Cassazione penale, SS.UU., sentenza 10.05.2011 n. 18268 Processo penale, interprete, incompatibilità
Le Sezioni Unite
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 14 ottobre 2009, la Corte di assise di appello di Cagliari confermava la sentenza della Corte di assise di Cagliari del 19 giugno 2008, con la quale S.E. era stata condannata per i reati di riduzione in schiavitù o servitù e tratta di persone (artt. 600 e 601 c.p.) in danno di J..P., di nazionalità (omissis), di procurato ingresso illegale della medesima (artt. 12, commi 3, 3-bis, lett. e), 3-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) e sfruttamento della prostituzione di varie ragazze nigeriane tra cui la stessa J..P. (art. 3, n. 4, 7 e 8, l. 20 febbraio 1958, n. 75); fatti accertati in …, dal (omissis) al (omissis).
2. In risposta a tre specifici motivi di impugnazione, la Corte di assise di appello osservava come: a) non fosse ravvisabile la dedotta violazione dell'art. 143 c.p.p. in relazione alla mancata assistenza dell'imputata da parte di un interprete; b) non fosse ravvisabile la dedotta nullità o inutilizzabilità delle traduzioni delle intercettazioni telefoniche per mancata trascrizione integrale delle relative registrazioni; c) non fosse ravvisabile la dedotta violazione dell'art. 144 c.p.p., per la incompatibilità alla funzione di interprete svolta nel corso della istruzione dibattimentale dalla signora I..I.
In particolare, nella sentenza di appello si rilevava:
a) l'imputata E. comprendeva sufficientemente la lingua italiana in modo da potere esplicare pienamente il suo diritto di difesa (abitava in Italia da quasi dodici anni; aveva qui il centro dei suoi interessi; aveva rapporti continuativi con italiani e uffici pubblici; sosteneva in accettabile italiano dialoghi con varie persone, come risultava da telefonate intercettate; aveva correttamente usato l'italiano e mostrato di ben padroneggiarlo in occasione del fermo sia davanti alla p.g. sia in sede di convalida davanti al G.i.p.);
b) la mancata trascrizione integrale di tutte le conversazioni intercettate non comportava alcuna nullità o inutilizzabilità; e comunque la E. aveva mostrato di avere avuto piena conoscenza del contenuto originale dei colloqui, tanto che talvolta ne aveva lamentato una non fedele trascrizione;
c) la eccezione di nullità derivante dal versare la I. in una situazione di incompatibilità alla funzione di interprete della persona offesa, avendo essa precedentemente svolto il ruolo di traduttore delle conversazioni intercettate, era infondata: in primo luogo, in quanto, come affermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, l'attività di trascrizione di tali conversazioni, implicando un'operazione materiale, non è equiparabile a quella di un perito, che comporta invece un giudizio tecnico-scientifico (attenendo il richiamo fatto dall'art. 268, comma 7, c.p.p. alle forme, ai modi e alle garanzie previste per l'espletamento delle perizie, solo alle formalità di nomina e alle garanzie difensive connesse alla esplicazione dell'attività di trascrizione); inoltre, nel caso in esame, come si ricavava testualmente dal provvedimento del G.i.p. in data 22 ottobre 2007, intestato "Decreto di nomina dell'ausiliario e dell'interprete (art. 268, 7 comma e 143 c.p.p.)", la I. aveva avuto esclusivamente incarico di svolgere (ed aveva svolto) un'attività di traduzione in italiano delle conversazioni in lingua benin-edo, mentre il ben differente compito di trascrizione era stato affidato ad altro soggetto, C.M.
3. Ricorre per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore avv. Luigi Sanna, che ha articolato tre motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo, deduce la nullità di tutti gli atti del dibattimento per violazione degli artt. 143 e 109 c.p.p., artt. 3, 24 e 111 Cost. nonché artt. 5 e 6 della CEDU e 14 del Patto di New York sui diritti politici e civili, in relazione al mancato godimento da parte della imputata dell'assistenza di un interprete.
Osserva che il diritto dell'imputato di capire esattamente ciò di cui è accusato ed i fatti processuali che lo riguardano comporta una interpretazione "espansiva" del contenuto delle norme in materia di diritto all'interprete.
Ciò determinerebbe la necessità di ricorrere all'ausilio di tale figura anche in presenza di un grado modesto di conoscenza della lingua italiana da parte dell'imputato, quando sia costui a segnalare, come nel caso di specie, di non essere in grado di interloquire efficacemente nel processo.
La Corte nella specie si era limitata ad affermare che la imputata parlava correttamente la lingua italiana, senza tuttavia compiere alcun accertamento in proposito.
