesso o consequenziale, antecedente o conseguente, potenzialmente lesivo degli interessi del ricorrente.
1.2. Con la sentenza in epigrafe il ricorso è stato respinto.
Con l'atto di appello vengono riproposte le censure di cui al ricorso di primo grado, e articolate motivate censure avverso la sentenza.
2. Con il primo mezzo si lamenta la violazione degli articoli 14 e 20, Dpr n. 737/1981 e dell'articolo 3, legge 241/90.
Si osserva che la sanzione della destituzione sarebbe sproporzionata rispetto ai fatti oggetto della sentenza di patteggiamento.
Lo stesso giudice penale avrebbe acclarato il modesto apporto del ricorrente alla vicenda penale.
Inoltre il ricorrente avrebbe patteggiato in sede penale per liberare sé e la propria famiglia dal peso di un processo pendente, ma in realtà i fatti patteggiati sarebbero insussistenti.
Non sarebbe provato il concorso in sequestro di persona e concussione; non sarebbe provato l'abuso di ufficio in quanto le contravvenzioni sarebbero tutte state legittimamente contestate; il peculato per uso del telefono di ufficio sarebbe di modesta entità, per un importo di soli 28 euro, e oltretutto non per telefonate personali, bensì telefonate nell'interesse dell'associazione calcistica costituita nell'ambito dell'ufficio.
2.1. Le censure sono parzialmente fondate.
Ai sensi dell'articolo 653, comma 1bis, Cpp nel testo novellato dalla legge 97/2001, la sentenza penale di condanna, anche se resa a seguito di patteggiamento, ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e alla sua commissione da parte dell'imputato.
Con la riforma del 2001, la sentenza di patteggiamento è stata equiparata alla sentenza di condanna dibattimentale, quanto alla sua efficacia nel procedimento disciplinare (tanto vale, secondo Corte costituzionale 394/02, quanto alle sentenze di patteggiamento successive all'entrata in vigore della legge 97/2001).
Non è pertanto corretto l'assunto di parte appellante, secondo cui l'amministrazione, in sede disciplinare, dovrebbe compiere un autonomo accertamento sui fatti posti a base della sentenza di patteggiamento.
Al contrario, l'amministrazione, non diversamente da quando si trova in presenza di una sentenza di condanna dibattimentale, deve considerare accertati e provati i fatti così come accertati dal giudice penale, e deve compiere invece un autonomo accertamento solo in ordine alla loro rilevanza disciplinare (non essendo ammesse sanzioni disciplinari che derivino automaticamente da determinate condanne penali).
Pertanto, appare infondata la pretesa di parte appellante volta a rimettere in discussione i fatti posti a base della sentenza di patteggiamento, allo scopo di dimostrare la propria estraneità al sequestro di persona e alla conseguente concussione, e alla partecipazione a società che hanno perpetrato truffe.
Tali fatti sono acclarati in sede penale, e di essi l'amministrazione non poteva non tener conto.
Né allo stato risulta una revisione del processo penale.
Dalle risultanze documentali emerge che l'amministrazione, muovendo dalla vicenda penale, ha compiuto una autonoma valutazione della loro rilevanza disciplinare.
Infatti, non ha preso in considerazione il reato di abuso di ufficio, evidentemente ritenendo che le contravvenzioni elevate dall'appellante, nonostante ritenute abusive in sede penale, non avessero rilevanza disciplinare.
L'amministrazione ha invece ritenuto che il peculato e la indebita privazione della libertà personale nei confronti di un cittadino, fossero fatti disciplinarmente rilevanti ai fini della destituzione, in relazione all'articolo 7, nn. 1, 2 e 3, Dpr 737/81, sotto il profilo della mancanza di senso dell'onore e della morale, del grave abuso di autorità e di fiducia, del grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento.
Tale valutazione, sebbene ampiamente discrezionale, appare tuttavia viziata da insufficiente motivazione e apprezzamento di tutte le risultanze penali.
Infatti, con la sentenza di patteggiamento risulta accertato:
quanto ai reati accertati in concorso (vale a dire l'abuso innominato, la concussione e il sequestro di persona) che l'opera prestata dal L. ha «avuto minima importanza nell'esecuzione del reato medesimo, essendosi lo stesso limitato ad appoggiare e sostenere il superiore gerarchico G.»;
quanto al reato contestato al solo L., vale a dire il peculato in relazione all'utenza telefonica dell'ufficio, il danno economico appare minimo, trattandosi di 92 telefonate il cui costo non raggiunge i trenta euro.
A fronte di tali risultanze penali, che anch'esse fanno stato nel procedimento disciplinare, l'amministrazione avrebbe dovuto motivare in ordine alla proporzionalità della sanzione, e compiere una valutazione su quale fosse la sanzione disciplinare più adeguata in relazione al minimo apporto del L. ai reati concorsuali e al minimo danno economico arrecato all'amministrazione.
Di siffatta motivazione non vi è traccia nel provvedimento, che si limita ad una stereotipa ripetizione della formula legale descrittiva dei fatti che danno luogo a destituzione, senza spiegare perché i fatti attribuiti al L. rientrerebbero nella fattispecie astratta.
3. L'accoglimento della censura di difetto di motivazione, e il conseguente annullamento del provvedimento, comporta l'assorbimento di tutte le altre censure, di carattere formale, in ordine all'operato della commissione disciplinare.
Per quanto esposto l'appello va accolto in parte, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.
Appare equo compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
10-12-2011 00:00
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