3.2. Con il secondo motivo, denuncia la nullità o inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche acquisite, per violazione dell'art. 268, comma 7, c.p.p., in relazione alla omessa trascrizione integrale delle conversazioni nella lingua originale.
Sottolinea al riguardo che la norma richiamata impone che delle intercettazioni si esegua la trascrizione integrale con le forme della perizia. Nella specie era stata disposta la sola trascrizione delle "traduzioni in lingua italiana" di conversazioni effettuate in lingua straniera, delle quali, dunque, non può dirsi che fosse stata eseguita la trascrizione in forma integrale. Una simile omissione aveva leso il diritto di difesa.
3.3. Con un terzo motivo, infine, denuncia la violazione dell'art. 144 c.p.p. e dell'art. 111 Cost. per la mancata rilevazione della incompatibilità dell'interprete I., nominata nella istruttoria dibattimentale per assistere la persona offesa P.J. nel relativo esame testimoniale. La I. aveva infatti, in precedenza, provveduto alla traduzione ed alla trascrizione delle intercettazioni: circostanza che le aveva attribuito la conoscenza degli atti processuali e che poteva avere influito sulla fedeltà della successiva attività di traduzione delle dichiarazioni della P.
I giudici del merito avevano rigettato l'istanza sul presupposto che la I., antecedentemente all'incarico di interprete, non aveva svolto attività di perito, essendo stata nominata come ausiliario del trascrittore; ma in realtà, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e come ricavabile dalla sent. n. 336 del 2008 della Corte costituzionale, l'incarico di trascrivere e tradurre integralmente le intercettazioni ha effettiva natura peritale e comporta quindi, a norma dell'art. 144, comma 1, lett. d), c.p.p., una causa di incompatibilità con la successiva nomina ad interprete.
Tale questione, si precisa, era stata sollevata tempestivamente dalla difesa alla udienza del 12 marzo 2008.
4. La Quinta Sezione penale della Corte di cassazione, assegnatala del ricorso, con ordinanza del 22 ottobre 2010, depositata il successivo 15 novembre, ne ha rimesso la trattazione alle Sezioni unite, rilevando l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale circa la questione dedotta nel terzo motivo.
4.1. Nella ordinanza si premette una valutazione di infondatezza dei due motivi di ricorso afferenti, da un lato, alla mancata assistenza di un interprete in favore della imputata (motivo n. 1), e, dall'altro, alla omessa trascrizione integrale delle conversazioni intercettate (motivo n. 2).
Si rileva al riguardo che la prima di dette questioni processuali sollecita inammissibilmente una revisione di un giudizio di fatto adeguatamente giustificato dal giudice del merito; e la seconda attiene a un presunto vizio privo comunque di sanzione processuale.
4.2. Con riguardo, poi, al terzo motivo di ricorso, concernente una causa di invalidità tempestivamente dedotta, il Collegio rimettente osserva che esso implica la risoluzione della questione di diritto così riassunta: “se possa attribuirsi la qualità di perito a colui che, nell'ambito del conferimento, con le forme della perizia ex art. 268, comma 7, c.p.p. ad altro soggetto, dell'incarico della trascrizione delle intercettazioni, abbia ricevuto l'incarico di effettuare, contestualmente e unitamente al primo, la traduzione delle conversazioni intercettate e registrate in lingua straniera”.
Si tratterebbe di questione “decisiva per le sorti del processo”, in quanto la lettura della sentenza impugnata renderebbe evidente che la deposizione della persona offesa P. “ha avuto un ruolo di rilievo ai fini della tenuta della motivazione e quindi anche la c.d. prova di resistenza sarebbe destinata a concludersi quantomeno in termini non apprezzabilmente risolutivi in sede di legittimità”.
4.3. Si rileva in proposito che alcune decisioni della Corte di cassazione hanno riconosciuto, da un lato, la sussistenza della causa di incompatibilità prevista dall'art. 144, comma 1, lett. d), c.p.p., a prestare l'ufficio di interprete nei confronti di chi, nell'ambito dello stesso procedimento, abbia provveduto a tradurre e a trascrivere, con incarico peritale, il contenuto di intercettazioni telefoniche; dall'altro, la medesima incompatibilità con riferimento al caso della nomina, quale interprete, di un soggetto che, nella fase delle indagini preliminari abbia svolto dette funzioni quale consulente del p.m..
Si precisa che nel caso in esame, come sottolineato dai giudici del merito, potrebbe ritenersi che la I. non abbia cumulato le qualità di traduttore e trascrittore, dato che essa, in base al decreto di nomina del G.u.p. in data 22 ottobre 2007, aveva ricevuto l'incarico di assistere "quale interprete" il diverso soggetto (C.M.) che a sua volta era stato contestualmente incaricato della trascrizione delle conversazioni svolte nell'idioma del Benin.
Tuttavia, secondo la Sezione rimettente, il caso di specie riguarda una situazione in cui, “non essendo state trascritte le conversazioni in lingua originale, l'opera dell'interprete e quella del trascrittore sono state contestuali e sinergiche e sono state partecipi di una unica natura, trascrivendo il trascrittore ciò che contestualmente o antecedentemente il traduttore aveva ascoltato e riversato in lingua italiana”; e, in un tale contesto, sarebbe arduo “sceverare in concreto un'attività del traduttore che non fosse contestualmente determinante e costitutiva ai fini della trascrizione”.
Pertanto, a giudizio della Sezione rimettente, dal punto di vista sia formale sia sostanziale nella specie poteva dirsi integrata una situazione processuale in tutto omologa a quella considerata nella giurisprudenza che riconosce la causa di incompatibilità alla funzione di interprete in capo al soggetto che ha precedentemente svolto il compito di traduzione e trascrizione di conversazioni intercettate.
4.4. Il Collegio rimettente da però atto di altro e opposto orientamento, definito come "consistente", che, con riferimento alla situazione del mero trascrittore, nega che un simile incarico abbia forma e sostanza di quello peritale, e sia idoneo a innestare la successiva causa di incompatibilità.
Si ricorda infatti essere stato affermato che la trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l'acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico; pertanto, il rinvio dell'art. 268, comma 7, c.p.p. all'osservanza delle forme, dei modi e delle garanzie previsti per le perizie, avrebbe solo la funzione di assicurare che la trascrizione delle registrazioni avvenga nel modo più corretto possibile, nel rispetto del diritto della difesa.
Tale filone interpretativo, secondo il Collegio rimettente, meriterebbe tuttavia di essere posto a raffronto con i più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale, tra cui la sentenza n. 336 del 2008, che, in tema di diritto all'accesso da parte della difesa ai supporti magnetici o informatici delle intercettazioni nella fase delle indagini preliminari, ha affermato che “la qualità delle registrazioni delle intercettazioni può non essere perfetta ed imporre una vera e propria attività di interpretazione delle parole e delle frasi registrate, specie se nelle conversazioni vengano usati dialetti o lingue straniere”; che l'incaricato a norma dell'art. 268, comma 7, c.p.p. “fornisce una trascrizione letterale, ma anche indicazioni ulteriori, quando necessarie (intonazione della voce, lunghezza di una pausa etc.), che possono incidere sul senso di una comunicazione”; e che “la trascrizione peritale può contenere anch'essa componenti interpretative, ma è garantita dalla estraneità del suo autore alle indagini e dal contraddittorio”.
Ad avviso della Quinta Sezione, una simile e particolarmente meditata interpretazione del ruolo del traduttore-trascrittore, posta a fondamento della declaratoria di parziale incostituzionalità dell'art. 268, comma 7, c.p.p., sembra proprio attagliarsi al ruolo espletato, su incarico del G.u.p., dalla I., la cui attività presupponeva specifiche conoscenze della lingua nigeriana (o, più esattamente, benin-edo) che hanno implicato l'adattamento non solo di parole ma anche di espressioni idiomatiche proprie di tale lingua; e il carattere anche valutativo di tale attività, secondo l'ordinanza rimessiva, apparirebbe confermato dalla circostanza che la I. è stata direttamente richiesta di chiarimenti, all'udienza del 20 marzo 2008, proprio sulle modalità e sulle ragioni di talune specifiche traduzioni.
5. Il Primo presidente, con decreto del 23 novembre 2010, ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite penali, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.
Considerato in diritto
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è stata cosi formulata: “se sussista incompatibilità a svolgere la funzione di interprete per il soggetto che, nell'ambito del conferimento ad altri - nello stesso procedimento - del compito della trascrizione di conversazioni in lingua straniera intercettate, sia stato incaricato di effettuare, contestualmente e unitamente al trascrittore, la traduzione in lingua italiana di dette conversazioni”.
2. Prima di affrontare tale questione è però opportuno prendere in esame i primi due motivi di ricorso, i quali, ad avviso delle Sezioni unite, sono infondati.
3. Con il primo motivo si deduce che la imputata non possedeva una conoscenza sufficiente della lingua italiana, e ciò, in mancanza dell'assistenza di un interprete, le avrebbe impedito un'adeguata difesa.
3.1. La E. era stata sentita senza assistenza di interprete sia davanti alla p.g., in occasione del suo fermo, sia in sede di convalida davanti al G.i.p., e non risulta che in tali occasioni l'imputata, o, per essa, il suo difensore, abbia fatto presente una difficoltà di comprensione della lingua italiana. Nel verbale di fermo, redatto in data 25 ottobre 2006, si da atto che la E. “dimostra di comprendere e conoscere la lingua italiana”.
L'esigenza di assistenza di un interprete era stata invece manifestata in occasione del dibattimento di primo grado, ma la Corte di assise non l'aveva recepita, osservando che l'imputata, dall'anno 1994, viveva in Italia, ove aveva casa, lavoro e relazioni personali, e che essa mostrava di comprendere adeguatamente la lingua italiana. Il giudice di appello ha poi aggiunto che l'imputata sosteneva in accettabile italiano dialoghi con varie persone, come risultava da telefonate intercettate; e aveva correttamente usato l'italiano e mostrato di ben padroneggiarlo in occasione del fermo sia davanti alla p.g. sia in sede di convalida davanti al G.i.p..
Si tratta di un giudizio di fatto che, in quanto adeguatamente e logicamente espresso, non può essere sindacato in sede di legittimità (v. per tutte, sul punto, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, dep. 26/06/2008, imp. Ivanov; Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 09/02/2004, imp. Zalagaitis; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, imp. Jakani).
3.2. Nel ricorso si osserva che al riguardo i giudici di merito non avevano svolto alcuno specifico accertamento.
Indubbiamente questo è un dovere che incombe sul giudice al fine di stabilire l'effettivo grado di comprensione della lingua del processo da parte dell'imputato (v. in questo senso l'art. 2, comma 4, della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, sul "diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali", che, per quanto non ancora recepita, offre importanti linee-guida a livello interpretativo).
La deduzione appare tuttavia neutralizzata da quanto traspare dalle sentenze di merito: non solo la E. viveva in Italia da più di dieci anni, ma essa stessa aveva materialmente prodotto la prova della sua accettabile conoscenza della lingua italiana, come si desumeva sia dagli interrogatori e dall'esame a cui era stata sottoposta sia dalle conversazioni intercettate, parte delle quali tenute senza apprezzabili impacci in questa lingua.
Queste osservazioni sono basate su circostanze fattuali specificamente accertate. Non occorreva, dunque, effettuare ulteriori accertamenti rispetto a quanto già risultante per tabulas.
4. Quanto al secondo motivo, con esso la ricorrente si duole “della omessa trascrizione integrale delle registrazioni delle intercettazioni telefoniche acquisite al dibattimento”, osservando che nel caso in esame erano state acquisite “le sole traduzioni in lingua italiana di intercettazioni telefoniche svoltesi in lingua nigeriana e in inglese mai trascritte in forma integrale”, deducendo che l'acquisizione “delle sole traduzioni prive della trascrizione integrale viola il disposto dell'art. 268, comma 7”.
A quanto è dato comprendere dalla censura versata nel ricorso, tenuto conto anche del tenore del corrispondente motivo di appello, la ricorrente non si duole della "incompletezza" delle trascrizioni delle conversazioni intercettate, ma del fatto che esse siano state riversate direttamente in lingua italiana, senza previa trascrizione del contenuto di esse nella lingua originale usata nelle conversazioni stesse (avvenute, in parte consistente, in lingua benin-edo o inglese).
Va al riguardo osservato che la norma richiamata, prescrivendo “la trascrizione integrale delle registrazioni”, non implica affatto che questa debba avvenire nella lingua originale usata dai colloquianti; che anzi, in forza della disposizione generale di cui all'art. 109, comma 1, c.p.p., secondo cui “gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana” (e ferme le disposizioni riguardanti i territori di insediamento di una minoranza linguistica riconosciuta), deve ritenersi che le trascrizioni delle conversazioni intercettate debbano essere versate esclusivamente nella lingua del processo, e cioè, di norma, in quella italiana, previo intervento dell'interprete, ex art. 140, comma 2, c.p.p..
D'altro canto, avendo potuto accedere l'imputata e il suo difensore al contenuto originale delle conversazioni registrate sui relativi supporti (in forza dell'art. 268, comma 8, cod. proc. pen.), non si vede come la (ineccepibile) operazione di trascrizione nella lingua italiana abbia potuto ledere il diritto di difesa, che poteva esplicarsi sulla esatta comprensione del tenore dei colloqui e sulla loro appropriata traduzione, dato che i risultati dell'opera di interpretazione ben possono essere sottoposti a contestazione (vedi, in analogo senso, Sez. 6, n. 4345 del 30/09/2003, dep. 04/02/2004, imp. Arane, non massimata sul punto).
La possibilità delle parti di accedere al contenuto originale delle registrazioni conduce dunque a ritenere infondata la deduzione di lesione del diritto di difesa, e ciò anche se, con il motivo qui esaminato, caratterizzato da una qualche ambiguità espressiva, si volesse in ipotesi alludere a una non integrale trascrizione di tutti i colloqui intercettati, a prescindere dalla lingua utilizzata in tale operazione.
5. Ciò posto, occorre ora affrontare la questione di diritto su cui la Sezione rimettente ha rilevato un contrasto di giurisprudenza: essa, come detto, attiene alla sussistenza, nel caso in esame, di una ipotesi di incompatibilità della signora I. a svolgere la funzione di interprete nell'esame della persona offesa P.J., da questa reso nella lingua nigeriana, in relazione alla precedente attività di traduzione, in ausilio al trascrittore M.C., dei colloqui intercettati.
La questione però ne implica una più ampia, attinente al contenuto della stessa attività di trascrizione delle conversazioni intercettate.
6. L'art. 144 c.p.p. ("Incapacità e incompatibilità dell'interprete") prevede al comma 1, lett. d), la incompatibilità dell'interprete “chiamato a prestare ufficio [...] di perito nello stesso procedimento”.
Specularmente, l'art. 222 c.p.p. ("Incapacità e incompatibilità del perito") prevede al comma 1, lett. d), la incompatibilità del perito “chiamato a prestare ufficio [...] di interprete”.
La ratio del divieto di commistione tra le funzioni di interprete e di perito, che risale quanto meno al codice Finocchiaro Aprile del 1913, è stata generalmente individuata dai più autorevoli commentatori nella esigenza di evitare possibili influenze dell'una attività sull'altra, entrambe esplicazioni di una funzione ausiliaria del giudice.
Come si è detto, nel caso in esame la I. aveva ricevuto l'incarico dal G.i.p. di svolgere una traduzione in italiano delle conversazioni intercettate (avvenute in parte in lingua benin-edo) mentre altro soggetto (M..C.) aveva avuto l'incarico, contestuale, di trascrivere le conversazioni così tradotte.
7. Focalizzando l'attenzione sul compito del "trascrittore", la tesi della prevalente giurisprudenza (a partire da Sez. 5, n. 9633 del 24/01/2002, dep. 11/03/2002, imp. Kalil) è, con varietà di considerazioni e di riferimenti concettuali, nel senso che esso non è assimilabile a quello di un perito, in quanto l'art. 268, comma 7, c.p.p. richiama, a garanzia del contraddicono, le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento di perizie, ma non presuppone che il trascrittore svolga, contenutisticamente, un'attività propriamente peritale, dato che tale soggetto si limita a porre in essere, pur se con l'impiego di risorse tecnologiche, una mera operazione materiale, che non richiede conoscenze tecnico-scientifiche che sfocino in un "parere" e cioè in un "giudizio" che su quelle conoscenze si fondi, esaurendosi la sua attività in una mera trasposizione di dati di tipo ricognitivo (vedi anche, in questo senso, Sez. 5, n. 1265 del 05/02/2002, dep. 28/03/2002, imp. Bello; Sez. 5, n. 3941, del 10/10/2002, dep. 28/01/2003, imp. Pagnozzi (in via di obiter dictum); Sez. 1, n. 7342 del.06/02/2007, dep. 22/02/2007, imp. Mangone; Sez. 6, n. 2732 del 06/11/2008, dep. 21/01/2009, imp. Scalise; Sez. 1, n. 26700 del 26/03/2009, dep. 01/07/2009, imp. Bozzaotre).
In senso contrario, è stato osservato che il richiamo operato dall'art, 268, comma 7, c.p.p. alle forme, ai modi e alle garanzie previsti per l'espletamento delle perizie “estende chiaramente alle attività di trascrizione integrale delle registrazioni le norme di garanzia previste per le perizie, ivi comprese quelle contenute nell'art. 144 stesso codice” (Sez. 1, n. 6303 del 22/11/2000, dep. 15/02/2001, imp. Chen Ringai).
8. Le Sezioni unite esprimono condivisione di quest'ultimo indirizzo.
8.1. In primo luogo, da un punto di vista formale va osservato che la prescrizione contenuta nell'art. 268, comma 7, c.p.p. relativa all'osservanza delle "forme" (oltre che dei modi e delle garanzie) "previste per l'espletamento delle perizie" non può che estendersi alle formalità di nomina (stabilite per il perito, per l'appunto), di cui all'art. 221 c.p.p. e al relativo conferimento dell'incarico, di cui all'art. 226 c.p.p.; con la conseguenza che il "trascrittore", accantonata per un momento la discussione sul contenuto ontologico della sua attività, deve essere nominato e ricevere l'incarico con il rispetto delle riferite disposizioni relative alle perizie disposte dal giudice.
In occasione del conferimento dell'incarico, dunque, il soggetto officiato dal giudice deve recitare la prescritta dichiarazione rituale: “consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell'incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”.
Ed è propria questa la formula di impegno che, come osserva puntualmente l'ordinanza di rimessione, il trascrittore C., e la traduttrice I., hanno prestato davanti al Giudice dell'udienza preliminare il 31 ottobre 2007 in occasione degli incarichi loro contestualmente conferiti, avendo tra l'altro ricevuto previamente i prescritti ammonimenti circa il rispetto delle previsioni di cui agli artt. 222 ("Incapacità e incompatibilità del perito") e 223 ("Astensione e ricusazione del perito") del codice di rito.
Ora, già sulla base di tali considerazioni, ed anche volendo considerare, in mancanza di una formale evidenza desumibile dagli atti qui pervenuti, che il G.u.p. abbia potuto omettere nel conferimento dell'incarico il riferimento a operazioni di natura "peritale", parrebbe arduo ritenere che un soggetto che riceve un incarico con il rispetto delle formalità previste per il perito, e con le comminatorie relative, possa non essere assoggettato al relativo status, solo perché il contenuto dell'incarico conferitogli viene in concreto considerato tale da non implicare, stando all'orientamento prevalente, "conoscenze tecnico-scientifiche che sfocino in un parere o un giudizio".
8.2. In secondo luogo, è proprio questa riduttiva considerazione sostanzialistica dell'attività del trascrittore, consegnato a un ruolo di un mero esecutore tecnico, che non appare sostenibile.
Ha persuasivamente osservato Corte cost. sent. n. 336 del 2008, che “la qualità delle registrazioni delle intercettazioni può non essere perfetta ed imporre una vera e propria attività di interpretazione delle parole e delle frasi registrate, specie se nelle conversazioni vengano usati dialetti o lingue straniere”; che l'incaricato a norma dell'art. 268, comma 7, c.p.p. “fornisce una trascrizione letterale, ma anche indicazioni ulteriori, quando necessarie (intonazione della voce, lunghezza di una pausa etc.), che possono incidere sul senso di una comunicazione”; e che “la trascrizione peritale può contenere anch'essa componenti interpretative, ma è garantita dalla estraneità del suo autore alle indagini e dal contraddittorio”.
E difatti il "trascrittore", nel riprodurre i suoni vocali (talvolta meri fonemi) in orditi sintattici, non solo deve possedere un'adeguata professionalità nella interpretazione degli elementi lessicali, delle pause e delle intonazioni espressi dai soggetti colloquianti, avuto riguardo alla inflessione, alle forme gergali e dialettali, ai ritmi e alle interruzioni proprie di ogni colloquio, al numero dei loquenti e alle varie condizioni di tempo e di luogo che interferiscono con la traccia fonica, ma deve essere anche in grado di rappresentarli per iscritto, utilizzando ogni appropriato segno grafico che rispetti il più efficacemente possibile il senso delle reciproche interlocuzioni in relazione al contesto.
Egli, dunque, più che un mero trascrittore, è, come osservato dalla Corte costituzionale, un "interprete" del contenuto e del senso, particolare e complessivo, dei dati vocali (cui possono aggiungersi, dovendosene se del caso dare conto, suoni di fondo, anche materiali).
Ora, potendosi dare per comunemente accettato l'assioma per cui ogni attività di "interpretazione", nel senso sopra specificato, esprime una valutazione, e quindi un "giudizio", deve concludersi che anche da un punto di vista sostanziale l'attività del trascrittore è assimilabile a quella di un perito, e che quindi pure per essa sia richiesta una "specifica competenza tecnica", come previsto, in relazione all'oggetto della perizia, dall'art. 220 c.p.p.
8.3. Data tale assimilazione - e diversamente da quanto è da dire con riferimento a compiti di trascrizione di atti compiuti alla presenza del giudice, come nel caso di cui all'art. 141 bis c.p.p. - non vi è dunque ragione per non estendere alla figura del trascrittore di conversazioni intercettate, nominato a norma dell'art. 268, comma 7, c.p.p., le disposizioni sui casi di incompatibilità allo svolgimento di ulteriori funzioni che riguardino il perito, e in particolare, per quello che qui interessa, quella concernente la funzione di interprete, a norma dell'art. 144, comma 1, lett. d), c.p.p.
8.4. Questa norma, nello stabilire la incompatibilità alla funzione di interprete, fa riferimento, usando il tempo presente, alla situazione di chi è “chiamato a prestare ufficio [...] di perito nello stesso procedimento”. Poiché nel caso in esame la I. aveva già espletato l'incarico conferitole dal G.i.p. di svolgere la traduzione in italiano delle conversazioni intercettate, si potrebbe dubitare che sussistesse la situazione di incompatibilità prevista dalla norma.
Va tuttavia osservato che l'incarico di perito non si esaurisce nel compimento della relativa attività, perché il soggetto che l'ha svolta conserva questa qualità nel corso dell'intero procedimento, potendo essere chiamato a rendere esame, a norma degli artt. 501 e 511, comma 3, c.p.p. Trattandosi dunque di una qualità immanente, l'espressione "chi è chiamato a prestare ufficio..." deve intendersi equivalente a quella "chi è stato chiamato a prestare ufficio..."; e del resto l'uso del tempo passato, verosimilmente per un impreciso raccordo con il testo del codice del 1930 (art. 328) da parte del legislatore del 1988, che lo ha sostanzialmente riprodotto, è impiegato nell'ambito della medesima lettera d) con riferimento all'analoga incompatibilità introdotta dall'attuale codice per chi “è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento”, per la quale non può che valere la stessa ratio.
La prevalente giurisprudenza, nell'ambito della concezione che esclude l'assimilabilità al perito del trascrittore di colloqui intercettati, esclude che quest'ultimo debba essere sottoposto a esame in dibattimento, sia perché, come visto, si ritiene che il trascrittore non possa essere ragguagliato a un perito, sia in quanto l'art. 511, comma 3, c.p.p. condiziona all'esame del perito la lettura di una "relazione peritale", alla quale non potrebbe essere assimilata la trascrizione delle registrazioni (v. in particolare le già citate sentenze Sez. 5, Kalil, e Sez. 6, Scalise).
Tale ultima osservazione, soprattutto, appare convincente, sicché deve ritenersi che non vi sia base normativa per condizionare la lettura delle registrazioni a un previo esame dell'autore della trascrizione. Ciò tuttavia non toglie che tale soggetto possa essere sempre sentito a chiarimenti circa le modalità impiegate ed i criteri seguiti nell'ambito della sua attività; sicché anche per esso può dirsi che la qualità svolta lo caratterizzi nell'intero corso del procedimento e che permangano, in relazione ad essa, le cause di incompatibilità previste dall'art. 144 c.p.p.
9. Deve dunque enunciarsi il seguente principio di diritto: “sussiste incompatibilità a svolgere successivamente nello stesso procedimento la funzione di interprete per il soggetto che abbia svolto il compito di trascrizione delle registrazioni delle comunicazioni intercettate a norma dell'art. 268, comma 7, c.p.p.”.
10. Ciò posto, venendo all'attività del traduttore-interprete che collabori con il trascrittore, che è quella che più specificamente interessa il presente ricorso, sembra alle Sezioni unite che essa non possa essere distinta da quella di quest'ultimo, e anzi assuma un ruolo primario, non solo perché, come osservato nella ordinanza di rimessione, nel caso di specie “l'opera dell'interprete e quella del trascrittore sono state contestuali e sinergiche e sono state partecipi di una unica natura, trascrivendo il trascrittore ciò che contestualmente o antecedentemente il traduttore aveva ascoltato e riversato in lingua italiana”, sicché, in un tale contesto, sarebbe arduo “sceverare in concreto un'attività del traduttore che non fosse contestualmente determinante e costitutiva ai fini della trascrizione”; ma anche perché, in via più generale, il trascrittore recepisce e prende a base della sua attività la traduzione in italiano precedentemente fatta dall'interprete, sicché è proprio quest'ultimo ad avere un ruolo decisivo non solo nella mera traduzione ma anche nella elaborazione del senso dei colloqui.
Ne deriva che l'attività di traduttrice-interprete della I., per le condizioni in cui è stata svolta, e per la contestualità dell'incarico ricevuto, deve considerarsi sostanzialmente assimilabile a quella di un perito, essendosi esplicata in unione sinergica con il trascrittore e avendo avuto anzi un ruolo preponderante rispetto all'attività di quest'ultimo.
11. Deve dunque enunciarsi il seguente principio di diritto: “sussiste incompatibilità a svolgere successivamente nello stesso procedimento la funzione di interprete per il soggetto che, nell'ambito del conferimento ad altri del compito della trascrizione delle registrazioni delle conversazioni in lingua straniera intercettate, sia stato incaricato di effettuare, contestualmente e unitamente al trascrittore, la traduzione in lingua italiana di dette conversazioni”.
12. Nella specie appare dunque integrata la ipotesi prevista dall'art. 144, comma 1, lett. d), c.p.p., e, stando così le cose, i giudici di merito avrebbero dovuto prenderne atto, perché le cause di incompatibilità sono quelle tassativamente stabilite dal legislatore e vanno intese in senso formale, senza alcuna possibilità di verificare se nel singolo caso esse abbiano avuto una effettiva incidenza sull'ulteriore attività processuale svolta, in relazione al medesimo thema decidendum, dal soggetto che versa in una situazione di incompatibilità.
Connaturata alla nozione di incompatibilità è l'astratta previsione del pericolo di inquinamento del risultato cui la funzione attinta dalla relazione pregiudicante dovrebbe tendere,
Se perciò la incompatibilità alla funzione di giudizio (art. 34 c.p.p.) non può che concernere la medesima regiudicanda, la incompatibilità in funzione probatoria non ha ragione di estendersi oltre lo specifico tema probatorio e in esso trova limite.
L'unico spazio di sindacato attiene dunque alla verifica dell'oggetto delle fonti di prova: la incompatibilità non sussiste se la funzione di interprete successivamente esercitata non ha alcun collegamento con quella peritale (o assimilabile a questa): sia in senso relativo (ad es. funzione di interprete espletata in relazione a imputati o imputazioni non coinvolti dalla precedente attività); sia in senso assoluto (ad es. funzione di traduzione di atti di procedura, come un atto di citazione, o di documenti extraprocessuali, come il testo di norme straniere).
Ma nel caso in esame la I. ha funto da interprete delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nella sua deposizione dibattimentale, e cioè dallo stesso soggetto le cui conversazioni erano state intercettate e precedentemente tradotte; dichiarazioni che vertevano sugli stessi fatti su cui le intercettazioni erano state addotte come mezzo di prova.
13. Come previsto dall'alinea del comma 1 dell'art. 144, la incompatibilità dell'interprete è causa di nullità, che esattamente la dottrina e la giurisprudenza (vedi per tutte Sez. 1, n. 20864 del 14/04/2010, dep. 03/06/2010, imp. Mailat; Sez. 1, n. 17292 del 16/04/2008, dep. 24/04/2008, imp. Bari) qualificano come relativa, non rientrando in alcuna delle ipotesi considerate dall'art. 178 c.p.p..
Il mezzo per dedurla è la dichiarazione di ricusazione (art. 145 c.p.p.), che deve di regola essere proposta “fino a quando non siano esaurite le formalità di conferimento dell'incarico”; ma, trattandosi di incidente che deve essere risolto dallo stesso giudice che procede e vertendosi in una causa di nullità (a differenza di quanto è da dire per i casi di ricusazione del giudice), per la dichiarazione non occorrono particolari formalità, equivalendo ad essa la mera deduzione della causa di incompatibilità.
Nella specie, la incompatibilità, come si riconosce nella sentenza impugnata, è stata tempestivamente dedotta, risultando che alla udienza del 12 marzo 2008 il difensore si era opposto alla nomina della I. quale interprete della persona offesa P., adducendo proprio la precedente attività da quella svolta in relazione all'incarico affidatole, congiuntamente al C., in relazione alla trascrizione, previa traduzione, dei colloqui intercettati.
Deve pertanto essere dichiarata la nullità della nomina dell'interprete I., che versava in una situazione di incompatibilità.
14. Alla nullità derivante da detta causa di incompatibilità consegue quella della testimonianza della persona offesa P., in quanto resa attraverso l'opera di interpretazione della I.; sicché deve affermarsi che illegittimamente i giudici di merito l'hanno considerata ai fini del loro convincimento circa la fondatezza delle imputazioni mosse all'imputata.
Tale conclusione non produce però effetti sull'affermazione di responsabilità, in quanto nella sentenza della Corte di assise di appello, che non è stata menomamente impugnata nel merito, si osserva che a prescindere dalla testimonianza della persona offesa la prova della responsabilità della E. era ricavabile anche dal solo contenuto delle conversazioni intercettate.
Più specificamente, nella sentenza impugnata si afferma che il contenuto delle intercettazioni telefoniche è “già di per sé, invero, più che sufficiente a fondare il giudizio di colpevolezza in ordine a tutti i reati contestati” (p. 87), e, più oltre, che “anche il tentativo [della difesa] di considerare le sole conversazioni intercettate quale fonte di prova non permette di conseguire il risultato sperato, perché quanto emerge dalle stesse è più che sufficiente a provare la colpevolezza dell'imputata al di là di ogni ragionevole dubbio” (p. 94).
Deve quindi ritenersi che, secondo la valutazione dei giudici di merito, l'affermazione di responsabilità penale dell'imputata possa trarre fondamento anche dal solo contenuto dei colloqui intercettati, su cui nessun rilievo attinente al merito, come detto, è stato mosso nel ricorso.
15. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
18-06-2011 00:00
Richiedi una Consulenza